domenica 31 dicembre 2023

Bordighera: mostra "Punti di vista" di Enzo Giordano


Unione Culturale Democratica -  Sezione ANPI

Bordighera (IM), Via al Mercato, 8 


 martedì 2 gennaio 2024 - domenica 14 gennaio 2024
ore 17-19


 



 

Giorgio Loreti

Unione Culturale Democratica -  Sezione ANPI - Bordighera (IM),  Tel. +39 348 706 7688

martedì 26 dicembre 2023

Amava risalire le valli, del Crosia la più frequentata, ovviamente

Giorgio Loreti e Francesco Biamonti. Archivio di Giorgio Loreti.

"Lasciò la macchina su un promontorio fra due rade argentate. Le colline di Tolone erano sorvolate dal vento e dalla luce. La strada era giusta: boulevard Grignan".
[Francesco Biamonti] (Attesa sul mare).
Francesco Biamonti è stato un importante (e troppo spesso sottovalutato) scrittore italiano. Ha cantato la Liguria dell’entroterra e del mare. Ne ha descritto paesaggio, luce, profumi e personalità umane. Ha passato e ripassato poeticamente gli ulivi, le fasce, il bosco e la macchia mediterranea come un pittore. È entrato in profondità nel paesaggio e ne ha distillato poesia partendo dagli stessi ingredienti di un pittore, proprio come Ennio Morlotti: gli olivi, le fasce, il blu del cielo al tramonto, le grand blue del mare al largo, traducendoli l’uno in un linguaggio artistico di prosa, l’altro in un linguaggio pittorico. Come a dire, stessi ingredienti, stessa tavolozza, diversi linguaggi: scritto l’uno, visivo l’altro. Ma una stessa poesia. La sua è una pagina che profuma di Liguria, di rosmarino, di mimose e di avventure di frontiera.
La casa di Biamonti guarda caso è proprio in curva, sulla curva del paese di San Biagio [della Cima], dietro Vallecrosia, una curva che porta ai boschi e alle campagne della Resistenza e alle prove speciali del rally di Sanremo. Passano e sono passati tutti di lì, è una casa rumorosa. E uscire dal cancello è già una piccola impresa (automobilistica, soprattutto). La sua è stata una vita a km zero, in cerca di boschi, di verde, di tramonti, di uomini e donne di frontiera, di Francia: un piede in Italia e uno in Provenza, sempre a cavalcioni sulla frontiera. Una scrittura "en plein air", una vita naturale e di studio, autenticamente lontana dal glamour.
Giorgio Loreti è un bolognese a Bordighera.
Negli anni amico della fertile comunità culturale del Ponente ligure, un personaggio presente e discreto, assessore negli anni del primo centro sinistra, che non ha perso la cadenza bolognese: ascoltarlo è ascoltare una delle tante storie di Italia e di migrazioni, storie di culture che si arricchiscono, mescolandosi.
Ferroviere a fine 900.
In sintesi
È Bolognese
È ferroviere
È impegnato politicamente
È presidente dell’Associazione Partigiani d’Italia (Anpi)
Chi ci torna in mente…?
"Conosco invece l’epoca dei fatti, qual’era il suo mestiere:
I primi anni del secolo, macchinista, ferroviere,
I tempi in cui si cominciava la guerra santa dei pezzenti
Sembrava il treno anch’ esso un mito di progresso.
Un treno tutti i giorni passava per la sua stazione,
Un treno di lusso, lontana destinazione…"
(La locomotiva - Francesco Guccini)
Caso vuole che sia stato [Giorgio Loreti] amico di Francesco Biamonti e ne sia diventato il suo accompagnatore preferito: “guida tu Giorgio...” gli ha detto un giorno Francesco e gli ha dato le chiavi della sua auto. Ed è proprio quell’automobile ad unirli, una Fiesta blu targata AT 240WA, e di questa parliamo.
1 - Così l’ultima auto di Francesco Biamonti è stata poi la tua. Dicci di quest’auto.
Biamonti non era appassionato di motori e le auto le considerava solo un mezzo da utilizzare per i suoi spostamenti in zona. Ricordo che aveva acquistato dal ‘partigiano combattente’ Giovanni Franceschi (chiedere alla sua compagna, Renata Dalmasso) una Hyundai usata di colore rosso pallido che usò fino al Marzo del 1998. Data in cui acquistò - su suggerimento del fratello Giancarlo - la Ford Fiesta blu scuro 2 porte (e che fossero solo 2 poi Biamonti si rammaricava ) usata da me fino al 2022, dalla morte di Francesco avvenuta nel 2001. L’auto me l’aveva regalata il fratello Giancarlo, dopo la morte di Francesco. A mie spese gli atti conseguenti. Una Fiesta Ford Blu scuro che ho portato dallo sfasciacarrozze di via Roma a Vallecrosia, un anno fa circa.
2 - Com’è che finisci ad accompagnarlo in auto?
Semplicemente per giornaliera frequentazione amicale. Preferiva godersi la visione del ‘suo’ paesaggio, colline, boschi, ricordi di ragazzo quando accompagnava il nonno in campagna… una Liguria anteguerra… cui aggiungere un certo disagio per dolore alla schiena (che si rivelò poi tumore da fumo al polmone).
"Mi giri tu la macchina, per favore? Me la metti su strada?"
[Francesco Biamonti] (L’angelo di Avrigue)
3 - Un aneddoto automobilistico o una sosta che gli piaceva fare?
Come ho detto, sostavamo in zone collinari per ammirare la natura spontanea, priva di coltivazioni.
"Poi, in macchina: - Lasciati guidare, prendi verso Nizza. A Nizza lo condusse per strade deserte alla porta di un club. Era chiuso. Gli fece riprendere la macchina e salirono in alto, oltre Cimiez, a una casa con giardino".  
[Francesco Biamonti] (Vento Largo)
4 - La sua strada del cuore secondo te …?
Amava risalire le valli, del Crosia la più frequentata, ovviamente. Ma con la nuova auto si era ripromesso di visitare la Provenza, con compagnia diversa dalla mia. Qualche gita la fece, ma non molte.
"Albert guidava veloce e in mezz’ora arrivò a Mentone"
[Francesco Biamonti] (Vento largo)
5 - Se dovessi dire, chi avrebbe invitato in auto con voi? Un viaggio immaginario con chi, di personaggi (artisti-scrittori-pittori)?
Il poeta Montale.
6 - Di cosa si parlava con Francesco in auto?
Di comuni amici/amiche, della luce (luminosità e paesaggio), argomenti ‘banali’, accenni a letture.
"Lei accelerò talmente che spaventò due verdoni"
[Francesco Biamonti] (L’angelo di Avrigue)
7 - Una sosta in un bar o in un ristorante che gli piaceva?
Prima di scendere verso la costa, spesso ci fermavano a bere il caffè pomeridiano all’Ostaia, il bar/trattoria di S. Biagio, nella curva della provinciale, a pochi passi dalla sua abitazione. L’accoglienza nei suoi confronti, sia dei proprietari che degli eventuali clienti, era sempre molto amichevole, quasi familiare. Così com’era l’atteggiamento di Francesco nei loro confronti. Va detto che Biamonti aveva la rara qualità di ascoltare gli altri, i giovani in particolare. Una vera capacità ‘empatica’ che ne faceva una persona preziosa e cara.
"Uscirono da Nizza sul far del mattino. Albert guidava piano"
[Francesco Biamonti] (Vento largo)
P.S. E’ uscita recentemente da Einaudi una trilogia di Biamonti: L’Angelo di Avrigue, Attesa sul mare, Vento largo. Consigliata la lettura!
Eraldo Mussa, … a Giorgio Loreti sull’ultima auto di Francesco Biamonti, L'Incontro, 1 dicembre 2023

domenica 24 dicembre 2023

La commissione mista, dopo la prima riunione, continuò a lavorare con incontri anche a Nizza ed in Valle Roya

Mentone

Proprio alla fine della guerra, nel 1946, prese corpo nel bacino transfrontaliero Ventimiglia-Mentone l’idea di creare una “zona franca”. Animatori ne furono, per i Comuni italiani, il Dr. Emilio Azaretti e per i Comuni francesi Mr. Francis Palmero. Il progetto prevedeva la costituzione di un territorio autonomo di 19 Comuni italiani (Valli Roya, Nervia, Crosia) e 11 Comuni francesi (tra cui Mentone, Roquebrune, Breil, Fontan, Saorge e Sospel). Il programma del Movimento della Zona Franca prevedeva la costituzione di un Consiglio Generale composto dai rappresentanti dei Comuni italiani e francesi per trattare i problemi di interesse bilaterale e risolvere le eventuali divergenze, evidenziando ben chiaramente che Italia e Francia avrebbero continuato ad avere piena ed assoluta sovranità sui rispettivi Comuni della zona transfrontaliera. Per motivi contingenti ed opposizione ferma delle autorità centrali, il progetto Zona Franca non si realizzò <13, tuttavia l’operazione servì per innescare il processo di cooperazione; raccordo italo-francese che continuò con incontri, convegni, accordi delle autorità locali, tendenti a dare soluzioni ai numerosi, spesso urgenti, problemi di interesse reciproco.
È codificata e consolidata la valutazione che la cooperazione transfrontaliera nell’interregione delle Alpi Meridionali (Alpi del sud) dal dopoguerra ad oggi si suddivida in quattro periodi temporali.
La prima fase copre il periodo 1947/1960, la seconda il periodo 1960/1970, la terza quello dal 1970 al 1985 e la quarta fase, iniziata nel 1985, è ancora aperta ai giorni nostri. <14
Analizzando questi quattro periodi, emerge che le prime tre fasi sono ormai storia, mentre il quarto periodo rappresenta un’attualità ancora viva, e pertanto sarà quello più ricco di contenuti, anche perché si proietta nelle prospettive future della cooperazione transfrontaliera Verso una Euroregione.
Prima Fase della cooperazione transfrontaliera (1947-1960)
Il Movimento per la creazione di una zona franca nel bacino transfrontaliero Ventimiglia-Mentone fu sostenuto anche dal Movimento Federalista Europeo con la nascita di un Comitato specifico che, successivamente, prese l’iniziativa di costituire una Commissione italo-francese di studio per i problemi di frontiera. La prima riunione della Commissione avvenne il 17 aprile 1948 e servì a preparare un documento bilaterale relativo ai più urgenti problemi di frontiera, tra i quali: Internazionalizzazione ed ammodernamento della S.S. n. 20 di Valle Roya <15; carta di frontiera a favore degli abitanti residenti; ricostruzione della linea ferroviaria Ventimiglia-Breil-Cuneo; istituzione di pubblici servizi automobilistici tra i Comuni italiani e francesi; costruzione del valico stradale di frontiera Olivetta S. Michele-Sospel; costruzione dell’acquedotto Ventimiglia-Mentone; accesso alla coltivazione delle proprietà terriere confinarie e dei pascoli. La commissione mista, dopo la prima riunione, continuò a lavorare con incontri anche a Nizza ed in Valle Roya per gestire i problemi emersi al momento della costituzione; furono programmati convegni e dibattiti pubblici. Domenica 28 dicembre 1952 si svolse a Ponte S. Luigi una imponente manifestazione di amicizia franco-italiana; l’On. Paolo Emilio Taviani, sottosegretario di Stato, ed Henry Spaak, uno dei Padri fondatori dell’Europa, parlarono ai presenti. Nel 1953 venne formulata la richiesta ai governi italiano e francese per l’apertura del secondo valico stradale a ponte S. Ludovico. Nel 1955 venne presa in considerazione dai governi centrali la richiesta per la ricostruzione della linea ferroviaria Ventimiglia-Breil-Cuneo e nell’anno successivo, in una riunione a Nizza, venne ripreso il progetto dell’acquedotto Ventimiglia-Mentone, ai fini della redazione progettuale. Nel 1959 si realizzò il completamento della strada La Brigue-Colle Sanson, collegando così la Valle Roya con la Val Nervia. Questa prima fase della cooperazione transfrontaliera, nata in maniera bilaterale (Ventimiglia-Mentone e territori contigui), si concluse con l’inizio di approcci di cooperazione verso il cuneese, soprattutto in riferimento ai problemi della strada e della ferrovia della Valle Roya, argomenti di interesse anche per Limone Piemonte e Cuneo. In questo periodo si gettarono le basi per la futura collaborazione delle Tre Province.
Seconda fase della cooperazione transfrontaliera (1960-1970)
La seconda fase della cooperazione transfrontaliera è caratterizzata da una sempre più marcata presa di coscienza dell’idea di Unità Europea <16. In questo contesto anche le Camere di Commercio e gli Organismi turistici sviluppano azioni di cooperazione più marcate; a partire dal 1962 i Prefetti di Nizza, Cuneo e Imperia programmano periodiche Conferenze dei Servizi che saranno presto affiancate da una Commissione degli eletti di frontiera; prende corpo il progetto per la creazione di un Distretto Europeo. Nel 1965 si costituisce il CEAM (Commissione Europea Alpi Meridionali) che produce una fervida attività ma con scarsi risultati, per mancanza di strumenti giuridici; per esempio, la proposta del Prof. Sen. Raoul Zaccari <17 fatta nel corso della riunione di Breil del 23 ottobre 1967, tesa alla costituzione di un Consorzio di Comuni franco-italiani, non poté realizzarsi per mancanza di legislazione e normative, appartenendo i Comuni interessati a due distinte sovranità nazionali. Anche il CEAM tentò di costituire una società a carattere transnazionale, ma senza risultati concreti. Questo decennio è stato caratterizzato da una fitta tessitura di accordi e rapporti, nella ricerca di consolidare un tavolo di concertazione, ai fini di elaborare un Organismo franco-italiano che avesse l’autorità di operare sulla base del federalismo, e cioè con ampia autonomia. In questa visione la Commissione italo-francese per i problemi di frontiera, il CEAM e la Consulta degli eletti di frontiera si intersecano con altri organismi sorti, come la Commission des Alpes <18, il CERAF (Centre Etudes, Recherches, Action Fédéraliste), costituito da giovani nizzardi, il CIME (Consiglio Italiano Movimento Europeo) sorto ad Imperia come Comitato Provinciale che organizza a Nizza un convegno su Le Alpi Meridionali nel quadro dell’Europa delle Regioni. Anche il MFE (Movimento Federalista Europeo) si inserisce in questo mosaico di sigle ed associazioni che organizzano Convegni, sottocommissioni di studio, incontri interlocutori bilaterali, assemblee, documenti e manifesti. Ogni azione, ciascuna iniziativa, ha per tema centrale l’Unità Europea e la cooperazione transfrontaliera; il decennio 1960/1970 segna pertanto la crescita del dibattito e della democrazia sui Valori dell’Europa dei Cittadini e dell’integrazione franco-italiana nella zona di frontiera. Il periodo in esame costituisce anche un interessante momento di presa di coscienza dell’associazionismo nell’elaborazione di idee e proposte pertinenti. Intanto il 30 settembre 1967 veniva firmato a Parigi l’accordo per l’acquedotto Ventimiglia-Mentone ed il 14 maggio 1968 avveniva l’apertura del valico stradale Olivetta S.Michele-Sospel.
[NOTE]
13 Il momento di maggior aggregazione al progetto Zona Franca avvenne con la grande manifestazione popolare di Ventimiglia di domenica 24 novembre 1946, con una massiccia concentrazione di rappresentanti dei Comuni interessati.
14 E. Berio, Alpazur Nizza-Cuneo-Imperia “Distretto Europeo”, Imperia 1992. Libro/ricerca stampato con la prefazione dell’Istituto Storico della Resistenza e dell’Età contemporanea di Imperia ed il patrocinio dell’Amministrazione Provinciale di Imperia.
15 Il 17 settembre 1947 i comuni di Briga e Tenda, nell’alta Valle Roya e territori contigui, a seguito del trattato di Pace di Parigi, passarono alla sovranità della Francia.
16 Il 25 marzo 1957, con una solenne cerimonia svoltasi a Roma, in Campidoglio, aveva luogo la firma del trattato con cui veniva istituita la Comunità Economica Europea.
17 Il Prof. Sen. Raoul Zaccari, sindaco di Bordighera, Assessore Provinciale, Sottosegretario di Stato, Parlamentare Europeo, fu un assiduo e fervente propugnatore della cooperazione transfrontaliera, uno dei capisaldi in questo periodo, fino alla sua morte avvenuta nel 1977.
18 Associazione nata a Torino, si interessava dei problemi dei territori di montagna in ottica europea.
Lorenzo Viale, La cooperazione transfrontaliera italo-francese. Verso una Euroregione: Nizza-Cuneo-Imperia, Intemelion n. 4 (1998)

domenica 17 dicembre 2023

Si può ipotizzare un’osmosi tra le valli Tanaro, Argentina e Roja


Risulta immediatamente evidente come, proprio in virtù delle contese pregresse, la divisione amministrativa moderna non corrisponda a quella geomorfologica, registrando invece alcune appendici al di qua e al di là del crinale spartiacque tra i corsi del Tanaro e della Bormida. Di conseguenza, come in casi analoghi, nel presente lavoro si è preferito dare priorità agli aspetti fisici <1, facendo coincidere la zona presa in esame con il bacino idrografico del Tanaro stesso, pur consapevoli del fatto che le alture in genere non costituiscono certo, dal punto di vista culturale, delle barriere impenetrabili <2. Quindi sull’alta valle del Tanaro insistono, partendo da monte, i comuni piemontesi di Briga Alta, Ormea, Garessio, Priola, Bagnasco e Nucetto, nonché, almeno parzialmente, quelli di Triora, Mendatica, Cosio di Arroscia, Pornassio, Massimino e Murialdo in Liguria, tra le province di Imperia e Savona.
Questo territorio nel complesso, considerato come appena delineato, assume forma quasi di mezzaluna, dallo sbocco verso il Cebano, posto a nord, fino alle Alpi, che si distendono a ovest <3. La conformazione deriva, grosso modo, dalla sequenza di tre segmenti orientati diversamente e abbastanza riconoscibili: il primo, da Ceva fino a Garessio - passando per Nucetto, Bagnasco e Priola -, con un andamento tendenzialmente nord/sud; per il secondo, proseguendo verso Ormea e il colle di Nava, l’asse prevalente diventa quello nord-est/sud-ovest; l’orientamento dell’ultimo, sempre in un quadro sintetico e semplificato, risulta essere est/ovest, seppure più tortuoso perché posto in ambito montuoso. Proprio quest’ultimo segmento presenta delle peculiarità legate al fiume: infatti il Tanaro non assume tale nome fin dalla sorgente, come di consueto, ma poco a monte di Ponte di Nava, alla confluenza di due diversi torrenti: il Tanarello, posto più a nord, e il Negrone, che vi si immette dopo una decina di chilometri, incrementandone notevolmente la portata d’acqua. Di lì il fiume assume il nome più noto che manterrà fino al suo congiungimento con il Po poco a valle di Bassignana, dopo aver attraversato i centri urbani di Alba, Asti e Alessandria.
[...] La posizione della valle la rende evidente snodo tra il Cuneese e il mare: infatti, ponendosi tra la val Roja a ovest e il percorso Ceva-Savona a est, risulta quasi come la strettoia di una clessidra per chi, provenendo dalle pianure occidentali e dall’Albese, voglia raggiungere la costa tra il Finale e il Taggiasco.
[...] In particolare, si può ipotizzare un’osmosi tra le valli Tanaro, Argentina e Roja <28: quest’ultima, come ben noto, è un importante asse di percorrenza, oggi quasi del tutto in territorio francese, che raccorda la pianura cuneese con Ventimiglia e, attraverso la valle Bevera e Sospello, con la costa più a occidente fino a Nizza.
[NOTE]
1 Così era già stato proposto in occasione delle ricerche sulla pieve di San Giovanni di Mediliano in Demeglio 2004, p. 93 e nota 3.
2 Si tenga inoltre presente che il crinale tra Tanaro e Bormida non costituisce la divisione tra i corsi d’acqua che affluiscono nel Po e quelli che si gettano nel mare: infatti la Bormida, o meglio le Bormide, dopo aver percorso un lungo tratto in Liguria, entra in Piemonte, dove attraversa Acqui Terme, scorre non lontano da Alessandria e si getta nel Tanaro nei pressi di Pavone. Si registra quindi una notevole distanza tra i confini regionali e quelli dei bacini idrografici.
3 Per tutti questi aspetti d’ora in poi si farà riferimento alla carta che correda la scheda di Tiziana Casaburi in questo volume.
8 Sull’archeologia della val Roja e di alcune aree limitrofe a partire dalla Preistoria si veda Sandrone, Simon, Venturino, Gambari, 2013, pp. 63-118.
Paolo Demeglio, Archeologia a Santa Giulitta e in Alta Val Tanaro: una dinamica diacronica e diatopica in (a cura di) Paolo Demeglio, Un paesaggio medievale tra Piemonte e Liguria. Il sito di Santa Giulitta e l’Alta Val Tanaro, Heredium - Collana della Scuola di Specializzazione in Beni Architettonici e del Paesaggio del Politecnico di Torino -, n. 1-2019

sabato 9 dicembre 2023

E dei due Porcheddu che cosa mi sai dire?

Bordighera (IM): la zona in cui abitava Enzo Maiolino

[Marco Innocenti] Parliamo di qualche tua scoperta archivistica. Del lavoro su Modigliani abbiamo già detto. Ma so che su Giacomo Natta continuano le ricerche.
[Enzo Maiolino] Abbiamo già toccato l'argomento Natta sul quale la ricerca continua. Abbiamo avuto qualche risultato (grazie anche all'attenzione dell'amico Astengo) soprattutto in campo epistolare. Ma mancano ancora altri testi sia di che su Natta. Mi piacerebbe portare a termine, arrivare a risolvere ciò che chiamo i due gialli Natta. Uno (ma te ne ho già parlato) riguarda il mistero della scomparsa delle carte recuperate da Fonzi (e poi scomparse). L'altro riguarda i rapporti Natta-Feltrinelli (mai chiariti) su traduzioni affidate a Natta.

[Marco Innocenti] In tutto questo c'entra anche una valigia di documenti di Bruno Fonzi.
[Enzo Maiolino] La faccenda della valigia si riferisce al "giallo" Natta-Fonzi. Si tratta della valigia che conteneva le carte di Natta, recuperate da Fonzi a Roma dopo la morte dello scrittore ligure.

[Marco Innocenti] Mario Cupisti, noto a Sanremo per la sua attività giornalistica, e che curiosamente in alcuni suoi pezzi si firmava Alberto Modigliani, ebbe rapporti con Lorenzo Viani. Ecco un altro di quei filoni segreti che tu spesso vai seguendo.
[Enzo Maiolino] Sapevo che Cupisti era imparentato con Lorenzo Viani, ma non ho mai saputo in che modo. Comunque anche Cupisti era di estrazione toscana (viareggina come Viani?).

[Marco Innocenti] E dei due Porcheddu che cosa mi sai dire?
[Enzo Maiolino] Beppe Porcheddu (classe 1898) era lo zio di Gian Antonio Porcheddu (1920-1973). Beppe, più noto come straordinario disegnatore/illustratore, scompare misteriosamente a Roma, nel 1947, mentre era ospite degli amici Dino e Aurora Giacometti. Recentemente è stato ricordato a Torino con una mostra a cura di Santo Alligo.
Gian Antonio, morto prematuramente nel 1973, era pittore di notevole talento, particolarmente colto e informato sulle avanguardie storiche del '900. Aitante, di bell'aspetto (aveva avuto anche qualche esperienza in campo cinematografico), nonostante un'esistenza sregolata, con atteggiamenti da artista maudit, ha lasciato un'opera imponente, perfettamente ordinata nei suoi vari aspetti.

[Marco Innocenti] Ci fu una mostra sui pittori di Bordighera, frutto di un'indagine durata mesi.
[Enzo Maiolino] "Pittori di ieri a Bordighera" è il titolo (proposto da Cesare Perfetto) di un'importante mostra a Bordighera (uno degli eventi culturali che la città realizzò nel 1971 nell'ambito dei festeggiamenti per il V Centenario della fondazione della città).
Su segnalazione di Balbo, ebbi l'incarico di coordinare i lavori di una "Commissione Artistica Esecutiva" (reperimento opere, allestimento, ecc.). A Lorenza Trucchi fu affidata la redazione del testo introduttivo in Catalogo (quest'ultimo a mia cura). Ebbi l'idea di chiedere a Balbo qualche ricordo sui pittori della mostra da lui conosciuti. Balbo fornì un testo importante, di grande freschezza evocativa, che venne pubblicato in Catalogo. Catalogo oggi considerato una... rarità bibliografica e per il quale realizzai un "menabò" per il tipografo che prevedeva l'impostazione grafica di ogni pagina ("menabò" purtroppo smarrito durante la realizzazione del Catalogo). La pubblicazione - ricordo - fu richiesta anche dall'Istituto della Enciclopedia Italiana (Treccani).
A Morlotti, invece, Bordighera dedicò una mostra al Palazzo del Parco nel 1978, in occasione del conferimento della cittadinanza onoraria al pittore lombardo.


Enzo Maiolino, Non sono un pittore che urla. Conversazioni con Marco Innocenti, philobiblon, Ventimiglia, 2014, pp. 147-149

sabato 2 dicembre 2023

In poco più di una trentina di chilometri di costa, da Imperia a Ventimiglia, i dialetti locali, alla metà del Novecento, sono molti e ben differenti gli uni da gli altri

Bevera, Frazione di Ventimiglia (IM): il fiume Roia, la centrale elettrica, una cava, la linea ferrata per Val Roia e Cuneo

"La Val Bévera era piena di gente, contadini e anche sfollati da Ventimiglia, e s’era senza mangiare; scorte di viveri non ce n’era e la farina bisognava andarla a prendere in città. Per andare in città c’era la strada battuta dalle cannonate notte e giorno.
Ormai si viveva più nei buchi che nelle case e un giorno gli uomini del paese si riunirono in una tana grande per decidere.
- Qui,- disse quello del comitato,- bisogna fare a turno che deve scendere a Ventimiglia a pigliare il pane" (La fame a Bévera in RR I, p. 253).
"Così Bisma andò a Ventimiglia anche l’indomani. […] Ogni giorno continuò ad andare giù e a portare il pane, e ogni giorno la scampava, passava attraverso le bombe incolume: dicevano avesse fatto un patto con il diavolo.
Poi i tedeschi abbandonarono la riva destra del Bévera, fecero saltare due ponti e un pezzo di strada, misero le mine" (La fame a Bévera in RR I, p. 257).
"Furono falciati insieme, uomo e mulo, ma rimasero ancora in piedi. Come se il mulo fosse caduto sulle quattro zampe, e fosse tutto d’un pezzo, con quelle sue gambe nere e sbilenche. […] poi s’inchinarono insieme, uomo e mulo; sembrava stessero per fare un altro passo, invece diroccarono giù uno sopra l’altro" (La fame a Bévera), (RR I, p. 259).
Il racconto La fame a Bévera è ambientato durante la seconda guerra mondiale, presso Bévera, una frazione del comune di Ventimiglia. Il paese è situato alle pendici sud-est del monte Pozzo (560 mt. s.l.m.), verso la confluenza dell’omonimo torrente con le acque del fiume Roia, a quattro chilometri dal capoluogo. Probabilmente il toponimo Bévera aveva in origine il significato di «corso d’acqua dove si abbeverano le greggi».
Le parole di Calvino, nel racconto confluito in Ultimo viene il corvo, ci presentano un paese segnato profondamente dalla presenza nemica costante, dove si fatica a recuperare il minimo di viveri per il sostentamento. La figura di Bisma è in stretto rapporto con la città semi distrutta: «un paio di baffi bianchi, bisunti e spioventi, sembrava stessero per cascare in terra da un momento all’altro, come tutte le parti del suo corpo» (RR I, p. 254). Anche il fidato mulo contribuisce a creare un ambiente devastato e desolato: «col collo piatto come una tavola chinato fino a terra, e una cautela nel muoversi come se le ossa sporgenti stessero per rompergli la pelle e sbucargli fuori dalle piaghe nere di mosche» (RR I, pp. 254-255). L’immagine che si presenta è quindi quella di un uomo anziano e sordo che per tutta la vita ha sempre dovuto guadagnarselo il pane, con fatica e asperità, ritrovandosi adesso a ricercarlo «per tutta Bévera». La sordità lo aveva fatto vivere in un mondo ovattato e silenzioso, stesso destino riservato al suo mulo: «Gli scoppi non lo imbizzarrivano: aveva tanto penato in vita sua che nulla poteva fargli più impressione» (RR I, p. 255). Quindi, forse incoscientemente, si propongono come veri e propri eroi alla ricerca del pane per l’intero paese, attraversando i nemici e i bombardamenti.
«Finché ho scritto di partigiani sono sicuro che andavo bene: dei partigiani avevo capito molte cose, e attraverso a quelli avevo messo il naso in parecchi strati anche ai margini della società» (S, p. 2711) e Bisma, a mio parere, rappresenta proprio l’esempio di uomo non conformista, né borghese, modello ricercato da Calvino che emerge in Questionario 1956. Proposto da G. B. Vicari a Calvino nel 1956, si interroga l’autore riguardo gli ambienti e i personaggi di cui amava maggiormente scrivere: «Le storie che mi interessa di raccontare sono sempre storie di ricerca d’una completezza umana, d’una integrazione, da raggiungere attraverso prove pratiche e morali insieme al di là delle alienazioni e dei dimidiamenti che vengono imposti all’uomo contemporaneo» (S, p. 2712) e, il protagonista de La fame a Bévera è sicuramente un uomo di cui Calvino ama raccontare le gesta e lo stile di vita non convenzionale.
Infine, una suggestione riguardo ai dialetti locali, emerge in un saggio di Calvino intitolato Il dialetto <29. Ad una domanda riguardo l’uso dei dialetti nella cultura contemporanea, Calvino risponde: «Quando ero studente, cioè già in una società che parlava correntemente in lingua, il dialetto era ciò che ci distingueva - per esempio - noi di San Remo dai nostri coetanei per esempio di Ventimiglia o di Porto Maurizio, e dava motivo a frequenti canzonature tra noi» (S, p. 2815).
In poco più di una trentina di chilometri di costa, da Imperia a Ventimiglia, i dialetti locali, alla metà del Novecento, sono molti e ben differenti gli uni da gli altri e non solo nelle città costiere, ma ancora più forte nei paesi dell’entroterra: «per non parlare del contrasto più forte dei dialetti dei villaggi montanari, come Baiardo e Triora, che corrispondevano a una situazione sociologica completamente diversa» (ibidem).
Calvino attribuisce al dialetto una grande «ricchezza lessicale» che costituiva «un patrimonio […] insostituibile» e riferisce al lettore che quando aveva incominciato a scrivere, quindi nelle sue prime opere, la sua lingua, vicina al dialetto e all’uso del parlato popolare, erano considerati per lui, «garanzia d’autenticità». Non scrive attingendo costantemente ai dialetti locali, ma ne fa uso preciso e limitato a voci spesso legate a «tecniche (agricole, artigiane, culinarie, domestiche) la cui terminologia si è creata o depositata nel dialetto più che nella lingua» (ibidem). Quindi, personaggi come Bisma, uniti anche all’uso dell’italiano popolare, hanno contribuito a far conoscere altri aspetti del ponente ligure agli innumerevoli lettori di Italo Calvino.
[...] Percorso consigliato: partendo dalla stazione della cittadina, si percorre una vecchia pista militare dove si trovano numerose fortificazioni risalenti alla seconda guerra mondiale. Il giro compie un breve anello intorno alla cima del monte Pozzo.
Lungo il tragitto sono visibili rifugi militari ora usati come ricoveri per animali. La quota massima non supera i 500 mt. di altitudine sul livello del mare e il sentiero in alcuni punti è a strapiombo sulla sottostante val Roya. Tutta la val Bévera, con il forte Saint-Roch, il forte dell’Agaisen e il forte del Barbonnet, costituisce un patrimonio storico artistico che testimonia i tormentati episodi bellici in questo scenario montuoso.
[NOTA]
29 Saggio uscito nel 1976, il 9 maggio su «La Fiera letteraria», S, pp. 2814-2817.
Elisa Longinotti, Calvino e i suoi luoghi, Tesi di laurea, Università degli Studi di Genova, Anno Accademico 2022-2023