martedì 30 aprile 2019

Il fascino magico di Mortola

Colin Colahan, Busto di Freya Stark - Fonte: artnet.com

Già girovagando fra le opere di Colin Colahan avevo trovato una scultura raffigurante Freya Stark, la grande cartografa, archeologa e viaggiatrice nata nel 1893.
Ho pensato che lo scultore, anche lui grande viaggiatore, potesse averla conosciuta, chissà, forse in Inghilterra.
Rileggendo il romanzo di Nico Orengo ritrovo tra le pagine il nome di Freya Stark.
Ne scrive come si trovasse nel 1956 ancora a Mortola, Frazione di Ventimiglia (IM), ma si tratta di finzione letteraria.

Mortola, Frazione di Ventimiglia (IM): la casa che fu di Nico Orengo
 
In effetti Freya Stark aveva abitato da quelle parti, ma molti anni prima.
Al termine della prima guerra mondiale, cui aveva partecipato come infermiera, di ritorno in Canada riceve in dono dal padre in regalo una casa.
Abiteranno lei e la madre in quella che chiameranno l’Arma.
Nel 1921 imparerà, mentre si era trasformata in coltivatrice, l’arabo a Sanremo da un frate cappuccino.
Forse rimarrà sino al 1926, allorché un amico di famiglia, il pittore Herbert Young, le lasciò in eredità la sua villa ad Asolo.
Partirà per Beyrut nel 1927 verso il suo sogno: il mondo arabo.

Un altro famoso personaggio che ha amato la Mortola.

Ricordo che, forse una ventina di anni fa, affacciandomi dalla piazzetta, da cui mi sentivo osservata dallo sguardo severo di Thomas Hanbury, dovevo aver capito, guardando il paesaggio che si estendeva sino al mare in un tripudio di verde, che se il paradiso terrestre è esistito, doveva essere uguale a quello che in quel momento era davanti a me. Le case che scivolavano verso i giardini Hanbury con il loro colore dei tramonti invernali, un Brachichiton in fiore che pareva un incendio e laggiù dopo aver attraversato l’Eden, il mare.

Riusciremo a traghettarla senza ulteriori deturpazioni verso il futuro per le nuove generazioni?

Gris de lin

domenica 14 aprile 2019

Il pittore Joffre Truzzi

TruzziJoffre Truzzi, di origine mantovana, era nato in Canada nel 1915. Ha vissuto e lavorato a Bordighera (IM). Il suo lungo curriculum vede sue esposizioni personali e collettive, a partire dal 1947, in diverse gallerie e luoghi pubblici di numerose e importanti città italiane.

PAESAGGIO LIGURE Q5 L'ULIVETO
Joffre, Truzzi, Nudo di donna - Fonte:  bordighera.it

  VAL NERVIA

"è rimasto com'era, con qualcosa di più gracile, di più poetico nei suoi quadri: gli stessi paesaggi d'allora, ma come sospesi nel vuoto, con dolcezze più apparenti e toccate dalla vertigine" "L'inevitabile manto della malinconia s'è istoriato di scene gioiose, di azzurri aggrediti dall'ombra, di viola vibranti, di dorati che vanno verso il caos o la pace materica. Possibile che la vita nella sua erosione sia sempre eguale? "
Francesco Biamonti 


 
Bordighera ha un suo muratore-pittore, si chiama Joffre Truzzi, ha 33 anni, i competenti gli pronosticano un brillante avvenire.
[...] Truzzi dipinge soltanto la domenica, gli altri giorni li trascorre sugli alti ponti delle case in costruzione. [...]
Una sua personale, ha ottenuto in questi giorni, a Bordighera, un ottimo successo e le vendite sono state notevoli. Ma Truzzi non si è montata la testa e continua, nei giorni feriali, a lavorare di cazzuola [...]
La sera - tutte le sere , dopo il duro lavoro - frequenta lo studio del professor Giuseppe Balbo. Gli tengono compagnia altri giovani allievi che ascoltano le “storie” dei grandi pittori del passato con gli occhi sgranati, come fossero fiabe.
Mario Caudana, 1948

Joffre Truzzi, Pescatori, 1955 (olio su tavoletta) - Fonte: Joffre Truzzi

Dieci anni fa Truzzi, la domenica batteva le strade delle nostre campagne; le dipingeva instancabilmente; riempiva due o tre cartoni nella stessa giornata. Il paesaggio era studiato con amore, con ostinazione; fino a che il pittore non ne avesse sceverato i caratteri distintivi di paesaggio ligure.
Questo contatto durò sino al 1950, poi ci fu una specie d’arresto. Il pittore si chiuse nel suo studio, elaborò composizioni che s’ispiravano al lavoro dei contadini e in modo particolare a quello dei muratori, tra i quali egli viveva e lavorava. Il colore s’incupì, agli accordi squillanti dei gialli, dei rossi, dei verdi, dei precedenti paesaggi, seguirono accordi di terre e di neri.
Era nata una pittura che poteva chiamarsi neorealista.
Ma il paesaggio ligure lo riprese. Questa volta fu l’architettura dei paesi a incantarlo. Costruzione di muri screpolati, archi, blocchi desolati, Truzzi vagava di paese in paese, solo prendendo qualche appunto. [...].
Dipinse quindi grandi tempere, drammatiche architetture in bleu e in terra rossa. Egli mostra eccezionali doni di fantasia: come dire che è artista per essenza. (Ci sono nei suoi quadri accordi di colore del tutto nuovi).
Parte dal vero verso liriche variazioni, in visioni delicatissime di case, alberi, colline. La voce del suo paesaggio è nuova (austera e anche mistica) sconosciuta è l’aria e la poesia che lo anima.
Giacomo F. Natta, 1957

E’ un merito, il tuo, di poesia, del quale tu sai che penso quello che pensa il finissimo amico Natta.
Carlo Betocchi, 1959

Nei “Paesaggi dell’entroterra ligure” di Joffre Truzzi, dominano gli alberi, quali protagonisti dei misteriosi drammi ignoti all’uomo e dietro si mostrano rudi case o s’aprono scenari di cieli gialli o verdi, rossi o cinerei, accesi o cupi […]. Fantasioso e spontaneo, c’è un impeto primitivo in queste tele, un soffio aspro e nuovo nelle tonalità accese. Il tocco a spatola è denso, talora violento.
Jole Simeoni Zanollo, 1959

Truzzi è un pittore in cui l’affetto alla terra in cui vive e lo spasimo della memoria che vorrebbe conservare ogni momento felice, restituirlo in note ferme e definitive, operano con egual forza permettendogli di colmare, talvolta con reale felicità, lo iato tra la tradizione di una pittura condizionata al sapore di una regione, di un paesaggio, e le più remote ricerche intorno all’autonomia del quadro inteso come oggetto in sé sufficiente, cadenza di colori e di forme disposte secondo un ordine di individuale invenzione.
Nessuna polemica esplicita in questa pittura; eppure una carica densa, un gruppo di ragioni pro qualcosa e contro qualche altra cosa [...] che, comunque la si giudichi, è una delle forze di questi quadri, sotto la loro più superficiale apparenza quasi crepuscolarmente gentile o vivacemente lieta. Riteniamo che la loro lettura non sia poi così facile come può sembrare. Ma che tanto più premieranno l’attenzione di chi vorrà non amarli di un’immediata adesione, accoglierli per un movimento incontrollato, ma scrutarne il riposto vigore, ripercorrere il lavoro da cui è nato il loro sbocciare felice. Che è poi sempre il miglior modo di aderire ad espressioni che si presentino cordiali e quasi disarmate. Far insomma del consenso alla bellezza del colore, alla spontaneità della resa mezzo per un ulteriore approfondimento. 
Albino Galvano, 1962

Nato in Canada, Joffre Truzzi, viva a Bordighera dove la malia della natura, per un pittore che per temperamento deve sentirne tutto il fascino, gioca il suo ruolo ispiratore. Luci e colori, come si nota nei dipinti ch’egli espone ora al Grifo, si configurano nei rapporti di quelle macchie cromatiche sottilmente modulate negli impasti dosati con abilità: modulazioni e dosature che in fondo caratterizzano la sua pittura anche rispetto ai riferimenti stilistici che, nel presentarlo, Albino Galvano riassume con un appropriato “Morlotti revu par Bonnard”.
Angelo Dragone, 1962

Joffre Truzzi, Paesaggio (olio su tela) - Fonte: Joffre Truzzi

[Truzzi] si presenta con una serie di interessanti paesaggi, realizzati ad olio, nei quali case, colline ed alberi della riviera ligure appaiono calati in una unità tonale a basse vibrazioni cromatiche di alta suggestività lirica. La luce, che nei quadri di Truzzi nasce dall’interno delle piatte zone di colore, commenta strutture paesistiche dove i muretti a secco, i casolari di campagna, le masse di verde rappresentano momenti di una visione sensibilizzata della realtà, visione non ignara delle ultime resultanze della più valida pittura italiana.
Carlo Segala, 1963
 
Se penso sia raro trovare un pittore altrettanto fedele alla sua natura (ch’è segno probante di vocazione); credo appaia altrettanto evidente che lo stimolo maggiore al suo lavoro, Truzzi lo attinge dal più complesso moto della realtà. Questa realtà, egli sa benissimo che in parte preponderante e in primo luogo si trova dentro se stesso e non sopra, non fuori, non in gazzette, in professori, in ideogrammi; sa ancora che parte importantissima della realtà, oggi quasi totalmente trascurata, è il paese dove si vive, con la gente, gli alberi e il cielo, sa inoltre che la realtà sono la storia e la tradizione […]. Dagli impressionisti, e soprattutto quelli legati al suo paesaggio, Renoir-Monet-Piana, su su fino alla svolta più recente e determinante – quest’ultima di Wols, Pollock, Gorky, De Staël. Quella che ha portato una più profonda coscienza dell’”organico” in contrapposizione ai giochi intellettuali estetisti; quella che ha affrontato – e per me in modo più diretto dei surrealisti – le zone più remote, segrete e misteriose dell’essere, il conflitto tra idea e realtà, tra momento razionale della realtà, e quello irrazionale nell’istanza poetica. 
Le intelligenti argomentazioni non sono riuscite a spiegarmi come si possa prescindere da questa recente storia così drammatica e viva.
Comunque in questa mostra è molto evidente come questa realtà così tesa e scottante sia utile affrontarla anziché pensare all’abiura e all’ostracismo.
E’ affrontando questa situazione che secondo me, Truzzi ha formato le sue sicure radici, s’è stabilito un preciso impegno, s’è scrollato abitudini e atavismi ormai devitalizzati, ha determinato questa sua attuale felice pienezza creativa.”
Ennio Morlotti, 1964
 
Con una vivace interpretazione in catalogo di Ennio Morlotti, apre la sua personale alla galleria del Mulino [...] il pittore ligure Joffre Truzzi. Si sono conosciuti dietro le colline di Bordighera e affiatati per una comune disposizione verso la realtà di natura: siepi, sterpi, prati, vegetazioni selvatiche, che occupano con insistenze di primo piano lo spazio del quadro e lasciano poco margine alla striscia di cielo. [...]
L’interpretazione di Truzzi, rispetto a quella drammatica sempre di Morlotti: è di più aperta elegia; c’è una felicità nel suo rapporto con questa natura, uno scambio di interiori sensazioni, perciò la pittura ne è tutta illuminata e il colore si ravviva di preziosi splendori.
Marco Valsecchi, 1964
 
Il pittore Truzzi si è presentato in Bordighera con una personale condensata in venti opere che esprimono l’intendimento sobrio di un artista molto prossimo alla maturità.
Abbandonate talune compiacenze pittoriche [...] il Truzzi si è indirizzato verso una semplicità geometrizzata quasi, forse un poco rigida, ma di induttiva affermazione stilistica. Con impasti rinnovati ed accostamenti di toni fermi e saporosi, i nuovi paesaggi presentati, pur svelando un legame a esperienze già note, contengono una personalità manifesta nella costruzione prevalentemente pittorica dell’atmosfera e della prospettiva fatte soltanto di colore.
Giuseppe Balbo, 1966
 
[…] si rimproverava a Truzzi l’influenza esercitata sulla sua pittura dall’opera e dalla frequentazione di Morlotti.
Che l’opera del maestro lombardo, prima, e di Sutherland più recentemente, abbiano lasciato profonde tracce sulla pittura di Truzzi di questi ultimi anni, è innegabile. Né poteva essere altrimenti, se si pensa che nel guardare a questi due significativi pittori del nostro tempo Truzzi, pittore prevalentemente di paesaggi, di aspetti e di elementi naturali, ha dimostrato di sapere operare una scelta intelligente, coerente col proprio temperamento. Tuttavia in questa personale, accanto ad opere in cui la presenza dei due maestri è ancora chiaramente avvertibile, Truzzi ci ha sottoposto (e questo è un merito che gli va riconosciuto) un buon numero di dipinti che dimostrano in modo convincente come egli, assimilate e superate le due influenze, sappia approdare ad un suo più personale linguaggio.
Enzo Maiolino, 1967
 
“Sono un pittore naturalista. Dipingo la natura. Da sempre”. Così dice Truzzi della sua pittura e di se stesso.
Di se stesso perché la natura è il suo mondo, il suo ambiente, meglio ancora il suo elemento: in cui egli si ritrova e si muove.
Dalle sue parole, che sono poi dichiarazioni abbastanza esplicite, la natura appare ancor più come verbo, norma di vita ed esigenza: certo una meta costante del suo essere. “Forse perché sono nato in un bosco” (è figlio di emigrati nel Canada), Joffre tiene a ricordare, quasi che per lui stesso la persistenza e l’attualità di quell’ispirazione costituiscano ancora un interrogativo. [...].
La sua natura è di sicuro vivente, ampia, generatrice; ricca di linfa.
Così che egli, più che osservarla e rappresentarla, la sente e la dice: la sua è la pittura di un contatto. E il suo senso della natura (senso piuttosto che sensibilità) ricorre particolarmente al colore come al mezzo precipuo e più indicato per la propria espressione.
Natura e colore appaiono quindi il binomio di base della sua pittura.
Massimo Cavalli, 1977
 
Morotti, Biamomto e Truzzi nel 1960 davanti all'atelier di Cezanne - Fonte: Joffre Truzzi
Ennio Morlotti, Francesco Biamonti e Joffre Truzzi nel 1960 davanti all'atelier di Cezanne - Fonte: Joffre Truzzi

A Truzzi mi lega un lungo rapporto, consolidato dalla comune amicizia con Morlotti. Ricordo di lui un vagabondare alla ricerca delle luci dei costoni, delle dolcezze di un’aspra terra, fatte di cielo, di tramonti rosati, di silenzi nascosti nelle vegetazioni. La sua pennellata è istintiva e nel contempo guidata da un sentimento virgiliano della vita (Truzzi è di Mantova) con qualche collera da animo offeso.
Truzzi sa ciò che gli è necessario. Quante volte Ennio ed io, lo abbiamo sentito mormorare qualche brano delle Bucoliche: l’uomo che abbandona i campi, l’uomo dell’esilio, che aspira a tornare al suo regno. Forma d’elegia che in pittura si è sovente tradotta in soffi leggeri, in brezze che animano le cose: crinali toccati dalla grazia, casette raccolte nel fervore del verde, rocce clonate di azzurro e polvere.
Era un uomo sempre disponibile al lavoro e alla vita, sempre pronto a partire, verso una tomba, un rudere, un fiore. Poteva anche essere insopportabile, litigioso in superficie, ma a Morlotti e a me strappava sempre un sorriso, perché ne conoscevamo la malinconia fondamentale.
Ora non riesco a immaginarlo vecchio: è rimasto com’era con qualcosa di più gracile, di più poetico nei suoi quadri: gli stessi paesaggi d’allora, ma come sospesi nel vuoto, con dolcezze più apparenti e toccate dalla vertigine. L’inevitabile manto della malinconia s’è istoriato di scene gioiose, di azzurri aggrediti dall’ombra, di viola vibranti, di dorati che vanno verso il caos o la pace materica. Possibile che la vita nella sua erosione sia sempre eguale?
Francesco Biamonti, 1996
 
Joffre Truzzi, Gli ulivi, 1970 (carboncino) - Fonte: Joffre Truzzi

Personaggio solitario, lontano dal clamore delle mostre, nonostante l'età e i conseguenti problemi di salute, continua a dipingere denotando forza di carattere e straordinaria vitalità.
Per Joffre la pittura rappresenta gioia di vivere, un modo e una necessità per esprimersi e fissare sulla tela ogni percezione visiva. Ovunque é un'esplosione di luci e di colori, a volte con movimento e impressioni incalzanti, altre con sensazioni che si avvicinano alla solidità costruttiva della forma, andando comunque oltre la semplice rappresentazione del visibile.
Il suo modo di vedere non é mai oggettivo: non ritrae la natura così come appare, con superficialità, copiandola servilmente, ma la traspone cromaticamente in modo personale e sintetico, con una ricerca coerente, continua e rigorosa, che porta avanti fin dall'inizio della sua attività.
Il pittore si può inserire in un'area che da Renoir e Cézanne arriva a Ennio Morlotti, suo grande amico. Si avvicina a Renoir ("a me piacciono le pitture che mi fanno desiderare di passeggiarvi dentro se rappresentano paesaggi, di carezzarle se rappresentano donne") per il suo immergersi nella natura e per il suo amore per ogni oggetto del creato; a Cézanne per lo spazio realizzato mediate pezzature di colori più caldi, i vicini, più freddi i lontani, fino alle varie tonalità degli azzurri dietro le colline, rendendo la prospettiva col solo mezzo del colore; a Morlotti per la tendenza alla trasfigurazione della realtà ottenuta con intensi impasti di materia in un superamento della visione naturalistica fino a un processo di astrazione pittorica, anche se mai completamente raggiunta.                                                                                                                                                                                                                                                                Marco Farotto

domenica 7 aprile 2019

Via Gradisca



L'amico, i pochi amici che sanno, potranno anche leggere fra le righe i modesti segni di una personale e sempre caleidoscopica nostalgia...ad essi in fondo è rivolta questa poesia, a rammentare una Via periferica di Ventimiglia (IM), [Via Gradisca]: là dove il gran torrente Nervia segnava allora (con le macerie dei bombardamenti che, con la Frazione di Nervia tutta, ferirono a morte nella II guerra mondiale anche questa Via) la distanza fra il passato e quel "boom" economico di cui eravamo figli e che ora pare così lontano e chimerico ....e il tutto nel ricordo di "Quelli di Nervia" di cui mai feci veramente parte, io che venivo da lontano, ma cui, forse senza che mai lo sapessero o che glielo facessi sapere, restai legato sulla scia di ricordi di cose che mai ritorneranno ed il cui comun denominatore era quel "bizzarro ma straordinario campo di giochi e di sogni" cui si giungeva proprio da questa strada della mia fanciullezza, appunto quel campo fatato che per tanti di noi era e credo che sempre sarà "Il greto del Nervia" ...

Elio Lentini, Greto del Nervia (acciaio inox brunito), 2010
VIA GRADISCA

Una strada di sassi, di polvere
con tre case, ancora da finirsi,
di operai delle ferrovie.
A fianco una palma,
la foresta dei bambini:
verso il Nervia, al bivio,
il Palo, che è un pilone,
per i fili dell'alta tensione,
ma che per tanti, come me,
sarà sempre il palo, l'apotropaico,
il bisonte di ferro intrecciato,
il mostro arcano che nutriva i sogni,
dei figli degli operai delle ferrovie!
Su di esso, tra le fronde ferrigne,
il figlio del fiume, della rabbia,
della polvere e delle ferrovie
era qualcuno: diverso dai figli
beneducati di chi aveva bottega
o, meglio ancora, di chi teneva studio,
in centro, magari con vista sul corso.
In via Gradisca c'era il gruppo
di chi veniva da lontano,
di chi non era della città:
il ligure foresto, lo scacciato.
Era il gruppo dei bambini
cresciuti al fischio della vaporiera,
che spaccava i sogni improvvisi,
i voli sull'arcobaleno delle illusioni,
a minacciare quel vagheggio che talora consola!
Fischio ch'ammoniva: un ceto senza censo importante
ed i suoi figli aspiranti operai delle ferrovie!
Poi si crebbe, vi fu l'esplosione
dell'economia; gli operai delle ferrovie
ebbero la macchina e alcuni si fecero
bottegai, come tanti!
Via Gradisca fu asfaltata e illuminata :
non fu più una frontiera,
diventò una strada come tante ma.
.. forse, forse perse per sempre la magia

di Bartolomeo Durante in Cultura-Barocca