sabato 8 maggio 2021

Indubbiamente gli imperiesi furono facilitati ad attraversare il confine


[...] Tra i socialisti, spiccava a cavallo dei due secoli in Liguria la figura di Giuseppe Canepa, imperiese, di Diano Marina, proveniente da una famiglia agiata, laureato in legge a Roma. All’università ebbe l’opportunità di ascoltare le lezioni di filosofia di Antonio Labriola e fu compagno di corso di Benedetto Croce, in un ambiente particolarmente stimolante a livello intellettuale e politico. Questo apprendistato universitario e l’amicizia col grande filosofo marxista incisero profondamente sulla formazione del giovane Canepa e lo avviarono all’adesione al socialismo. Tornato in Liguria dopo gli studi, esercitò l’avvocatura e si impegnò al tempo stesso con dedizione alla militanza socialista.
Canepa fu attivo nella vita comunale del paese natale e si attirò le simpatie della popolazione, che apprezzava il suo impegno civico e politico. Si adoperò per difendere l’agricoltura locale dalla concorrenza estera francese, innovando i metodi di coltura, fondando consorzi cooperativi agrari e promuovendo un’acculturazione politica dei piccoli proprietari e dei contadini, per metterli in contatto con il movimento proletario delle grandi industrie regionali.
In ambito nazionale, Canepa fu protagonista delle vicende del socialismo di fine Ottocento, tra i primi iscritti al Partito dei lavoratori italiani, trasformatosi poi in Partito socialista italiano, dove conobbe e strinse legami con i maggiori dirigenti. Collaborò a definire la fisionomia del movimento operaio ligure, orientato alla collaborazione di classe dai tempi del mutualismo derivato dalla tradizione mazziniana, educandolo a pretendere privilegi salariali e a definire la particolare struttura regionale dei rapporti produttivi. Fu tra i collaboratori della Lima di Oneglia, diretta da Giacinto Menotti Serrati, a capo della Camera del lavoro locale.
Nell’ultimo decennio del secolo, Giuseppe Canepa divenne una delle personalità più in vista del socialismo ligure, tanto che il prefetto di Porto Maurizio lo definì, nelle carte dello schedario dei sovversivi, “il principale agitatore e sovvertitore” di tutta la Liguria. I rigori della reazione crispina di fine secolo non tardarono a colpirlo. L’applicazione della legge eccezionale del 19 luglio 1894 si scagliò infatti contro la “Lega socialista genovese” che Canepa aveva fondato, la sciolse per decreto prefettizio e condannò Canepa al confino.
[...] Nell’Imperiese legato al turismo e all’agricoltura, quando cominciarono le lotte di massa postbelliche, furono per lo più gli operai ad organizzarsi mentre i contadini restarono in un primo tempo inerti. Così il Ponente di Oneglia, Porto Maurizio, Diano Marina, Sanremo o Bordighera fu poco coinvolto da quelle prime agitazioni.
[...] Seppure in ritardo, gli echi delle lotte politiche del Biennio rosso raggiunsero anche l’estremo Ponente. La conferenza internazionale che si tenne a Sanremo nel 1920, in cui le autorità italiane, inglesi e francesi dovevano decidere della spartizione dell’ormai crollato Impero ottomano, destò particolare attenzione nella popolazione locale che prese più consapevolezza delle questioni politiche interne e internazionali <95. A poco a poco anche le cittadine imperiesi assunsero una propria identità politica popolare, e alle elezioni del 1919 Oneglia fu conquistata dai socialisti, mentre Agostino Scarpa animava il Fascio cittadino con il suo organo ufficiale Il Varco. A Porto Maurizio il movimento squadrista costituiva un’eccezione nel quadro ligure, dal momento che fu l’unico a non dichiararsi filodannunziano, e cominciò a prendere piede dopo la vittoria elettorale socialista.
Con il tempo le due anime socialiste della città si sarebbero distinte sempre più: a Porto Maurizio primeggiavano i riformisti, a Oneglia, all’indomani della scissione di Livorno, avrebbero prevalso i comunisti. <96
Nell’Imperiese la figura che più emergeva tra gli antifascisti del tempo era quella di Giuseppe Amoretti. Dapprima socialista, a soli quindici anni fu assunto all’Avanti! grazie all’interessamento di Giacinto Menotti Serrati, e lì conobbe Antonio Gramsci, incontro che lo segnò profondamente e lo condusse nel 1921 a passare alla frazione comunista, fondando la sezione giovanile sanremese, e divenendo cronista dell’Ordine Nuovo, poi dell’Unità nei primi anni del fascismo, quando cominciò a svolgere il lavoro di collegamento come “fenicottero” per l’organizzazione. Dopo l’emanazione delle leggi eccezionali avrebbe fatto parte del Centro interno con la compagna e futura moglie Anna Bessone per poi subire le carceri fasciste e lavorare infine per l’Internazionale in Francia e poi a Mosca <97.
Se si eccettuano personaggi della levatura di Amoretti o dei Serrati, nell’Imperiese del Biennio rosso si rilevava la presenza di una sinistra ancora poco definita. Si pensi che un assessore comunale socialista, più volte riconfermato, come Domenico Biancheri, non era ritenuto dalla polizia capace di forti influenze sulla classe operaia né di tenere conferenze, nonostante la discreta opinione di cui godeva in pubblico e la sua posizione nella Camera del Lavoro di Ventimiglia <98. Similmente il compaesano socialista Andrea Biancheri, pescatore e contadino, che pure subiva svariate condanne per reati di incitazione all’odio fra le classi sociali, non era considerato un elemento realmente pericoloso dalle autorità di Pubblica sicurezza <99.
Nell’entroterra di Perinaldo viveva poi ancora in disparte, senza destare l’attenzione della polizia, una famiglia di sinistra che avrebbe dato alla Francia e all’Italia repubblicana antifascisti e resistenti appassionati: i Liprandi, figli di Antonio Giusto Liprandi, che aveva lavorato nel Comune socialista come assessore trasmettendo i suoi ideali alla famiglia <100.
[...] In ottobre [1922] a Bordighera si riuniva il “quadrumvirato” di Balbo, De Bono, De Vecchi, Gandolfo per pianificare la marcia su Genova. Si organizzavano mobilitazioni in armi in tutta la regione grazie al sostegno determinante di Renato Ricci, per poter accerchiare la città e raggiungere nel capoluogo il maggiore Silvio Parodi, futuro comandante della Guardia nazionale repubblicana (Gnr) durante la Repubblica sociale, poi giustiziato dai gappisti durante la Resistenza, sostenuto dai fascisti di Sestri Ponente e dall’ex capitano savonese Amilcare Dupanloup. Palazzo San Giorgio era preso simbolicamente come una delle più significative conquiste di Genova, che segnava la disfatta dello sciopero legalitario. La sede del Lavoro era occupata e chiusa, mentre Giuseppe Canepa, direttore del giornale, veniva sorpreso nella sua abitazione e costretto a dimettersi dal proprio incarico. Il giornale rimase formalmente l’organo del socialriformismo, ma condusse di fatto una limitatissima opposizione nelle mani di Ludovico Calda, nuovo direttore. <146.
[...] In generale la maggior parte dei primi antifascisti liguri che dovette sfuggire alle rappresaglie dello squadrismo riparò direttamente all’estero, soprattutto in Francia.
I militanti meno organizzati seguirono le rotte della migrazione di prossimità e si installarono nelle Alpi Marittime, nel Var o nelle Bocche del Rodano, dalle campagne e dall’entroterra, ma anche da quel mondo ibrido dell’industria legata ancora alla realtà rurale. Il maggior numero dei soggetti facenti parte del corpus proveniva dalle province di Savona e La Spezia, ma indubbiamente gli imperiesi furono facilitati ad attraversare il confine, alla luce delle legislazioni sui transfrontalieri che agevolavano il passaggio della frontiera senza passare per vie burocratiche.
Questi primi esuli partivano ad ogni modo da tutte le province, Imperia, Savona, Genova, La Spezia.
Alcuni scelsero tuttavia di seguire rotte più antiche, imbarcandosi verso le Americhe, seguendo un’abitudine alla mobilità tipicamente ligure che non badava alle distanze bensì alle possibilità di investimento materiale e ideale, in un progetto migratorio ponderato frutto di una lunga esperienza comunitaria, che consentiva loro di agire con lucidità anche in situazioni di emergenza e di fretta come nel caso della fuga dalle minacce delle “camicie nere”.
Imperiesi, savonesi e genovesi sembrano essere stati i più fedeli alle tradizioni migratorie oltreoceano, almeno nella prima fase d’esilio <149; non mancano casi celebri, almeno a livello regionale, di fuoriusciti emigrati in America, come nel caso di Giuseppe “José” Scarrone, il vetraio altarese che fece fortuna a Buenos Aires <150. Altri invece, dopo un’iniziale tappa nella prima fase migratoria nelle Alpi Marittime, presero la via dell’oceano per installarsi a New York <151.
[...] Un caso particolare fu poi quello di un barbiere spezzino socialista, Gallinella, che fece perdere le sue tracce trasferendosi a Ventimiglia e facilitando gli espatri clandestini antifascisti. Altre famiglie si divisero, alcuni scelsero di emigrare in Francia, i più politicizzati, altri di cambiare città in Italia, per non imbattersi nelle continue irruzioni della polizia <157.
[...] Per comprendere a fondo caratteristiche e dinamiche del fuoriuscitismo e in particolare di quello ligure in Francia, è necessario situarlo nel quadro dell’emigrazione di massa italiana. La lunga vicenda della migrazione ligure in Francia si inserisce in una storia plurisecolare e affonda le sue radici in una tradizione di mobilità transalpina che risale all’età tardo-medioevale, epoca in cui si definirono percorsi e caratteri che si sarebbero perpetuati, mutatis mutandis, con continuità, riproducendosi e modificandosi secondo le evoluzioni socioeconomiche e culturali, andando a costituire un patrimonio di risorse cui avrebbe attinto la società della Grande emigrazione.
[...] Di particolare interesse è poi la casistica delle varie tipologie migranti liguri, che spaziavano dal contadino povero al proprietario rurale e piccolo imprenditore, dal commerciante agricolo o marinaro fino all’imprenditore della costa urbanizzata, che si muovevano tra aree sub- e inter-regionali, oltralpe o più addentro al continente europeo e al di là dell’oceano, nelle Americhe e persino in Australia <184.
A metà Ottocento coesistevano in Liguria tutte le forme di mobilità tradizionali rurali e rivierasche, di ceti poveri e ricchi, con le nuove rotte oltreoceano, ma ci si orientava preferibilmente in direzioni diverse a seconda delle aree e dei gruppi socioeconomici di provenienza. Dalle coste si viaggiava soprattutto verso l’America del Sud, con cui i mercanti-armatori liguri avevano intessuto antiche relazioni commerciali. Le origini di questa migrazione risalgono, ha spiegato Gibelli, all’esplorazione della piccola armatoria ligure alla ricerca di nuove risorse, che dalle coste portoghesi e inglesi si spinse sempre più spesso al di là dell’Atlantico <185.
95. Antonini cit., p. 166.
96. Gibelli, Rugafiori cit., pp. 37-38; Antonini cit., 166, 205-208, 216. I due comuni di Oneglia e Porto Maurizio erano allora ancora divisi e lo rimasero sino all’unificazione del 1923, attuata sotto il regime mussoliniano, quando fu dato al nuovo Comune il nome attuale di Imperia, dal nome del torrente Impero che separava i due paesi.
97. AIsrecIm: IID7: f. Giuseppe Amoretti. Cpc: b. 105, f. Giuseppe Amoretti.
98. Cpc: b. 611, f. Domenico Biancheri.
99. Cpc: b. 611, f. Andrea Biancheri.
100. Cpc: b. 2794, ff. Angela Liprandi, Anita Laura Liprandi; b. 2795, Arturo Mario Dino Antonio Liprandi, Liutprando Liprandi, Giusto Antonio Liprandi; b. 4291, f. Linda Revoir; f. b. 3404, Adriano Antonio Moresco. Dpp: b. 1263, ff. Ariella Sgorbissa, Giacomo Sgorbissa; f. Liliana Liprandi. Ps: A1: 1943: b. 47, f. Liliana Liprandi. AIsrecIm: IID7: f. Giusto Antonio Liprandi.
146. Alberico cit., pp. 159-160.
149. Cpc: b. 105, fam. Amoretti Enrico; b. 1001, fam. Canepa Lorenzo Davide, fam. Canepa Giovanni; b. 2924, fam. Magliotto Costantino; b. 5457, fam. Vivaldi Benedetto, fam. Vivaldi Enrico.
150. Cpc.: b. 4675, f. Giuseppe Scarrone.
151. Cpc: b. 3011, f. Silvio Marabotto.
157. Cpc: bb. 3102, 3104, 3106, fam. Martini; Assp: b. 106, f. 4, Gallinella Ercole; Cpc: bb. 196, 2896, fam. Maccario-Arnecchi; b. 4741, fam. Semeria.
184. Cfr. La via delle Americhe cit.; Gibelli, «La risorsa America» cit.; La Liguria cit.
185. Gibelli, «La risorsa America» cit., pp. 609-611)
Emanuela Miniati, La Migrazione Antifascista dalla Liguria alla Francia tra le due guerre. Famiglie e soggettività attraverso le fonti private, Tesi di Dottorato, Università degli Studi di Genova in cotutela con Université Paris X Ouest Nanterre-La Défense, anno accademico 2014-2015

Da un documento emanato dalla Direzione della Sicurezza Generale, apprendiamo che 408 stranieri erano stati espulsi dalla Francia per fatti politici dal 1 gennaio del ’27 al 10 ottobre dello stesso anno. Tra questi, 58 erano spagnoli, 50 polacchi e 196 italiani, ossia quasi la metà degli espulsi. In un altro documento emanato dalla Direzione della Sureté Générale relativo agli stranieri espulsi dal dipartimento delle Alpi marittime dopo il 14 settembre 1927, si può leggere che su 76 stranieri espulsi, due erano degli anarchici spagnoli, 8 erano anarchici italiani, il resto, cioè 60 persone, erano degli emigrati comunisti italiani. Furono espulsi per le seguenti ragioni: “hanno manifestato in occasione dell’affare Sacco e Vanzetti”, “comunista militante arrestato nel corso di una manifestazione, ha donato un falso indirizzo”, “comunista militante” (...) o ancora “propagandisti comunisti molto attivi, partecipano sempre a delle riunioni”.
L. Castellani, Un aspect de l’émigration communiste italienne en France: les groupes de langues italienne au sein du PCF (1921-1928), in P. Milza (a cura di), Les Italiens en France de 1920 à 1940, cit., p. 216.
Eva Pavone, Gli emigrati antifascisti italiani a Parigi, tra lotta di Liberazione e memoria della Resistenza
, Tesi di Dottorato, Università degli Studi di Firenze, 2013