Enzo Maiolino, Trasparenza T, 2005 - Fonte: www.printshow.it |
È sulla seconda linea che, fin dagli inizi, si articola il percorso artistico di Enzo Maiolino: le prime opere pittoriche, realizzate tra il 1949 e il 1951, un periodo che coincide con la frequentazione della scuola serale del pittore Giuseppe Balbo, già annunciano quella inclinazione alla semplificazione formale - e, dunque, all’astrazione - che sarà una caratteristica costante in tutta la sua opera, sia pittorica che incisoria.
Maiolino trae i suoi primi soggetti dalla realtà che lo circonda - persone, oggetti, casolari, architetture e paesaggi a lui familiari - ma non per questo indulge alla descrizione o al racconto: anzi, proprio la consuetudine che ad essi lo lega è all’origine dell’estrema naturalezza con cui egli tralascia tutto ciò che è superfluo e accessorio per arrivare a cogliere solo l’essenziale. In questa fase Maiolino coniuga, dunque, figurazione e astrazione, dimostrando come la seconda possa essere una soluzione linguistica da applicare alla prima per sortire determinati esiti formali ed espressivi.
Autodidatta al di là dell’insegnamento di Balbo, Maiolino cerca nei libri i suoi maestri e li trova nei macchiaioli toscani, in Daumier, in un certo Corot, nel nostro Morandi sino a Casorati <3.
In essi ritrova quella sintesi verso la quale lo spinge la sua naturale inclinazione alla semplificazione e, guidato dal loro esempio, sottopone i suoi soggetti ad un sempre più rigoroso processo di riduzione formale che sfocia, entro il 1955, in opere in cui le forme del reale sono risolte per stesure piatte di impianto rigorosamente geometrico, fino a sfiorare il completo dissolvimento delle sembianze dell’oggetto nell’astrazione.
A questo punto la vicenda biografica e artistica di Maiolino segna una battuta d’arresto, trascurabile ai fini della nostra indagine <4: ciò su cui, invece, è interessante riflettere è il limite raggiunto il quale il cammino di Maiolino all’insegna dell’astrazione si arresta, per riprendere solo vent’anni dopo. Quando Maiolino - non ancora culturalmente preparato ad accogliere risultati così radicali come quelli cui era istintivamente pervenuto - chiede a se stesso una verifica e torna a dipingere e a disegnare dal vero, egli è, infatti, ad un passo dal compiere il salto verso l’arte concreta, termine coniato nel 1930 dall’artista olandese Theo Van Doesburg, convinto assertore del fatto che non ci fosse nulla di più concreto di una linea, di un colore, di una superficie.
Non è un caso che proprio in quel periodo, e per l’esattezza nel 1953, Maiolino si fosse imbattuto in un testo di Max Bill intitolato Max Bill spiega la pittura concreta <5. Ne era rimasto profondamente colpito ma - ci spiega - ne avrebbe capito tutta l’importanza solo trent’anni più avanti; in quelle pagine, ad ogni modo, egli aveva intravisto, per la prima volta, quello che sarebbe stato il futuro della sua arte.
In uno dei passaggi centrali del suo scritto Max Bill offre un esempio straordinariamente chiarificatore della differenza che esiste tra l’arte astratta e l’arte concreta: La pittura astratta prende inizialmente spunto da un modello tratto dalla natura, che quindi modifica e trasforma in modo che alla fine non rimane quasi traccia del modello stesso. Così, per esempio, un punto rosso in una superficie bianca può di fatto essere la rappresentazione astratta di un paesaggio invernale con il sole rosso velato dalla nebbia. La pittura concreta non prende mai lo spunto da un simile processo naturale. L’elemento primario è puramente artistico, sia che si tratti di una rappresentazione plastica, ritmica o pittorica [...]. Per restare all’esempio fatto, nel caso della pittura concreta il punto rosso sulla superficie bianca non è mai un paesaggio con il sole, ma semplicemente ed esclusivamente il concorso di una superficie bianca e di un punto rosso, concorso nel quale la posizione, la grandezza e la qualità di colore del punto nei confronti della superficie costituiscono il fondamento dell’espressione. Si tratta di una semplice figura ideologica che, resa visibile e tradotta in un quadro, ha dato origine ad un oggetto concreto. Qualcosa, che prima esisteva esclusivamente nel mondo delle idee (un punto su una superficie bianca) diventa una realtà che può essere controllata e osservata <6.
Questa distinzione, per quanto schematica, è assai utile per comprendere come l’arte astratta presupponga sempre un dialogo con la figurazione che può risolversi, di volta in volta, in processi di stilizzazione, di deformazione o di riduzione e che, talora, può arrivare al completo dissolvimento del dato reale nel colore, nel ritmo lineare o nella semplificazione formale.
È proprio a quest’ultimo risultato che Maiolino approda nella prima metà degli anni Settanta, sottoponendo a graduali “sottrazioni” i suoi Blocchi Liguri - l’architettura dei vecchi borghi liguri era diventata, a partire dagli anni Sessanta, soggetto pressoché esclusivo della sua ricerca, anche in relazione alla lezione teorica di André Lhote - ed eliminando così residue allusioni al dato reale <7.
Significativamente, in questo periodo, Maiolino inizia ad introdurre nei titoli delle sue opere il termine Composizione e a relegare tra parentesi (evidenziandone il carattere accessorio), o addirittura a “criptare” con le iniziali dei loro nomi, i riferimenti ai luoghi che avevano originato quelle soluzioni formali.
Maiolino approda così a quello che definisce il “suo” astrattismo; e di astrattismo a tutti gli effetti ancora si tratta perché, sebbene il dato reale sia ormai completamente dissolto nella geometria, permane nell’opera il riferimento ad un modello tratto (astratto) dal mondo fenomenico <8.
Arriviamo così alla metà degli anni Settanta; avendo verificato l’adeguatezza dei propri mezzi espressivi e fugato i dubbi sulla legittimità della propria naturale inclinazione alla semplificazione formale, Maiolino è finalmente libero di assecondare quell’interesse per la struttura formale e compositiva dell’opera che lo conduce all’arte concreta: Al successivo - graduale e naturale - passaggio verso soluzioni ‘concrete’ contribuirono due “scoperte” determinanti: il Tangram nel 1976 e i Polimini (pentamini ed esamini) nel 1982. In essi percepii anzitutto un “repertorio” di forme geometriche - a me congeniali per la loro semplicità - delle quali intuii le innumerevoli possibilità combinatorie: accostamenti, intrecci, incastri, sovrapposizioni (con effetti di trasparenza) <9.
Da allora Maiolino non è più tornato indietro: il testo di Max Bill lo custodisce gelosamente e ne parla - lui, ben poco incline a cedere all’irrazionale - come di un incontro profetico. Come dargli torto, quando vi si trovano non poche osservazioni che paiono commenti alla vita e all’opera di Maiolino?
Basti pensare che il testo si chiude così: Questa chiarezza ottenuta mediante la pittura concreta si rivolge allo spirito umano, che ogni giorno, ogni ora ha bisogno di un punto di equilibrio, che può venire raggiunto quando l’occhio abbia spaziato e si sia soffermato sui ritmi che gli si sono presentati; potrà quindi tornare ai suoi nuovi compiti riposato, e ricco di nuovi impulsi <10.
[NOTE]
3 Così Maiolino nella memoria, inedita, che egli ha voluto gentilmente mettere a disposizione nei nostri studi.
4 Si veda, a proposito, il saggio di L. Lecci pubblicato in questo catalogo.
5 Max Bill spiega la pittura concreta, in “Sele-ARTE”, n. 2, settembre-ottobre, 1952, pp. 11-16.
6 Ibidem, pp. 12-14. Max Bill riprende qui l’esempio del punto rosso sulla superficie bianca che aveva già illustrato nell’altrettanto prezioso contributo intitolato Dall’arte astratta all’arte concreta, pubblicato nel catalogo della mostra Arte Astratta e Concreta, allestita a Palazzo Reale e Milano nel 1947 per l’organizzazione del gruppo l’”Altana” con la collaborazione di Max Bill e Max Huber: Ugo Nebbia che scrive, senza firmarla, l’introduzione al catalogo precisa che si tratta della prima rassegna di arte astratta e concreta presentata in Europa dalla fine della guerra, la prima in assoluto in Italia. Sono esposte importanti opere di alcuni fra i più significativi maestri storici sia dell’astrazione che del concretismo; numerose sono anche le presenze di artisti italiani già attivi prima della guerra tra cui Gillo Dorfles, Gianni Monnet, Bruno Munari e Atanasio Soldati, futuri fondatori del M.A.C. (Movimento Arte Concreta).
7 Cfr. nota 3.
8 Il confronto tra le Composizioni ispirate ai vecchi borghi di Liguria e la ricchissima produzione “concreta” dell’artista si rivela assai utile per comprendere come non tutta l’arte astratto-geometrica sia necessariamente concreta: dietro opere costruite unicamente attraverso rapporti di forme geometriche si celano, non di rado, ricordi di oggetti o di situazioni reali che le rendono “astratte”.
9 Cfr. nota 3; per ulteriori informazioni sui sistemi dei Polimini e del Tangram si rimanda, rispettivamente, al saggio di L. Lecci e di W. Vitt, pubblicati in questo catalogo.
10 Cfr. nota 5, p.16
Paola Valenti, Enzo Maiolino dall'astrazione al concretismo, in (a cura di) Leo Lecci e Paola Valenti, Geometrie in gioco: Enzo Maiolino, opere 2000-2007, Catalogo della Mostra tenuta a Sanremo nel 2007, Genova, De Ferrari, 2007
Il suo ultimo atto di generosità è recentissimo: Maiolino ha voluto donare all'Archivio d'Arte Contemporanea dell'Università di Genova i libri e i preziosi documenti su Amedeo Modigliani da lui raccolti durante tutta la vita e in parte pubblicati nel 1981 in Modigliani vivo, un libro che rivedrà presto la luce in una nuova edizione per l'editore genovese De Ferrari, con un diverso titolo scelto dallo stesso Maiolino: Modigliani, dal vero. Questa donazione si aggiunge a quelle già compiute negli anni passati per il nostro archivio: libri, documenti, materiali importantissimi per chi si interessa alla cultura artistica del Novecento [...]
Leo Lecci, Addio a Maiolino, l'ultimo "archivista" dell'arte, la Repubblica, 23 novembre 2016
Non è sorpresa se Enzo Maiolino ha assorbito dalla terra di Liguria, dove ha vissuto dall'età di undici anni, il senso della misura, della discrezione: il pudore del fare. Questo tratto lo accomuna ad altri protagonisti della storia culturale di questa regione: penso a Sbarbaro, a Firpo, allo stesso Mario Novaro.
È perciò con convinta partecipazione che ho accolto l'invito di dedicare un numero della nostra rivista a questo artista, in occasione del suo settantacinquesimo compleanno.
Un artista, peraltro, molto particolare e complesso: pittore, incisore, scrittore, studioso, amico di tanti intellettuali "ponentini" o approdati per differenti motivi a Bordighera e dintorni.
Ma due altre ragioni, e non di poco conto, hanno contribuito a sollecitare questo affettuoso omaggio: la mostra che il genovese Museo d'arte contemporanea di Villa Croce ha voluto dedicare alla sua opera grafica ed il "Premio Mario Novaro per la cultura ligure" che la nostra Fondazione ha deciso di assegnargli per il 2001.
Questo quaderno, oltre a rileggere attraverso alcuni approfonditi saggi il percorso creativo di Maiolino, intende evidenziare anche la molteplicità dei rapporti da lui intrattenuti con alcuni protagonisti del Novecento letterario italiano, da Carlo Betocchi a Luciano De Giovanni, da Giacomo Natta a Vanni Scheiwiller, da Guido Seborga a Biagia Marniti.
Proprio per sottolineare questa variegata rete di interessi e di curiosità, oltre all'intervista che Domenico Astengo è riuscito a carpire al sempre ritroso Maiolino, le pagine che seguono propongono diversi "cammei", alcuni dei quali inediti, che amici scrittori gli hanno dedicato. Anche la bibliografia, posta in chiusura, prende soltanto in esame l'aspetto "letterario" della sua attività.
Maria Novaro, Prefazione, Enzo Maiolino, La Riviera Ligure - Quaderni quadrimestrali della Fondazione Mario Novaro Anno XII - numero 35, maggio-agosto 2001
La prima raccolta di poesie di Luciano De Giovanni fu salutata con favore da Giorgio Caproni e Luigi Baldacci, per limitarsi a due (illustri) nomi. E si segnali la stima di Italo Calvino, quasi coetaneo e quasi conterraneo (al netto del dato anagrafico: 1922, Santiago de las Vegas) di De Giovanni, che ebbe a dire dialogando con Alberto Arbasino: «Lo scrittore dev’essere un gran signore. Se no, non fa niente di buono. Per gran signore intendo anche uno stagnino che fa lo stagnino tutto il giorno, e la sera, se gli viene, scrive versi. (Non è una figura retorica; almeno uno ne esiste; io lo conosco)» (Arbasino 1971: 94).
Alessandro Ferraro, Le mille forme dell’amicizia, Cuadernos de Filología Italiana, 2014, vol. 21, 325-332
Walter Witt, "L'opera incisa e serigrafica di Enzo Maiolino", Das druckgrafische Werk Steinmeier Verlag, Nördlingen 2000
Affrontare un parallelo così è impensabile senza trattare le vicende personali, data anche la vicinanza della relatrice con la famiglia Maiolino dall’età di 15 anni, testimoniata in sala anche dalla presenza della figlia Giovanna Maiolino, commossa nel vedere l’affetto del pubblico ad un anno dalla scomparsa dell’artista, pittore, incisore, archivista e scrittore.
Aveva mille volti Enzo Maiolino ma uno si condensava il suo lato più umano e sincero: l’amicizia, l’altruismo e la gioia di condividere. Si passa così attraverso il volume di Giacomo Natta «Questo finirà banchiere», ma soprattutto tra le fotografie storiche che li ritraggono insieme e poi si sorride con gli schizzi, a volte dagli accenti caricaturali, di Maiolino che abbozza Natta intento a scrivere o mentre lo abbraccia.
Si intrecciano in questo sodalizio artistico altri grandi nomi come Camillo Sbarbaro, Giuseppe Ungaretti e Bruno Fonzi. Fa da sfondo alla conferenza la mostra con una cartella di serigrafie che, come spiega la figlia del maestro Giovanna Maiolino, «E’ stata pubblicata nel 1996 in Germania ma in Italia è poco nota, composta da 8 serigrafie più un collage. Rappresenta un periodo molto significativo della vita di mio padre, quello in cui ha attraversato tutta la Germania».
Fedele ad una matrice neocubista fino agli anni Sessanta, Enzo Maiolino nella maturità abbraccia un’astrazione che mette in secondo piano le forme per incentrarsi sui cromatismi. Periodo intenso del maestro che vede un largo successo della critica e le mostre a Colonia, Francoforte e Münster con Walter Witt oltre all’antologica al Museo di Villa Croce a Genova che ancor oggi i liguri ricordano. Il coronamento nel 2001 con il premio Mario Novaro e la recente pubblicazione del testo «Modigliani vivo. Testimonianze inedite e rare».
La mostra «Serigrafie» presso la sede dell’ANPI di via al Mercato 8 a Bordighera è aperta fino al 20 novembre tutti i giorni dalle 17 alle 19 ad ingresso libero. Due opere sono anche visibili nell’atrio del Cinema Zeni nell’orario di apertura (via S. Ampelio 4).
Chiara Salvini, Bordighera, le «Serigrafie» di Enzo Maiolino e «quell’amicizia tra arte e letteratura», neldeliriononeromaisola, 16 novembre 2017
Enzo Maiolino, Senza titolo - Fonte: Geometrie in gioco qui cit. |
Verrà proiettata la sua Intervista biografica, realizzata nel Dicembre del 2010 per la Collana Artisti Italiani inPRESSIONI da G.C. Torre, G. Daprà, E. Maggioni.
La partecipazione sarà particolarmente gradita.
Cari saluti.
Giorgio Loreti.
Perché l’astratto geometrico?
Perché mi è congeniale e risponde al mio desiderio di chiarezza, di rigore formale, all’amore per le forme nitide, al senso dell’ordine.
Enzo Maiolino, 15 novembre 1980
Concepisco la pittura come ricerca d’armonia, di ordine, di equilibrio, come risposta a una insopprimibile necessità espressiva”, “l’attività incisoria non è subordinata alla pittura: procede parallelamente. Nella realizzazione di un’acquaforte, eseguo personalmente tutte le varie operazioni (quale fascino nella componente artigianale!): dalla pulizia e preparazione delle lastre (zinco) sino alla tiratura “a braccio”, con il mio piccolo torchio, di poche prove d’autore.
Enzo Maiolino
Chiara Salvini, [...] si è svolta la commemorazione del rimpianto Amico pittore, incisore, docente Enzo Maiolino nella ricorrenza del terzo anniversario della morte, neldeliriononeromaisola, 12 novembre 2019
Enrico Della Torre, in vacanza a Bordighera in questi giorni di Festività Natalizie e di fine anno, passa tutti i giorni dalla mostra per un saluto. E si ferma per conversare spontaneamente e amichevolmente coi presenti. Valore aggiunto alle belle opere esposte. Grazie ancora e un abbraccio.
nemo, commento, neldeliriononeromaisola, 28 dicembre 2019
“Sono sempre stato convinto che si fa arte perché spinti da un’incontenibile necessità espressiva, non dal desiderio di inviare messaggi (espressione che mi fa ridere)”.
Enzo Maiolino in Non sono un pittore che urla (2014)”