mercoledì 11 settembre 2024

Se a Bordighera si spostasse la ferrovia


A corollario dell'intera ricerca, il caso di Bordighera è stato preso in considerazione per poter valutare quali potrebbero essere i risvolti per questa città, nel caso in cui, in futuro, venga razionalizzata la tratta ferroviaria Ospedaletti-Ventimiglia, tanto richiesta da cittadini e autorità francesi ed europee.
Gli studi avviati negli ultimi 50 anni da F.S. S.p.A. e Regione Liguria hanno ipotizzato, anche nel caso di questo tratto, lo spostamento a monte della linea. Questa modernizzazione del tracciato, come nel caso di Sanremo ed Ospedaletti, permetterebbe una ricongiunzione della città con il mare, assicurando una maggiore attrattività in campo turistico.
Coerentemente con quanto concluso nelle sezioni precedenti, l'aspetto più cruciale di un ipotetico spostamento, è costituito dalle politiche urbanistiche di rivalorizzazione delle aree dismesse post-intervento.
Nel comune preso in considerazione, il sedime ferroviario che risulterebbe dismesso è circondato da numerose aree abbandonate o non pienamente sfruttate di proprietà comunale (vedi figura sottostante), che offrono cospicue opportunità per un ampio programma di valorizzazione.
 

Aerofoto di Bordighera. In evidenza le aree di proprietà comunale non adeguatamente sfruttate o abbandonate. Fonte: Luca Possamai, op. cit. infra

Un riuso ottimale delle aree evidenziate, attraverso progetti che prevedano servizi al cittadino, punti ristoro, centri sportivi e spazi verdi, garantirebbe, infatti, al waterfront di Bordighera, già di elevato valore paesaggistico, un miglioramento ulteriore.
Il comune di Bordighera e il suo waterfront godono di una storia con peculiarità proprie rispetto a quelle dell'estremo ponente ligure. Sebbene oggi, il turismo sia calato sensibilmente, avendo risentito della combinazione di crisi e politiche non molto oculate, il lungomare Argentina, così chiamato poiché inaugurato nel 1947 da Evita Peron, è sempre stato oggetto di ammirazione e località di villeggiatura per reali e nobili di tutta Europa.
In questa florida storia, andata decadendo negli ultimi decenni, una politica ottimale così come brevemente descritta dovrebbe comprendere, come “asse verde”, la continuazione della pista ciclabile. In questo modo Bordighera diventerebbe punto di arrivo o partenza di quello che, nei prossimi anni, potrebbe diventare una delle maggiori attrazioni dell'area mediterranea.
In questo modo, si potrebbe integrare il sedime ferroviario, come riutilizzato, con il lungomare, ricco delle sue antiche glorie, in una logica di rivalorizzazione reciproca per ritornare ad eccellere in campo turistico.
Inoltre, approfittando della presenza di queste aree limitrofe al sedime, si potrebbero donare alla città spazi e servizi, al momento non presenti, facendo diventare la zona non solo centro del turismo, ma anche cuore pulsante dell'intera vita cittadina.
Nella medesima prospettiva, infine, ulteriore elemento urbanistico focale dell'ipotetico intervento trattato, è da ricollegare ai concetti di permeabilità ed inglobamento.

I nuovi percorsi che si integrerebbero a quelli esistenti aumentandone il valore paesaggistico. Fonte: Luca Possamai, op. cit. infra

Così come per Sanremo ed Ospedaletti, lo spostamento a monte della ferrovia e relativa rivalorizzazione delle aree dismesse, permetterebbero, eliminando quella barriera-ostacolo rappresentata dal tracciato ferroviario, migliori collegamenti in piano tra le due parti di città: a monte il centro cittadino e a valle la passeggiata ed un edificato di, al momento, basso valore. Verrebbero infatti, rimossi i poco pratici, e di negativo impatto architettonico, sottopassaggi, soppiantati da nuovi percorsi di accresciuto valore paesaggistico, come rappresentato precedentemente.
Da qui, per concludere la trattazione relativa ai risvolti urbanistici, emerge l'importanza del concetto di inglobamento, prima adeguatamente definito come:
Andare alla conquista di parti di città per essere, di riflesso, inglobati in essa. Nella pratica, questo si tradurrebbe nell'attraversamento del sedime ferroviario di aree verdi e servizi, dal lungomare alla città. Verrebbe così aumentato il raggio d'azione di questo intervento urbanistico, con riflessi in ogni ambito della vita cittadina.
 

Aerofoto di Bordighera. In evidenza le aree in prossimità della linea ferroviaria che per prime sarebbero interessate dalla valorizzazione del sedime. Fonte: Luca Possamai, op. cit. infra

A questi risvolti urbanistico-paesaggistici di grande rilevanza, vanno d'altra parte sommati importanti benefici economici per cittadini e amministrazione, sulla scia di quanto esaminato per le due città limitrofe.
Infatti, gli studi fin qui effettuati, ci hanno portato a contare 192 edifici nelle immediate vicinanze delle aree di possibile trasformazione lungo il water-front (vedi schema sopra riportato).
Applicando, in via ipotetica i risultati ottenuti per Ospedaletti e Sanremo, è stato possibile quantificare numericamente i benefici economici che potrebbero trarre le parti interessate in un lasso di tempo pari a 10 anni.
Per ciò che riguarda i valori immobiliari, sono stati, in primo luogo, estrapolati gli incrementi, in termini percentuali, per entrambi i casi studio considerati:
- 97,4% per Sanremo
- 163,9% per Ospedaletti
Da queste percentuali è stato detratto l'”errore”, dovuto al passaggio dalla Lira all'Euro, di 29,5%, ottenendo cosi un incremento netto di:
- 67,9% per Sanremo
- 134,4% per Ospedaletti
Sulla base di questi dati, è stata calcolata la media da applicare al caso di Bordighera, di 101,15%. La scelta di ricorrere ad una media aritmetica, senza propendere per nessuno dei due casi, nasce dalla consapevolezza che Bordighera possiede peculiarità proprie di entrambe le città.
Così come nel caso di Sanremo, lo spostamento della ferrovia permetterebbe, in alcuni tratti, la ricongiunzione di comparti urbani divisi, mentre per altri, analogamente a quanto avvenuto a Ospedaletti l'intervento consentirebbe un collegamento naturale città-mare.
Così come nel caso di Sanremo, quello che diventerebbe l'ex sedime ferroviario è circondato da numerose aree da sfruttare, mentre, al pari di Ospedaletti, la pista ciclabile costituirebbe una valida alternativa di alto valore paesaggistico all'unica via di accesso-attraversamento, l'Aurelia.
[...] Questo accresciuto gettito comunale, da considerare congiuntamente alle entrate che, in caso di un tale programma di valorizzazione, deriverebbero da richieste di permessi per migliorie degli immobili e richieste per l'apertura di accessi alla pista ciclabile (e al lungomare), permetterebbe inoltre all'amministrazione di utilizzare questa maggiore liquidità per generare cicli virtuosi, in quella corsa all'attrattività delle città tipica dell'era odierna.
In questo senso l'ipotesi dello spostamento a monte della ferrovia, accompagnata da una gestione capace del post-intervento, costituisce un'ultima inconfutabile prova di come la valorizzazione di aree dismesse, ed in particolare quelle ferroviarie, possa rappresentare una straordinaria opportunità di rilancio urbano e, conseguentemente, dell'economia locale.
Luca Possamai, Le aree ferroviarie dismesse come opportunità di rilancio urbano: il caso della ferrovia del Ponente Ligure, Tesi di laurea, Politecnico di Milano, Anno Accademico 2010-2011

mercoledì 4 settembre 2024

L’edificio fu fatto costruire dall’ingegnere Giovanni Marsaglia


Ma è anche il caso del piccolo centro che cerca di organizzare la propria espansione, senza sconvolgere le caratteristiche morfologiche dettate dal borgo preesistente, come nel caso di Sanremo, dove in un primo centro sorto dopo l’arrivo della ferrovia, si costruisce il primo grande albergo. L’esempio scelto è l’Hotel Europa e de la Paix, il cui progetto di ristrutturazione e ampliamento avvenuto nel 1872 e opera dell’ingegnere Pietro Agosti, ne fa uno dei complessi più grandi di Sanremo. Questo hotel è riportato nel diario di Klaus e Erica Mann, dove raccontano: “Di fronte al Casinò il buon Hotel Europa; lì già mezzi sfiniti, possiamo mangiare spaghetti e, provvisti di un sonnifero, riposare”. <3
Il secondo caso prevede la pianificazione della ordinata espansione della città turistica, ovvero la progettazione non solo dell’albergo, ma anche del suo quartiere, compresa la lottizzazione di aree residenziali in ville. Questo tipo di pianificazione urbana è molto comune nei nuovi centri termali francesi dell’Ottocento, quali Bidas nei Pirenei, Bagnere des Bigorre e Vichy. In questo esercizio progettuale si cimenta anche Charles Garnier che, grazie alla fama e alla ricchezza acquisite dalla costruzione dell’Opera di Parigi, diventa assiduo frequentatore della città termale di Vittel. Egli realizza un piano per la riqualificazione e l’ampliamento del quartiere del Grand Hotel, per il quale ridisegna la facciata. Progetta anche il nuovo Casinò, le Terme e il Parco della città. In ambito costiero ligure, la pianificazione della riva era già iniziata con la progettazione della passeggiata, ma ora riguarda anche il nucleo urbano intorno a essa. A partire dalla conferma della città storica nel colle della Pigna, l’esempio di lottizzazione per l’espansione di Sanremo è uno dei tanti primi elaborati in questo periodo dove, al nucleo disordinato e tortuoso del borgo esistente, si contrappone una pianificazione lineare e geometrica del nuovo quartiere.
E’ questo il caso del progetto mai eseguito relativo alla costruzione di un colossale albergo dietro il preesistente Casinò di Ospedaletti, il quale ebbe vita breve in quanto, pochi anni più tardi dalla sua inaugurazione, venne costruito, a pochi chilometri di distanza, il Casinò di Sanremo. Tale progetto, elaborato dall’architetto Bruno Ferrati di Genova nel 1925, è uno dei rari esempi di riuso del Casinò, chiamato anche Villa Sultana, una prestigiosa opera in stile “pompier” dell’ingegnere Sebastien Marcel Biasini.
[...] Altro esempio di progetto urbano di un sito di promontorio è la Villa Giacomo a Ospedaletti, della cui storia si sa poco o nulla, ma che molto ci insegna nella progettazione a terrazze e a pergole nel panoramico spazio antistante il vasto parco della villa la villa.
[...] La strada non è più una inaccessibile passeggiata romantica, ma è il luogo centrale della vita mondana, celebrazione della bellezza e della grandiosità della città. I palazzi pubblici, come gli alberghi, non si affacciano solo sul mare, ma soprattutto sulla Jetée, il luogo emblematico delle nuove città-stazioni balneari del Mediterraneo.
Inizia a rinforzarsi il mito della Riviera.
L’importanza che la villeggiatura marina riveste in questo periodo e la qualità dei turisti che la frequentano sono tali da richiedere, nonostante le dimensioni ridotte, le stesse caratteristiche rappresentative di una grande città o di una capitale europea. La borghesia, che desiderava soggiornare in questi centri, cerca alloggio nei Grand Hotels, mentre l’aristocrazia e la ricca borghesia preferiva, all’hotel, la villa personale progettata secondo il proprio gusto, possibilmente in un luogo da dove si potesse mirare un panorama particolarmente suggestivo, o un sito di rara bellezza naturale. Tutti comunque sono subordinati alla vita della città e ai luoghi di intrattenimento e di svago che essa può offrire.
Il progetto del Grand Hotel e il tema della Große Fassade
I Grand Hotels venivano concepiti su modello degli alberghi delle capitali tedesche e austriache, dove era stata teorizzata la progettazione della facciata secondo solidi principi architettonici che miravano all’ostentazione della rappresentatività, la teoria della Große Fassade, per cui il risultato deve comunicare un’immagine di lusso e di solennità. La tipologia edilizia che veniva maggiormente utilizzata era quello dell’edificio a blocco, dove lo spazio pubblico è ristretto allo spazio dei piccoli balconi delle camere con vista sul mare, in quanto affacci verso il vero luogo di vita della città, il Lungomare. Ne sono esempi l’Hotel Negresco ed Excelsior a Nizza e l’Hotel Angst a Bordighera. Nell’ideazione della facciata e degli spazi interni dedicati alla vita pubblica, grande attenzione viene riservata ad ogni dettaglio decorativo che deve donare allo spazio un valore scenografico di grande suggestione.
Nei primi anni del XX secolo con l’affermarsi delle nuove tendenze in contrapposizione agli stili classici e al dilagare della decorazione, più che a tentativi di modifica dell’architettura in rapporto all’assetto urbano, si assiste ad un cambiamento del tipo edilizio in rapporto al sito. Gli esempi presentati sono due grandi alberghi della Riviera, progettati da due grandi architetti europei del tempo. Il primo esempio è il progetto per l’Hotel Riviera Majestic Palace a Sanremo di Peter Behrens. L’organizzazione dello spazio pubblico si esprime nel giardino a terrazze antistante all’albergo, che riprende il tema, che abbiamo visto la volta scorsa, della progettazione dei giardini a ripiani. I due prospetti principali differiscono notevolmente l’uno dall’altro. Il lato sud è caratterizzato da grandi vetrate al piano terra e alla terrazza al primo piano, che prende l’intera larghezza dell’edificio. Le camere hanno tutte grandi terrazze e presentano numerose aperture verso il mare. Il secondo esempio è il progetto per il Grand Hotel Babylon a Nizza di Adolf Loos del 1923 [...]
Il progetto della villa e il tema della casa unifamiliare di vacanza
La collocazione della villa nel paesaggio costiero può essere considerata come eccezione nella regola. Mentre nei temi tipologici finora esaminati, l’elemento di maggior importanza è sempre e comunque la Jetée, nel caso della Villa è il paesaggio. Infatti la maggior parte delle ville costruite in Riviera occupano un luogo ricco di suggestione, un angolo di particolare bellezza paesaggistica, spesso lontano dal centro abitato. Queste ville, progettate negli stili più diversi, sono costruite secondo il desiderio del committente e molto spesso si presentano come dei piccoli castelli a mare.
“... e tutte il mare spinge le mugghianti collere a questo bastion di scogli onde t’affacci a le due viste d’Adria, rocca d’Asburgo”, Giosuè Carducci. Così Giosuè Carducci, uno dei maggiori poeti italiani, descrive la residenza di mare del Castello di Miramare, posto presso Trieste nella Costa Adriatica, nella omonima poesia. Costruita nel 1856 per volere di Ferdinando Massimiliano, fratello dell’Imperatore d’Austria Francesco Giuseppe, divenuto Comandante della Marina da Guerra austriaca. Il sito pare sia stato scelto dallo stesso Arciduca che vi trovò rifugio in un improvviso levarsi di bora e che ammirò l’incantevole bellezza del promontorio il mattino seguente. Si tratta del primo esempio di castello a mare in stile eclettico costruito in Italia. Nel parco, organizzato a terrazze, si trovano essenze arboree provenienti da tutti i continenti. Molto simile a questa conosciuta e inevitabile modello formale di riferimento è il Castello Marsaglia, oggi scomparso, progettato dall’architetto Pio Soli nel 1882, in un grande parco confinante con il giardino dell’Hotel Royal, di Sanremo. “L’edificio fu fatto costruire dall’ingegnere Giovanni Marsaglia, figlio di grandi impresari torinesi. All’esterno l’architettura a castello dell’edificio tendeva a quella grandiosità di ricchezza ed eleganza richieste per le ville signorili di allora. All’interno un vasto atrio, ben illuminato dalla triplice vetrata della parete di fondo, mette in comunicazione fra loro le stanze di soggiorno che qui si affacciano, lasciando ampio spazio alla scala marmorea divisa in due rampe che conducono ai piani superiori, tra loro unite dall’elegante ballatoio. Il tutto è sorretto da sei colonne marmoree concluse in alto da un capitello corinzio”. <4
[...] L’ultimo esempio è Villa Patrone, oggi Villa Nobel a Sanremo, chiamata dallo stesso scienziato Bongarzoni “il mio nido” <7. Essa è definita la più civettuola delle ville di Sanremo deve il suo aspetto odierno all’intervento dell’architetto Pio Soli che la ristrutturo” sopraelevandola di un piano, modificando il tetto centrale e levando quelli sovrastanti le torrette, nel 1892, per volere dello scienziato che in quell’anno ne era divenuto proprietario. Ma il progetto originario del 1874 è dell’architetto Filippo Grossi. Il poeta e letterato Francesco Pastonchi così la descrive: “La villa intanto, che a noi pareva unica nella sua bizzarra miscela di stili, con leggeri capricci di ferri e sfoggi di vetrate, e una torretta incrostata di pietruzze da figurare un croccante, si va adornando di graffiti; un pittore in tunica sui ponti non ha mai finito di lavorarci. Anche nel giardino accadono assestamenti con via vai di sterratori. Finalmente la villa riapre le finestre, vi palpitano le tende: il nuovo signore ne ha preso possesso.” <8
[NOTE]
3 Mann E., K., Riviera, 1992, p. 119.
4 AA. VV., Sanremo tra due secoli, 1986, Genova, Sagep Editrice, Genova
7 Bongarzoni O., Guida alle case celebri, 1985, scheda 63.
8 AA. VV., Sanremo tra due secoli, 1986, p. 100.
Umberto Minuta, Paesaggio e architettura sulla sponda veneta del Garda. Linee guida e strategie di intervento per una rigenerazione possibile, Tesi di dottorato, Università degli Studi di Parma, 2016

mercoledì 28 agosto 2024

Sono così entrato senza alcuna fatica nella galassia affabulatoria dello scrittore di Oneglia


A partire dalla fine degli anni Cinquanta e, grosso modo, per tutto il decennio successivo un'ondata di rapidi e violenti cambiamenti investì l'Italia che, appena uscita dai disastri della guerra e del ventennio fascista, si era avviata, con una cospicua zavorra di contraddizioni e nodi irrisolti, a diventare una moderna società industriale e di consumo. A fronte di questo l'esperienza dei Novissimi e del Gruppo 63 ha rappresentato una dirompente spinta di opposizione polemica ai valori dominanri nel mondo letterario, ancora condizionato da una parte dal bellettrismo tardo ermetico e dalla prosa d'arte, che affondavano le loro radici nella cultura del rappel à l'ordre maturato nel ventennio, dall'altra dalle ultime espressioni del neorealismo, che aveva rivitalizzato la poetica del realismo romantico e naturalista, raccontando le macerie lasciate sul campo dal conflitto e le dure vicende della fabbrica e del mondo operaio nell'epoca della riconversione postbellica.
[...] Questo fascicolo monografico di Resine è un tributo a Germano Lombardi (Oneglia, 10 ottobre 1925 - Parigi, 12 dicembre 1992), uno dei protagonisti più trascurati e oggi quasi dimenticato di tale stagione. Un oblio ingiusto perchè l'opera narrativa dello scrittore ligure, che abbraccia quasi un trentennio, costituisce, insieme a quella di Balestrini, forse il più cospicuo e coerente contributo nell'ambito della neoavanguardia all'elaborazione di un nuovo e originale modello di narrazione. Fra tutti gli esponenti del Gruppo 63, lombardi fu probabilmente quello che più di ogni altro ebbe il passo e il respiro del romanziere e dell'affabulatore.
Pier Luigi Ferro, L'occhio di Germano Lombardi, Resine Anno 2010 - Annata: XXXI - N. 125-126

[...] oggi vi parlo di Germano Lombardi, scrittore di Imperia, dimenticato dai più.
Lombardi è nato a Oneglia nel 1925 e ancora giovane, probabilmente per motivi familiari, si trasferisce a Firenze dove studia e partecipa ai movimenti anarchici, subito dopo la fine della seconda guerra mondiale. In seguito diventa marinaio e conosce soprattutto l'America del Sud, dove tornerà spesso. Si trasferisce a Milano, dove, per qualche anno, lavora nel mondo della pubblicità. Questo mondo gli sta stretto perché sente che la sua vocazione è quella di scrivere, così decide ancora una volta di dare una svolta alla sua vita e di dedicarsi esclusivamente alla scrittura. Vive a Londra, poi tra Parigi e Roma.
“Ho conosciuto Germano Lombardi in tempi lontani, quando ancora esercitava un mestiere che gli consentiva un'agiata esistenza, ma poco gli corrispondeva. Si muoveva con una certa pesantezza per il fisico ormai massiccio, un cappellaccio nero e un fazzoletto di colore attorcigliato al collo, con eleganza naturale: un suo modo di essere in rapporto allo spazio e al tempo.” [1]
Nel gennaio del 1967, Lombardi era partito con Stefano De Stefani e con un operatore della RAI per un viaggio nel Messico, Haiti e Giamaica per realizzare documentari mai trasmessi per ragioni ignote. [2]
Nel 1963, a Palermo, nasce il famoso Gruppo 63, composto da molti intellettuali, narratori e poeti: Umberto Eco, Nanni Balestrini, Edoardo Sanguineti, Giangiacomo Feltrinelli, Alfredo Giuliani e altri. Con loro c'è anche Germano Lombardi.
Il Gruppo 63 è composto da neoavanguardisti della letteratura e dell'arte e si riunisce a Roma, perlopiù alla libreria “Al ferro di Cavallo” la cui proprietaria, Agnese De Donato, nel 2005 scriverà il libro “Via Ripetta 67″ che tra l'altro raccoglie qualche foto in cui Germano Lombardi è ritratto insieme a Andrea Barbato, Angelo Guglielmi, Giangiacomo Feltrinelli, e altri componenti del Gruppo.
“In quegli anni c'era un fiorire di letteratura d'avanguardia: dovevamo leggere libri difficili, non scorrevoli e fluidi come quelli di Bassani, odiato e bandito dagli avanguardisti, dunque non semplici da leggere, ce li passavamo a vicenda, ci divertivamo un sacco, tutti i giornali parlavano di noi. I vincitori? Nanni Balestrini, Carlo Porta, Germano Lombardi, Antonino Pizzuto e altri [...] Il gruppo era battagliero e con le sue sciabolate infieriva contro scrittori “sorpassati” e “scontati” come Moravia, Bevilacqua, il solito tartassato Bassani i quali non reagivano certo con indifferenza.” [3]
Il Gruppo frequentava anche Le Privé di Roma “dove si davano appuntamento intellettuali, artisti, tiranotte, belle ragazze” [4] e dove Lombardi era molto stimato da Tano Festa.
Germano Lombardi scrive e pubblica da Feltrinelli “Barcelona” che sarà seguito da altri romanzi e testi per il teatro.
Su tutti mi piace ricordare “Villa con prato all'inglese”, una specie di poliziesco che inizia così: “Lucio Batàn guardava dall'alto del Berta il parco e la villa dell'ingegner Vont Batàn…” e che ha come protagonisti personaggi dai nomi bizzarri: Franco Crocenera, ex camerata, Duc Recanizo boss della droga, il floricoltore Omérus Maculay Jonesco.
“Ai tempi della Repubblica Sociale, quando la Villa era requisita dalle SS italiane e il suo proprietario ingegner vont era rifugiato in Svizzera, s'erano lì svolti oscuri fatti, ed era scomparso un tesoro di diamanti posseduti da un biscazziere Levine Dostojevsky emigrato russo di mitica ricchezza. Un camerata della banda fascista, Lucio Batàn, “uomo crudele, spregioso e pazzo”, eclissatosi dopo la fine della guerra e poi implicato in una rapina e plurimo omicidio, uscito di galera nell'ottobre 1976, entra in un giro interessato al recupero del tesoro, è probabilmente l'unico a sapere che nella biblioteca della Villa, nel volume 'Verso la cuna del mondo' di Guido Gozzano, è indicato a pagina 73, riga ottava, il luogo del nascondiglio (”della mimosa azzurra cingalese, e il passo”). [5]
[NOTE]
[1] Achille Perilli - Introduzione a “Il tiranno di Haiti”
[2] Idem
[3] Via Ripetta 67 - Agnese De Donato - Dedalo, 2005.
[4] studiosoligo
[5] Autunno del Novecento - Alfredo Giuliani - Feltrinelli, 1984
Angelo Amoretti, Germano Lombardi: scrittore imperiese, Imperia Parla, 21 febbraio 2008

Il libro ["Villa con prato all'inglese" di Germano Lombardi, Il Canneto Editore, 2010]
Un giallo senza soluzioni - e forse senza “giallo” - sullo sfondo di una villa abbandonata nella riviera di Ponente, a due passi dal confine con la Francia. Un circo di personaggi inquietanti, una storia senza capo né coda - esattamente come lo è la vita. E una scrittura che avvolge dalla prima all'ultima parola. Un primo passo per recuperare un grande scrittore.
L'autore
Germano Lombardi (Oneglia 1925 - Parigi 1992) è tra i fondatori del “Gruppo '63” insieme, tra gli altri, a Umberto Eco, Nanni Balestrini, Edoardo Sanguineti e Giangiacomo Feltrinelli. Dopo gli studi a Firenze, si avvicina al mondo del teatro e a quello dei movimenti anarchici del primo dopoguerra. Nel '47 si imbarca come marinaio, passione che non lo abbandonerà per il resto della vita, stabilendosi poi a Milano, dove entrerà nel mondo della pubblicità. Nel 1957 la decisione di dedicarsi esclusivamente alla scrittura. Dopo aver vissuto a Londra e a Parigi, si stabilisce a Roma, dove frequenta la galleria “La Tartaruga” e redige testi critici per amici come Cy Twombly, Mario Schifano, Pino Pascali e Tano Festa. È di questo periodo la fondazione del “Gruppo '63”, movimento nell'ambito del quale Lombardi mette in scena anche alcune sue pièces teatrali. A cavallo tra gli anni '70 e '80 si traferisce definitivamente a Parigi. Tra i suoi romanzi più noti: Barcelona (1963), La linea che si può vedere (1967) e Il confine (1971). Villa con prato all'inglese è uscito per la prima volta nel 1977 per Rizzoli.
Redazione, Presentazione di "Villa con prato all'inglese" di Germano Lombardi, Il Canneto Editore

Questi artisti, spesso coetanei del Mainini, erano diversissimi fra loro: non c'era un comune denominatore fra il giovane Piero Manzoni che inscatolava le sue feci e il già maturo Lucio Fontana che abbandonava la pittura figurativa per rasoiare le tele nel nome dello spazialismo. Non appartenevano ancora a una scuola o a una corrente letteraria gli scrittori Germano Lombardi e Nanni Balestrini, portainsegne del Gruppo '63, i poeti Giuseppe Ungaretti e Salvatore Quasimodo, il narratore Luciano Bianciardi che, allora impiegato, trovava al Jamaica i conforti alcolici e l'amicizia per sopportare il peso dell'esistenza e scrivere nel frattempo “La vita agra”. Il trio di avanguardisti del “Consorzio di cervelli” non aveva punti d'unione con i giovanissimi Valerio Adami e Antonio Recalcati che con geometrie neosurrealistiche optavano per un recupero del figurativismo. Allora erano alla fame. Oggi molti di loro sono conosciuti e riconosciuti in tutto il mondo.
Chiara Salvini, Parlare della storia del Jamaica è parlare della storia di Brera, di Milano, dell'arte italiana dell'ultimo secolo, Nel delirio non ero mai sola, 15 dicembre 2018

Con "Il Confine" Germano Lombardi propone, dopo un lungo silenzio, la sua opera finora più impegnativa, più complessa, più ambiziosa: quel "grande" romanzo d'avventura sullo sfondo degli ultimi venticinque anni di storia europea, di cui i suoi tre primi libri avevano cominciato a fracciare le situazioni, a delimitate lo spazio ideologico, a mettere a fuoco un linguaggio inconfondibile.
Dei primi libri ritroviamo i personaggi: Giovanni, Berthús, Blasto, Ann... esseri al margine, alcolizzati, ex partigiani, drogati, anarchici. La frangia della generazione del dopoguerra, quelli che non hanno voluto accettare il nuovo ordine e che alternano l'autodistruzione psicologica e fisica con una vorticosa ricerca di salvezza individuale nell'azione.
Le loro esistenze si intersecano in uno fitta rete di brevi incontri, di scarni dialoghi, di corrispondenze, di memorie, incentrati su alcuni nodi tematiche: il viaggio a Roma di un irlandese ubriacone e la sua tragica fine durante il ritorno su un treno di emigranti italiani, le disavventure sentimentali dello sceneggiatore di un film su Sacco e Vanzetti, un bar di Londra dove intorno a un giornalista italiano ruotano i personaggi e prendono forma i loro rapporti e il loro passato, un contrabbando di armi nel deserto algerino durante la guerra di liberazione, con l'evirazione di Berthús che conclude il libro.
Su questi temi, scanditi e orchestrati con uno abilissima tecnica di intermittenze e di accostamenti, di improvvisi movimenti spaziali e temporali, si levano alcuni grandi monologhi: quello del ruffiano zio Arton, quello dell'emigrante Antonio Tre, e soprattutto quello di Ezzeline Sherif, il sordido trafficante arabo che è il luogo geometrico di tutta la storia.
Con un linguaggio ricco, libero, disponibile a ogni invenzione, aperto a intensi squarci sul destino di un'epoca, Lombardi costruisce un grande romanzo moderno che si colloca come uno degli esiti più sicuri e stimolanti della nostra più recente letteratura.
Redazione, Presentazione di Lombardi Germano 'Il confine', Milano, Feltrinelli, 1971, Libreria Coliseum, 2024

Ho trovato su una bancarella un romanzo breve di Germano Lombardi (Lombardi, chi era costui?), La linea che si può vedere, in prima edizione nei Narratori di Feltrinelli nell'aprile del 1967, al costo di tre euro - il prezzo vero purtroppo è stato graffiato via.
Sono così entrato senza alcuna fatica, aiutato dall'esiguità del testo, nella galassia affabulatoria dello scrittore di Oneglia.
Quando si parla di Lombardi - autore di un'opera unica in più titoli legata fin dal primo vagito all'avanguardia del '63 e chiusa nel 1992 con la morte dello scrittore nella Parigi in cui era di vedetta - si usa sempre il termine “affabulatorio”, anche se la fabula di Lombardi è come qui scarnificata, secca e riempita di choses.
Fin dalla prima riga La linea che si può vedere entra in risonanza con l'école du regard di Alain Robbe-Grillet e la leggendaria littérature objectale ma senza procurare lo sforzo di lettura che di solito essa comporta (almeno a me). Forse perché abbiamo a che fare con una storia divisa in corte scene quasi teatrali e ambientata nel tempo avventuroso della Resistenza.
Luca Martini, Sulle bancarelle. "La linea che si può vedere" di Germano Lombardi, Allonsanfan, 30 aprile 2022

martedì 20 agosto 2024

La Casbah di calviniana memoria

Sanremo (IM): un vicolo della Pigna

Parallelamente, per Calvino Sanremo è la città delle origini, il modello attraverso il quale viene letta e interpretata ogni altra città, l'esperienza iniziale rispetto alla quale si delineano le coordinate della conoscenza del mondo, il nucleo da cui nasce la scrittura e al quale è possibile tornare per ritrovare il senso delle differenze in una realtà sempre più indifferenziata: Zoe è l'emblema di questa indistinzione segnica, perché non si può ricondurre a una netta distinzione tra fuori e dentro, tra ordine e disordine, a un disegno che ne mappi le strade, le piazze, le officine e i templi, ma in essa il forestiero si perde.
L‟aspetto di Zoe, che si presenta come una “pigna di pagode e abbaini e fienili”, simile al paese descritto in dall'opaco come “una pigna tutta arcate e finestre”, è l'ennesima metamorfosi del paesaggio interiore di Calvino, della “vecchia Casbah della Pigna, grigia e porosa come un osso dissotterrato, con segmenti neri catramati o gialli e cespi d'erba” evocata ne La strada di San Giovanni. Si tratta di un nucleo antico e vitale, sul quale si depositano le stratificazioni del tempo, dando vita a una sorta di carcere piranesiano, con lo stesso intreccio inestricabile di livelli sovrapposti e ibridi, cresciuti senza ordine, come delle metastasi, un altro simbolo della memoria: «Fulcro di questo inurbamento era la Pigna, la vecchia Pigna rannicchiata ancora per paura dei pirati, con le case sostenute una addosso all'altra con archi e volte, sempre più aggrovigliata per le aggiunte e gli adattamenti delle successioni ereditarie, sempre più pigiata per le scosse dei terremoti, con le strade ripide e acciottolate piene di sterco di mulo, la Pigna senza fogne, senz'acqua nelle case, buia nelle strade strette» <381.
[NOTA]
381 Italo Calvino, Sanremo città dell'oro, in Saggi 1945-85, tomo II, pp. 2371-72.
Gianni Cimador, Calvino e la riscrittura dei generi, Tesi di dottorato, Università degli Studi di Trieste, Anno Accademico 2008-2009

Quando Italo Calvino, ne La strada di San Giovanni - parlava della «vecchia casbah della Pigna, grigia e porosa come un osso dissotterrato» che senso voleva dare a quelle parole?
Perché associare l’immagine di una Casbah a quella del centro storico di Sanremo? Quale il nesso? Il dedalo di vicoli, gli archi svettanti, i forti chiaroscuri di volte ombrose e improvvisi squarci di luce, o altre suggestioni ancora d’origine mediterranea e nordafricana...
Di certo, al tempo di Calvino, non erano gli abitanti a costituire il richiamo a quell’immagine esotica; solo una questione urbanistica.
Ma l’intento del grande scrittore era forse di taglio denigratorio?
C’è da escluderlo, anche se la successiva similitudine, quella dell’osso, parrebbe non troppo lusinghiera.
Eppure, a noi sembra che entrambe le definizioni, filtrate dalla fantasia del romanziere, siano scevre da ogni connotazione negativa; semmai tendono a sottolineare caratteristiche morfologiche ed estetiche: le pietre addossate una sull’altra, nei secoli, e ciò che disegnano.
Quindi, ancor oggi, non c’è nulla di male a definire la Pigna una Casbah. Anzi, togliamo pure da questa parola ogni sovrapposto senso di “regno della delinquenza” poiché - è cronaca degli ultimi mesi, in crescendo, purtroppo - che fattacci si verificano ancor più spesso in altre zone della città, anche nei salotti-bene, nei ristorantini modaioli, nelle vie dello shopping.
La Pigna sta diventando, al confronto, davvero luogo di villeggiatura, dove arte e cultura, storia medievale e intrecci di culture sono ingredienti evidenti. Un luogo dove i bambini possono ancora giocare a palla in strada, e dove non giungono quasi i rumori metropolitani di auto, sirene, rombanti motorini. Il massimo del fastidio acustico è qualche schiamazzo, qualche lite debordante dai balconi, ma insomma cose più che umane.
Anche noi, Accademia di studiosi, bibliofili, cultori di antichità ma anche di modernità, siamo nella Pigna, da più di un lustro “abitiamo” nella Pigna, ovvero la Casbah di calviniana memoria.
Ne siamo orgogliosi, ma non vogliamo farne una cosa solo “nostra”, anzi dev’essere aperta, vissuta, frequentata e condivisa con tutta la popolazione e con i turisti, che forse più di noi autoctoni ne colgono la valenza senza pregiudizi di sorta.
Può dar fastidio a qualcuno l’accostamento con la cultura araba, bene.
Resta il fatto che questo borgo davvero assomiglia ad una Casbah
Chi siamo noi, dopotutto, per contestare Italo Calvino?
Faris La Cola, Editoriale,  Il Regesto - Bollettino bibliografico dell'Accademia della Pigna - Piccola Biblioteca, ANNO V N° 2 (18) SANREMO, APRILE/GIUGNO 2014

A San Giovanni, località dell'entroterra che sovrasta Sanremo, i Calvino erano proprietari di una «campagna» racchiusa in una valle dove l'avanzata della modernità ancora non era giunta. Tuttavia è il mondo in basso ad attirare l'attenzione del bambino: «il porto non si vedeva, nascosto dall'orlo dei tetti delle case alte di piazza Sardi e piazza Bresca, e ne affiorava solo la striscia del molo e le teste delle alberature e dei battelli; e anche le vie erano nascoste e mai riuscivo a far coincidere la loro topografia con quella dei tetti, tanto irriconoscibili mi apparivano di quassù proporzioni e prospettive».
Dall'alto appaiono le sagome della città marittima, un intreccio di linee e superfici senza profondità dove una distesa irregolare di tetti preclude la cognizione del reticolato interno delle vie. San Remo appare come un collage di figure accostate l'una contro l'altra: «là il campanile di San Siro, la cupola a piramide del teatro comunale Principe Amedeo, qua la torre di ferro dell'antica fabbrica d'ascensori Gazzano […], le mansarde della cosiddetta «casa parigina», un palazzo d'appartamenti d'affitto».
L'occhio inquieto dell'osservatore immobile percorre dal basso verso l'alto il digradare del territorio: «al di là si levava, come una quinta, […] la riva di Porta Candelieri, […] e s'aggrappava la vecchia casbah della Pigna, grigia e porosa come un osso dissotterrato, con segmenti neri catramati o gialli e cespi d'erba, sormontata […] da un giardino pubblico ben ordinato e un po' triste, che saliva con le sue siepi e spalliere la collina: fino al ballo d'un dopolavoro montato su palafitte, al palazzotto del vecchio ospedale, al santuario settecentesco della Madonna della Costa, dalla dominante mole azzurra». (RR III, pp. 8-9).
Francesco Migliaccio, Il luogo dello sguardo. Paesaggio e scrittura in Calvino, Celati e Biamonti, Tesi di dottorato, Università degli Studi di Torino, Anno accademico 2014-2015

Confrontando Il sentiero dei nidi di ragno e La strada di San Giovanni, emergono due descrizioni parallele:
"È notte: Pin ha scantonato fuori dal mucchio delle vecchie case, per le stradine che vanno tra orti e scoscendimenti ingombri di immondizie. [...] Pin va per i sentieri che girano intorno al torrente, posti scoscesi dove nessuno coltiva. [...] È una scorciatoia sassosa che scende al torrente tra due pareti di terra ed erba. [...] Pin vaga tutto solo per i sentieri del fossato e cerca il posto dove fanno la tana i ragni. Con uno stecco lungo si può arrivare fino in fondo ad una tana, e infilzare il ragno, un piccolo ragno nero, con dei disegnini grigi come sui vestiti d’estate delle vecchie bigotte" (RR I, p. 23).
"Al di là [del torrente San Francesco] si levava, come una quinta, - il torrente era nascosto giù in fondo, con le canne, le lavandaie, il lerciume dei rifiuti sotto il ponte del Roglio, - la riva di Porta Candelieri, dov'era uno scosceso terreno ortivo allora di nostra proprietà, e s’aggrappava la vecchia casbah della Pigna" (RR III, p. 8).
In entrambi i brani vediamo che ricorrono alcuni elementi comuni che descrivono il letto del torrente San Francesco: è ripido e scosceso, pieno di canne e rifiuti e gira intorno ad alcuni orti. Ulteriore elemento identificativo di questo luogo in La strada di San Giovanni è il ponte del Roglio <7 che ci permette di ipotizzare che il posto dove i ragni facevano i nidi, si possa trovare proprio in questa parte di Sanremo lungo il torrente. In questo luogo magico, anche i nidi dei ragni assumono caratteristiche quasi fiabesche e fantasiose, ma esistono in natura delle specie di ragni che creano dei nidi verosimili alle descrizioni che Calvino ci offre attraverso la voce di Pin. Si tratta dei ragni migalomorfi che vivono in zona mediterranea e realizzano dei nidi in piccoli tubi scavati nella terra e rivestiti interamente di tela con delle botole chiuse che sembrano delle vere e proprie porticine <8. Così, l’immagine di questi «ragni che fanno tane, tunnel e porticine», potrebbe essere stata presa in prestito alla scienza e inserita nella narrazione in maniera quasi del tutto autentica.
Un altro ambiente che fa da collegamento tra la Pigna e la parte ad ovest di Sanremo, è un insieme di tunnel sotterranei nei quali si nascondevano gli abitanti della Pigna quando sentivano il rombo degli aerei <9: quando «s’ode un rombo e tutto il cielo è invaso da aereoplani […] la Città Vecchia in quel momento si sta svuotando e la povera gente s’accalca nella fanghiglia della galleria» (RR I, pp. 97-98).
[NOTE]
7 Questo ponte non esiste più dal momento che verso metà ‘900 il torrente San Francesco venne coperto. Prima della copertura scorreva a valle della Pigna, parallelamente a via Porte Candelieri. Oggi questa zona è completamente irriconoscibile.
8 In un approfondimento di Marco Isaia, professore universitario presso la facoltà di Torino, la cui attività scientifica si incentra principalmente sull’aracnologia e sull’ecologia delle grotte, in Italo Calvino, Sanremo e dintorni. Un itinerario letterario (1923-2023), pp. 117-118, si legge che i ragni che più verosimilmente corrispondono alla descrizione di Calvino sono i Nemesia, che «alloggiano in tubi scavati in terra profondi da 5 a 40 cm., rivestiti interamente o parzialmente di tela che vengono rinchiusi con delle vere e proprie botole che rimangono chiusi nei periodi secchi o durante il giorno e socchiuse di notte o al crepuscolo. I ragni rimangono nelle vicinanze dell’apertura del tubo e quando una preda transita sulla botola o nelle sue immediate vicinanze, scattano velocemente verso l’esterno, catturandola con i robusti cheliceri e consumandola all’interno del tubo, espellendo i rifiuti non consumabili (ad esempio le parti dure) all’esterno quando il pasto è concluso. Le femmine possono passare fino a 8-10 anni in questi tubi, e in genere non ne escono, a meno che il terreno ceda o frani. I maschi invece vivono di meno, e in genere escono in autunno alla ricerca delle femmine. Dopo aver “gentilmente” bussato alle botole delle femmine, si accoppiano con modalità del tutto particolari e in genere muoiono a fine stagione».
9 La galleria di cui parla Calvino è, con molta probabilità, quella che collega via Francia con via Martiri. Giacomo Mannisi, esperto della Sanremo sotterranea, interpellato da me il 7 novembre 2022, mi ha riferito che durante la guerra questa galleria veniva utilizzata come rifugio antiaereo. All’epoca non era ancora completata, ed era aperta soltanto la parte che guardava verso il mercato annonario; l’altra metà venne terminata agli inizi degli anni sessanta, esattamente nel 1963, tre anni dopo l’inaugurazione del Mercato Annonario (www.sanremostoria.it).
Elisa Longinotti, Calvino e i suoi luoghi, Tesi di laurea, Università degli Studi di Genova, Anno Accademico 2022-2023

giovedì 15 agosto 2024

Circa le musiche tradizionali del Ponente Ligure


Nel 1962, 1965 e 1966 Giorgio Nataletti, affiancato nell'ultima rilevazione da Paul Collaer, condusse, per conto del Centro Nazionale Studi di Musica Popolare, tre campagne di ricerca nella Liguria di Ponente, con uno sconfinamento in Francia e una digressione a Genova. Per quanto riguarda l'area dell'Imperiese, le ricerche interessarono le località di Imperia Oneglia (Borgo Peri), Taggia, Triora, Realdo, Ceriana, Seborga, Dolceacqua, Isolabona, Apricale, Pigna e Briga, documentando un ventaglio molto ampio di espressioni musicali, dal canto liturgico a quello rituale, dal canto monovocale a quello polivocale dei pastori, dal canto solistico accompagnato da una chitarra ritmica a quello di piccoli insiemi con chitarra e mandolino.
Questi documenti sonori, confluiti poi nelle raccolte 67, 91 e 101 del CNSMP, oggi Archivi di Etnomusicologia, sono una straordinaria testimonianza delle trasformazioni che le musiche di tradizione hanno subito nella tumultuosa fase di industrializzazione della società italiana dove, accanto all'ancora solida persistenza del repertorio più antico, si registrano anche significativi fenomeni di erosione della prassi musicale originaria.
La documentazione sonora, finora del tutto inedita e pubblicata nei due cd come una sorta di viaggio da Levante a Ponente, risulta pertanto di imprescindibile importanza per l'azione di recupero e valorizzazione del patrimonio musicale ligure.
Redazione, Presentazione di M. Balma, G. d'Angiolini (a cura di) Musiche tradizionali del Ponente Ligure - contiene 2cd. Le registrazioni di Giorgio Nataletti e Paul Collaer (1962, 1965, 1966) 2007, € 22. Formato 14x19, 10 foto in b/n, pp. 132, squi[libri]

L’areale alpino che ci interessa in questa sede è quello definito dalla sua lingua, il ligure alpino, cioè la Val Roia (da Tenda e Briga fin giù a Olivetta - San Michele - Fanghetto, ma non Airole che è di tipo ventimigliese), i dialetti pignaschi in Val Nervia (Pigna - Buggio - Castelvittorio; l’Apricalese sta a cavallo fra il tipo pignasco e quello litorale), i dialetti trioraschi della Valle Argentina (da Creppo fino a Glori, le parlate del fondovalle sono però fortemente litoralizzate) <4. Questo areale fu oggetto, negli anni 60, di inchieste musicologiche. Nel 1965, nell’ambito di una cooperazione fra il Centro Nazionale Studi di Musicologia e la RAI, Giorgio Nataletti eseguí inchieste a Pigna, Castelvittorio, Apricale, Triora, Realdo (“colonia” brigasca in alta Valle Argentina); a Sanremo fu registrata una signora di Briga. Un anno dopo, il Nataletti registrò - assieme a Paul Collaer - canti a Realdo, Briga e Triora. Vi si aggiungono altre mete, del litorale ligure e nizzardo. Le due raccolte furono archiviate nel Centro Nazionale Studi di Musica Popolare (oggi Archivi di Etnomusicologia, raccolte n. 91 e 101), e vi rimasero “sepolte” fino al 2007, quando Mauro Balma e Giuliano d’Angiolini presero l’iniziativa di pubblicarne una parte in due dischi integrati in un libro con spiegazioni utili e con la trascrizione dei testi <5. Tornerò a parlare di questa pubblicazione.
Due anni dopo, nel 1967 e poi nel 1968, un giovanissimo musicologo, Bernard Lortat-Jacob, oggi direttore di ricerca al CNRS, svolge a Tenda (e dintorni) una - per lui prima - missione etnomusicologica. La messe è un volume rispettabile, si tratta di ben 188 canti o estratti di canti, accompagnati da interviste che spiegano il significato, la diffusione, le occasioni, la tecnica dei canti. L’accesso a questi materiali è diventato possibile solo nel recente passato, ed ha generato una piccola pubblicazione parziale curata dai musicologi Cyril Isnart e Jean-François Trubert <6, terminando cosí, come essi scrivono nell’avant-propos (p. 11), quarante ans d’endormissement au Musée National des Arts et Traditions Populaires. I materiali si trovano ora, accessibili, alla Maison Méditerranéenne des Sciences de l’Homme (phonothèque) a Aix-en-Provence.
È chiaro che con quei materiali raccolti “sul campo” mezzo secolo fa - quelli pubblicati e ancor di più quelli rimasti negli archivi - disponiamo di una base ampia per future ricerche sulle realizzazioni musicali e testuali. Vi si aggiungano i materiali raccolti dopo, e parzialmente pubblicati, cioè quelli di Edward Neill (a partire dal 1968 fino all’improvvisa morte nel 2001), Mauro Balma e Paolo Giardelli (a partire dagli anni Ottanta) fra gli altri <7.
Giova richiamare l’attenzione sulla recente fondazione a Genova, nel febbraio 2008, del Centro regionale per i Dialetti e le Tradizioni popolari della Liguria. Il CDT custodisce, oltre che una biblioteca specializzata, documenti filmati, produzioni televisive (RAI regionale fine anni ’70-’80), anche centinaia di registrazioni, fra le altre quelle effettuate da Balma e Giardelli, e soprattutto il Fondo Edward Neill (120 bobine digitalizzate).
[...] Il libro con i dischi di M. Balma e G. d’Angiolini presenta una ventina delle registrazioni raccolte da G. Nataletti e P. Collaer in Provincia di Imperia, scelte secondo la qualità ed il potenziale esplicativo musicologico delle esecuzioni. Si tratta di produzioni di Taggia (5), Triora (5), Realdo e Briga (8+1), Ceriana (8), più alcune località con uno o due canti (Imperia-Borgo Peri, Seborga, Dolceacqua, Isolabona, Apricale). I diversi canti vengono presentati da Mauro Balma inseriti nei generi cui appartengono: canti narrativi (12 ballate), canzoni (9 - ne fanno parte pure i due testi di Tenda e Briga citati nel § 1), strofette (3), e finalmente Liturgia (7), fra gli altri; il tutto presentato con la precisione e l’acribia filologica che gli conosciamo. I testi (in ligure rivierasco / ligure alpino / piemontese / latino) sono tutti trascritti e ove necessario tradotti con buona conoscenza <11. Sono elencati i nomi dei performanti. In una prima parte, Mauro Balma evoca le circostanze delle registrazioni, ricostruite mediante interviste dei testimoni. Un importante e variegato commento musicologico è curato da Giuliano d’Angiolini. Egli presenta le direttrici stilistiche presenti nelle diverse produzioni, le strategie per il lirismo musicale, i timbri vocali. Riesce a presentare tipologie strutturali che possono servire da base per studi comparativi o di ricostruzione. Paragona anche lo stile delle registrazioni cerianesi con altri stili. Un’ampia lista bibliografica e discografica chiude il libro.
[NOTE]
4 Per il concetto e la geografia linguistica del ligure alpino cfr. l’esaustiva analisi di J. PH. DALBERA, Les parlers des Alpes-Maritimes ..., AIEO 1994 (che prova il carattere nettamente non-occitano del roiasco); W. FORNER, L’Intemelia linguistica, in « Intemelion », 1 (1995), pp. 67-96 (con ulteriori rinvii bibliografici dove si mostra l’affinità del gruppo roiasco con i gruppi pignasco e triorasco rurale), ora anche W. FORNER, Fra Costa Azzurra e Riviera: Tre lingue in contatto, in Circolazioni linguistiche e culturali nello spazio mediterraneo. Miscellanea di studi, a cura di V. ORIOLES - F. TOSO, Recco 2008, pp. 65-90.
5 M. BALMA e G. D’ANGIOLINI, Musiche tradizionali del Ponente Ligure. Le registrazioni di Giorgio Nataletti e Paul Collaer. Collana AEM (Archivi di EtnoMusicologia dell’ Accademia Nazionale di S. Cecilia), Roma 2007. (131 pp., con due CD).
6 Musique du Col de Tende. Les archives de Bernard Lortat-Jacob 1967-1968. Archives sonores, textes et transcriptions réunis par C. ISNART et J.-FR. TRUBERT. Nice 2007 (107 pp., con un CD).
7 Per un elenco bibliografico (fino al 1993) si consultino Bibliografia dialettale ligure, a cura di L. CÒVERI - G. PETRACCO SICARDI - W. PIASTRA, Genova 1980, pp. 151-163. Bibliografia Dialettale Ligure, Aggiornamento 1979-1993, a cura di F. TOSO - W. PIASTRA, Genova 1994, pp. 173-197.
11 Essa non esclude, naturalmente, qualche inevitabile errore, ad es.: il pignasco riduce -ü-, -ö- ad -i-, -è-: Di conseguenza nöite, söi (II-13) e fögu, lögu (II-15) vanno corrette. Il canto brigasco (II-20) deve cominciare così: ‘R ven ‘r meez d’ mars, e questa “‘r” iniziale è un clitico impletivo che in italiano non c’è (più), per cui la traduzione non deve essere « ORA viene il mese di marzo », bensì « viene il mese di marzo » (fino al Macchiavelli si sarebbe potuto dire: « EGLI viene il mese di marzo ».
Werner Forner, La tradizione culturale alpina risorta. A proposito di alcune produzioni recenti, Intemelion, n. 14 (2008)

giovedì 8 agosto 2024

È arrivata la macchina del deputato di Lione e mi ha portato a Sanremo

Sanremo (IM): uno scorcio della "Pigna", il centro storico dove è nato ed è cresciuto Rodolfo Amadeo

Non rientro perciò in Svizzera, rimango così a Sanremo e divento segretario del Comitato Comunale di Sanremo [del Partito Comunista].
In quel periodo mantenevo rapporti con l'emigrazione, portando in Francia clandestinamente materiale di propaganda del Partito Comunista. La clandestinità era dovuta dalla necessità di evitare una lunga trafila burocratica che rendeva di fatto impossibile il passaggio della frontiera dei manifesti e dei volantini.
Faccio la campagna elettorale del '68 in Francia e resto bloccato a Parigi nel maggio per lo sciopero generale dei mezzi di trasporto. Nella campagna elettorale ho girato tutta la Francia. Ho fatto riunioni all'uscita delle fabbriche e poi casa per casa. Ho dovuto telefonare al Comitato Centrale del PCF per riuscire a prendere un mezzo di trasporto. Alla stazione era tutto fermo e per telefonare al PCF ho chiesto l'autorizzazione del picchetto della CGT, dicendo che dovevo tornare in Italia a votare. In questo caso sono stati bravissimi. È arrivata la macchina del deputato di Lione e mi ha portato a Sanremo.
Ho partecipato alle manifestazioni del '68. Il PCF non era tanto d'accordo, le considerava manifestazioni di gruppettari. Poi il PCF ha dovuto rimangiarsi tutto ed appoggiare le manifestazioni perché c'era tutto il popolo in piazza.
Nel '63, quando ero a fare la campagna elettorale nel Doubs dove c'era la Peugeot, c'era un compagno sardo, antifascista, che era stato al confino, un certo Budda. Mi invita a passare i giorni di Pasqua con lui in campagna. Io gli dico che non posso perché devo andare in Svizzera dove mi avevano invitalo per una riunione i compagni emigranti. Budda se la prende male e scrive una lettera al comitato centrale del PCI, dicendo che io ho abbandonato il lavoro politico. Budda era diventato più francese che sardo. Allora Vercellino mi invita ad andare a Roma con lui alla festa per il successo elettorale e mi presenta a Togliatti che aveva letta la lettera. Vercellino mi presenta dicendo "Questo è il compagno della lettera" e Togliatti mi rassicura dicendomi: "Non ti preoccupare. È già agli atti."
Il PCF aveva diffidenza nei miei confronti dai tempi dell'articolo di Amendola sull'Europa e con la lettera ispirata da Budda volevano evitare che io tornassi a fare lavoro politico in Francia. Tanto è vero che, quando sono ritornato per la campagna elettorale del '68, il PCI aveva deciso di mandare in Francia il compagno Diodati della federazione di Imperia (che era stato in esilio a Parigi) e me. Il PCF disse che Diodati andava bene ma che Amadeo avrebbero preferito che non venisse. Fontana, allora responsabile nazionale dell'emigrazione, mi disse poi che Longo aveva risposto che i funzionari per la campagna elettorale' li sceglieva il PCI e non il PCF.
Nel '68 mi mettono alla prova. Il compagno Mario Fornaciari, un parente di Zucchero, quando mi incontra nella riunione a Parigi, mi presenta un elenco di compagni da contattare perché dice che questi compagni mi avrebbero messo in relazione con gli altri emigrati e mi dice di tornare l'indomani mattina con tutti i contatti presi.
[...] Nel '70, eletto consigliere comunale a Sanremo, mi divido da mia moglie e continuo a lavorare. Libero dall'impegno coniugale, il partito mi offre di andare a scuola di partito. Nel '71 vado con Ivano Gaggero alle Frattocchie a Roma. La scuola di partito è stata dura nonostante l'impegno. C'è stato un momento in cui nemmeno dormivo più per stare dietro a tutto quello che spiegavano nei corsi e a quello che cercavo di studiare e leggere in più. A me la scuola è servita molto politicamente. Terminata la scuola, tornato a casa, continuo a lavorare. All'inizio del '72, per le politiche anticipate la direzione del partito mi chiede di andare nuovamente in Francia e di fare tutta la zona di Lione e della Savoia. E qui ho conosciuto Juliette, la compagna francese. Arrivato per la campagna elettorale vado nella sede dell'INCA [patronato della CGIL] che era ospitata dalla CGT e l'impiegata dell'Inca mi dice: "Guarda che c'è una compagna francese che vuole conoscerti". E di qui un disastro. Ritornato dalla campagna elettorale, il partito che nel frattempo aveva avuto i risultati del corso che avevo frequentato alle Frattocchie, mi chiede di fare il funzionario. Io accetto e nella parte restante del '72 lavoro alle elezioni comunali di Cipressa, perché conoscevo Renato Abbo e altri compagni. Conquistammo il comune di Cipressa.
Nei primi giorni del '73 viene nella Federazione di Imperia Giuliano Pajetta, responsabile dell'Emigrazione, che già aveva informazioni su di me da Alessandro Natta e aveva letto la relazione che avevo fatto sulla campagna elettorale in Francia. Giuliano chiedeva alla Federazione se era disposta a lasciarmi andare, qualora io avessi acconsentito, a fare attività politica nell'emigrazione in Germania. Quindi incontro Pajetta che mi fa direttamente la domanda, visto che avevo già acquisito con la  Svizzera e con le campagne elettorali un po' di esperienza di lavoro all'estero. La cosa mi interessò, ma gli dissi che c'era un problema di lingua: con il francese me la cavavo ma non con il tedesco. Pajetta rispose che la lingua non era un problema e quindi accettai.
La cosa mi fece piacere sia perché si trattava di un lavoro politico che mi piaceva, sia perché a Sanremo avevo avuto degli scontri politici e cominciavo a non trovarmici.
A fine gennaio andai a Roma ed ebbi una informazione più dettagliata della situazione del partito in Germania che non era molto chiara. C'erano diversi gruppi ma non riuscivano a produrre iniziativa anche per una divisione tra loro sulla base delle regioni di provenienza. Tra pugliesi e siciliani non c'era molto accordo, anche se tutti volevano costruire un partito adeguato alle esigenze degli emigrati in Germania.
A Roma incontrai il compagno Pelliccia che era uno dei responsabili dell'emigrazione e conosceva bene la situazione anche perché conosceva bene il tedesco. Era stato uno speaker della radio della DDR da cui proveniva. Decidemmo di andare in Germania a fare una riunione con i compagni più attivi. Facemmo la riunione e decidemmo che io mi stabilissi a Colonia, perché a Stoccarda e Francoforte c'erano gruppi più attivi. Inoltre a Colonia ce n'era bisogno perché città della Renania-Vestfalia, accanto all'area industriale della Ruhr, che vedeva una forte presenza di emigrazione italiana.
Rodolfo Amadeo, Dalla Pigna di Sanremo al mondo dei lavoratori, Grafiche Amadeo - Chiusanico (IM), pp.14-17

lunedì 5 agosto 2024

La Domotica di un frontaliere ventimigliese

Fonte: Flavio Palermo

Da parecchi anni faccio esperienze con IoT.
L'Internet of Things (IoT) è una rete di oggetti e dispositivi connessi (detti “cose”), dotati di sensori (e altre tecnologie), che consentono loro di trasmettere e ricevere dati, da e verso altre cose e sistemi.
Oggi l'IoT è ampiamente utilizzato in ambito industriale (IIoT) ed è sinonimo di Industry 4.0.
L'impianto elettrico elettronico del mio appartamento è gestito appunto dall'IoT con un Arduino MEGA nel quadro elettrico ed Home Assistant. Home Assistant, software open-source in grado di controllare tutti i dispositivi Smart all'interno di un'abitazione, dalle luci, ai condizionatori, alle automazioni per le tapparelle.
Installato su un Raspberry 4 pi 8Gb ssd 250Gb.
Al di là dei tecnicismi, Raspberry Pi può essere considerato un “computer in miniatura”, un intero ecosistema hardware raccolto in un’unica board. Nasce in Inghilterra per favorire la diffusione della programmazione e della cultura informatica, ma il suo incredibile successo ne ha svelato miriadi di altri utilizzi. Considerando la motivazione primaria, appare assolutamente adeguato il motto che campeggia sulla homepage del progetto: “Our mission is to put the power of computing and digital making into the hands of people all over the world” (“La nostra missione consiste nel mettere il potere della programmazione e della creazione digitale nelle mani di persone di ogni parte del mondo”). Questa frase è una sintesi perfetta per raccontare uno strumento che ha favorito il fiorire della creatività nel mondo senza limitazioni politiche, sociali o economiche: strada poi percorsa da BBC micro:bit, altro prodotto inglese.
L'impianto elettrico elettronico del mio appartamento è gestito appunto dall'IoT con un Arduino MEGA nel quadro elettrico ed Home Assistant".
Arduino è una piattaforma hardware composta da una serie di schede elettroniche dotate di un microcontrollore. È stata ideata e sviluppata nel 2005 da alcuni membri dell'Interaction Design Institute di Ivrea come strumento per la prototipazione rapida e per scopi hobbistici, didattici e professionali.
Poi ad un certo punto ho spento tutto e ti spiego il perché.
Agosto 2022: acquisto un misuratore di energia che installo nel quadro elettrico.
Ed effettivamente mi rendo conto che in mia assenza avevo un consumo di ben 300Watt a vuoto e una bolletta bimestrale di 275 euri. Modem Nas, videosorveglianza, allarme, tutti i dispositivi IoT  ecc. Ecc. Accesi che magari mi collegavo 10 minuti al giorno da Monaco.
Quindi ho deciso di spegnere tutto per fare una prova abbassando il consumo da 300W a 5W.
Bolletta? Da 275 a 55 euro 1/5.
Be', visti i risultati, è da agosto 2022 che quando esco di casa si spegne in automatico.
Dovrei brevettare il progetto: ECOMOTICA...
Flavio Palermo, 31 luglio 2024

Fonte: Flavio Palermo

Non sono in grado di affermare se il termine "Domotica" si applichi al meglio alle situazioni descritte qui da Flavio Palermo, ma all'epoca dei suoi primi esperimenti telematici - che circa trent'anni fa cercò di farmi capire la parola era molto diffusa (e densa di aspettative che non so in realtà quanto si siano verificate) - in circoscritti ambiti del mio lavoro, così che mi piace usarla, al confine tra una citazione e l'autoironia.
Adriano Maini

martedì 30 luglio 2024

Angelo Oliva si vide invece attribuire il primo premio

Bordighera (IM): la sede attuale dell'Unione Culturale Democratica (Via al Mercato, 8)

Angelo Oliva, premio Cinque Bettole 1961
Enzo Maiolino e Giorgio Loreti - queste pagine non possono che iniziare dai loro nomi - hanno svolto per decenni un'opera di raccolta e salvaguardia delle memorie culturali del Ponente ligure e specialmente delle stagioni più intense di iniziative che ebbero come centro Bordighera nel cuore del secoloscorso e a cui hanno loro stessi contribuito. Negli archivi che Maiolino e Loreti hanno radunato e preservato si possono infatti ritrovare, rispettivamente, tutte le iniziative organizzate nell'ambito dei Premi Cinque Bettole, la cui parabola va dalla fine degli anni Quaranta ai primi anni Sessanta, e le numerose attività del circolo creato alla fine degli anni Cinquanta e denominato a partire dal 1960 Unione Culturale Democratica.
Il presente fascicolo e la riscoperta dell'esordio letterario di Angelo Oliva ci riportano precisamente all'incrocio tra queste due traiettorie, la manifestazione delle Cinque Bettole e il dinamismo dei giovani aderenti all'UCD, all'inizio di un decennio che si era aperto già in modo turbolento con il governo Tambroni e la contestazione antifascista al congresso nazionale del Movimento Sociale Italiano indetto a Genova, città medaglia d'oro della Resistenza. Con l'edizione 1961 dei Premi, dopo la "gara estemporanea" organizzata nel 1958, lo svolgimento in una sola giornata di un concorso di pittura nel 1959 e la sospensione nel 1960, si tentò di rifondare quella che era stata per diversi anni la rassegna di punta delle estati bordigotte proprio coinvolgendovi nuove generazioni.
[...] Angelo Oliva si vide invece attribuire il primo premio per il racconto Una grossa porcheria che si può infine rileggere in questo volume nella versione edita, come previsto a compimento della manifestazione, sulle pagine de "L'Eco della Riviera".
[...] A distanza di più di sessant'anni è comunque difficile dire quanto possa avere influito nelle determinazioni della giuria il fatto che Oliva fosse già conosciuto come uno dei fondatori dell'UCD e tra i principali animatori del "giornale dell'Unione Culturale Democratica", dove i suoi articoli erano regolarmente affiancati da quelli firmati dagli stessi Seborga e Biamonti. La pubblicazione, realizzata in ciclostile dai giovani democratici, nacque, si sviluppò e fu poi interrotta proprio tra il 1960 e il 1961. L'ultimo numero, doppio, uscì a ridosso di quell'estate con in prima pagina uno scritto di Biamonti in morte di Maurice Merleau-Ponty e uno di Oliva su Fidel Castro, in terza pagina una poesia inedita di Seborga che presentava più oltre alcuni versi del poeta cubano José Luis Galbe (che fu uno dei suoi traduttori). La ricchezza dei contributi raccolti nei fascicoli di questo giornale corrispondeva alla varietà di interessi dei giovani fondatori del circolo in virtù dei quali la cessazione delle pubibblicazioni, a metà del 1961, non coincise con una flessione delle attività del gruppo: nel giro di pochi mesi, presso il locale denominato "la Buca" perché seminterrato al n. 171 (l'attuale 187) di via Vittorio Emanuele di Bordighera, l'UCD organizzò infatti mostre personali di Enzo Maiolino, Mario Raimondo e Sergio Gagliolo, conferenze di Seborga sulla poesia civile in lingua spagnola o del maestro Raffaello Monti su Musorgskij, per poi festeggiare a ottobre l'anniversario della sua sede "rinnovata" con esposti alle alle pareti "quadri di pittori di Bordighera fra i quali: Maiolino, Truzzi, Gagliolo, Raimondo, Ciacio, Porcheddu e della pittrice Eny <9 e con una conferenza di Biamonti sulla poesia francese contemporanea, a proseguire una serie avviata all'inizio a proseguire una serie avviata all'inizio dell'anno di cui già Oliva stesso aveva dato conto sul giornale <10 del circolo.
Non pare quindi improprio leggere la vittoria del ventunenne Oliva al Cinque Bettole come un incoraggiamento a una generazione intera di giovani ponentini per i quali la cultura e l'arte erano strumenti d'emancipazione, intellettuale e sociale, volti a incrementare lo sviluppo democratico e l'auspicata ma difficoltosa defascistizzazione del paese. L'opportunità che ci offre questo Quaderno è però anche quella di farsi un'opinione autonoma sul testo premiato, Una grossa porcheria, rimasto a lungo irreperibile, mentre l'affermazione personale dell'autore nelle fila del PCI lo allontanava sempre più dalle velleità letterarie.
[NOTE]
9 Così in un invito datato 27 ottobre 1961 conservato nell'archivio dell'UCD.
10 Angelo Oliva, «L'avventura della poesia francese», in "il giornale dell'Unione Culturale Democrafica" II, 5, gennaio [ma febbraio] 1961, p. 5.
Claudio Panella (Univ. di Torino)
(a cura di) Giorgio Loreti e Silvio Maiano, Angelo Oliva, Una grossa porcheria, Unione Culturale Democratica Bordighera, 2023, pp. 7,8 - 16,17,18

lunedì 22 luglio 2024

Franco Carli si era anche impegnato in un repertorio che comprendeva il cabaret satirico e intellettuale di Sandro Bajni

Franco Carli. Fonte: Sergio Bagnoli, art. cit. infra

Franco Carli, attore, autore e regista, mancato nella sera di mercoledì scorso all'età di 73 anni a Imperia, ha svolto un ruolo importante  nel panorama culturale  del Ponente Ligure.
Nella sua città ha promosso varie iniziative, realizzato spettacoli e diretto per alcuni anni il Teatro Comunale Cavour.
La sua carriera di attore ha assunto tratti diversi a seconda dei periodi. A più riprese ha lavorato al Teatro Stabile di Genova, prima con Luigi Squarzina negli anni sessanta e settanta,  poi con Marco Sciaccaluga e Peter Stein, interpretando testi di Pirandello, Sartre, Goldoni  Brecht, Koltès e Shakespeare. Si è legato per un certo tempo alla Tosse, sui cui palcoscenici ha recitato come protagonista  de Il re in bicicletta di Mario Bagnara con regia di Tonino Conte e I Corvi di Becque sotto la direzione di Aldo Trionfo.
Carli ha seguito anche percorsi artistici più eccentrici. Il suo esordio è avvenuto sotto un segno marcatamente anticonformista, prendendo parte al Dottor Jekyll e Signor Hyde, messo in scena da Carmelo Bene alla Borsa di Arlecchino di Genova nel 1961. Successivamente ha collaborato col Teatro Durini a Milano, impegnandosi in un  repertorio che comprendeva il cabaret satirico e intellettuale di Sandro Bajni, la riscoperta di testi polemici e scomodi di Majakovskij, lo sberleffo critico di Dario Fo.  E nel '72, insieme con Gianni Fenzi, Antonello Pischedda e un giovanissimo Marco Sciaccaluga, ha dato vita alla cooperativa Teatro Aperto, per la quale ha interpretato Don Chisciotte.
Rientrato a Imperia,  anche per gravi ragioni che lo hanno visto coinvolto con la moglie Gianna in uno strenuo impegno famigliare, con regolarità ha allestito come autore, regista e protagonista spettacoli tratti da storie del Ponente Ligure. Ha evitato tuttavia di rinchiudersi nel colore locale, proiettando in una dimensione fantastica e di grande  affabulazione figure e  vicende, secondo la lezione di Calvino.
La sua recitazione aveva la dote di una epicità non sussiegosa,  caratterizzata insieme dall'affettuosa simpatia umana verso i personaggi  e dall'ironico distacco del narratore. Ha spesso scavalcato i confini del teatro, proponendo letture penetranti di autori del Ponente Ligure come Boine, Mario Novaro, Cesare Vivaldi, Giuseppe Conte. Dalla fondazione del DAMS ha tenuto laboratori per gli studenti del Corso di laurea di Imperia, sfociati ogni anno in rappresentazioni seguitissime. L'ultima prova in questo senso è stato Nel bosco immaginario, a maggio, nella Sala Eutropia del Polo Universitario di Imperia.
Vivace, umanamente affabile, molto attento alle tradizioni popolari e musicali della sua terra, ricercatore curioso di forme della cultura orale del Ponente, ha valorizzato una parte di mondo che conosceva bene e  che ha regalato con generosità agli altri.
Eugenio Bonaccorsi, Addio Franco Carli protagonista della prosa, la Repubblica, 4 giugno 2011

Un lavoro approfondito sui suoni e sul linguaggio impostato insieme agli studenti universitari dei locali corsi del Dams, facente parte della facoltà di lettere dell'Università di Genova. Oltre che regista Carli recitò pure, al fianco di cinque studenti, nel “Bosco Immaginario”. L'allestimento teatrale al Cavour, due repliche fuori abbinamento, fu l'ultimo suo gesto d'amore per la cara Imperia che intendeva contribuire a sprovincializzare dopo l'apertura da più di un lustro, entro i suoi confini urbani, del Dipartimento delle Discipline dell'arte, musica e spettacolo. Carli veniva da una solida esperienza teatrale alle spalle: dopo l'esordio del 1961 con Carmelo Bene passò infatti allo Stabile di Genova, uno dei maggiori teatri di prosa pubblici d'Europa, per approdare nel 1964 a Milano al Teatro Durini. Qui entrò in contatto con il Premio Nobel per la letteratura Dario Fo e recitò accanto a gente come Bogdan Jerkovic e Giovanni Poli. Tornato poi allo stabile di Genova vi imbastì un profondo sodalizio con il famoso regista Luigi Squarzina ma contemporaneamente non disdegnò neppure di lavorare per il piccolo schermo televisivo al fianco di Giorgio Gaber nel programma “Le nostre serate”. Lavorò pure per la direzione ligure della radio, allora ancora un mezzo mediatico ascoltato pure nei suoi programmi culturali, insieme all'attrice genovese Lea Landi. Fortemente attaccato alla propria terra, pur evitando allo stesso tempo di venirne sopraffatto in modo da rifuggere il vizio del provincialismo e mantenere larghezza di vedute verso un vasto orizzonte culturale, Carli lascia oggi un grande vuoto forse incolmabile non solo ad Imperia ma in tutto il mondo del teatro italiano.
Sergio Bagnoli, Imperia ed il teatro italiano piangono la scomparsa di Franco Carli, Agora Vox, 4 giugno 2011

Matteo Lupi del direttivo della provincia di Imperia dell'Arci si è unito ai tanti imperiesi che hanno avuto il piacere di conoscere Franco Carli. Il noto artista del capoluogo si è spento  la scorsa notte e Lupi lo ha voluto ricordare così: "Franco è stato Presidente Provinciale del comitato Arci di Imperia dal novembre del 2000 sino al 29 maggio del 2004. Con lui ed Alfea Possavino Delucis ci lasciano due dei massimi dirigenti della nostra associazione e due figure di alto profilo del mondo culturale imperiese.Franco ha lavorato dagli anni'60 in avanti con i più grandi interpreti del teatro di prosa italiano, ma contemporaneamente ha saputo promuovere decine di iniziative tese alla valorizzazione delle tradizioni popolari nel nostro entroterra.
A Ceriana, tutti i cori ricordano con affetto le assidue visite di Franco in occasione delle serate estive e dei concerti: la sua collaborazione con Edward Neil ha consentito di “stanare” finalmente la tradizione popolare cerianasca da quel ghetto in cui era stata relegata nel dopoguerra. Nel 1997 Franco Carli ha fondato, insieme ad altre famiglie, l'associazione di promozione sociale Agenzia "H", un circolo arci sorto per sostenere politiche a favore dei diversamente abili e sensibilizzare la popolazione alle tematiche dell'handicap. Franco nella sua infatcabile attività al servizio degli altri e della comunità tutta, ha contribuito alla nascita di reti associative, progetti sociali e formativi, con il prezioso supporto di Luca Salvo, coordinatore provinciale dell'Arci negli anni della sua presidenza, Franco ha sostenuto la fondazione di Arci Servizio Civile Imperia, il Festival “MET” di San Bartolomeo al mare e le prime importanti inziative pubbliche sul tema dell'antirazzismo e della multicultura.
Ecco perché oggi anche le associazioni si sentono più sole... Sotto la sua guida, attenta e autorevole, l'Arci di Imperia ha vissuto un periodo di significativo rinnovamento, caratterizzato dall'investimento su quei dirigenti che ancora oggi rappresentano la spina dorsale del comitato in provincia: Feli, Elisa, Donatella, Giuseppe e il sottoscritto che a nome di tutto il Direttivo intende rivolgere alla moglie di Franco ed ai suoi figli le più sentite condoglianze".
Stefano Michero, Imperia: Matteo lupi (Arci) ricorda l'artista Franco Carli, Sanremo News.it, 3 giugno 2011

“È un tentativo di raccogliere alcuni segni che mio padre ha lasciato, forse nella speranza che qualcuno li cogliesse”: il figlio Antonio presenta così “Amanuense. Il mondo di Franco Carli”, che va in scena in “prima assoluta” oggi (martedì 14 marzo) alle 21 allo spazio Italo Calvino di Imperia, con replica domani sera al teatro “Salvini” di Pieve di Teco. Lo spettacolo è proposto nell’ambito delle due stagioni “gemellate” a cura del direttore artistico Eugenio Ripepi, con la consulenza del professor Eugenio Buonaccorsi, già presidente del Dams.
Scritto, diretto e interpretato da Antonio Carli, “Amanuense” è un commosso omaggio a Franco, personaggio centrale della cultura imperiese nei decenni scorsi, che il poeta e scrittore Giuseppe Conte ricorda così: “C’era la poesia, nel suo cuore. L’ho sempre pensato… Lui, paziente come un monaco o un artigiano medievale, appassionato come un uomo del proprio tempo, ha salvato nella poesia ciò che rende umano l’uomo, ha trascritto i frammenti di una grande biblioteca dell’universo che rappresentano il meglio di ciò che l’uomo ha concepito nel suo passaggio breve, nella sua effimere avventura sul pianeta che chiamiamo Terra…”.
Premiato a 17 anni da Alberto Moravia e dal presidente la Repubblica Gronchi come vincitore di un concorso nazionale per una raccolta di poesie, Franco Carli comincia a Genova la carriera: assistente alla regia di Luigi Squarzina e attore allo Stabile. Diventa poi direttore artistico del Cavour, crea laboratori nelle scuole, fonda rassegne e instilla in molti giovani la passione per la cultura e il teatro. E partecipa alla costruzione del Dams al Polo universitario imperiese: “Fino a pochi giorni prima di lasciarci, è stato impegnato nello sviluppo di progetti ad esso collegati”, ricorda Antonio.
Stefano Delfino, Con “Amanuense” Antonio Carli ricorda papà Franco nella stagione dello Spazio Calvino, La Stampa, 14 marzo 2017

Un critico, Dario G. Martini, su “Il giornale” di quello stesso giorno, pur mostrando molte perplessità per “la tetraggine” delle scene e dei costumi della Manari e per lo spettacolo che fonde, a suo parere, in maniera poco convincente elementi disparati: fumetti, fantascienza e televisione, è ammirato in particolare dall’interpretazione di Enrico Bonavera e di Carli, rispettivamente impegnati nei ruoli di Truffaldino e Cigolotti-Durandarte.
[...] Del maggio ’91 è poi la messa in scena al Duse di Re cervo di Carlo Gozzi con Franco Carli affiancato da alcuni giovani diretti con abilità da Sciaccaluga. Della Manari sono questa volta sia le scene e sia i costumi.
Roberto Trovato, Valeria Manari: l’architetto dei sogni, Revista Internacional de Culturas & Literaturas, 2016

domenica 14 luglio 2024

Tra le case gentilizie di Latte ricorda quella di Cabagni, usando il solo cognome Baccini

Latte, Frazione del comune di Ventimiglia (IM): la zona più interessata dal racconto che qui segue

La mia curiosità ha inizio da due righe di Wikipedia che informano che il maresciallo Antonio Carcasola di Gallarate introdusse a Latte, frazione di Ventimiglia, la coltivazione industriale dei fiori, producendo rose e garofani.
Poi nella "Cronaca ventimigliese 1859-1913" di Girolamo Rossi trovo la seguente notizia: "1903 - Dicembre - Oggidì, che Ventimiglia è nota pel traffico e la coltura dei fiori, occorre segnalare che nel 1881 il maresciallo dei carabinieri Antonio Carcasola di Gallarate fu il primo ad introdurre in Latte, nella villa Cabagni, la coltura dei fiori: in essa fecero ormai fortuna i Riva, i Saini, i Notari, ed i Martini". 
Ma questa iniziativa ebbe un epilogo complicato. Il contratto tra Carcasola e Cabagni era una locazione sui generis, quasi un'enfiteusi, con canone basso ma con obbligo di effettuare miglioramenti al fondo nel corso del contratto. La morte della moglie di Carcasola, cointestataria del contratto di affitto, complica le cose e alcune clausole li portano ad un litigio davanti al giudice.
Il notaio Mauro con atto del 19 aprile 1880 prevedeva che al termine del contratto tutti i miglioramenti apportati dal Carcasola e gli arredamenti stessi presenti nella casa, andassero a Cabagni senza nessuna indennità. Purtroppo, non era previsto che uno dei coniugi Carcasola morisse e interrompesse il contratto in anticipo in modo naturale. Su questo si apre una causa che arriva a sentenza in Corte di appello a Genova a fine del 1893.
Lo scopo di questo racconto non è far rivivere la sentenza che stabilisce per l'avv. Cabagni l'obbligo di risarcire il Carcasola nel momento in cui abbandona la campagna che aveva coltivato in locazione, ma piuttosto di individuare i luoghi ed i ricordi e ricostruire gli inizi della floricoltura.
Dell'avvocato Giovanni Cabagni trovo che nel 1875 chiedeva l'aggiunta del cognome Baccini. Da altri documenti successivi emerge che lo stesso era sposato a Bordighera con Manuel Gismondi Anna fu Luigi e che fu sindaco dal 1895 al 1901.
Anche il frate Luigi Ricca già nel 1865 nel suo viaggio verso Nizza, tra le case gentilizie di Latte ricorda quella di Cabagni, usando il solo cognome Baccini.
L'ultima traccia che trovo informa che nella villa Cabagni di Latte nell'ottobre del 1903 si installò la Congregazione dei Padri di San Pietro in Vincoli, provenienti da Marsiglia per dedicarsi all'educazione dei "discoli e dei carcerati". Rimasero fino al 1915.
L'annuario d'Italia  per l'esportazione e l'importazione del 1911 include in comune di Ventimiglia Ballini Pompeo, Diana, Lercari, Martini, Notari, Palmero, Riva, Saini, Squarciafichi, Viale.
Ballini Pompeo coltivava ed esportava rose a Mortola ed era un pioniere della floricoltura. Nei giardini Hanbury in un piccolo fabbricato chiamato "casa Ballini" è ubicata una banca dei semi per la conservazione della diversità vegetale e sono disponibili circa trecento tipi di semi per scambi con altri Orti Botanici. In passato la villetta era utilizzata come casa colonica per i giardinieri.
Già nel 1901 Carlo Riva aveva partecipato al congresso degli agricoltori e orticoltori italiani a Firenze, unico floricoltore.
Siamo rimasti in pochi a chiamare "da Riva" una campagna tra l'Aurelia ed il mare vicino alla casa del Vescovo e a villa Botti ormai diventata un po' condominio e un po' roveto.
Arturo Viale, Punti Cardinali. Da capo Mortola a capo Sant'Ampelio, Edizioni Zem, 2022

[altre pubblicazioni di Arturo Viale: I sette mari. Storie e scie di navi e di naviganti e qualche isola, Book Sprint Edizioni, 2024; La Merica...non c'era ancora, Edizioni Zem, 2020; Oltrepassare. Storie di passaggi tra Ponente Ligure e Provenza, Edizioni Zem, 2019; L'ombra di mio padre, 2017; ViteParallele, 2009; Quaranta e mezzo; Viaggi; Storie&fandonie; Ho radici e ali; Mezz'agosto, 1994]

Sulle complesse vicende e sull'intricata genealogia dei Cabagni e dei Baccini si trovano notizie interessanti nel racconto "Casa Eugenia dei Manuel Gismondi" di Giuseppe E. Bessone che appare in "Racconti di Bordighera - 3" (a cura di Pier Rossi, Alzani Editore, 2021): "Verso la fine degli anni '20 del 1800 i tre maschi della nobile famiglia Baccini di Castelvittorio, già Castelfranco, decidono di maritarsi e di scendere al mare. Pier Paolo rimane scapolo, e poi sacerdote, e costruisce una villa a Latte di Ventimiglia, ora Zanelli: Francesco, avvocato, scende a Sanremo ove costruisce una casa ancora esistente su Via Nuova; Giovanni, il più giovane ha ereditato i terreni assai vasti di Bordighera dei Muraglia [...] e vi costruisce nel 1830 una casa, l'attuale Casa Eugenia [...] Con la morte di Giovanni finisce la famiglia Cabagni Baccini in linea diretta e la proprietà dei vasti terreni a monte e la Villa passano prima alla moglie e, successivamente, ai nipoti Manuel Gismondi [...]".
Ponendo termine alla citazione, si vuole aggiungere che in ordine al cognome Manuel Gismondi si potrebbero aprire diverse altre pagine di storia locale, soprattutto relative a Sanremo.
Adriano Maini