domenica 21 aprile 2024

La volontà da parte di Novaro di recidere definitivamente con il passato ‘commerciale’ della rivista potrebbe quindi averlo indotto a rinunciare a quell’apparato illustrativo d’impronta Liberty oramai troppo corsivo


Nel 1895 nasce a Oneglia, in provincia d’Imperia, la testata «La Riviera Ligure» fondata da Paola Sasso (1845-1893) e dai figli Angiolo Silvio Novaro (1866-1938) e Mario Novaro (1868-1944).
Al principio questa impresa editoriale si presenta sostanzialmente come un foglio, e di promozione turistica dei territori della riviera ligure, e di propaganda della famosa ditta produttrice di olio, tutt’oggi esistente: “P. Sasso e Figli”. Di qui l’eccezionale tiratura della rassegna che nel 1899 raggiunse per allora lo straordinario numero di ottocento-centomila copie (con una punta di centoventimila nel mese di maggio dello stesso anno). Questo almeno sino al 1901, quando Mario Novaro assunse di fatto la direzione della testata imprimendole una svolta radicale <14. Da “un’amena e simpatica trovata fin de siècle” <15 la «La Riviera Ligure» si trasformò rapidamente in una rivista letteraria di primaria importanza nel panorama dell’editoria italiana. Il “direttore-dittatore” <16, infatti, oltre a svolgere l’attività d’imprenditore nell’azienda di famiglia, era ancora prima un letterato, un critico, un saggista e anche un poeta e scrittore allora abbastanza apprezzato <17.
Laureatosi in filosofia a Berlino nel 1893 e, l’anno seguente, all’Università di Torino nella medesima materia, Mario Novaro era uno studioso particolarmente impegnato in materia di occultismo e di teosofia. Questo forte interesse per il ‘trascendente’, per altro molto comune negli intellettuali della generazione operante alla fine dell’Ottocento, lo portò a rimodellare la sua rivista secondo modelli di chiara impronta simbolista. Fra i primi e più importanti collaboratori invitati a partecipare alla nuova impresa figura, infatti, non a caso Giovanni Pascoli (1855-1912) il quale intrattenne con Novaro un lungo e duraturo rapporto, di lavoro prima e di amicizia poi, basato sulla stima reciproca <18. Del poeta sammaurese «La Riviera Ligure» pubblicò negli anni numerose poesie, queste ultime spesso accompagnate da illustrazioni appositamente realizzate per l’occasione. Tra i componimenti pascoliani editati dalla testata ligure, si prenda a titolo esemplificativo "Inno all’Olivo" (poi ristampata nei “Canti di Castelvecchio” col titolo 'La canzone dell’ulivo') illustrata da un disegno a inchiostro di Plinio Nomellini (1866-1943). A parte le facili speculazioni circa una sospetta coincidenza fra i versi di Pascoli, il disegno dell’artista livornese (dominato dalla figura della pianta oleacea) e l’attività economica principale dell’editore, ossia di una “calcolata e sagace sponsorizzazione” letteraria <19, questa felice “unione di studi liberali e felici commerci” <20 rientra esattamente in quel clima di ‘integrazione tra le arti’ e il mondo dell’economia in cui prende forma l’Art Nouveau. Da un punto di vista squisitamente grafico la poesia simbolista pascoliana, “decorativa […] stilizzata, fatta di contorni, di sapienti sagomature” <21, trova sul versante del componimento visivo una perfetta corrispondenza omologica nell’immagine fortemente evocativa e sintetica, realizzata per mezzo di linee fluenti e ben delineate, composta da Nomellini. Lo stesso Pascoli, del resto, riconosce questa ‘convergenza’ stilistica quando esprime in più occasioni tutto il suo apprezzamento per l’opera dell’artista livornese <22. Tuttavia, in questo caso si tratta più di una giustapposizione fra due arti ‘sorelle’ che non di una vera e propria unione in un tutt’uno organico. In altre parole, testo e immagine si corrispondono, ma non si fondono realmente insieme.
L’esempio più emblematico di una vera unione fra parola e disegno presente sulle pagine de «La Riviera Ligure» è fornito dall’opera di un altro grande protagonista della stagione liberty in Italia, Giorgio Kienerk (1869-1948). A quest’ultimo, infatti, si deve sia il rinnovamento generale del layout della rivista, sia l’intera impostazione grafica la quale, a partire dal n. 27 del 1901, caratterizzerà l’immagine della rassegna per oltre un lustro. La formula adottata da Kienerk per la testata è esemplare: all’interno di un riquadro ondulato fortemente asimmetrico, evocante i flutti del mare, campeggiano le lettere che compongono il nome della rivista; queste ultime a loro volta fanno eco all’andamento sinuoso ed eccentrico della cornice adottando un lettering morbido, d’ispirazione appunto ‘undamorfa’, che unisce i singoli segni fonetici fra di loro secondo uno schema libero che elude, di fatto, l’impostazione tradizionale della rigida griglia gutemberghiana di stampo moderno. Questo stile, utilizzato per molti altri lavori pubblicati sia su «La Riviera Ligure» che in altre testate (loghi editoriali, capilettera, fregi, finalini ecc.), Kienerk lo chiama giustamente “geroglifico” <23, ossia un componimento sintetico/astratto in cui il segno grafico (significante) e la parola o concetto (significato) coincidono. Lo stesso carattere conciso, simbolico e fortemente decorativo lo si può riscontrare anche in disegni più impegnativi (tavole autonome, vignette e illustrazioni a tutta pagina), in cui emergono chiaramente due linee stilistiche differenti: l’una divisionista, sulla scia di Nomellini, ma interpretata con forti accenti nordici vicini ai modelli provenienti soprattutto dai maestri del simbolismo belga (in primis di Fernand Khnopff) <24; l’altra incentrata sull’utilizzo di un rigoroso à plat derivato, come lui stesso scrive, dai disegni che “si vedono per le riviste inglesi e tedesche” <25.
Diverso, sia da Nomellini che da Kienerk, è il caso del terzo e più importante collaboratore de «La Riviera Ligure», il genovese Edoardo De Albertis (1874-1950) <26. Più giovane rispetto ai due artisti toscani, De Albertis adotta un divisionismo grafico per così dire ‘severo’ che denuncia chiaramente un orientamento stilistico differente. Il suo tratto infatti, seppure sempre filamentoso, s’irrigidisce alquanto, mette in evidenza la plasticità dei corpi e gioca per quanto possibile su potenti effetti di chiaroscuro; tutti ingredienti, questi, che denunciano apertamente la volontà da parte dell’artista di aderire a un linguaggio riconducibile stilisticamente all’interno in quella variante del Liberty nostrano, di stampo eminentemente neomichelangiolesca, promosso e diffuso dal coetaneo e ben più famoso Adolfo De Carolis <27.
Questa situazione rimase pressoché immutata sino al 1904 quando Novaro, dopo avere faticosamente ordito una fitta rete di relazioni in grado di dare vita a una rivista solidamente impostata sullo stretto binomio testi/arti figurative, decise improvvisamente di sciogliere questo legame per concentrarsi esclusivamente sul versante letterario. Già l’anno successivo, infatti, in molti numeri non compaiono più tavole illustrate, ma solo alcuni fregi ornamentali concepiti da Kienerk qualche tempo prima. A partire dal 1906 la svolta è completa e più nessun tipo di fregio adorna le pagine della testata. Le ragioni di questo cambiamento repentino sono varie, non ultime quelle di origine economica, ma, come spesso accade, le giustificazioni finanziarie costituiscono molto spesso un alibi per nascondere “motivi di ordine ideologico e psicologico” <28. La volontà da parte di Novaro di recidere definitivamente con il passato ‘commerciale’ della rivista potrebbe quindi averlo indotto a rinunciare a quell’apparato illustrativo d’impronta Liberty oramai troppo corsivo, ‘popolare’ e, cosa più importante, indissolubilmente legato all’ambito della réclame.
[NOTE]
14 A partire dal n. 25 compare sulla prima pagina della rivista la dicitura “nuova serie” a rimarcare il nuovo cammino intrapreso. Inoltre, la stampa del giornale fu affidata alla famosa casa editrice F.lli Treves di Milano la quale, come noto, era da tempo impegnata a rinnovare la propria offerta editoriale sull’esempio delle coeve esperienze straniere.
15 R. BOSSAGLIA, La Riviera Ligure. Un modello di grafica liberty, Costa & Nolan, Genova, 1985, p. 8.
16 Cfr. E. SANGUINETI, Valorosi e noti, in R. BOSSAGLIA, cit., pp. 23-28.
17 Fra gli scritti più importanti di Mario Novaro si possono qui ricordare i saggi La teoria della casualità in Malebranche (1893), Il concetto di infinito e il problema cosmologico (1895), la curatela critica dei Pensieri metafisici di
Niccolò Malebranche (1910) e le poesie pubblicate nella raccolta Murmuri ed echi (1912).
18 Per una ricostruzione sui rapporti fra Mario Novaro e Giovanni Pascoli si veda M. NOVARO, Alcune lettere inedite di Giovanni Pascoli, Nante, Imperia, 1934; inoltre P. BOERO (a cura di), Lettere a “La Riviera Ligure” 1900-1905,
Edizioni di Storia e Letteratura, Roma , 1980.
19 E. SANGUINETI, cit., p. 27.
20 Lettera riportata in P. BOERO, cit., p. 13 (lettera 20)
21 R. BARILLI, Pascoli simbolista. Il poeta dell’avanguardia debole, BUP, Bologna, 2012, p. 27.
22 Cfr. P. BOERO, cit., pp. 6 (lettera 10); pp. 7-8 (lettera 12).
23 Ivi, p. 14 (lettera 22).
24 Significativo in proposito segnalare che Kienerk fu l’unico artista italiano, dopo Segantini, ad essere invitato da Octave Maus al Salon de la Libre Esthétique del 1901 a Bruxelles.
25 Cfr. P. BOERO, cit., p. 15 (lettera 23). Nella lettera del 15 dicembre del 1901 inoltre Kienerk cita espressamente come modello di riferimento le riviste monacensi «Jugend» e «Simplicissimus» (cfr., ivi, p. 26, lettera 39).
26 De Albertis è stato oltre che illustratore anche un pittore, decoratore e incisore, ma soprattutto un importante scultore attivo soprattutto a Genova, che ha segnato il passaggio dal Liberty al Déco e al Novecentismo. Per una ricostruzione completa della figura dell’artista si rimanda al fondamentale contributo di D. COLOMBO, Eros e Thanatos. La scultura di Edoardo De Albertis a Staglieno, Erga, Genova 1996; inoltre si veda C. OLCESE SPINGARDI, La scultura, in F. SBORGI (a cura di), Il mito del moderno. La cultura liberty in Liguria, Fondazione Cassa di Risparmio di Genova e Imperia, Genova, 2003, pp.139-163 (con bibliografia precedente).
27 Cfr. qui cap. 3.1.
28 R. BOSSAGLIA, cit., p. 21.
Giuseppe Virelli, «L’Eroica» e la xilografia italiana dal tardo Liberty all’Espressionismo (1911-1917), Tesi di dottorato, Alma Mater Studiorum - Università di Bologna, 2012

Il contributo di Calò, che suggellava la sua passione poetica nata per amore e favorita dall’amicizia con Marino Moretti, trovò collocazione all’interno del cosiddetto «numero dei filosofi», poiché il fascicolo di ottobre 1911 ospitò anche opere di Giovanni Papini e di Mario Novaro <49. La rivista di Oneglia era nata come un foglio pubblicitario bimestrale, allegato ai prodotti della casa produttrice dell’Olio Sasso; per questo motivo, almeno inizialmente, gli scopi pubblicitari erano strettamente legati alla volontà di dare spazio ad una produzione letteraria estemporanea. Nel tempo, «La Riviera Ligure» assunse una propria fisionomia, grazie all’impegno del direttore Mario Novaro, che ne fece una tribuna di rinnovamento artistico e letterario né mai esclusivamente elitario e circoscritto, né tantomeno riformistico-rivoluzionario. Pur non essendo legata ad alcuna avanguardia, la rivista di Oneglia era interessata a svecchiare, a sprovincializzare, ad accogliere i filoni più interessanti della cultura europea contemporanea e, nel contempo, gli esordi di giovani artisti, come i fratelli Adelchi e Pierangelo Baratono, Giovanni Boine, Dino Campana, Luigi Capuana, Francesco Chiesa, Grazia Deledda, Corrado Govoni, Guido Gozzano, Marino Moretti, Umberto Saba, Camillo Sbarbaro, Scipio Slataper, Ardengo Soffici e tanti altri <50.
[NOTE]
49 Cfr. Marino Moretti a Mario Novaro, lettera n. 134 del 9/09/1911, in P. Boero, F. Merlanti, Lettere a «La Riviera Ligure», vol. 3, 1910-1912, Edizioni di Storia e Letteratura, Roma 2003, p. 142
50 Non va, inoltre, dimenticato che sulla rivista di Oneglia scrissero anche Luigi Pirandello e Giovanni Pascoli; cfr. E. Villa, P. Boero (a cura di), La Riviera Ligure, Canova, Treviso 1975, pp. 9-25

Evelina Scaglia, Giovanni Calò nel panorama filosofico e pedagogico italiano dal 1900 al 1940, Tesi di dottorato, Università degli Studi di Bergamo, Anno accademico 2010-2011

martedì 16 aprile 2024

Un imperiese membro dell'Opificio potenziale

Imperia: Viale Matteotti

Giuseppe Varaldo sa ridurre bene i testi narrativi. Per dirne una: ha redatto diverse sintesi dei Promessi sposi manzoniani, usando solo termini marcati (come italiano regionale, dialettale, gergale, esotico, ecc.) dal vocabolario De Mauro della lingua italiana. Il tutto, per complicarsi la vita, scritto in ottave rimate.
Così, ad esempio, suona l'ottava intessuta con i barbarismi:"Non certo un instant-book o un feuilleton,/ ma un long-seller charmant ed evergreen. / Eccone l'abstract: in un tourbillon / di escamotage, di blitz e di combine, / in stand-by nonostante la liaison, / al "Niet" di un capataz, kaputt infin / (yes-man e bandoleros l"entourage), / fra un boy-friend e la partner il ménage".
In Canto tenero, un poemetto in quattordici quartine di endecasillabi a rime alterne, costruisce il testo con una sequenza ininterrotta dì nomi di personaggi mitologici. La prima strofa ("Alma, perenna - ligia al poter mio-/ e mesci a caso o reca come dote, / tipico tono fausto a te natio, / né farti debellar in odi o mote...") cuce i nomi di Anna Perenna, Ligia, Alpo, Termio, Eme, Scia, Caso, Ore, Caco, Medo, Teti, Pico, Tono, Fausto, Atena, Tione, Fartide, Bel, Larino, Diomo, Teride...
E si vedano i sonetti monovocalici raccolti in All'alba Shahrazad andrà ammazzata (Douglas Hofstadter ne parla nel suo Le Ton beau de Marot. In praise of the Music of Language, l997, dove traduce il titolo, mantenendo il gioco, in Shahrazad shall hang at dawn). Così viene riferito l'inizio della Metamorfosi: "la trama tratta/ (la narra Kafka, par ch'accada a Praga): / abracadabra, cabala da maga / all'alba fa passar da Samsa a blatta". E così Genesi, 6-9: "La gran bagnata allaga la vallata, / ma fra la malta, a galla, avanza l'arca,/ la vasta cassa fatta dal navarca; / la salamandra, l'anatra palmata, / la magra calpa, la farfalla alata/ s'accalcan a carcar la sacra barca: / da tal marasma, dall'amara Parca,/ dal patatrac la razza va salvata! / Al caval la cavalla, al can la cagna: / da casa-stalla la tartana fa ... / La masnada, passata la magagna,/ all'Ararat attracca, starà là;/ alzata l'ara, arata la campagna,/ mal farà Cam a maltrattar papà!".
Ma chi è Giuseppe Varaldo? Risiede a Imperia, di professione fa il dermatologo, collabora, con lo pseudonimo di Beppe, a "La Settimana Enigmistica" e ad altre riviste ("Pergioco", "La Sibilla"). Ma definirlo soltanto un enigmista è davvero troppo poco. È autore di stupefacenti palindromi sesquipedali: sull'omerica regina (Penelope, 1041 lettere), sulla scoperta dell'America (3 agosto 1492, 630 lettere), sulla vittoria della squadra italiana ai Mondiali di calcio (11 luglio 1982, 4587 lettere). Altri palindromi varaldiani sono brevissimi, fulminanti. Così, sull'abate Faria, scrive: finirà per crepar in If. E sulla memoria involontaria di Proust: era riverbero d'ore brevi, rare.
È un membro dell'Oplepo (Opificio di letteratura potenziale), associazione gemella della francese Oulipo (Ouvroir de Littérature Potentielle). Fra i membri dell'Ouvroir, fondato nel 1960 (giovedì 24 novembre, per la precisione, nelle cantine di "Le vrai Gascon" a Parigi) da François Le Lionnais e Raymond Queneau, figurano Italo Calvino, Marcel Duchamp, Georges Perec, Jacques Roubaud; fra quelli dell'Opificio, fondato nel 1990 a Capri da Raffaele Aragona, Ruggero Campagnoli e Domenico D'Oria, figurano Paolo Albani, Ermanno Cavazzoni, Edoardo Sanguineti. Sono, questi gruppi, i laboratori della letteratura ludico-matematica più alta, culmine - e, detto così, può parere un ossimoro - di sfrenato gioco e di rigorosissime procedure. Per fare letteratura si fa, qui, uso di contraintes, cioè di regole di scrittura vincolata, sottoposta a restrizione. I vincoli sono strumenti di stimolo, metodi creativi, ed ecco allora lipogrammi, tautogrammi, mitografemi, palindromi, acrostici, olorime, e nuove tecniche come le permutazioni o il giro del cavallo, il metodo di sostituzione "S+n" (si sostituisce ogni parola con quella che cade n posizioni più avanti in un dizionario) e la palla di neve (ogni verso è costituito da una sola parola ed ogni parola successiva è più lunga della precedente). Raymond Queneau disse che anche severe teorie scientifiche e raffinate tecniche letterarie nascono almeno in parte dal gioco: "Si può pure ritenere che i Carolingi, il giorno in cui hanno cominciato a contare sulle dita 6, 8, 12 per fare versi, hanno compiuto un lavoro oulipiano". E d'altronde qualsiasi testo è costruito mediante delle regole (ortografiche, sintattiche, lessicali), che possono sì essere rotte o ampliate o modificate, ma che in effetti costituiscono pur sempre delle contraintes.
Insomma, gli oulipiani e gli oplepiani scoprono nuovi procedimenti per comporre libri, ricercano nuove strutture, e le costrizioni escogitate si rivelano propizie alla creazione letteraria. Varaldo è uno dei protagonisti di queste avventure. E ha capacità virtuosistiche, stupefacenti, tanto che, non a caso, è stato uno dei collaboratori di Piero Falchetta per la traduzione di quel gran testo che è La Disparition di Georges Perec (è un romanzo giallo in cui misteriosamente scompare qualcosa. Non vi diciamo cosa, non si può rivelare le sorprese di un libro così ricco di suspense e humour noir. In Italia è puhblicato dall'editore Guida con il titolo La scomparsa. Andate subito a leggervelo).
Varaldo, in un'intervista concessa ad Armando Adolgiso (in http://www.adolgiso.it), dice di non ritenersi uno scrittore, "se mai un abile artigiano lessicale o un manipolatore della parola. Essendo comunque anche un enigmista, cioè un creatore di indovinelli e crittografie, il passaggio dall'enigmistica alla ludolinguistica è stato per me abbastanza naturale. Dell'una e dell'altra mi attira soprattutto - così amo chiamarla - la "sublime inutilità". E della ludolinguistica anche quel senso di sfida còlta che è implicito nella contrainte". E, più oltre, afferma che la letteratura "diventa arte, e non più soltanto comunicazione, se e quando riesce a esprimere qualcosa che vada al di là delle parole: credo nel non detto, nel sottinteso, nella complicità allusiva fra scrittore e lettore. Ritengo inoltre che le parole stesse e la loro associazione abbiano, per lo meno nel linguaggio poetico, un valore intrinseco e una potenza evocativa che ne trascendono il mero significato. Ricordo in proposito quel famoso racconto di Landolfi in cui un poeta, un certo Ernesto, ri-scrive l'Infinito semplicemente lasciandosi condurre e sedurre dalla forza attrattiva delle singole parole, estratte a caso da un'urna".
Se qualcuno teme che la letteratura così si inaridisca e si riduca ad una vuota esercitazione che può indifferentemente essere prodotta anche dall'elaboratore elettronico, lo possiamo rassicurare subito, con queste parole che Varaldo pronuncia verso la conclusione dell'intervista:

Credo infatti che arte e scienza siano e debbano continuare a essere due mondi separati e autonomi. Ciò non toglie che la scienza possa fornire all'arte nuove tecnologie e nuovi strumenti per svilupparsi: basti pensare alla musica elettronica e ad alcuni effetti, non necessariamente speciali, del cinema. O anche, in campo letterario (vedli Oulipo-Oplepo e dintorni), alla già citata importanza della matematica. E tuttavia il livello artistico di un romanzo come La vita istruzioni per l'uso non deriva dall'esattezza delle sue contraintes, ma da qualcos'altro - stile, espressività, purezza di linguaggio, coinvolgimento emotivo - che in un certo senso le supera.

Personaggio complesso, affabile conversatore che sa passare da Buñuel a Rabelais, da Kubrick a Joyce, Varaldo è un esploratore di nuovi territori, animato da spirito giocoso e dissacratore. Il senso delle sue operazioni è al tempo stesso frivolo e profondo, e presenta - al di là del suo rifiuto di sentirsi scrittore - innegabili segnali di stile. Le sue esperienze di poeta à contrainte sono esposte in Introduzione alla ludolinguistica, pubblicato nella serie dei "Quaderni della Sibilla" (supplementi a "La Sibilla", Napoli 2003). Il resto potrete trovarlo nelle sconfinate lande (nei libri, nei siti, nei convegni) dell'Oplepo.

Marco Innocenti, Flugblätter. Vol. 2: 39 pezzi più o meno d'occasione, Lo Studiolo, Sanremo (IM), 2018, pp. 49-54

Altri lavori di Marco Innocenti: articoli in Il Regesto, Bollettino bibliografico dell’Accademia della Pigna - Piccola Biblioteca di Piazza del Capitolo, Sanremo (IM); articoli in Mellophonium; Lorem ipsum, lepómene editore, 2022; Silvana Maccario, Margini (Introduzione di Marco Innocenti), Quaderno del circolo lepómene stampato a Sanremo, gennaio 2023; (a cura di) Marco Innocenti, Il magistero di Cesare Trucco - per il centenario della nascita 1922-2022, Lo Studiolo, Sanremo, 2022; Scritti danteschi. Due o tre parole su Dante Alighieri, Lo Studiolo, 2021; I signori professori, lepómene editore, 2021; Verdi prati erbosi, lepómene editore, 2021; Libro degli Haikai inadeguati, lepómene editore, 2020; Elogio del Sgt. Tibbs, Edizioni del Rondolino, 2020; Flugblätter (#3. 54 pezzi dispersi e dispersivi), Lo Studiolo, Sanremo (IM), 2019; Sandro Bajini, Fumata bianca dopo penosi conciliaboli (con prefazione di Marco Innocenti), Lo Studiolo, 2018; articoli in Sanremo e l'Europa. L'immagine della città tra Otto e Novecento. Catalogo della mostra (Sanremo, 19 luglio-9 settembre 2018), Scalpendi, 2018; Sandro Bajini, Andare alla ventura (con prefazione di Marco Innocenti e con una nota di Maurizio Meschia), Lo Studiolo, Sanremo, 2017; La lotta di classe nei comic books, i quaderni del pesce luna, 2017; Sanguineti didatta e conversatore, Lo Studiolo, Sanremo (IM), 2016; Pubblicità, lepómene editore, 2015; Sandro Bajini, Libera Uscita epigrammi e altro (postfazione di Fabio Barricalla, con supervisione editoriale di Marco Innocenti e progetto grafico di Freddy Colt), Lo Studiolo, Sanremo, marzo 2015; Enzo Maiolino, Non sono un pittore che urla. Conversazioni con Marco Innocenti, philobiblon, Ventimiglia, 2014; articolo in I raccomandati/Los recomendados/Les récommendés/Highly recommended N. 10 - 11/2013; Sandro Bajini, Del modo di trascorrere le ore. Intervista a cura di Marco Innocenti, Ventimiglia, philobiblon, 2012; Sull'arte retorica di Silvio Berlusconi (con uno scritto di Sandro Bajini), Editore Casabianca, Sanremo (IM), 2010; Pensierini, Lepomene, Sanremo, 2010; Sgié me suvièn, Lepomene, Sanremo, 2010; Prosopografie, lepómene editore, 2009; Flugblätter (#1. 49 pezzi facili), lepómene editore, 2008; C’è un libro su Marcel Duchamp, lepómene editore, Sanremo 2008; (a cura di) Alfredo Moreschi in collaborazione con Marco Innocenti e Loretta Marchi, Catalogo della mostra fotografica. 1905-2005: Centenario del Casinò Municipale di Sanremo. Una storia per immagini, De Ferrari, Genova, 2007; con Loretta Marchi e Stefano Verdino, Marinaresca la mia favola. Renzo Laurano e Sanremo dagli anni Venti al Club Tenco. Saggi, documenti, immagini, De Ferrari, 2006
Adriano Maini

martedì 9 aprile 2024

Torri Superiore è stato un altro mezzo secolo un diroccato labirinto di pietre abbandonato dai suoi abitanti

Torri Superiore, Ventimiglia (IM), prima del recupero. Fonte: Op. cit. infra

Torri Superiore, Ventimiglia (IM), dopo il recupero. Fonte: Op. cit. infra

La permacultura è stata ideata all’incirca 30 anni fa da Bill Morrison e David Holmgren (dal cui testo “Permacultura, Principi e percorsi oltre la sostenibilità” è stato preso lo schema sottostante, che ben riassume la poliedricità del termine permacultura); in Italia la permacultura è stata introdotta nel 2000, proprio grazie agli ecovillaggi: è infatti stato per mezzo dell’ecovillaggio di Torri Superiore che due insegnanti dell’accademia spagnola hanno tenuto in Italia il primo corso (a oggi sono attivi corsi di permacultura anche nel nostro paese).
Ma cosa significa Permacultura? Anzitutto è bene delineare la complessità che è sottesa al concetto: la permacultura è una modalità di progettazione di insediamenti umani ecosostenibili, fondati sulla centralità del territorio; il termine deriva dall’inglese Permanent-Agricolture poichè una delle idee base è il passaggio da colture annuali energivore a colture pluriennali con bassi consumi di energia e ridotto impiego di lavoro umano.
Tuttavia la permacoltura non ha solo a che fare con la visione di una agricoltura permanente o sostenibile, ma si è evoluta in una cultura permanente della sostenibilità, che va ad abbracciare tutti i campi della progettazione di un insediamento umano e del suo inserimento nel contesto.
[...] Torri Superiore: “Ai piedi delle Alpi liguri, a pochi chilometri da Ventimiglia e dal confine francese, è stato per sette secoli un piccolo borgo di contadini e per un altro mezzo secolo un diroccato labirinto di pietre abbandonato dai suoi abitanti, che nel secondo dopoguerra preferirono trasferirsi nel paese poco più a valle o lasciare la Liguria per una delle grandi città industriali del Nord Italia. Poi la forza di un’idea lo ha riportato in vita. Erano gli anni ’80 quando una coppia torinese si mise in testa di recuperare il borgo e renderlo di nuovo abitabile. Riuscirono a comprare alcune stanze e fondarono l’Associazione Torri Superiore. Il primo passo fu rintracciare i proprietari di tutti i 160 vani che compongono il villaggio e acquistarli. «Passammo i primi tre anni solo a esplorare, mappare e cercare di capire cosa dovevamo comprare e da chi», racconta Lucilla Borio, che, insieme a uno sparuto gruppetto di coraggiosi, fu tra i primi a trasferirsi nel villaggio nel ’95, quando c’erano solo tre stanze agibili, e oggi ne coordina le attività. Seguirono anni di lavori e cantieri. Residenti della comunità, soci, simpatizzanti e gruppi di volontari provenienti da tutta Europa, con pazienza e olio di gomito, sgombrarono le macerie, ricostruirono le fondamenta e i tetti, rinforzarono muri e archi, lastricarono sentieri e recuperarono centinaia di muretti a secco per le terrazze agricole che, come nel resto della Val Bevera, ricoprono anche il territorio scosceso intorno a Torri. Progettare la ristrutturazione di un borgo medievale in mezzo alla natura selvatica delle Alpi liguri e ricorrere alle pratiche della bioedilizia fu tutt’uno.” <16
16 Dal sito Greennews, rubrica di Giorgia Marino: Ripopolare la montagna. L’esempio dell’ecovillaggio di Torri Superiore
Diletta Gianfranceschi e Michela Mazzucchi, Ecovillaggi. Architettura e sostenibilità, Tesi di Laurea, Politecnico di Milano 1863, Anno Accademico 2016-2017

venerdì 29 marzo 2024

Mio papà gli dava 50 lire e lui metteva sul banco il giornale

Sanremo (IM): un angolo della città vecchia

La poesia di mio fratello, quella su quei due poveri e drammatici personaggi morti per droga [a Sanremo], è stata fatta tra la fine degli anni Cinquanta e l’inizio dei Sessanta. Uno dei due mio papà lo conosceva: era stato un croupier eccezionale (non è per niente facile fare quel mestiere, perché occorre una prontezza e una lucidità straordinaria nell’immediato), si era ammalato non so di che cosa e la morfina che gli somministravano in clinica lo aveva assuefatto.
Aveva ripreso a lavorare, ma ormai era “drogato”. I suoi colleghi di lavoro, che lo stimavano molto, avevano fatto una colletta per una cura disintossicante. Non so quali fossero allora i mezzi di cura, ma sicuramente se ne parlava in modo impressionante: il malato veniva rinchiuso in una stanza dove, prevedendo le sue crisi di astinenza, le pareti erano imbottite per attenuare il male che si poteva procurare sbattendo contro di esse. Uscito da questa terribile esperienza, ma abbandonato dalla famiglia (aveva moglie e figli), purtroppo non si riprese più. Viveva vendendo tutto quello che poteva racimolare. Al mattino presto veniva nella bottega di mio papà con un rotocalco un po’ stropicciato che prendeva chissà dove, mio papà gli dava 50 lire e lui metteva sul banco il giornale. Il rotocalco e lui erano spiegazzati allo stesso modo. Mio papà dovette sopportare per tutto il tempo che durò questo scambio le ironie dei negozianti vicini e, se ricordo bene, anche quelle di mia mamma.
La tragedia si concluse in tono minore: l’ex-croupier e un altro drogato (due barboni che, si fa per dire, avevano fatto sodalizio in quel deserto umano di sofferenza) furono trovati morti non so da chi nella stamberga che occupavano nella città vecchia (avevano venduto anche le grondaie della casa per racimolare qualcosa), riversi su un pagliericcio, già freddi e immersi in una morte che forse era stata l’unica loro amica. Quella fine orribile per solitudine, miseria, sofferenza, degrado e ipocrisia del mondo, fece molto effetto, anche se era stata annunciata da mesi, se non da anni. La droga era apparsa a tutta la città nel suo aspetto orribile di alienazione e di morte. In seguito sarebbe diventata piano piano uno spettacolo quasi normale nei vicoli degradati della città vecchia, dove si sopravviveva in qualche modo alla miseria, all’abbandono, al freddo dell’inverno, al male della vita per gli esclusi.
Nel sonetto mio fratello tratta e sintetizza delicatamente il dolore di quei poveri esseri umani, indifesi dal gelo, dall’indifferenza, dalla disumanità mettendolo a confronto con la sfrontatezza e la bestialità dello spacciatore, che può rientrare a testa alta nella società “perbene”, simboleggiata dalla città nuova.
Donatella d’Imporzano

Droga

I l’han truvai destéixi: atacà
int’u brassu a sanghéta che carpìu
a g’ha l’ ùrtimu sciau. In prève a Diu
u i racumanda de premùra…e u va.

Ina vejéta i òji gh’è andà a serà
e éli daa barèla i han dau l’adìu
au brùtu stàgiu ch’u g’ha fau da nìu
int’e stu cantu persu da sità.

Ciù sutùrnu u carùgiu u l’è staséira;
aa lùùxe incerta e sporca du fanà
in tissiu bèn vestìu u sta a gardà

cun in fa strafutente, daa ringhéira.
Pòi u scrola e spale, u assende a sigaréta
e u cara in giù, scivurandu in’ariéta…


Droga

Li hanno trovati distesi: attaccata
nel braccio la sanguisuga che preso
gli ha l’ultimo soffio di vita. Un prete a Dio
li raccomanda di premura…. e va.

Una vecchietta gli è andata a chiudere gli occhi
e loro dalla barella hanno dato l’addio
al brutto “staggio” che gli ha fatto da nido
in questo angolo dimenticato della città.

Più tetro è il carugio questa sera;
alla luce sporca e incerta del fanale
un tizio ben vestito sta a guardare

con un fare strafottente, dalla ringhiera.
Poi scrolla le spalle, accende la sigaretta
e se ne va in giù, fischiettando un motivetto.

Franco d’Imporzano

Chiara Salvini, Un sonetto del famoso poeta ligure..., Nel delirio non ero mai sola, 12 dicembre 2015