mercoledì 29 gennaio 2025

Dalla cronaca nera di Imperia a metà anni Cinquanta


La notizia più interessante è però giunta a tarda ora da Imperia. A Pontedassio, un piccolo paese di quella provincia, è stato tratto in arresto Adolfo Manca, di 42 anni, che usava spacciarsi per conte spagnolo. A denunciarlo era stato un albergatore del luogo che invano aveva cercato di farsi pagare il conto. Una volta condotto alla Questura di Imperia, venivano in luce le sue numerose malefatte. Per vari reati era infatti ricercato dalle Questure di Milano, Venezia e Firenze. Ieri sono giunte a Roma le sue impronte digitali perchè siano raccolte nello schedario generale e stamane è stata ordinata l'immediata traduzione nella nostra città del Manca per poterlo interrogare in merito al delitto di Castelgandolfo. Non si sa se la decisione della polizia romana sia stata presa in seguito a un confronto delle impronte con quelle eventualmente rilevate sulla valigia della Longo, oppure se qualcuno, nel corso delle indagini abbia fatto il suo nome come persona che potrebbe sapere molte cose.
n.f., Falso conte spagnolo, La Nuova Stampa, mercoledì 14 settembre 1955

La sera del 7 aprile dello scorso anno, alle ore 20, l'agricoltore settantunenne Bernardo Delfino fu Bernardo, nato ad Arenzano e residente a Imperia, uccideva con una fucilata al petto l'arrotino ambulante Giovanni Pettinotti di 24 anni, nativo di Marsiglia e residente a Busca (Cuneo), il quale si era recato da lui per restituirgli due ombrelli e una sega, accompagnato dal suo giovane aiutante Dario Berruti, pure di Busca. Secondo le risultanze, causa del delitto sarebbe stata la differenza di cinquecento lire sul prezzo da corrispondere all'arrotino per la sua fatica, ma stamane il Delfino ha dato una nuova versione dei fatti dopo che il presidente dott. Garavagno li aveva brevemente illustrati ai giudici. Il Delfino, che è uomo ben piantato, rosso in viso e un po' sordo e parla un dialetto italianizzato, ha già dovuto rispondere una volta di lesioni personali. Egli esordisce affermando che non ha paura di nessuno e quindi racconta: «Quel pomeriggio andai a caccia per abbattere un gallinaceo che avevo notato nelle nostre campagne; ma non avendolo trovato, tornai a casa e posi il fucile sulla scala, dietro alcune ceste». Il presidente comincia subito con le contestazioni e gli fa osservare che quelle ceste nessuno le ha mai viste e quindi il fucile doveva necessariamente trovarsi in casa dove egli è andato a prenderlo per sparare. Ma il Delfino insiste affermando che le ceste esistevano e che dietro quelle aveva posto il fucile. Egli passa quindi a riferire dell'incontro con l'arrotino. Per pagarlo, si fece prestare mille lire dalla vicina di casa, signora Massa, e diede all'arrotino 1500 lire, convinto che fossero sufficienti per l'opera prestata. Ma subito i due cominciarono a minacciarlo. Il presidente chiede a questo punto in che modo venne minacciato e l'imputato risponde: «Mi ripresero la sega dalle mani dicendomi che l'avrebbero portata in Municipio dove avrei dovuto rivolgermi se la avessi voluta ritirare. «Ribattei che essi andavano in giro a imbrogliare il prossimo, al che il Pettinotti estrasse di tasca un acuminato punteruolo».
Poiché di tale arnese non si è trovato traccia, il presidente muove all'imputato lunghe contestazioni. E l'imputato finisce con l'ammettere che si trattava di un coltello. Egli continua narrando che il Pettinotti si mise a parlottare con il Berruti sui gradini della scala e poi cominciò a salire verso di lui con fare minaccioso. A questo punto - dice l'imputato - urlai all'arrotino di fermarsi altrimenti avrei sparato, e contemporaneamente presi il fucile da dietro le ceste. E' evidente l'intenzione del Delfino di sostenere che in quel momento si sentì minacciato ed infatti poco dopo lo dichiara chiaramente affermando di avere avuto l'impressione che stesse per essere aggredito.
Alle varie contestazioni mossegli dal presidente, perchè anche questa circostanza è nuova, il Delfino continua ad insistere dicendo di avere ripetutamente gridato al Pettinotti di non salire. Questi invece fece un balzo per avventarglisi contro ed allora lui sparò.
Ma qui fornisce una versione nuova anche del tragico momento: «Non sparai verso il Pettinotti, bensì dall'altra parte; ma l'arrotino fece un movimento con il braccio e toccando la canna del fucile la girò verso di sè ricevendo quindi il proiettile in pieno petto. Caduto sui gradini, il compagno si chinò, lo raccolse, lo trasportò all'esterno, mentre io correvo alla finestra gridando ai passanti di chiamare i carabinieri. Mi sono quindi ritirato in camera a piangere sulla disgrazia, che certamente non sarebbe accaduta se i due se ne fossero andati, come più volte io li invitai a fare».
Presidente: "Non le pare di avere esagerato?". Delfino: "La colpa è loro. Il Pettinotti non doveva venirmi incontro ed il compagno doveva trattenerlo". Presidente: "Che male le potevano fare?". Delfino: "Cosa è venuto a fare sulle mie scale? Dei soldi non me ne aveva parlato. Sono io che senza che chiedesse nulla, gli diedi millecinquecento lire convinto che fossero sufficienti". Presidente: "In definitiva una parola di pietà per un padre di famiglia di 26 anni, non la può dire?". Delfino: "Ho pianto a casa mia".
Ha così termine l'interrogatorio dell'imputato.
e.b., L'uccisione dell'arrotino nel racconto dell'omicida, Stampa Sera, mercoledì 1 - giovedì 2 febbraio 1956

domenica 19 gennaio 2025

Elio Lanteri, amico di Francesco Biamonti

Sergio Ciacio Biancheri, Ritratto di Elio Lanteri. Fonte: Atti Impuri

In un piccolo paese dell’alta Liguria sospeso tra cielo e mare vive una comunità di vecchi e di bambini: sono i giorni più duri della guerra in Italia, dall’8 settembre alla primavera del ’45, una metà degli uomini è dispersa in Russia, l’altra metà alla macchia nella Resistenza. Nicó e Damìn sono cugini e aspettano, con gli altri, il ritorno dei padri e delle madri di cui non hanno più notizie da un tempo che sembra immemorabile. Forse sono rimasti orfani, e lo sanno. Ascoltano le storie che i vecchi del paese raccontano loro per ingannare l’attesa, sprofondati in un paesaggio da fiaba, legati mani e piedi al doppiofondo mitico di sogni e d’incubi sognati da generazioni, la ruota dei desideri e delle pulsioni più profonde. Così il mondo dell’infanzia è anche l’infanzia del mondo. Portano le pecore al pascolo, i bimbi vecchi della comunità sospesa sui campi alti del cielo, e vedono i film di Ridolini proiettati sul lenzuolo in una lurida cantina. I giorni sembrano lunghi mesi, i mesi anni: è la stagione più intensa e commovente dell’esistenza, e verrà travolta da eventi capaci di segnare una vita in un modo che una vita non basta a decifrarli.
Citazioni
Nicó amava la valle, per lui non c’era altro mondo. Mi diceva a volte passandomi il braccio attorno: «È benedetta questa valle, nell’antichità ci ha cagato un santo di passaggio; guarda, grandi abeti lassù, nei boschi di Furcuin, castagni e pascoli sulle pendici di Prealba, dalle cime scendono torrenti d’acqua per irrigare gli orti, guardala bene, c’è tutto nella nostra valle.» «Ma Omi e Dones si rifugiavano proprio qui sul poggio?» domandò Nicó.«Proprio lì sul poggio, dove termina il sentiero e i pini hanno il muschio sui tronchi e se ci si affaccia dallo strapiombo si sente la voce dell’Ubagu che sussurra come in una conchiglia il mare. Dal suo fondo insondabile risalgono gli animali moribondi, si sdraiano sul poggio al sole e guardano con meraviglia per la prima e l’ultima volta il mare.»Avevamo raggiunto il pianoro, le pecore sazie acceleravano il passo e si avviavano silenziose allo staggio. L’ultimo sole le tingeva d’oro, lasciando nell’ombra il fondovalle. «Giacco» chiesi, «batte ancora il cuore dell’Ubagu?» «Batte, batte.»
Scheda di approfondimento
«Un libro pieno di rimandi e di favole, favole come solo un bambino riesce a raccontare e ascoltare, favole dure, di vita e di morte di una generazione di bambini che hanno giocato durante una guerra. Il periodo è infatti quello della guerra civile, inizia il 9 settembre, con una colonna di soldati che risalgono dalla costa, diretti in Piemonte. Il luogo è la frontiera, vallate a ridosso di scogliere e falesie. Luogo di favole, si diceva, e di metafore, di montagne piene di scalinate che salgono ai campi alti nel cielo, e di alberi che somigliano alla grande nuvola, e di torrenti e anguille e capre. «Troveremo nella Ballata i cinema muti e le vecchie signore ebree scappate dalla città. Le scimmie nelle gabbie di Voronoff.«E il mondo di Vincenzo Pardini e Rigoni Stern, con il fine repertorio linguistico caro a Biamonti. Troveremo la musica che a volte manca ai sogni.»
Prefazione di Marino Magliani al romanzo di Elio Lanteri "La ballata della piccola piazza" (Transeuropa Edizioni, 2009)
Redazione, La ballata della piccola piazza, Transeuropa 


"La conca del tempo", edito con una prefazione di Bruno Quaranta e una postfazione di Marino Magliani, era il romanzo cui Elio Lanteri stava lavorando quando è mancato, nel 2010. Dal risguardo di copertina: “In una caletta chiusa da tre lati e aperta sul mare, quattro personaggi vivono dei ricordi della loro vita passata nelle viscere della natura aspra: quella Liguria di Ponente già protagonista de La ballata della piccola piazza e che ancora una volta non si limita a fare da sfondo, ma è elemento essenziale del racconto. Damìn, Viturìn, Bellagioia, Rosy, Badulìn e gli altri personaggi gravitano intorno a un ecosistema apparentemente immobile ma in cui sono proprio i minimi movimenti, i tempi infinitesimi della natura, a dettare il ritmo dell’esistenza. E proprio gli elementi naturali - una cornacchia, un vecchio ponte - parlano e pensano per ripercorrere in vesti nuove la leggenda di un nuovo Sisifo e del suo destino, non imposto da una divinità ma scelto consapevolmente. Perché Damìn ogni giorno risale verso la vecchia casa sulla scogliera? Quale scelta lo condanna, quale dolore lo tiene vivo? Un racconto che respira tra la danza leggera delle foglie d’autunno e il mare in miniatura che, di notte, culla i sogni fantasiosi di una gioventù lontana”.
Redazione, La conca del tempo di Elio Lanteri, Atti impuri, 12 luglio 2012

Elio Lanteri, classe 1929, era nato a Dolceacqua (IM) ed è scomparso nell’amata Liguria, ad Imperia, Costa d’Oneglia, nel 2010. Amico di Francesco Biamonti, profondo conoscitore di Guido Seborga, di René Char, di Rulfo, di García Lorca, aveva esordito, dopo un riserbo durato vent’anni, con "La ballata della piccola piazza" (Transeuropa 2009), con cui nel 2010 aveva vinto il premio Biamonti e ricevuto la menzione speciale al premio Città di Cuneo. "La conca del tempo" è il romanzo che stava ultimando prima di morire.
Marino Magliani, Elio Lanteri, Facebook

Una notizia importante su Elio Lanteri, ad esempio, è che grazie alla Fondazione Novaro e a Maria Novaro, Adriana, Anfossi Franca, Antonio Mameli, Corrado Ramella, Giorgio Loreti, Lorenzo Muratore, Il Circolo Belgrano di Costa d’Oneglia, Simone Caridi, Claudio Panella, Laura Hess, Matteo Lanteri, Luigi Berio, Bruno Quaranta, Alfredo Luzi, Francesco Improta, Marco de Carolis, Sergio Ciacio Biancheri, Gianluca Picconi, Piero Falco, di Cuneo, che aveva premiato Elio, i ragazzi degli anni trenta di Dolceacqua, amici di Elio, il Comune di Dolceacqua e forse quello di Imperia, (e vorrei dire grazie al mio amico Vincenzo Pardini, che scrisse su Elio), il 9 e il 10 novembre, a Dolceacqua e a Oneglia si terrà un convegno su Elio Lanteri. Per l’occasione si ripubblicheranno i suoi libri (grazie Giulio Milani), usciti entrambi per Transeuropa, e si rivedranno in un documentario molto bello realizzato da Antonio Mameli, con la collaborazione di Simone Caridi, i luoghi lanteriani. Un grande grazie in particolare a Maria Novaro e alla sua Fondazione e a lei l’onore a suo tempo di pubblicare locandine e materiali ben più curati di questa nota.
Marino Magliani, Elio Lanteri, Facebook, 16 ottobre 2018

domenica 12 gennaio 2025

Vi sono anche le bande di Nice, di Finale e di Alassio

Ventimiglia (IM): l'ex-dogana di Ponte San Luigi

Quindi tutte insieme le ragazze intonano qualche nota della simpatica vecchia canzonetta che ripete quelle parole:
No, ma cherie no,
ainsi non va
disons adieu à l'amour
si dans l'amour
il n'y à pas... de felicité...

Più tardi, piano piano, Fofò ed il Brigadiere ritornano in Dogana e Gianni dice loro che il Direttore li desidera.
Con un ragionamento molto equilibrato, il Direttore commenta il fatto di poco innanzi e li incita a far meglio nel futuro.
Fofò cerca di scusarsi e fa presente che è stato il Vicedirettore a far partire la macchina senza permettere che lui parlasse.
Il Direttore li assicura di aver telefonato alla Volante di Ventimiglia di fermare la macchina, farsi dare i documenti e portarli in Dogana con una delle loro veloci motociclette per provvedere alla mancata registrazione ed ai dovuti visti.

Fuori c'è il signor Di Pietra che li attende, ma Fofò, senza dargli tempo di aprir bocca, gli dice che per star bene e far le cose giuste, bisogna essere sempre tranquilli [...]

p. 141

Davanti a quel monumento [n.d.r.: il Trofeo di Augusto a La Turbie, Costa Azzurra], tutti restano attratti in muta ammirazione. La ciclopica opera d'arte è fatta interamente con enormi massi di pietra, lavorati e squadrati con una perfezione sorprendente, tanto più che in quell'epoca non avevano alcuna macchina di moderna invenzione. Quei pesantisimi massi furono sollevati e messi a posto con grande precisione ad altezze considerevoli.
Un'ampia base quadrata alta una decina di metri; poi un colonnato snello ed alto riunito tutto insieme da un unico gigantesco capitello.
Ena fa notare che un altro monumento dello stesso stile, ma più piccolo, si trova a Pompei, il monumento degli Istacidii.
Fanno delle fotografie e prendono un caffè, una tazza di caffè stile francese, come un decotto diluito ed abbondante.
Ripartono; adesso la macchina discende: si va verso Nizza. In tutta la zona attraversata vi sono ricche e splendide ville che sono dei veri gioielli d'arte incastonati in angoli naturali di incomparabile bellezza.
A Nizza l'autobus sosta per tre ore circa. Ne approfittano per passeggiare un po', pranzano, si fermano negli ampi giardini ove i passerotti rubano ai colombi i pezzetti di pane, che lanciano i bambini.

p. 197

Vi sono anche le bande di Nice, di Finale e di Alassio; quest'ultima è preceduta da un piccolo stuolo di belle ragazze che spargono profumi con appositi spruzzatori.
Sembra di vivere in un mondo irreale.
Il bel sole, caldo e chiaro, avvolge tutto con la sua luce più bella, sembra che anche lui intervenga alla festa ed i suoi raggi danno maggior vita a tutto lo scenario. Ognuno si sente come dominato ed esaltato.
Dopo alcuni giri fatti dai carri, sempre accompagnati da ben meritati applausi, gli altoparlanti danno l'ordine di sostare un po' e di prepararsi per la battaglia; per chi non lo sa, gli altoparlanti precisano che, appena si rimettono in moto i carri, incomincia la Battaglia dei fiori. Una vera battaglia, ove i proiettili sono graziosamente rappresentati da fiori, fiori e fiori.
È assolutamente proibito raccogliere fiori in terra o strapparli dai carri. La maggior parte dei fiori sono applicati ai carri con speciali chiodi sottili e lunghi, il cui lancio è pericoloso.
Per le tribune circolano delle ragazze con i classici e simpatici costumi antichi di Ventimiglia, portano cestini e panieri di fiori, piccoli fasci che offrono gratuitamente agli spettatori, affìnché possano rispondere ai tiri  provenienti dai carri.
La lotta si presenta accanita.  

p. 244

Luigi Nicodemi, Fofò in Dogana, Edizioni Europa, 1957

sabato 11 gennaio 2025

Ancora sul 1° Salone Internazionale dei Comics di Bordighera

Fonte: Guida al Fumetto Italiano

Fonte: Guida al Fumetto Italiano

Fonte: Guida al Fumetto Italiano

Fonte: Guida al Fumetto Italiano

I tempi quindi sembrarono a Romano Calisi maturi per organizzare a Bordighera, ridente cittadina della “riviera” ligure, il 21 e 22 febbraio del 1965 un grandioso “simposio” di carattere universitario sul tema dei “comics” (la definizione americana delle pagine a fumetti). Tant’è che l’iniziativa prese il nome di: 1° Salone Internazionale dei Comics.
Il successo fu strepitoso. Accorsero al “meeting” giovani intellettuali, in maggioranza di estrazione universitaria, ma anche giornalisti e studiosi della comunicazione, che proposero al pubblico presente, ma soprattutto a quello che leggeva i resoconti che la stampa di tutto il mondo aveva dedicato all’evento, un’analisi storica del mondo dei comics completamente revisionata rispetto ai giudizi negativi del passato. Attraverso una serie di relazioni e di dibattiti fu portato per la prima volta alla ribalta internazionale il ruolo avuto dai comics nella società moderna e soprattutto come questo moderno mezzo di comunicazione poteva rappresentare un test validissimo, insieme ad altri, per conoscere meglio le tendenze e gli umori delle vaste masse di lettori che ne rappresentavano la sconfinata platea non solo giovanile. Raccolse consensi la mia mostra storica dedicata ai comics; seppi solo dopo che era stata la prima in Europa a trattare in modo organico la storia dei comics ed una delle prime al mondo.
Rinaldo Traini, Tanto per ricordare il Salone, afNews, 30 luglio 2007

Francia e Italia arrivano a costruire una sinergia operativa e d’intenti nell’organizzazione e nella realizzazione del “Primo Salone Internazionale dei Comics” tenutosi a Bordighera nel 1965; CELEG e Istituto di Pedagogia dell’Università di Roma uniscono le proprie forze per creare uno spazio di discussione con l’obiettivo di documentare attraverso varie chiavi di lettura cos’è stato, cos’è, e cosa sarà il fumetto.
Una tabella esplicativa delle relazioni e degli interventi può dare un’idea del clima serio ed erudito dell’evento e dell’ampio ventaglio di proposte teoriche.



Alain Resnais riesce a portare al Salone Al Capp, l’autore della striscia Li’l Abner che John Steinbeck ha definito il più grande scrittore contemporaneo; e proprio il resoconto del fumettista per il settimanale Life Magazine descrive con esattezza quel cortocircuito tra fumetti e studiosi che nell’ansia di un riconoscimento artistico e intellettuale arrivano spesso a soffocare l’essenziale dimensione del divertimento dello spettacolo a fumetti.
Sotto il titolo «La mia vita come un mito immortale: come Li’l Abner divenne la delizia degli intellettuali» compare un disegno di Capp che bene esprime l’atmosfera testosteronica del salone. L’autore, attonito e disambientato, ciondola con le braccia penzoloni in mezzo a una selva di intellettuali. I dotti ed eruditi professori sono vestiti senza classe alcuna, e in ogni caso gesticolano in maniera incontrollata. […] Il racconto di Al Capp è sferzante e fulminante. Fin dall’attacco prende le distanze dal mondo intellettuale europeo: “Non ho mai visto un film della Nouvelle Vague francese, perché sono convinto che siano delle sceneggiature di film con Doris Day, girate e montate al contrario: iniziano con Rock Hudson che salta fuori dal letto di Doris Day e passa tutto il tempo a parlare per rifiutare l’inganno con cui lei ce lo vorrà trascinare”. […] A detta di Capp, gli intellettuali riunitisi a convegno a Bordighera sono tutti maschi e incomprensibili. Brandiscono un linguaggio elitario e specialistico che sembra volto a nascondere il senso di quello che dicono. Le domande che gli vengono fatte, puntualmente trascritte nell’articolo per «Life», sono lunghissime e non richiedono risposta: esprimono opinioni e analisi, sempre fuori bersaglio, cui il fumettista riesce a rispondere solo a monosillabi. <58
In Italia la strada per la maturità del fumetto trova uno sbocco capace di uscire dalla semplice e riduttiva contrapposizione tra accademici e appassionati, ed è una rivista a proporre un modo nuovo di guardare ai comics. Il varo di Linus nel 1965 è un momento cruciale per la storia del fumetto e non solo di quello italiano, è un’esperienza che cambia radicalmente tutto il mondo del fumetto in ogni suo aspetto, dagli artisti agli editori, dal pubblico agli studiosi.
[...] Oltre i Peanuts (presenza fissa), nel primo numero troviamo Braccio di Ferro, Li’l Abner, Krazy Kat, un articolo dedicato ad Antonio Rubino con tavole e illustrazioni, e il resoconto del Salone di Bordighera. Nei mesi successivi si affiancano a queste strisce Dick Tracy, Pogo, Barnaby, B.C., Wizard of Id e l’inglese Jeff Hawke, lentamente così si va formando un canone di riferimento per il fumetto ‘colto’ a cui si aggiunge dal secondo numero, novità importantissima, l’italiano Guido Crepax.
[...] Non sono però solo Italia e Francia a mostrare sensibilità nei confronti dei comic. Le nuove proposte culturali e il cambio di paradigma epistemologico che si verifica negli anni Sessanta, l’ondata di studi sulla cultura popolare e sui prodotti di comunicazione di massa, influenzano anche il mondo culturale spagnolo; è del 1966 il primo libro dedicato al fumetto, Tebeo y cultura de masas di Luis Gasca autore molto attivo nel processo di rivendicazione culturale tipico di questi anni, membro del Centre d'études des littératures d'expression graphique e tra i fondatori del Salone Internazionale dei Comics di Bordighera.
[NOTA]
58 Paolo Interdonato, Linus. Storia di una rivoluzione nata per gioco, Rizzoli, Milano, 2015, pp.53-55.
Lorenzo Di Paola, L’INAFFERRABILE MEDIUM. Una cartografia delle teorie del fumetto dagli Anni Venti a oggi, Tesi di Dottorato, Università degli Studi di Salerno, Anno Accademico 2017-2018

venerdì 3 gennaio 2025

Giorgio Caproni: un poeta alla guerra sul fronte di Ventimiglia

Varase, Frazione di Ventimiglia (IM)

Giorni aperti, scritto a Roma nel 1940, è un piccolo diario di guerra che narra l’esperienza del poeta Giorgio Caproni sul fronte occidentale e che, a buon diritto, si inserisce nella vasta produzione memorialistica riguardante la Seconda Guerra Mondiale.
[...] Probabilmente Giorni aperti non riesce a restituire in pieno l’esperienza, il dolore e l’insensatezza di quelle settimane di campagna militare contro i francesi anche perché, come riporta lo stesso autore in una intervista dei primi anni Settanta, il diario ha subito censure e tagli obbligati: "Giorni aperti (il mio piccolo De bello gallico) risente di tutte le mutilazioni allora imposte dalla censura. Ho purtroppo perso il manoscritto, e perciò non mi è stato possibile colmare le lacune. Così non v’è rimasta traccia di certe scene drammatiche o magari tragicomiche, che caratterizzano la “bella impresa” contro una Francia che noi giovani non riuscivamo in nessun modo - per affinità e per cultura - a sentire nemica".
[...] Il memoriale racconta l’esperienza della battaglia contro l’esercito francese ripercorrendo l’itinerario del soldato a seguito del suo reggimento da Dolceacqua a Ventimiglia fino al monte Grammondo, che sarà lo scenario dello scontro, al quale seguono la sosta presso la valle del Roja, il rientro a Genova per una licenza di alcuni giorni e il successivo ritorno a Ventimiglia.
[...] Il racconto si apre in medias res con la descrizione della truppa militare in movimento verso il fiume Roja e prosegue con l’arrivo a Dolceacqua dove, senza nemmeno il tempo di accamparsi, i soldati vengono raggiunti da un nuovo ed improvviso comando che impone loro di marciare verso Ventimiglia per prepararsi al possibile attacco contro l’esercito francese. Questo sarà il primo dei molti e continui ordini e contrordini di spostamento che obbligheranno il reggimento di Caproni a compiere un viaggio in apparenza quasi senza sosta, nella descrizione del quale il narratore stesso sembra non avere il tempo di soffermarsi a raccontare i dettagli più importanti.
[...] Alle prime luci dell’alba il reggimento si sposta nuovamente verso il Grammondo che, dopo una lunga marcia forzata, viene scelto come luogo dell’attendamento in vista dello scontro imminente. Il mattino seguente, presso il greto del fiume Roja, inizia la battaglia, nella quale il protagonista ha il compito preciso di mantenere il collegamento tra il comando di battaglione e la compagnia di mitraglieri che avanza. Lo scontro con l’esercito francese, unico momento d’azione militare raccontato all’interno del memoriale, non occupa che un breve capitolo e si riduce essenzialmente alla descrizione del violento temporale che si abbatte sui due eserciti e dei molti feriti la cui debolezza determina la ritirata fino al comando di battaglione. All’azione militare contro i francesi vengono riservate due sole pagine eminentemente descrittive, quasi istantanee fotografiche nelle quali sono fissate poche immagini che restituiscono appena qualche notizia dello scontro: i colpiti stesi sulle barelle con il volto coperto, il tenente medico che lavora in difficoltà sotto il diluvio d’acqua, il maggiore con una gamba spezzata e il sangue versato sull’erba fredda e bagnata. All’interno della narrazione non viene dato spazio ai sentimenti del soldato Caproni né alle azioni che lo vedrebbero protagonista: il suo compito sembra essere quello di registrare l’accaduto, di osservare quanto avviene attorno a sé, attento comunque a non distrarsi troppo.
[...] All’arrivo del nuovo giorno la truppa si muove verso Calvo [ndr: Frazione di Ventimiglia (IM)]per poi raggiungere Varese [ndr: Varase, Frazione di Ventimiglia (IM), non lontana da Calvo], dove le tende rimarranno stabili per due settimane consentendo un temporaneo radicarsi di abitudini e amicizie tra i soldati dello stesso reggimento. Un nuovo compito assegnato al protagonista, che sostituisce un compagno ferito, lo costringe ad alcune giornate di ozio che amplificano in lui sentimenti di nostalgia e malinconia. Al soldato che ha marciato per chilometri e chilometri, reduce dalla battaglia, con il solo desiderio di sopravvivere, si prefigurano lunghe giornate d’immobilità e ozio che finiscono per logorarlo nel corpo e nell’anima. Ai momenti di relativa calma, che consentono l’adattamento alla vita militare, consegue un’inattività spesso difficile da sostenere in quanto portatrice di pensieri tormentati e malinconici: "E come l’erba, per lunghe giornate di sole ed ozio, già s’era logorata lungo le piazzole, il sergente maggiore Bersano mi mandò a chiamare nella tenda della fureria, per rimpiazzare il posto di Baiardo ferito. […]. E da quel momento la mia vita rimase sul tavolo di rozzi assi, all’aperto, in un ozio in cui maturavano sentimenti e presentimenti malinconici, nutriti di nostalgie".
[...] Con l’apertura delle licenze, Caproni è tra i primi a poter tornare a casa per qualche giorno e, giunto alla stazione di Ventimiglia, prende insieme ad altri militari il treno diretto a Genova. All’arrivo in città rivede il padre, la moglie Rina, la madre, la sorella e la figlia Silvana ma, dopo pochi giorni di licenza, fa ritorno di notte a Ventimiglia, dove ritrova alcuni compagni ed un ufficiale, con i quali si dirige verso il blocco di Varese. Il ricordo delle ore trascorse a casa svanisce in fretta e il protagonista segue il reggimento alla volta di Santo Stefano [ndr: Santo Stefano al Mare (IM), all'epoca comune di Riva-Santo Stefano], dove un vento improvviso costringe i reparti a disfare nuovamente le tende e a spostarsi verso Pompeiana.
Lucia Pasqualotto, «Del racconto però mi è sempre rimasta la nostalgia»: Giorgio Caproni narratore, Tesi di laurea, Università Ca' Foscari, Venezia, anno accademico 2014-2015