mercoledì 24 giugno 2020

Vi conobbi Guido Hess, un romanziere torinese

Sergio Ciacio Biancheri per Atti impuri
 
Fin dagli anni ’50 Bordighera è stato un centro culturale decisamente animato, e Seborga passava spesso le sue giornate nei caffè del centro, intrattenendosi con coloro che diverranno i suoi compagni di una vita. Nei locali ormai scomparsi del Gran Caffè della Stazione, o del Caffè Giglio sull’Aurelia, poi del bar Chez Louis di C.so Italia (davanti all’allora sede del P.S.I), si è incontrata e formata più di una generazione di artisti liguri: oltre a quella di Seborga e dei pittori Balbo e Maiolino, che all’inizio degli anni ’50 fondarono i premi delle “Cinque Bettole” per la pittura e per la letteratura, passando libri e stimoli a scrittori come Sanguineti e Biamonti, quella più giovane di Giorgio Loreti e Angelo Oliva, che insieme a Seborga scoprirono i poeti francesi, i surrealisti, gli esistenzialisti e la politica. 

Guido Seborga ed Enzo Maiolino in primo piano. Sullo sfondo, a destra, Giacomo Natta. Foto: Beppe Maiolino. Fonte: Laura Hess

Tutti i nomi sopra citati, e non solo, furono variamente influenzati dall’azione continua di formazione e incitamento all’organizzazione giovanile che Seborga portò avanti nella Bordighera di quegli anni.
Nel 1956 Seborga, che già conosceva Francesco Biamonti e faceva parte della giuria delle “Cinque Bettole”, lo indusse a parteciparvi con la speranza che si mettesse in luce: e infatti "Dite a mio padre" vinse il concorso diventando il secondo racconto pubblicato da Biamonti, il giorno dopo la premiazione, il 12 agosto del 1956, su “Il nuovo eco della Riviera”. Si tratta di un racconto di memoria sulla guerra e la Resistenza, nel quale Biamonti sembra ispirarsi proprio al Seborga de "L’uomo di Camporosso" e alla letteratura sulla Resistenza francese di Vercors e Aragon, per il suo tono a tratti da dramma popolare.
Anche la successiva pubblicazione di Biamonti, l’estratto di romanzo (altrimenti inedito) "Colpo di grazia", venne pubblicato e presentato da Seborga in “A Barcà. Notizie da Bordighera”, un numero unico che conteneva il catalogo delle opere esposte nella mostra Chez Louis e alcuni scritti inframmezzati da riproduzioni.
Seborga non perdeva occasione per promuovere i suoi compagni e per Biamonti fu uno straordinario ufficio stampa: fece scrivere su un “Corriere Mercantile” che “Tra Bordighera e Ventimiglia si vede aggirarsi lo scrittore Francesco Biamonti, premio 5 Bettole per un racconto, con una cartelletta ricca di fogli, si tratta di un romanzo, ci auguriamo che presto nasca sulla costa di Ponente un nuovo scrittore valido, accanto ai buoni pittori che già qui esistono…” ; in seguito riscrisse sullo stesso giornale, prendendosela contro i soliti “piccoli giochi d’interesse localissimi”, che “bisogna sempre aiutare i migliori giovani di qui. Lo scrittore Biamonti, già premio Cinque Bettole, ha recentemente terminato un valido romanzo, Colpo di grazia che sta interessando i migliori editori” ; e ancora, in un articolo dal titolo di Nuovi fiori sulla nostra costa, Seborga citava “le pagine scritte da certi giovani come Oliva, Lanteri, Loreti, per non dire del romanzo "Colpo di grazia" di Biamonti, dimostrano ampiamente che un clima di ricerca intellettuale i migliori giovani hanno saputo creare” .
Il romanzo fu comunque scritto e riscritto da Biamonti senza essere mai pubblicato ma possiamo notare che il brano edito iniziava con le seguenti parole: "Riusciamo sempre a crearci una vita in una assunzione di uomini e di cose, in una continua incarnazione, visibile o segreta". Tutto Colpo di grazia esplorava infatti il tema della presenza/assenza alla realtà, caro a surrealisti ed esistenzialisti e probabilmente ispirato dagli infiniti dibattiti con lo stesso Seborga. Rispetto al racconto precedente di Biamonti, si può notare in questo scritto una netta evoluzione sia del linguaggio che delle tematiche, e proprio in questa ci pare di ravvisare il ruolo di Seborga: da un lato per lo sforzo teso a dare al linguaggio e alla pagina un valore ritmico superiore; dall’altro poiché Seborga, avendo vissuto a Parigi, ha svolto in Italia una funzione di cerniera tra due movimenti, quello delle Avanguardie storiche e quello dell’Esistenzialismo francese. D’altra parte Seborga conobbe a Parigi Jacob, Duchamp e lavorò a “Europe” con Artaud, Aragon, Bloch, Eluard, ma frequentò anche la Sorbona (come già alcuni anni prima Ungaretti che vi seguiva le lezioni di Bergson) e Camus, Sartre, Simone De Beauvoir, Merleau Ponty. La sua posizione sul realismo e il romanzo fu sempre molto precisa e dichiarata: da giovane si definì surrealista per la sua frequentazione parigina di Artaud, Breton, Eluard, Tzara e precisò poi che solo dal surrealismo poté nascere il suo realismo, la sua avanguardia internazionale, che in Italia voleva proseguire l’opera di Verga, Tozzi, Alvaro, Jahier…"Se non ci fosse stato il Surrealismo forse non saremmo nati, e anche molte delle tematiche esistenzialiste erano già contenute nei manifesti di Breton e di Eluard".
Seborga considerava quindi la propria fede “realista” come una sintesi delle avanguardie, e sostenne con consapevolezza un ruolo peculiare per tanti giovani, liguri e non, che gli è stato riconosciuto anche da Edoardo Sanguineti: "Bordighera è legata al mio entrare nella conoscenza della scrittura, per esempio. Ecco, mi sedevo in un caffè, la mattina, e lì, lontano dalla confusione di oggi, leggevo, imparavo. Vi conobbi Guido Hess, un romanziere torinese … il quale aveva pubblicato qualcosa col proprio nome e, in seguito, con quello di Guido Seborga. Ebbe un momento di fama e poi fu ingiustamente dimenticato. Di lui ricordo un primo romanzo (si era nei primi anni '50) e un altro in versi. Era un personaggio singolare, una sorta di sperimentalista “ante litteram”. Passeggiavamo sul lungomare di Bordighera e chiacchieravamo. Fu uno dei miei primi punti di riferimento culturale e mi fece conoscere Antonin Artaud, di cui mi prestò “Héliogabale”" .
Sanguineti ricorda spesso che grazie a Seborga scoprì l’Avanguardia, che era poco amata dai neorealisti: “si trattava di trovarli questi libri e Seborga me li portava. Curioso, lui che scriveva romanzi nient’affatto spregevoli ma nell’ambito di una poetica neorealista, mi iniziò alla conoscenza delle avanguardie storiche… Ma era un tipo bizzarro”.
Va sottolineato come i dibattiti, pubblici e privati, promossi da Seborga a Bordighera abbiano formato profondamente intere generazioni: alle diverse iniziative già messe in atto se ne aggiunse una nuova quando, alla fine degli anni ’50, il giovane socialista Giorgio Loreti e altri suoi colleghi chiesero aiuto anche a Seborga per la fondazione dell’Unione Culturale Democratica. Lo stesso nome del “circolo” fu suggerito da Seborga, che era stato tra i fondatori più impegnati dell’Unione Culturale a Torino e forse voleva così portar bene all’iniziativa. L’Unione ha un primo nucleo nel 1958 a Vallecrosia, ma solo nel 1960 promuove un convegno diretto da Guido Seborga dal tema “Perché leggi?” a Ventimiglia, iniziando attività regolari e la pubblicazione de “Il giornale” come Unione Culturale Edmondo De Amicis. La sede fu trovata a Bordighera in un sotterraneo sull’Aurelia, denominato “la Buca”. Nel programma si dichiarava il desiderio di mettersi “alla testa delle forze giovanili d’avanguardia che intendono un rinnovamento in senso democratico e sociale dell’attuale situazione italiana e internazionale” .
Oltre alla pubblicazione del giornale, il circolo organizzava incontri e attività culturali. Alcune erano di formazione interna, come ad esempio le lezioni su Tommaso Moro e Tommaso Campanella tenute da Loreti nel dicembre del 1960, o quella di Enzo Maiolino su Cézanne. Altre si tenevano invece al Palazzo del Parco di Bordighera ed erano di maggiore rilevanza, come le mostre sui campi di sterminio nazisti e sulla Resistenza italiana o lo storico Convegno sull’Obiezione di Coscienza, che fu il primo in Italia, nel 1962, con interventi di Guido Seborga ed Aldo Capitini.
Dal 30 dicembre del 1960 “Il Giornale” è firmato Unione Culturale Democratica, viene meno il riferimento a De Amicis, ed è riformulato un programma più dettagliato. Il numero di gennaio si apre con un articolo di Seborga, Teppisti giovani e rossi, in cui lo scrittore incita ragazze e ragazzi ad avere il coraggio di prendere la parola, di scrivere, di farsi sentire.
Sul “Corriere della Riviera” del 28 agosto 1963, Seborga scrisse dell’UCD: “Ne fanno parte molti miei amici ed io non sono stato mai impegnato nella direzione, non amo simili uffici. È nata per impeto spontaneo di un gruppo di giovani che desiderano discutere a fondo tutti i problemi dell’ora attuale”. Aggiunse poi che alcuni anziani si erano aggiunti al gruppo, ribadendo il proprio impegno nella salvaguardia e nella riuscita di tali laboratori per imparare “le libere leggi dell’intelligenza” .
La rivista dell’Unione Culturale Democratica fu quindi il banco di prova, il primo spazio libero per molti dei giovani, bordigotti e non, che poi si dedicarono alla scrittura, alla pittura, alla politica. Fin dai primi numeri vi scrissero con Giorgio Loreti, Beppe Maiolino, Angelo Oliva e in una delle sue poche uscite di questo tipo Francesco Biamonti. Andrebbe analizzato con attenzione il testo di un lungo articolo scritto da Biamonti nell’aprile-maggio 1961, in occasione della morte di Merleau Ponty. I legami tra quest’ultimo, Biamonti e Seborga sono molteplici e come il filosofo francese, Seborga fu conquistato dalla biografia di Antonin Artaud su Van Gogh, intitolata Van Gogh, il suicidato della società, tanto che questa sarà all’origine del proprio interesse sull’arte figurativa e i problemi del rapporto tra la realtà e l’uomo.
Seborga, dalle pagine del “Corriere Mercantile” o del “Lavoro”, non scordava mai di sottolineare la necessità (oltre che di premi per i giovani) di nuove università popolari per l’insegnamento delle letterature e di nuove scuole di pittura come quella tenuta da Balbo .
Negli anni '60, in rotta con molti editori, intraprese con più continuità la sua attività di pittore, curando anche alcuni cicli di conferenze dal titolo “Incontri con l'uomo” a Sanremo, a cui partecipò tra gli altri il Nobel Salvatore Quasimodo.
Nel 1961, riuscirà a far ricominciare il premio “Cinque Bettole”, dopo un anno di sospensione, riservandolo agli under 25 per farlo ricrescere in quella “francescana povertà” che lo caratterizzava. E vi sarà coinvolto nuovamente Biamonti, facendo parte (con presidente Seborga) della giuria che premierà il ventunenne Angelo Oliva per il racconto Una grossa porcheria, e come secondo il venticinquenne Bruno Gambarotta, di Torino… un’altra insospettabile scoperta…
Tali iniziative proseguiranno in modo più o meno continuo per tutto il decennio, nel quale Seborga riuscì a essere promotore di un programma di mostre d’arte figurativa, fece parte del comitato d’organizzazione del ciclo di incontri artistici e letterari dal titolo “Dibattiti Arti e Scienze” e della commissione per il coordinamento delle iniziative artistiche e culturali del Comune di San Remo
Poi, riconvinta l’Azienda Autonoma di Soggiorno e Turismo di Sanremo-Ospedaletti a investirlo dell’incarico di realizzare un nuovo ciclo di conferenze, Guido Seborga le inaugurò nella Sala del Teatro del Casinò Municipale il 21 febbraio del 1967 con un dibattito dal titolo “Libri veri, libri falsi nella nostra epoca”, conferenziere lo scrittore e critico Giancarlo Vigorelli (in quel periodo anche Segretario Generale della Comunità Europea degli Scrittori, Comes): tema, come sempre, il realismo come “mezzo dialettico di conoscenza della realtà”.

Claudio Panella, Dedicato a Guido Seborga, bordighera.net, 2011

martedì 16 giugno 2020

Mostra "Forma Combinazione Composizione" di Silvio Maiano



Giovedì 18 Giugno 2020, alle ore 17, nella sede dell'UCD e dell'ANPI di Bordighera in via Al Mercato n. 8, avrà luogo l'inaugurazione della Mostra "Forma Combinazione Composizione" di Silvio Maiano, aperta al pubblico tutti i giorni, dalle 17 alle 19, fino al 25 Giugno 2020.

Silvio Maiano (1973). Appassionato d'arte e artista egli stesso, per le sue opere usa molteplici tecniche e supporti di materiali diversi. Le sue ultime ricerche sono dedicate alla realizzazione di oggetti funzionali che uniscono arte e gioco per coniugare la "programmazione cinetica dell'opera con la variabilità infinita del risultato" (come è stato detto per Bruno Munari) e che suggeriscono una fruizione 'attiva' da parte dei visitatori. Che potranno interagire con le opere esposte e provare così sensazioni ed emozioni non esclusivamente visive. Conoscitore e ammiratore dell'opera e della personalità di Marcel Duchamp, Silvio Maiano ha frequentato Enzo Maiolino (nei suoi ultimi anni) che lo apprezzava per la qualità delle ricerche artistiche e per il rigore delle realizzazioni. Ha al suo attivo mostre personali e partecipazioni a collettive. Vive a Bordighera, è vice presidente della locale sezione dell'ANPI. Giorgio Loreti


Unione Culturale Democratica - A. N. P. I. - Via Al Mercato n. 8,  Bordighera

P.S.
L'ingresso è libero e regolato come per le librerie: accesso con mascherina e non più di due visitatori per volta.
 
 
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Silvio Maiano, ..., 2007. Fonte: Chiara Salvini, art. cit infra


Silvio Maiano, Particolare di bandiera, 2011. Fonte: Chiara Salvini, art. cit infra  

Silvio Maiano, Collage, 2008. Fonte: Chiara Salvini, art. cit infra

[...]
Chiara Salvini,... Silvio Maiano..., Nel delirio non ero mai sola, 23 settembre 2012 

Sugli antichi Statuti di Pigna (IM)


"La nostra antica comunità, con i suoi 800 anni di storia amministrativa (la prima menzione certa di Pigna risale al 1220), vede per la prima volta editi gli Statuti Comunali del 1575".

"La nostra identità comunitaria risulterà sicuramente rafforzata da questo importante saggio, che propone una nuova e attenta lettura degli statuti alla luce del ciclo pittorico di Giovanni Canavesio nella cappella di San Bernardo, datato 1482 e realizzato, proprio come gli statuti comunali, intorno al concetto di giustizia, particolarmente sentito in quei secoli caratterizzati da lacerazioni religiose e politiche così profonde".

Grazie Marco Cassioli!

(Dalla Presentazione di Roberto Trutalli, sindaco di Pigna)

venerdì 12 giugno 2020

Un aviatore del ponente ligure caduto nella Grande guerra

L’equipaggio del Ca. 2378 "Asso di Picche": da sinistra, G.B. Pratesi, Maurizio Pagliano, Gabriele d’Annunzio e Luigi Gori
Destini incrociati durante la Prima Guerra Mondiale: Maurizio Pagliano ed il Vate Gabriele D'Annunzio.
Maurizio Pagliano (Porto Maurizio, 11 ottobre 1890 - Susegana, 30 dicembre 1917) è stato un militare e aviatore italiano. Capitano pilota del Corpo aeronautico militare, fu un pioniere dell'aviazione da bombardamento italiana durante la prima guerra mondiale, insignito di quattro Medaglie d'argento e una di bronzo al valor militare.
Nacque a Porto Maurizio (oggi città di Imperia) l'11 ottobre del 1890 da padre italiano e madre tedesca, e si arruolò come ufficiale nel Regio Esercito, assegnato al Battaglione Aviatori di Torino. 

Dopo l'entrata in guerra dell'Italia, il 24 maggio 1915, con il grado di tenente si distinse immediatamente come espertissimo pilota dei bombardieri Caproni bi e tri-motore. 
Assegnato al pilotaggio dei trimotori Caproni Ca.33, entrò in servizio nel dicembre 1916 presso la 8ª Squadriglia dove fece la conoscenza con il suo secondo pilota, il tenente Luigi Gori originario di Pontassieve e da capitano, sempre con Gori, fu alla 1ª Squadriglia del IV Gruppo aeroplani. 

In meno di due anni la coppia compì numerose missioni su basi militari munitissime, aeroporti e porti austriaci. Nel periodo più critico (estate 1917) attaccarono più volte a bassissima quota accampamenti militari, colonne in movimento e trincee avversarie.
Nella notte dell'11 maggio 1917 D'annunzio e Pagliano decollarono da Pordenone a bordo del Ca.33 (matricola 2609) spingendosi fin sulla rada di Pola, dove sganciarono dieci bombe tipo “162” (ognuna da 25 kg) e ritornarono alla base. Tale missione venne effettuata in condizioni di scarsa visibilità, senza scorta Caccia, e contro gli ordini ricevuti, ma dimostrarono la possibilità di svolgere missioni notturne a lungo raggio. 
Il 12 maggio lo stesso Comando Supremo, su ordine del Capo di stato maggiore dell'esercito, generale Luigi Cadorna, ne diede notizia il giorno dopo sul Bollettino di guerra. 
Tra il 15 giugno e il 28 luglio del 1917 i due aviatori effettuarono numerose missioni tutte riportate sulla prua del loro velivolo, il Caproni Ca.3 N.2378 Asso di Picche e battezzato col motto "Nulla via Invia".
A partire dalla seconda metà del mese di luglio il coraggio e l'abilità dei due piloti non passarono inosservate, ed il poeta soldato Gabriele D'Annunzio scelse i due aviatori, insieme al tenente osservatore Giovanni Battista Pratesi, per formare l'equipaggio del bombardiere Ca.3 (matricola 2378). Insieme effettuarono dapprima delle audacissime missioni di bombardamento notturno sulla piazzaforte di Pola (3, 4, 8 agosto 1917), quindi una serie di mitragliamenti e bombardamenti a bassa quota sul ridosso dell'Hermada e sulla Bainsizza. Il 25 agosto con Gori e D'Annunzio lanciò bombe nella zona di Lokve (Croazia). 

Il pomeriggio del 29 agosto l'aereo partecipò a un bombardamento contro i depositi di artiglieria e i concentramenti di truppe austro-ungariche a Voicizza e nel bosco di Pannonizza. L'affiatamento raggiunto, fece sì che D'Annunzio scegliesse Maurizio Pagliano e Luigi Gori come equipaggio per effettuare un volo su Vienna. 

Il Comando Supremo chiese che venisse dimostrata la capacità del velivolo con un volo a lunga durata ed il 4 settembre i due aviatori, con D'Annunzio a bordo, decollarono alle ore 8:10 della mattina dal campo d'aviazione de La Comina (Pordenone), raggiunsero Torino, e rientrarono alla base alle ore 17:23 dopo un volo senza scalo di oltre 1.000 km. Nonostante il successo della prova, la missione su Vienna non ebbe mai luogo per un ripensamento comunicato all'ultimo istante dal Comando Supremo. 

Alla fine di Settembre Maurizio Pagliano insieme a Gori, D'Annunzio e Pratesi, si rischierarono a Gioia del Colle, dove entrarono a far parte del Distaccamento A.R. del maggiore Armando Armani, per il bombardamento della base austriaca del Cattaro. Il difficilissimo volo notturno, di oltre 400 km sul mare, venne effettuato la notte del 4 ottobre. Nonostante l'autonomia fosse al limite, tutti i 24 aerei partecipanti rientrarono alla base di partenza ed il buon fine dell'azione valse per tutti i piloti la concessione della Medaglia di bronzo al valor militare. 

Il rientro al Reparto avvenne nel periodo del nefasto esito della battaglia di Caporetto. Maurizio Pagliano lasciò per ultimo la Comina il 4 novembre, incendiando gli aerei non in grado di partire in volo e seguendo il rischieramento del suo reparto sul campo d'aviazione di San Pelagio (Padova). Il 23 novembre come comandante di squadriglia bombardò il campo volo di Feltre colpendo gli hangar con 2 torpedini.
Duramente impegnato nella difesa della linea del Piave, il 30 dicembre 1917 non rientrò alla base insieme al suo aereo, il Caproni Ca.3 matricola 4216. Decollato con altri sette velivoli similari dal campo d'aviazione di San Pelagio per compiere un bombardamento contro l'aeroporto austro-ungarico di Godega di Sant'Urbano, e contro la strada San Fior-Godega. Inizialmente si pensò che il velivolo fosse atterrato in un campo di fortuna e che il suo equipaggio, composto da Pagliano, Gori e dai soldati mitraglieri Giacomo Caglio e Arrigo Andri, fosse stato catturato, ma dopo quasi due mesi la Croce Rossa Internazionale comunicò da Berlino che un bombardiere Caproni con tre motori Isotta Fraschini V.4 era stato abbattuto a sud di Susegana (Treviso) alle 12:40 del 30 dicembre, e che tutti gli occupanti erano deceduti. Come descritto negli archivi austriaci, l'autore dell'attacco fu l'asso Benno Fiala von Fernbrugg comandante della Flik 56J, che volava su un caccia Albatros D.III. Tale fu lo sconforto che la notizia ufficiale della morte dei due piloti fu data dal Comando Supremo solo il 27 agosto 1918, comunicata personalmente alle famiglie dal Comando Superiore Aeronautica, allora diretto dal generale Luigi Bongiovanni. 

Grande ed unanime fu il cordoglio della nazione, e D'Annunzio dedicò ai due giovani piloti scomparsi l'azione nota come "Beffa di Buccari", effettuata tra il 10 e l'11 febbraio 1918, scrivendo i seguenti versi: "...onore alla eroica coppia alata, per la vita e per la morte."
A Maurizio Pagliano fu intitolato l'aeroporto di Aviano (insieme a Luigi Gori) ed anche alcune vie e piazze. Nel punto dove essi caddero, in via Casoni a Susegana, è stato eretto un piccolo monumento che ne ricorda la tragica fine, costruito da Giancarlo Zanardo. La sezione dell'Associazione Arma Aeronautica di Saronno è intitolata ai due aviatori.

Claudio Restelli, Il Soldato Dimenticato. La storia di Giovanni Battista Faraldi, Leucotea Edizioni Sanremo


giovedì 4 giugno 2020

Winter sviluppò anche il commercio della rosa


Ludwig  Winter nacque nel 1846 nel grande Impero Prussiano, figlio di un libraio della famosa Università del Granducato di Baden. 
La famiglia si stabilì a Leipzig, dove egli dimostrò subito grande amore per lo studio della Botanica. Ed entrò poi come giardiniere ad Erfurt, nello Stabilimento Juelqe, restandovi due anni.
Passò quindi alla Scuola di Orticoltura di Potsdam, per andare poi primo giardiniere al Giardino Botanico di Poppelsdorf, vicino a Bonn. 

Nel 1867 volle recarsi a Parigi per visitarvi l'Esposizione Universale. Innamorato della capitale francese decise di stabilirvisi, e lavorò dapprima come semplice operaio giardiniere presso Mr. Chatin, poi come giardiniere nei parchi delle Tuileries.
L'atmosfera preparatoria per la guerra Franco-Prussiana non consigliò oltre il soggiorno parigino ad un suddito tedesco e lo troviamo quindi alcun tempo dopo sulla Costa Azzurra, a Hyeres, dopo essersi soffermato a Marsiglia ed a Cannes. 
Quivi la ditta Charles Huber era in procinto di lanciare una sua creazione, una bella anemone. 
Fu il Winter che produsse il disegno di quel fiore portentoso, che ebbe grande successo in Europa. Dopo questa prima brillante prova l'Huber lo occupò come disegnatore di fiori. 
Nel 1869, Thomas Hanbury gli confidava di voler creare il Giardino di acclimatazione alla Mortola di Ventimiglia e lo assumeva come botanico. Per circa un lustro il Winter si dedicò con vera passione di studioso e di esperto a quel difficile lavoro. Collezioni di piante di ogni genere vennero a prosperare in quel paradiso di vegetazione. Le piante erano importate dai paesi caldi, dall'Australia, dalla Nuova Zelanda, dalla California, e qui venivano educate, adattate al nuovo clima. Suo collaboratore era il Ritschi, svizzero, capo giardiniere.
Nel 1874 il Giardino della Mortola era ultimato, e Winter andò a stabilirsi a Bordighera, dove con marcata intelligenza seppe intuire l'avvenire orticolo della Riviera, introducendo la coltivazione della Rosa Safrano che doveva avere tanta fortuna. 
Dapprima aveva operato nella pianura di Borghetto, ma un'altra meritoria intuizione lo portò a coltivare sul pendio di Montenero, più caldo, più soleggiato e più arieggiato. 

In località Curtasse, fece prosperare le prime Mimose, introducendo l'Acacia Podalyriefolia, qualità che si riteneva perduta ed invece era stata conservata da Pasquale Motta di Intra, e perciò venne chiamata Motteana. Mediante ibridazioni tra la Podalyriefolia, la Dealbata e la Pycnanta, creò l'Hanburyana, la Neufvillei, la Siebertiana. 
Nel 1875 cominciò a piantare il mirabile giardino "Vallone del Sasso", dove raccolse un'infinità di piante rare tropicali, palme, liane, ficus, ecc. 

Creò l'architettura di giardini meravigliosi, come quelli dell'Imperatrice Eugenia a Cap Martin, del Principe Hohenloe a San Remo, della Contessa Foucher de Careil a Mentone, della Villa Zirio a Sanremo e della Villa Bischoffshein a Bordighera.

Il Giardino di Winter a Madonna della Ruota
Ma il più delizioso di tutti è il Giardino di Madonna della Ruota, sulla strada tra Bordighera ed Ospedaletti. 
Impiantò un sontuoso negozio floreale in Via Vittorio Emanuele a Bordighera, e nel giardino retrostante (ove sorge ora il Cinema Olimpia) ed in quello di rimpetto stabilì una esposizione permanente, nella quale figuravano le più svariate specie di palme, ora alte come campanili, ora nane come piccoli arbusti, ma dove incombeva un gran pergolato che formava l'ammirazione dei bordigotti e quella della colonia inglese ivi dimorante.

Il Winter colle sue palme partecipò a molte esposizioni nazionali ed estere. 
Ottenne in Italia diplomi speciali e medaglie d'oro. 
All'Esposizione di Amburgo, ricostruì il palmeto del Vallone di Sasso e si ebbe il premio dell'Imperatore di Germania consistente in un grande vaso di porcellana. 
Ebbe anche la genialità di introdurre nell'arte industriale moderna oggetti fabbricati con foglie e rami di palme, meritandosi le lodi di artisti che con lui collaborarono. Alla lavorazione delle foglie secche di palme aveva adibito personale specializzato. Venivano fabbricati cofani, imitazioni di fiori, canestri, tappeti, vasi, coprivasi, coppe, piatti, vassoi, giardiniere, paralumi, centri per tavoli, portagiornali ecc.

Molti di questi lavori egli espose, fuori concorso, all'Esposizione Orticola a Gand nel Belgio, nell'agosto 1891, ottenendo il primo premio della Sezione. Ludovico Winter sviluppò anche il commercio della rosa. 
Dopo aver messo a cultura la Safrano, egli introdusse la Marie Van Houtte, che venne subito assai coltivata dagli agricoltori della Riviera ligure. 
Il Winter fu anche un gran benefattore, collaborando col Padre Cappuccino Giacomo Viale, col Barone Kleudgen e col Cav. Angst, tutti benemeriti dello sviluppo di Bordighera. 
Alla fine dell'Ottocento fu definito "architetto dell'Orticoltura", per come sapeva artisticamente intrecciare le piante e i fiori nei giardini. 
Magnifico il suo progetto dei giardini di Piazza della Libertà a Lisbona. 
A Berlino è ricordato per le sue esposizioni, a Düsseldorf ed a Mannheim per le palme gigantesche che vi trapiantò, a Francoforte sul Meno per le influenti amicizie e per l'ammirazione che seppe destarvi. 
Fu il primo che introdusse la geniale industria dell'esportazione di piante, grandi e piccole, già radicate, rendendo così possibile l'improvvisazione di giardini adulti, senza interrompere le condizioni di vita delle piante. 
Winter non vide l'atto finale del suo attento progetto per i Giardini Pubblici di Ventimiglia, perché morì nella sua Germania nel 1912, ma furono ancora i suoi vivai a fornire le palme per abbellire l'area progettata a verde pubblico, che si può ancor oggi ammirare presso la foce del fiume Roia, così come è uscita dalla sua matita.

di Alfredo Moreschi