sabato 7 maggio 2022

Mangio qualche patella come in un rito iniziatico

La zona di ponente di Ventimiglia (IM) vista dalla Frazione Mortola

La casa dei miei [n.d.r.: ubicata tra località Ville e Frazione Latte nel ponente di Ventimiglia (IM)] l'ho venduta, eppure non me ne sono andato, qualcosa mi ha tenuto qui. A volte scendo al mare dove ero stato un paio di volte con mio padre, prima che se ne andasse, e poi con Silvia e Daniela e Miriam e più spesso da solo, a coltivare sogni. Quest'estate ho capito che vado lì perché l'universo che trovo, sul pelo dell'acqua, tra due file di scogli che nascono in profondità e salgono fino al Grammondo, è lo stesso che vedeva mio nonno quando andava a raccogliere i ricci e gli anemoni di mare, è lo stesso mondo che ha visto ogni occhio dal paleolitico in poi. Non s'indovina la presenza né di un sentiero, né di un palo della luce; tutto resta alle spalle e davanti c'è solo un disegno di scogli e rimbalzi d'acqua, correnti che macchiano il celeste e qualche gabbiano di vedetta. È il posto dove la realtà si restringe, compressa dai sogni e si può capire che il silenzio non esiste.
È un luogo che non si può attraversare, un luogo in cui, cercando, si arriva. Difficile da qui spiccare il volo.
Mangio qualche patella come in un rito iniziatico, usando un'altra patella come coltellino, con due gocce di un limone acerbo rubato lungo la riana del Butasso.
Non ci sono né brigantini, né gozzi, né motoscafi e sono come mio padre e mio nonno, sento gli stessi odori di poseidonia spiaggiata, provo la stessa soddisfazione, ad essere selvatico e felice, a addormentarmi sullo scoglio. Respiro per primo con ingordigia l'aria che arriva d'oltre mare sapendo che senza aria non c'è vita; si può fare la fame o aspettare un amore, ma ci vuole l'aria. E una volta l'anno sento l'odore acre delle barchette di san Giovanni che seccano al sole di giugno.
[...] E vengono a galla e si mischiano notizie fresche, come l'uccisione del parroco di Castelvittorio, accusato di farsela con i repubblichini.
Siamo all'osteria di Villatella, con un gotto, un coniglio e ravioli a volontà.
È giorno di lavoro ma siamo scappati tutti e due. Ci siamo capiti, lo stiamo facendo per raccontarci un po' di vita, smascherati da un bicchiere di nostrale. Di qua dietro si sale e si scende; quando non c'erano le autostrade c'è chi è diventato ricco sulle montagne di frontiera e chi c'è rimasto sulle mine.
Non abbiamo la stessa età, ci travasiamo i ricordi che sono diversi ma della stessa mena. Tra noi ci sono una guerra e almeno una generazione.
Parliamo delle stesse persone in momenti diversi, di Celè postino di campagna che ci lasciava le lettere nel casone più vicino alla strada e che aveva spesso i piedi rotondi dal bere, di Ernè pescatore di nassa e di Bruno che lancia il resaglio alla bocca del vallone e ogni anno deve togliere un piombo perché il lancio diventa sempre più pesante per i suoi novant'anni.
Ma parliamo anche d'anarchia, di Pinelli caduto dalla finestra e ricordiamo insieme, canticchiando un po' bevuti:
"Quella sera a Milano era caldo - Ma che caldo che caldo faceva - Brigadiere apra un po' la finestra - E ad un tratto Pinelli cascò"
E ci viene in mente di Libero e Libereso, personaggi mitologici che abbiamo conosciuto.
E alla fine dopo un sospiro, quando cominciamo a darci del tu, mi chiede a bruciapelo: "Cos'è che ti fa star bene, felice, in un dato momento?" - "Dipende da come sei fatto dentro", gli rispondo senza lasciarlo finire.
E lui, che ha già riflettuto una vita, aggiunge: "E da chi hai davanti". Pensa a noi due col bicchiere e a quando aveva davanti una donna giovane e profumata, più bella di un quadro.
Ci siamo incontrati una volta per caso, due mangiapreti in chiesa a cercare ciò che ci sfugge. Ma non è una chiesa qualsiasi, è il luogo di apparizioni e miracoli, è il santuario dei vecchi liguri diventato francese da un secolo e mezzo. Una volta ogni tanto mi viene voglia di passare da lì tornando da Nizza verso le cinque di sera, in giornate qualsiasi, quando non c'è quasi più nessuno; i pellegrini di solito sono mattinieri.
Accendo un cero con calma rituale, usando una candela sottile per condividere il fuoco con un altro cero già acceso; così i ceri sono tanti e la fiamma è sempre la stessa e non si spegne mai.
In qualche cappella le suore cantano la liturgia delle ore; cammino nell'aria del chiostro che sa di cera calda e cerco segni di miracoli e grazie ricevute. Ogni volta scopro particolari di brichi e tartane, e nomi e storie e marosi pieni della stessa schiuma bianca che tanto amo e le storie di tanti risaliti dall'abisso aiutano la mia consapevolezza a sentirsi più solida, robusta.
Mi racconta Alberto che suo nonno materno era nato a Buenos Aires e tornando in nave al paese dei suoi, aveva affrontato una gran buriana. Furono costretti ad alleggerire la nave, buttando in mare via via le cose ritenute superflue, pacchi, sacchi, bauli. Poi pregarono la Madonna Addolorata di Dolceacqua offrendo la vita che stavano rischiando; se adesso me lo racconta è perché era andata bene.
Invece Mingo e Berto salivano a piedi tutti gli anni ai primi d'agosto alla Madonna della Neve, nascosta tra una diecina di cipressi, e la messa finiva in balli e ciucche sul prato lì davanti e ogni anno raccontavano la loro storia: più di venti anni prima, in guerra, avevano adocchiato un riparo da usare in caso di bombardamenti. Ma al momento buono il posto era già occupato da qualcuno che aveva avuto la stessa idea e si erano dovuti sistemare un po' più in là; tornata la calma avevano scoperto che i due commilitoni che avevano preso il loro posto erano stati colpiti a morte dalle bombe.
Mio nonno Arturo invece aveva appeso in casa il dipinto di un brigantino col medaglione della sua fotografia ritoccata a colori, come un ex-voto laico di chi era tornato a terra senza naufragi. Quasi una prova che i suoi viaggi erano veri.
Il suo santuario era il porto naturale di Beniamin, rifugio di pescatori stremati e di poeti innamorati.
[...] Un sabato mattina di un paio d'anni fa vado a Mentone e faccio un giro al mercato, e un'emozione mi entra dagli occhi. Sul cantone ci sono due targhe e una dice che qui la Tavina vendeva frutta e verdura e la Tatoune ha venduto la pichade dal 1917 al 1970. Abbasso gli occhi e trovo la pichadella di mia nonna che mangiavo con Marilena il giorno del mio compleanno.
Marilena l'ho trovata vicino a Roma, con tre figli grandi e una vita vissuta con un'altra luce. Adesso so dov'è, ma non le ho scritto o telefonato. Forse quando finirò di scrivere, le manderò questa storia.
Col maestro Renzo avevamo lavorato la sera a copiare in bella i quaderni della nonna, ad interpretare la scrittura ed aggiungere note. Avvolgeva il lampadario con un foglio di giornale fissato con le mollette da bucato, che la luce cadesse proprio sulla vecchia lettera 32 Olivetti per vederci meglio e facevamo tardi aiutandoci col rossese di Canun.
Quel sabato pomeriggio alle cinque pioveva. La saletta dell'archivio di stato sembrava ancora più piccola e più piena. I quaderni scritti dalla nonna ai tempi della guerra (1943-'45) erano diventati un libro di storia locale.
L'indomani sfoglio il decimonono come faccio da quando avevo dieci anni e con cinquanta lire compravo il giornale ed un gelato di vaniglia. C'è l'articolo di presentazione del diario di un'ostessa ventimigliese e di taglio basso le estrazioni del lotto. Sulla ruota di Genova sono usciti i tre numeri in fila quarantatré,  quarantaquattro, quarantacinque.
La nonna era già morta da vent'anni, il cuore stanco non aveva retto; ma quasi certamente quel sabato era stata lì con noi.
Spesso i segni sono più pieni della realtà e le cose possono essere vere che lo si creda o no. Ho sempre saputo che la benedizione delle palme e degli ulivi passa i sette colli e raggiunge ovunque tutti gli ulivi. Lo diceva chi voleva tenere in casa il rametto d'ulivo benedetto senza farsi vedere davanti alla chiesa in processione. Ma quasi certamente ci sono altre cose che arrivano anche più lontane, ci sono tanti modi per comunicare e non li conosciamo ancora tutti. Non vado più al cimitero dai miei da tempo, ma mi piace entrare in un cimitero francese piantato in un bosco di macchia mediterranea, rosso di corbezzoli, odoroso di pini parasole; e ogni tanto tirare fuori quei quaderni, quei ritagli di giornale.
Arturo Viale, Ho radici e ali, ed. in pr.

[ n.d.r.: altri scritti di Arturo Viale: La Merica...non c'era ancora, Edizioni Zem, 2020; Oltrepassare. Storie di passaggi tra Ponente Ligure e Provenza, Edizioni Zem, 2019; L'ombra di mio padre, 2017; ViteParallele, 2009; Quaranta e mezzo; Viaggi; Mezz'agosto; Storie&fandonie ]