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sabato 16 novembre 2024

Nacque a Porto Maurizio uno tra gli animatori della Resistenza in Liguria

Imperia: un angolo di Borgo Foce a Porto Maurizio

Franco Antolini
Liguria
Nato a Porto Maurizio (Imperia) l'11 settembre 1907, deceduto a Genova il 4 luglio 1959, economista
Negli anni dell'Università era entrato nel movimento antifascista e, su ispirazione di Carlo Rosselli, aveva contribuito alla nascita e alla diffusione della rivista Pietre. Allorché giunse il momento del servizio militare, frequentò il corso allievi ufficiali, ma ne fu allontanato per le sue idee politiche e assegnato, per punizione, ad una "compagnia di disciplina". La conoscenza di Rosselli lo portò, nel 1928, ad aderire al movimento "Giustizia e Libertà" ma, com'ebbe a scrivere, "una più profonda maturazione culturale e politica" lo indusse a cercare contatti con la classe operaia genovese e, dal 1935, a militare nel Partito comunista clandestino.
Negli anni della guerra di Spagna, Franco Antolini s'impegnò nell'organizzazione dell'espatrio di combattenti antifranchisti. Nel 1937, entrato col socialista Rodolfo Morandi nel "Fronte Unico Antifascista", fu arrestato e, dopo mesi di segregazione, processato dal Tribunale speciale. I giudici fascisti non riuscirono a portare prove a suo carico e il giovane professionista fu assolto.
Dopo l'8 settembre 1943, Franco Antolini fu tra gli animatori della Resistenza in Liguria. Membro del Comando militare regionale, il 18 marzo 1944, finì nelle mani delle SS. Tre mesi di carcere e di stringenti interrogatori non bastarono a strappare ad Antolini nomi o indicazioni; così i tedeschi lo deportarono nel campo di eliminazione di Mauthausen.
Sopravvissuto e rientrato in Italia, Franco Antolini fu designato dal CLN commissario all'Ansaldo. Egli è stato anche consigliere comunale e provinciale di Genova e membro della Commissione centrale economica del PCI. Tra i suoi scritti economici, anche un Manuale del contribuente che è stato, per anni, uno dei testi più consultati. Dopo la sua morte, a Genova, gli è stata intitolata una Sezione del PCI. Una strada del capoluogo ligure porta il suo nome.
Redazione, Franco Antolini,ANPI

Nato ad Imperia l’11.9.1907
Residente a Genova. Ufficiale degradato per antifascismo, viene arrestato nel giugno 1937 per appartenenza al Fronte unico antifascista e deferito al Tribunale Speciale. E’ assolto il 10.6.1937. Radiato nel 1941.
Partecipa alla guerra di Liberazione. Catturato il 18.3.1944 dalle SS, è deportato a Mauthausen. Sopravvissuto, rientrerà in Italia nel 1945.
Consigliere comunale e provinciale a Genova, membro della Commissione centrale del PCd’I, economista di grande rilievo.
Muore il 4.7.1959.
Redazione, Franco Antolini, ANPPIA

Sui primi giorni della Resistenza a Genova a questo collegamento il Diario di Franco Antolini 

Franco Antolini nacque l’11 settembre 1907 nell’allora comune di Porto Maurizio, in provincia di Imperia, da Carlo e Tomasina Stupazzoni. Si trasferì a Genova nel 1925, in seguito al secondo matrimonio della madre, rimasta vedova quando Franco aveva due anni, con Francesco Germinale. Nel capoluogo ligure si iscrisse alla Facoltà di Economia e Commercio dove fondò, insieme a Francesco Manzitti e Virgilio Dagnino, compagni di università, la rivista antifascista «Pietre», i cui numeri uscirono dal 1926 al 1928, anno in cui la rivista cadde vittima della retata fascista seguita all’attentato di Milano del 12 aprile 1928. La partecipazione di Franco Antolini a «Pietre» si era interrotta già nel 1927, in seguito all’inizio del periodo di leva di Antolini, il quale frequentò il corso di allievi ufficiali, insieme a Virgilio Dagnino. Gli eventi, però, si ripercossero anche sui due giovani, i quali, con un pretesto, furono degradati e spediti in una Compagnia di disciplina e poi rinchiusi nello Stabilimento militare di pena a Forte Ratti, in attesa del deferimento al Tribunale speciale. Tuttavia, in mancanza di prove contro di loro furono dimessi da Forte Ratti alla fine dei rispettivi periodi di leva: Dagnino nel novembre 1928; Antolini nel maggio 1929. In questo stesso anno conseguì la laurea e nel 1931 ottenne l’iscrizione all’albo professionale dei commercialisti. Tuttavia fu degradato da tutti gli incarichi giudiziari a causa della mancanza della tessera del Partito nazionale fascista, al quale non fu mai iscritto. Esercitò la sua professione, quindi, come libero professionista. Nel 1934 sposò Valeria Agostini, colta ed elegante giovane. Nel 1935 prese la tessera del Partito comunista, di cui fu attivo militante. Nell’aprile del 1937 fu arrestato a causa dei contatti che aveva stabilito con il cosiddetto “Fronte unico antifascista”, costituitosi a Milano a partire dal gruppo antifascista socialista di Rodolfo Morandi e che era impegnato nel riavvicinamento dei partiti della sinistra italiana. Dopo una reclusione di sei mesi, prima nel carcere milanese di San Vittore e poi in quello romano di Regina Coeli, il 10 ottobre 1937 fu assolto a causa della mancanza di prove a suo carico. Dal 1943 partecipò alla lotta clandestina antifascista come membro del Comitato militare del Cln ligure ed ispettore di zona, insieme al cognato Adriano Agostini (Ardesio). Il suo nome fittizio, con cui spesso firmava gli articoli che scriveva, poteva essere Andrea Furlini o Francesco Abate. Il 18 marzo 1944 fu arrestato dalla Gestapo: dopo tre mesi di detenzione prima nel carcere di Marassi e poi nel campo di internamento di Fossoli (Modena), fu deportato nel lager di Mauthausen, nel quale restò da fine giugno 1944 al maggio 1945. Rientrato in Italia, fin dallo stesso 1945, Antolini riprese subito a esercitare le attività che riempiranno poi la sua vita fino alla scomparsa, nel 1959. Continuò la sua attività di commercialista, non abbandonando però la passione politica: a livello locale fece parte sia del Comitato federale sia della Commissione economica della Federazione genovese del Pci; fu inoltre eletto consigliere comunale e provinciale ininterrottamente dal 1945 al 1959 nel gruppo comunista. A livello nazionale fece parte dal 1945 della Commissione economica e dal 1948 della Commissione di studio e controllo amministrativo del Pci, pur senza mai entrare nella Direzione. Franco Antolini, sebbene non abbia mai ricoperto cariche pubbliche particolarmente pubbliche, fu il costante ispiratore della linea economica del partito, il quale richiedeva spesso il suo parere in materia di economia. Era infatti noto e ammirato per l’acutezza e l’originalità del suo pensiero economico, espresso soprattutto sotto forma di articoli di divulgazione giornalistica o di saggi in riviste, attraverso i quali si possono ripercorrere tutti i momenti più salienti della storia italiana dal dopoguerra agli anni immediatamente successivi al boom economico. Si ricorda la sua opera più famosa: il “Manuale del contribuente”. Franco Antolini morì prematuramente il 4 luglio 1959 a causa delle complicazioni causate dalle sofferenze fisiche subite in passato.
Redazione, Franco Antolini, Siusa

giovedì 11 maggio 2023

I comizi di Alessandro Natta furono subito famosi

Imperia: uno scorcio dell'ormai dismessa stazione ferroviaria di Porto Maurizio

[...] A sessant'anni di distanza dagli eventi, che seguirono, ad Imperia, il 25 Aprile della Liberazione, che cosa resta nella memoria, in questa memoria "stravagante ed imbrogliona" come la taccia Rossana Rossanda nel suo bel libro di memorie "La ragazza del secolo scorso"? Brandelli di ricordi, eventi e figure che si appannano nel volgersi degli anni, episodi che forse abbiamo ricostruito raccontandoli, ripensandoli.
Nitido però mi è rimasto il ricordo del ritorno di Alessandro Natta ad Imperia. Ero molto amico di un suo nipote, Piero. Insieme eravamo alle prime armi della politica, nella cellula giovanile della Sezione "Adolfo Stenca" (la Fgci, la Federazione giovanile del partito non era stata ancora ricostituita) e lui mi parlava spesso di questo suo zio, professore, antifascista, internato in Germania.
Così, quando nell'agosto del '45, ritornò nella nostra città, già lo avevo collocato nella mia memoria tra le figure importanti. Per noi, allora, i miti erano i partigiani, quelli appena scesi dalla montagna - Curto, Stalin, Mancen - e poi c'erano i "capi", quelli che dirigevano la Federazione del Pci, Castagneto, Ughes, Zanetta, Menicco Amoretti, quelli che stavano nel Cremlino (noi avevamo la sede in via Belgrano, prima a pianterreno, poi al primo piano, dove poi sarebbe andata la Banca d'Imperia) e che ci parevano alquanto inavvicinabili.
C'erano anche giovani di grandi prospettive, dai cattolici erano arrivati Alocco e Boggero, da Mathausen Raimondo Ricci e Alberto Todros, che subito si imposero come gli intellettuali che (allora era molto importante, ai nostri occhi), aderivano al Partito; facevano le prime apparizioni Gino Napolitano, Franco Dulbecco, i fratelli Gennari; occupavano posti di responsabilità Gerini, Bianca (Rossana) Novaro, sua moglie, Ottavio Siri, Gustavo Berio.
In quella temperie, in quella febbrile attività da dopoguerra, arrivò Natta. Ricordo che, per i primi tempi, si discusse, tra noi della "base", se quel giovane professore, cognato di Zanetta, amico di Nannollo Piana, era comunista o del Partito d'Azione o socialista. Non sapevamo ancora del suo passato antifascista proprio ad Imperia e alla Normale di Pisa.
Il partito, forgiato da una durissima Lotta di Liberazione, con qualche ancestrale rimasuglio di bordighismo (Natta lo ricorderà in articoli e interviste di anni successivi) era chiuso e settario. Difficile occupare posti di rilievo, anche se eri stato in campo di concentramento, ma non avevi partecipato alla Resistenza o se non eri reduce da un lager di serie A (Ricci lo era ed entrò quasi subito nella segreteria di Federazione, Sandro più tardi, come vice di Giovanni Gilardi, che aveva sostituito Castagneto nell'agosto del 1946).
Comunque Natta, mise fine alle incertezze e si iscrisse subito, già nell'agosto del 1945, al Pci. Ricordo che, per me, che ancora ero studente (e responsabile degli studenti della Cellula giovanile) fu una notizia bellissima. Sapere che quel professore era diventato uno dei nostri, mi diede una grande soddisfazione. Orgoglio, direi.
La memoria di quei primi mesi, un anno all'incirca, mi suggerisce soprattutto un Natta conferenziere, non dirigente di partito.
Le conferenze si svolgevano al "Bruno Nello" in via S. Lucia, nella sede della Società operaia, dove aveva sede l'Università popolare, di cui Natta divenne dirigente. Conferenze che erano lezioni. Sulla letteratura, sugli amati giacobini e sull'amatissimo Filippo Buonarroti, sull'esperienza dei campi di concentramento.
Correvamo, noi giovani, ad ascoltare quelle conferenze-lezioni, assetati di conoscenze, con l'entusiasmo dei neofiti. Apprendevamo le cose che non ci avevano insegnato e non ci insegnavano a scuola e Natta le esponeva con il tipico piglio del professore.
Lo stesso piglio e un po' di cipiglio anche, quando fummo chiamati (un ordine, praticamente) a frequentare la scuola di Partito, in Federazione. Conservo ancora un quaderno (quelli con la copertina nera e il bordo rosso che usavano allora) nel quale fermavo i miei appunti delle lezioni di Natta.
Le Tre Internazionali, il Manifesto di Marx, la Rivoluzione d'Ottobre, le elezioni in Francia, il leninismo, Pisacane, la nascita del Pcd'I a Livorno.
Natta si inserì lentamente nel gruppo dirigente della Federazione, non venne candidato alla Costituente, ma diventò consigliere comunale alle elezioni del 1946. Vinsero le sinistre che confermarono sindaco Goffredo Alterisio, ma Sandro non divenne assessore. Insegnava ancora al liceo e si parlava molto di quel brillante insegnante (io ero alle Magistrali e invidiavo gli studenti del liceo).
Anni dopo incontrai a Palazzo Madama il senatore Umile Peluso, del nostro gruppo, che era stato collega di Natta ad Imperia e ricordava ancora le sue lezioni. Sandro si affermò anzitutto come oratore. I suoi comizi furono subito famosi e noi, accaniti ascoltatori, lo paragonavamo al mitico Terracini, il più famoso comiziante del Pci e ci piaceva confrontare i suoi discorsi, sempre attentamente preparati, con tanti foglietti di appunti a quelli sempre un po' enfatici, vecchia maniera, a braccio dei "vecchi" dirigenti socialisti e del nostro Pietro Abbo. Natta batteva tutti, per noi, anche quelli che venivano "da fuori", dal centro o da Genova, come Novella o Pessi.
Ho vivissimi, nella memoria, i memorabili contradditori al cinema Rossini, ancora con palchi e loggione, Natta versus Taviani, Natta contro Pelizzari, rettore dell'Università di Genova e noto dirigente dc. Folle immense, tifo da stadio, il loggione tutto occupato dai comunisti che organizzavano la claque. In Consiglio comunale Natta restò a lungo, diventò un leader.
Noi giovani non frequentavamo il Consiglio comunale, non ci pareva abbastanza "rivoluzionario". Di Natta consigliere ricordo però che continuò nel suo impegno anche quando fu eletto, nel 1948, alla Camera e che, non avendo mai guidato la macchina e non essendo ancora la moglie Adele la sua autista, andavamo a prenderlo con la macchina della Federazione alla stazione di Porto, quando ritornava da Roma, e dovevamo subito portarlo ad un'importante seduta del Consiglio. In Consiglio io approdai qualche anno dopo e fu proprio Natta, che puntava sui giovani, allora già segretario di Federazione (dal 1950), che sollecitò la mia candidatura e che impose a Menicco Amoretti, allora nominato nell'organo di controllo dei comuni, a dimettersi per lasciare il posto a me, primo dei non eletti. Il tutto in una burrascosa, infuocata riunione alla Stenca, allora già in via Amendola.
Puntava sui giovani, ma voleva che continuassero gli studi fino a laurearsi. Per questo rampognò molto Francesco Rum perché non concluse l'Università per fare il funzionario di partito. Forse ha rampognato anche Mauro Torelli, per lo stesso motivo, ma non ne ho notizie precise. Lui che era fiero del suo titolo di professore (uno volta mi disse: "Nel partito di Imperia tutti chiamano "professore" Dulbecco, ma a Roma, in direzione, il "professore" sono io"), voleva che i comunisti che potevano studiare, fossero non solo istruiti, ma anche laureati.
Ora che la mente si è messa in moto, i ricordi affluiscono a fiotti.
La grande soddisfazione di Natta eletto alla Camera nel 1948; l'incontro con Duclos nel 1952, Natta che ci lascia per la Capitale nel 1960. E, voglio segnalarlo, le primarie ante lettera, tra i componenti del Comitato federale che organizzammo, quando Sandro lasciò la segreteria di Federazione e dovevamo scegliere tra Nicola Surico (che vinse) e Giuseppe Gennari, per la sua successione.
Un'ultima rimembranza. La mia grande passione, da giovanissimo, era il giornalismo. Per me, vedere che Natta già firmava articoli non solo sul nostro giornale locale di Federazione - "La Verità"- ma anche su "l'Unità" e su "Vie Nuove", me lo rendeva grandissimo. Chissà quante cose ho dimenticato; chissà se tutti i ricordi sono stati fedeli. Una cosa è certo, dopo sessant'anni, quei primi mesi e poi i primi anni di Alessandro Natta ad Imperia restano tra le cose più belle della mia giovinezza e le cose più importanti del mio apprendistato alla politica. A volte, negli ultimi anni, ne riparlavamo, con Sandro, cercando di rinverdire episodi e figure, con qualche sorriso e con tanta malinconia.
Senatore Nedo Canetti, Agosto 1945: Natta torna ad Imperia, PAGINE NUOVE DEL PONENTE, bimestrale di politica e cultura, Imperia, Numero 4 - ANNO VIII  luglio-agosto 2006

sabato 6 maggio 2023

Il tratto costiero tra Ventimiglia e Imperia, la valle Argentina, l’introvabile Tumena

Sanremo (IM): Piazza Colombo

Chi arriva a Tecla, poco vede della città, dietro
gli steccati di tavole, i ripari di tela di sacco, le
impalcature, le armature metalliche, i ponti di
legno sospesi a funi o sostenuti da cavalletti, le
scale a pioli, i tralicci. Alla domanda: - Perché la
costruzione di Tecla continua così a lungo? - gli
abitanti senza smettere d’issare secchi, di calare fili
a piombo, di muovere in su e in giù lunghi pennelli.
- Perché non cominci la distruzione, - rispondono.
[...] - Che senso ha il vostro costruire? - domanda.
- Qual è il fine d’una città in costruzione se non una
città? Dov’è il piano che seguite, il progetto? - Te
lo mostreremo appena termina la giornata; ora
non possiamo interrompere, - rispondono. Il lavoro
cessa al tramonto. Scende la notte sul cantiere. È
una notte stellata. - Ecco il progetto, - dicono
”. <20
Venticinque minuti di ritardo.
Scrivo distrattamente schiacciando i tasti del computer.
Come si racconta un progetto? Dove inizia il progetto?
Il treno continua a correre parallelo alle stanche onde di un mezzogiorno autunnale.
Stazione Sanremo.
Scendo.
Focaccia e farinata.
Dove sarà piazza Colombo?
L’odore del mare sfuma in mezzo ai vicoli della Pigna e per guardare il cielo devi alzare la testa per trovarti sovrastato dai contrafforti degli stretti carrugi.
In automatico la mia testa corre libera a Carruggio Lungo, a Pin, ai monti che lambiscono Sanremo, una città stretta tra il mare e gli aspri crinali.
Sono le 15.45 sarà meglio avviarsi.
Giro a destra, poi a sinistra.
Google Maps sembra smarrirsi in mezzo all’intricato labirinto di carruggi della città vecchia. Giro ancora a destra e mi ritrovo su uno stradone recentemente asfaltato. I silenzi, i passi che rimbombano sull’acciottolato sono un ricordo che si perde nel suono del primo clacson, i palazzoni della speculazione edilizia hanno già rimpiazzato nella memoria la frenesia per l’appuntamento, per il treno da prendere in serata, per le scadenze imminenti, come se questa visita sanremese in giornata sia solo una perdita di tempo.
15.57 segna il cellulare, seduto sulla panchina mi guardo intorno.
“Ho i capelli bianchi, occhiali e una borsa rossa con il fazzoletto dell’ANPI.”
Ripenso al suo messaggio.
Pochi minuti più tardi siamo seduti a un tavolino del bar e ai passanti il quadro potrebbe sembrare stranamente familiare. Io con il quaderno e la penna in mano, una minuta donna di 82 anni di nome Amelia [Narciso], ex insegnante di lettere e fiera presidente provinciale dell’ANPI, un signore [Alfredo Schiavi] suo coetaneo, con gli occhiali scuri e una carriera tipografica e collaborazioni con autori del calibro di Calvino alle spalle, un caffè, un ginseng e un succo d’arancia.
Amelia fruga nella borsa alla ricerca di un foglio solitario, mi chiede la penna e inizia la sua personale narrazione della Resistenza. Pochi tratti incerti hanno già delineato il territorio alla perfezione. Il tratto costiero tra Ventimiglia e Imperia, la valle Argentina, l’introvabile Tumena.
La mattina dopo ricevo una sua telefonata, la stanchezza della trasferta si fa sentire, mi giro dall’altro lato.
“L’ho trovata, abbiamo anche Culdistrega” recita l’oggetto entusiasta della mail.
Come si racconta un progetto? Ancora non lo so. Dove inizia il progetto? Il mio senza dubbio da qui! Dall’entusiasmo, dalla scoperta e dalla voglia di raccontare.
[...] Italo Calvino è un autore che più di altri si presta alla definizione di complessità: la sua scrittura fatta di ibridazioni, pubblicazioni e raccolte successive, racconti in cornici comunitarie si configurano alla perfezione come un fenomeno stratificato e di difficile interpretazione e allo stesso tempo di godibile lettura. Per Calvino scrivere vuol dire, essenzialmente, riuscire in quel rigore che non si rivela sintetizzando e catalogando il caos intorno a lui,
come affermava l’autore stesso, costruire un ordine mentale abbastanza solido per contenere il disordine del mondo (Pampaloni, 2001). La sua poetica si basa sulla molteplicità dei linguaggi, e la piena e matura consapevolezza delle sfaccettature che la letteratura poteva prendere. Il neorealismo che ne ha caratterizzato l’esordio è fin da subito contaminato da una vitale fantasia che vanifica spesso ogni ombra di identificazione del reale all’interno dei suoi
romanzi.
Eppure come afferma ne "Il barone rampante": ogni cosa a farla ragionando aumenta il suo potere (Calvino, 1957) e se ci focalizziamo sui luoghi narrati all’interno della sua opera, se ci ragioniamo, ciò che scaturirà da essi fornirà letture interessanti che grazie all’utilizzo della data visualization potrebbe individuare punti di vista e sguardi inediti sul tema. I luoghi d’ambientazione e anche solo nominati possono sottendere posti dimenticati dallo spirito del
tempo, ma, che venendo raccontati, sono stati traghettati non senza difficoltà all’oggi.
Il tema dei luoghi partigiani è proprio quella farina del sacco altrui di cui parlavo prima, ma che fin dal principio mi ha attirato a sé: la cultura della Resistenza, unite a un profondo e radicato antifascismo hanno esercitato come una leva pressioni sempre crescenti, che mi hanno portato ad abbandonare la strada appena imboccata per prenderne un’altra inedita.
Come abbiamo visto nel primo capitolo i luoghi della Resistenza assumono importanza di fronte alla natura tellurica che caratterizza i partigiani (Schmitt, 1963), ma all’interno della letteratura della Resistenza di Calvino, raccolta in gran parte ne "Il sentiero dei nidi di ragno" e da diciassette racconti contenuti in gran parte nell’"Ultimo viene il corvo" pubblicati tra il 1945 e il 1950, i luoghi stessi assumono un ruolo chiave e una sfumatura differente.
[...] Al solenne genius loci ricoperto da colline, boschi e passi alpini all’interno della letteratura resistenziale, si somma una maggiore complessità che caratterizza proprio l’opera calviniana più di quella di altri autori. Se pensiamo ad altri autori della Resistenza, come il combattente Beppe Fenoglio o lo “sfollato” Cesare Pavese, le fondazioni a loro intitolate hanno già ricreato percorsi alla scoperta dei luoghi delle loro opere e attraverso le loro pagine si può tracciare un catalogo di toponimi langaroli. Seppur accertata la partecipazione attiva alla Resistenza di Italo Calvino e nonostante "Il sentiero dei nidi di ragno" sia considerato uno dei romanzi capisaldi per descrivere
il periodo, nessun lavoro è portato avanti circa i luoghi della valle Argentina che sono stati teatro delle azioni del partigiano Santiago, suo nome da combattente, per un motivo che parrebbe completamente estraneo e paradossale.
[...] Ancora una volta devo citare lo straordinario lavoro portato avanti da Virginia [Giustetto, dell’Unité d’italien de l’Université de Genève] e Tommaso [Elli, per il DensityDesign Research Lab] per il tema dei luoghi dell’"Atlante Calvino" [l'autore parla del progetto "Atlante Calvino: Letteratura e visualizzazione", svolto con l’Università di Ginevra, da una collaborazione con il DensityDesign Research Lab, applicazione diretta di geoletteratura nel panorama delle Digital Humanities]: da loro ho potuto ereditare i nomi dei luoghi d’ambientazione e nominati all’interno delle intere pagine che Calvino ha saputo raccogliere e comporre nell’arco di una quarantina d’anni di carriera. Sono stati necessari diversi passaggi di interpretazione e elaborazione del dataset originario per potersi orientare in una congerie informe di nomi e informazioni poco familiari a uno che, come me, potrebbe identificarsi in un lettore distratto e poco attento alle parole precise.
In primis è stato necessario riconoscere, grazie all’aiuto di una letterata e studiosa dell’autore come Virginia, quali opere identifichiamo all’interno degli interi scritti calviniani quando parliamo di letteratura della Resistenza.
La letteratura della Resistenza ha, innanzitutto, caratterizzato, infatti, solo la prima parte del percorso artistico di Calvino. "Il sentiero dei nidi di ragno" è senza ombra di dubbio universalmente conosciuto come uno dei capisaldi della letteratura resistenziale, al contrario, all’interno dell’"Ultimo viene il corvo" vi sono richiami più o meno espliciti alla lotta partigiana solo in alcuni. Alla prima categoria appartengono "Angoscia in caserma", "Andato al comando", "Paura sul sentiero", "I fratelli Bagnasco", "Ultimo viene il corvo", "La fame a Bévera", "Il bosco degli animali", "La stessa cosa del sangue", "Attesa della morte in un albergo" e "Uno dei tre è ancora vivo" (una particolarissima eccezione all’interno dell’intero panorama letterario partigiano presentando la narrazione dal punto di vista di un soldato tedesco). "Uomo nei Gerbidi", "Campo di mine" e "Alba sui rami nudi", pur non presentando al suo interno richiami diretti alla lotta partigiana, risultano ugualmente testimonianze realiste della vita civile durante la seconda guerra mondiale: in particolar modo interessante diventa "Campo di mine", presentando contrabbando e fughe in direzione della vicina e confinante Francia che hanno caratterizzato il periodo bellico.
Un’ulteriore categoria è composta da "Cinque dopodomani: guerra finita!", "Come un volo d’anitre" e "Mai nessuno degli uomini lo seppe", apparsi sull’"Unità" di Torino (il primo e il terzo) e su "Il Settimanale" (il secondo) e non presenti in successive raccolte, fino alla pubblicazione postuma ne "I Meridiani".
20 Tecla. Le città e il cielo 3, in Italo Calvino, Le città invisibili
Matteo Banal, Sui sentieri dei nidi di ragno. Un’esplorazione visuale dello spazio geoletterario, Tesi di laurea, Politecnico di Milano, Anno Accademico 2018-2019

Rispetto a quanto asserito da Matteo Banal circa la valorizzazione o meno di tanti luoghi calviniani, in particolare quelli legati alla Resistenza, occorre sottolineare che con l'impegno di Veronica Pesce (itinerario a cura di Laura Guglielmi e Veronica Pesce - prefazione di Laura Guglielmi) di recente è uscito il libro "Italo Calvino. Sanremo e dintorni" (Il Palindromo), progetto di itinerario letterario promosso dal Comune di Sanremo per celebrare il centenario della nascita dello scrittore (1923-2023) e realizzato attraverso la collaborazione tra l’Università degli Studi di Genova, le scuole del territorio e l’Accademia di Belle Arti di Sanremo.
Adriano Maini

martedì 25 aprile 2023

Che mi fanno raccontare storie partigiane / Che avevo dimenticato e pensavo

Bordighera (IM): una vista dagli scogli di Sant'Ampelio sino ad Ospedaletti ed a Sanremo

... nel ‘39 si formò a Bordighera un gruppo orientato verso i partiti della classe operaia e in particolare verso il partito socialista guidato da Guido Seborga, coadiuvato da Renato Brunati, Lina Meiffret e Beppe Porcheddu. Gli aderenti stabilirono contatti a Torino con il gruppo di Alba Galleano, Giorgio Diena, Vincenzo Ciaffi. Tra gli altri [Domenico] Zucaro, Raf Vallone, Luigi Spazzapan, Umberto Mastroianni, Carlo Mussa Pietro Secchia, Enzo Nizza, Enciclopedia dell’Antifascismo e della Resistenza, Milano, La Pietra, 1968

Verso la fine del '42 alcuni antifascisti di Bordighera, o ivi residenti, che precedentemente svolgevano un'attività contro il fascismo non coordinata, si riuniscono, e formano un gruppo organizzato. Fra questi antifascisti Tommaso Frontero allaccia il gruppo al PCI di Sanremo e prende contatto con i comunisti sanremesi Luigi Nuvoloni, Umberto Farina, Alfredo Rovelli. Ai primi del '43 si crea in Bordighera il comitato comunista di settore, con a capo Tommaso Frontero, Ettore Renacci e Angelo Schiva. In seguito a queste persone si aggiunsero altre, fra cui Charles Alborno, Siffredo Alborno, Pippo Alborno, l'architetto Mario Alborno (che prese poi il nome di battaglia Cecof), Renzo Rossi. Dopo il 25 luglio 1943 il gruppo entra in contatto con altri antifascisti di Bordighera, fra i quali Renato Brunati, indipendente. Al gruppo si aggregano nuovi elementi...  Giovanni Strato, Storia della Resistenza Imperiese (I^ zona Liguria) - Vol. I: La Resistenza nella provincia di Imperia dalle origini a metà giugno 1944, Sabatelli Editore, Savona, 1976

Nei primi di ottobre 1943 Bruno Erven Luppi dopo varie peripezie raggiunge la sua abitazione a Taggia ... In quel periodo entra a far parte del Comitato di Liberazione di Sanremo, come rappresentante insieme al Farina del PCI, con l’incarico di addetto militare. Organizza pure il CLN di Taggia ... Il gruppo prende pure contatto con la banda armata di Brunati, dislocata a Baiardo e con altre formatesi in Valle Argentina. 
Prof. Francesco Biga, La Resistenza Ligure nei suoi rapporti con la Resistenza e gli Alleati in Provenza (1943-1946) in Atti del Convegno storico LE FORZE ARMATE NELLA RESISTENZA di venerdì 14 maggio 2004, organizzato a Savona, Sala Consiliare della Provincia, dall'Istituto Storico della Resistenza e dell’Età Contemporanea della provincia di Savona (a cura di Mario Lorenzo Paggi e Fiorentina Lertora)

Renato Brunati e Lina Meiffret furono attivi anche nelle prime iniziative successive all'8 settembre 1943, da cui doveva poi nascere il C.L.N. di Sanremo (IM). Renato Brunati fu arrestato nel febbraio 1944 insieme a Lina Meiffret; portato ad Oneglia, dove venne torturato a lungo, fu poi trasferito a Genova, nel carcere di Marassi, dove lo vide per pochi momenti un altro detenuto, il patriota di Sanremo Nanni Calvini, che lasciò di Brunati, straziato nel corpo, nel lavoro fondamentale di Mario Mascia ("L'epopea dell'esercito scalzo"), un commovente ritratto: "Ben poco potemmo dirci... eri ispirato nel tuo ideale... Il tuo sacrificio non fu e non sarà sterile mai, amico Brunati, compagno nei bei giorni della lotta... altruista, quale io ti lasciai in quel triste pomeriggio invernale della quarta sezione, in cui le nostre mani nella caldissima stretta che le univa..."; Brunati verrà ucciso insieme con altri 58 ostaggi nella strage del Turchino del 19 maggio 1944, scatenata dai nazisti per una feroce rappresaglia; Calvini, invece, fu dapprima deportato nel campo di concentramento di Fòssoli (comune di Carpi, provincia di Modena), e quindi in Germania, destinato a Kalau e dalla Germania rientrò solo nel settembre del 1945.  Adriano Maini

Rivedo Lina Meyfrett che pare sempre miracolosamente scampata ad un campo di concentramento e insieme ricordiamo Renato Brunati e Beppe Porchedddu...
Guido Seborga, Occhio folle, occhio lucido, Ceschina, Milano, 1968, ristampa Graphot Spoon-River, Torino, 2012, pag. 45

Non sempre mi riesce d'indugiare
Tra palma e palma
E il forte movimento delle foglie scarne
Piene di vento.
Non sempre la luce calda del mare
Mi avvolge per farmi tacere nel senso
Antico dell'ozio.
Come splende il sole nell'alba
Incantevole d'oriente
Illumina la mia forza vitale
Felicità della lotta.
Non sempre mi riesce d'indugiare calmo
Nei ricordi ma avanza il tempo
L'ora si frantuma ed i popoli d'Africa
Urlano alla vita il loro dolore.
E soffre la grande Spagna e l'inquieto Portogallo.
Questi popoli me li porta la sabbia rossa
Che con lo scirocco giunge a granuli
Sino al giardino di casa e rivivo
Ore lontane che i giovani raccolgono
Nella nuova resistenza dei popoli.
Veglio sino al mattino coi giovani
Che mi fanno raccontare storie partigiane
Che avevo dimenticato e pensavo
Di non più narrare ma giovani fieri
Dal loro corpo agile e tenere fanciulle
Dagli occhi neri che abbagliano.
Li guardo stupito di essere amato
Da loro ogni mio vecchio sacrificio
Acquista un senso che credevo perduto.
Penso ai compagni morti a Renato
A Beppe a Franco e racconto la storia
Dei loro amori e mentre il vento caldo
Passa attraversa le foglie lacerate delle palme
Devo ancora narrare dell'ora triste della morte.
Guido Seborga
, Nuova Resistenza (poesia inedita, pubblicata dalla figlia dell'autore,
Laura Hess, via email, in pari data)

Il riferimento geografico della poesia qui sopra messa in evidenza è Bordighera, città nella quale Guido Seborga sin da giovane aveva soggiornato a lungo. La figlia, nel divulgare questi versi ed altre intense note storiche e riflessioni, sottolinea anche che durante la guerra la casa di famiglia in Bordighera era stata occupata parzialmente dai nazisti.
Adriano Maini

La propaganda antifascista e antitedesca fu praticata nella zona di Bordighera da Renato Brunati e da me in un contempo indipendentemente, senza che nemmeno ci conoscessimo: ma nel 1940 ci incontrammo e d’impulso associammo i nostri ideali e le nostre azioni, legati come ci trovammo subito anche da interessi intellettuali ed artistici.
La vera azione partigiana s’iniziò dopo il fatale 8 settembre 1943, allorchè Brunati e la sig. Maiffret [Lina Meiffret] subito dopo l’occupazione tedesca organizzarono un primo nucleo di fedeli e racimolarono per le montagne, sulla frontiera franco-italiana e nei depositi, armi e materiali: armi e materiali che essi vennero via via accumulando a Bajardo in una proprietà della Maiffret, che servì poi sempre di quartier generale in altura, mentre alla costa il luogo di ritrovo e smistamento si stabiliva in casa mia ad Arziglia e proprio sulla via Aurelia. Nei giorni piovosi di settembre ed ottobre 1943 i trasporti d’armi e munizioni, furon particolarmente gravosi: occorreva (ai due capi) far lunghissimi rigiri per evitar le pattuglie ed i curiosi, sempre pronti alle indiscrezioni e delazioni: così i nostri patrioti conobbero a fondo l’asprezza e le insidie della zona Negi, Monte Caggio, Bajardo […] L’armamento della banda, ormai numerosa di circa 40 elementi, raggiunse i 30 moschetti e le 5 mitragliatrici, più bombe a profusione e forti riserve di munizioni. Verso la metà di novembre due ufficiali inglesi, fuggiaschi del campo di ferma vennero a capitar nella zona di Bajardo, ricoverati e confortati dai nostri, sistemati poi nottetempo in un casolare di vetta  […] Purtroppo il 14 febbraio 1944 Brunati e la Maiffret, venivano definitivamente presi dai repubblicani, su denuncia di (……) Garzo partigiano traditore, ex camicia nera rientrato nella guardia repubblicana per inimicizia coi 2 eroici capi: la denuncia era tale da comportar pronta esecuzione capitale, ma l’intervento d’un agente bene intenzionato, faceva sospender le condanne e vi sarebbe riuscito del tutto se il console Bussi vigliaccamente non avesse distratto le pezze a scarico, consegnando i 2 capi alla S.S. tedesca. Sappiamo dolorosamente che Brunati e la Maiffret vennero bestialmente seviziati: il 1° fu poi fucilato il … maggio a … la seconda deportata in Germania ove languì per 10 mesi: ora essa è salva, il che ha del miracoloso.
Giuseppe Porcheddu, manoscritto (documento IsrecIm) edito in Francesco Mocci (con il contributo di Dario Canavese di Ventimiglia), Il capitano Gino Punzi, alpino e partigiano, Alzani Editore, Pinerolo (TO), 2019  

domenica 4 dicembre 2022

Esoterismo, cultura, marinai, un futuro comandante partigiano e tanti misteri nel ponente della città di Imperia

Imperia: dal dehor del Bar Vittoria, guardando verso Oneglia

Angelo Saglietto (1888/1978) detto "Sofo" - da Sapiente -, fu un ufficiale della Marina Mercantile di Porto Maurizio (Imperia), amico in gioventù dello scrittore Giovanni Boine (morto nel 1917 a soli 30 anni), lavorò sui mercantili per diverso tempo, dopodiché sbarcò e si ritirò nella sua campagna, dove iniziò a dedicarsi a studi esoterici.
Fondò nella città di residenza un gruppo di studiosi di esoterismo, tra i quali ricordiamo tale Dottor Acquarone e Nino Baldo Siccardi (futuro comandante partigiano) [il Curto]. Nessuno dei tre era fascista.
"Sofo" e il dottor Acquarone avevano simpatie per "Giustizia e Libertà" e ogni tanto venivano controllati dalla polizia. Il Siccardi dopo un'iniziale militanza nella Federazione Giovanile Socialista e qualche simpatia anarchica (e infatti venne diverse volte denunciato per "propaganda anarchica"), aderirà più tardi al "marxismo-leninismo" e durante la guerra partigiana diverrà tra i più intransigenti comunisti filo-sovietici.
Tra la fine degli anni '20 e gli anni '30 i tre e altri si incontrarono spesso per discutere della materia citata (oltreché di archeologia preistorica locale) nella sala biliardi dello storico Caffè "Vittoria" a Porto Maurizio.
Qualche volta si recheranno anche a Bayrouth in Germania per assistere alle Celebrazioni Wagneriane.
Il gruppo di studi esoterici andrà avanti negli anni e alla fine degli anni '50 assorbirà elementi più giovani fino agli anni '70. Uno dei più giovani allievi aprirà un locale denominato "Il Tarocco", che sarà frequentato da suoi coetanei.
Nel 1934 "Sofo" scrisse a Julius Evola, pur non condividendone le scelte politiche.
Evola rispose con la lettera seguente:
Lettera di Julius Evola a "Sofo"
Roma, 29/1/1934
Egregio Signor Saglietto,
ho ricevuto la Sua lettera e, anzitutto, La ringrazio per tutto ciò che mi dice riguardo al mio nuovo libro.
Poi vorrei accennarLe due cose.
Anzitutto:
Lei mi riferisce di persona che con la solita "scientifica" incoscienza non ha capito nulla dei rinvenimenti archeologici di cotesta zona, ed ha pubblicato su tale base una monografia, mentre si è comportato male rispetto all'offerta del Suo aiuto.
Io vorrei pregarLa di trasmettermi tutti gli elementi, cioè nome, opuscolo, articolo, in più, Suoi rilievi e precisazioni e denunce di errori.
Io sulla base di tutto questo farò su di un giornale fascista un bell'articolo, che metterà a posto questo signore.
In secondo luogo, Le unisco il programma, da me compilato, per una speciale pagina del giornale "Il Regime Fascista", diretto da Farinacci.
Io stesso organizzerò tale pagina, con i miei amici, un po' sullo spirito della "Torre".
Ora, Lei mi risulta come uno dei pochi veramente intonati alle nostre idee.
Le chiedo se vuol collaborare.
Si tratterebbe di articoli di una colonna e mezza di quotidiano, che potrebbero aver una frequenza di uno al mese e che, pure modestamente, verrebbero retribuiti.
Tutto il problema è di ritrovare argomenti tali che, senza averne l'aria, toccando qualche pretesto "attuale", diano modo di affermare i nostri punti di vista in una forma accessibile al gran pubblico, evitando naturalmente di parlare come che sia di "iniziazione", magìa o quanto altro, ma pur esponendo con diverse parole con persone "non sospette", la stessa cosa. Per esempio, un campo molto adatto è appunto quello dell'antica mitologia e dell'archeologia.
Forse vorrà darmi cenno della Sua idea in proposito.
Bachofen e Wirth, purtroppo non sono per ora accessibili che in tedesco.
Con ogni augurio mi creda Suo
Julius Evola
La lettera è stata inserita nell'opera dello stesso Saglietto, "La Caverna Bertran. Miti e simboli dei Liguri preistorici", ristampata recentemente a cura di Ito Ruscigni (Sanremo), con l'introduzione di Marco Vanini - Edizioni "Lo Studiolo", Piazza del Capitolo, Sanremo - 2021.
Giovanni Donaudi, Evola a Imperia in Mailing list di Gianni Donaudi, 12 luglio 2022

Imperia: Torre di Prarola (foto di dieci anni fa)

[...] La Villa venne costruita [ad Imperia] tra il 1860 e il 1870, su ordine di una famiglia di origine tedesca (o per altri boema), forse di origine ebraica, in stile vagamente moresco e al contempo con elementi gotici.
Essa ricordava vagamente certi edifici barcellonesi opera dell'architetto Gaudy.
Si dice che il suo ideatore facesse parte di un gruppo "neo-templare", sebbene i Templari fossero stati sciolti, almeno ufficialmente nel XIV secolo, dal Papa e contemporaneamente dall'allora re di Francia Filippo il Bello.
La Villa sorge in salita, a circa 100 m. dopo la foce di un torrente oggi pressoché asciutto, sul cui ponte passa la via Aurelia e dove gli antichi resti di un ponte romano, oggi trascurato e quasi non visibile, testimoniano la vicinanza con l'antica via Julia Augusta.
Subito dopo l'ingresso della Villa vi è una curva (teatro di tanti incidenti automobilistici, anche tragici), sotto la quale dalla fine del XVI secolo sorge tra gli scogli una torre [Torre di Prarola], ormai corrosa dalle onde e allora eretta per segnalare eventuali presenze saracene sul litorale.
E la presenza dei Mori non era una novità neppure allora.
[...] Non è quindi escluso che la scelta di costruire la Villa in quella zona sia stata dettata da probabili presenti energie magiche (è  Evola che parla di "centri iniziatici" colà presenti).
La famiglia dei costruttori della Villa era arrivata in Italia alla metà del XIX secolo  e dal 1896 la loro azienda diventerà la più grande fabbrica del mondo di laterizi.
Fu probabilmente questa vocazione " esoterica " che avrebbe spinto questa famiglia a scegliere lo stile architettonico della Villa.
Sembra che il capofamiglia - e dopo di lui i suoi eredi - venissero in contatto con alcuni studiosi locali di scienze esoteriche.
Con lo scoppio della seconda guerra mondiale la Famiglia, pur proclamandosi ligia al regime fascista, sembra prendesse contatto con i servizi segreti britannici, nei cui vertici pare vi fossero affiliati elementi dello stesso ordine.
Circa mezzo secolo fa un vecchio tipografo - classe 1910 -, richiamato alle armi nel 1940 presso il locale Comando Marina, ci raccontò che almeno una volta alla settimana un sommergibile inglese emergeva nella notte profonda in superfice e riceveva dalla torre della Villa segnali a pila, con preziose informazioni militari della zona.
L'attività spionistica (sempre in base alla testimonianza) venne però individuata dal S.I.M. che riferì a Supermarina. E una notte, al locale comando marittimo venne dato ordine ai marinai (tra cui il futuro tipografo) di attrezzarsi in tenuta da guerra. I militari vennero imbarcati su un camion e la colonna si avviò in prossimità della Villa, le cui uscite si erano bloccate. Quando il tenente di vascello che capeggiava il gruppo di marinai bussò violentemente al portone non vi fu risposta alcuna e impazientito l'ufficiale dette ordine di sfondare il portone, ma sia all'interno dell'edificio che nel sovrastante giardino orientaleggiante non fu trovata anima viva. Il salone della biblioteca era stato svuotato. Libri, oggetti d'arte, documenti erano spariti quasi per incanto.
Per circa una settimana vennero battuti i dintorni e i centri vicini, ma di quella famiglia nessuna traccia. Anche le risposte dei loro risultanti amici e conoscenti risultarono evasive.
Che fine aveva fatto quella famiglia? Si era forse imbarcata sullo stesso sommergibile prima dell'arrivo dei marinai e aveva preso la via dell'Inghilterra o di qualche porto neutrale (es. Tangeri)?
O forse tramite eventuali poteri magici erano riusciti a rendersi invisibili?
Sono misteri mai risolti. I locali amici di quella famiglia sono quasi tutti morti oppure in precarie condizioni di vecchiaia (2). [...]
(2) - Tra gli amici della Famiglia potrebbe esserci stato un ufficiale della marina mercantile, sensibile a conoscenze esoteriche. Costui, pur facendo riferimento a "Giustizia e Libertà", era in contatto epistolare con il filosofo tradizionalista Julius Evola, e assieme ad alcuni amici, tra cui un medico e un macchinista navale (che abbraccerà più tardi il "marxismo-leninismo" e diverrà capo partigiano) fondò nella zona un gruppo di studi esoterici.
Giulio Aicardi di Savona, La Villa misteriosa in Mailing list di Gianni Donaudi, novembre 2022  

Comandante Angelo Saglietto fu Agostino:
Si iniziò con la vela, comandando giovanissimo la scuna «Imparziale». Passato poi alla N.G.I., navigò quale primo ufficiale sul maestoso veliero Sant'Erasmo che il senatore Piaggio aveva acquistato per servire da scuola ai giovani ufficiali della Generale. Passato sui transatlantici viene silurato con «Etna» al largo di Madera. Rimpatriato assume il comando della Regina Elena, che il 1 gennaio 1918 viene silurato nel mare di Tripoli. Per l’eroico salvataggio dei tanti militari che egli trasportava, si meritò la croce di guerra e la nomina a Cavaliere Ufficiale. Nel 1919 è al comando dell'«America». Nel 1923 comanda il «Re Vittorio» per i viaggi al Plata. Nel 1925 ottiene il comando del «Giulio Cesare» e nel 1926 quello del maestoso «Duilio». Nel 1927 assume il comando del «Roma» dal quale ammaina la sua onorata insegna nel 1931 per il raggiunto limite d’età. Era già a riposo e si godeva la sua città, quando la N.G.T. lo volle, ambito premio delle sue qualità nautiche, comandante del «Rex» per tutte le prove di collaudo. Fu così che il guidone di comando del commendatore Saglietto sventolò ancora una volta sul nostro bel mare, alla mezzana del più grande transatlantico italiano.
Giovanni Bono Ferrari, L'epoca eroica della vela. Capitani e bastimenti di Genova e della Riviera di Ponente nel secolo XIX, Arti Grafiche Tigullio, Rapallo, 1941

A sinistra le zone Barbarossa, Poggi (Frazione), Prarola di Imperia (scatto del dicembre 2014)

Amici acuti e competenti mi fanno notare che la Villa che fu dei Saglietto (la figlia di Angelo Saglietto era Rita, delicata e sensibile artista) sorge a Poggi di Imperia, certamente in posizione elevata, ma a poca distanza in linea d'aria, quasi sovrastante la Villa misteriosa di cui parla Giulio Aicardi.
Adriano Maini

martedì 12 luglio 2022

Sergio Favretto a Dolceacqua alla presentazione del suo libro "Partigiani del mare"

Da sinistra, Paolo Veziano e Sergio Favretto a Dolceacqua

Castello Doria di Dolceacqua, domenica 10 luglio 2022. Un pubblico attento e incuriosito, interessato ai fatti storici fra Liguria e Francia del Sud, ha fatto da cornice alla presentazione del libro di Sergio Favretto "Partigiani del mare. Antifascismo e Resistenza sul confine ligure-francese" edito da SEB 27 di Torino.
L'evento era inserito nella rassegna Itinerari letterari biamontiani, promossa dall'Associazione Amici di Francesco Biamonti presieduta da Corrado Ramella, dal Comune di Dolceacqua e dal comune di San Biagio della Cima. Lo storico Paolo Veziano ha dialogato con l'autore Sergio Favretto, ponendo in risalto la novità e gli inediti della ricerca, l'originalità della Resistenza del Ponente ligure.
Favretto ha sottolineato il fortunato incrocio, in questo tratto di costa fra eccellenze letterarie come Calvino, Biamonti, Orengo, Guido Seborga; eccellenze artistiche come Porcheddu, Morlotti; i grandi protagonosti della Resistenza, dalle formazioni partigiane alla popolazione che le sosteneva, dai cattolici e clero agli agricoltori e operai, dai pescatori agli ebrei nascosti o catturati e poi trasferiti nei campi di eliminazione, dalle missioni americane e inglesi paracadutate in aiuto e la presenza di ex militari, ex carabinieri.
Per Favretto, la storia della Resistenza è completa, non parziale o ispirata, solo se si richiamano tutte le componenti e matrici culturali, sociali che la alimentarono. Nel Ponente ligure vi fu un chiaro esempio di Resistenza condivisa e sofferta da tutti. L'autore ha fondato la ricerca su fonti nuove, da documenti archivistici non noti e testimonianze oggi aggiuntive e preziose. Molte sono le pagine dedicate al gruppo di antifascisti di Bordighera, sorto attorno a Brunati, alla Meiffret, a Porcheddu, a Guido Seborga (la figlia Laura Hess era presente fra il pubblico), a Salvatore Marchesi; al rapporto fra le formazioni partigiane garibaldine che operavano sino al confine e i partigiani francesi; al ruolo svolto dai vescovi del Sud della Francia contro le persecuzioni razziali in forte antitesi con la Repubblica di Vichy, alla triangolazione fra Angelo Donati, Padre Maria Benoit e il Vaticano. Cattolici e ebrei nel Ponente Ligure come avvenne anche nel Monferrato, sempre con le figure della famiglia Donati e Sacerdote. Alcuni famigliari dei Donati di Modena vennero nascosti nel Monferrato da parroci locali e poi trasferiti in Svizzera.
Al termine, il prof. Claudio Dellavalle autore di una significativa prefazione del saggio di Favretto, ha richiamato come la popolazione ligure seppe dare allora forte testimonianza dell'avversione verso il fascismo, verso il tedesco che occupava intere regioni del Nord, verso una guerra senza alcun senso. Per Dellavalle, come ieri anche oggi, si deve osservare con grande preoccupazione il rischio di un ritorno a scenari di guerra in Europa; da qui l'esigenza di  riprendere i principi di pace che fondarono la Costituzione e la Repubblica sorta da essa.

Redazione

[ n.d.r.: nella bibliografia di Sergio Favretto: Il papiro di Artemidoro: verità e trasparenza nel mercato dei beni culturali e delle opere d’arte, LineLab, Alessandria, 2020; Con la Resistenza. Intelligence e missioni alleate sulla costa ligure, Seb27, Torino, 2019; Un carabiniere, testimone di storia. Mussolini a Ponza e a la Maddalena narrato in un diario, Arti grafiche, 2017; Una trama sottile. Fiat, fabbrica, missioni alleate e Resistenza, Seb27, 2017; Coraggio e passione. Riccardo Coppo, il sindaco, le sfide, Falsopiano, 2017; Fenoglio verso il 25 aprile, Falsopiano, 2015; La Resistenza nel Valenzano. L’eccidio della Banda Lenti, Comune di Valenza (AL), 2012; Resistenza e nuova coscienza civile. Fatti e protagonisti nel Monferrato casalese, Falsopiano, 2009; Il diritto a braccetto con l'arte, Falsopiano, 2007; Giuseppe Brusasca: radicale antifascismo e servizio alle istituzioni, Atti convegno di studi a Casale Monferrato, maggio 2006; I nuovi Centri per l’Impiego fra sviluppo locale e occupazione (con Daniele Ciravegna e Mario Matto), Franco Angeli, 2000; Casale Partigiana: fatti e personaggi della resistenza nel Casalese, Libertas Club, 1977 ]

domenica 1 maggio 2022

Partigiani del mare


Non vi sono dubbi. L'antifascismo vissuto e la Resistenza combattuta sulla costa ligure verso il confine francese ebbero sempre un protagonista sotteso: il mare.
I flutti battenti sulle rive e le spiagge minate, il vento che accarezzava le onde o le rendeva impetuose, la luna piena illuminante o l'assenza di luna, hanno determinato lo scandire delle varie operazioni contro i tedeschi occupanti e fascisti agguerriti; i colombi viaggiatori addestrati dagli inglesi che lo attraversavano, i piccoli battelli di gomma carichi di armi, i manifestini clandestini stampati e diffusi fra i pescatori, i rifugi e i punti di osservazione in montagna sempre in direzione del mare, i nascondigli fra le case e gli atti di sabotaggio sul litotale, la spola rischiosissima per condurre antifascisti ed ebrei in Francia, sono stati questi i leit motiv della Resistenza nel Ponente ligure.
Il mare non solo come elemento geografico e fisico irrinunciabile, ma pure come fattore tattico prezioso; ed ancora, quale luogo-valore identitario in cui ritrovarsi tutti, partigiani e militanti, popolazione, ex militari, persone di cultura e gente comune, clero, giovani studenti, operai e pescatori, agricoltori.
Il mare come il vero confine fra il regime e la libertà, fra la dittatura e la democrazia. Poter guadagnare il mare aperto e dirigersi verso le acque francesi voleva dire assaporare la libertà, perchè oltre confine già gli Alleati erano sbarcati il 15 agosto 1944. Di contro, dal mare francese giungevano gli aiuti e le armi, le missioni del SOE o dell'OSS.
Parecchie volte sulla stessa barca, sullo stesso veloce motoscafo o più lento gommone; partigiani, inglesi o americani per guadagnare la libertà, per trasportare uomini, armi e radio ricetrasmittenti, informazioni in codice, aiuti sanitari.
Nel tratto di costa ligure, fra Imperia e il confine italo-francese di Ventimiglia-Mentone, la Resistenza fu coraggiosa, coinvolgente e originale. In un intreccio di vite personali e tensioni collettive, di coraggio e di caparbie volontà, si sono incontrate differenti matrici culturali e sociali espressioni di quelle terre; si sono contate vittorie e sconfitte, si può narrare oggi con dettaglio lo svolgersi di una crescente organizzazione partigiana con Divisioni e brigate, si ricordano molti caduti e vittime della violenza fascista e tedesca, si apprezza il ruolo determinante degli Alleati. Non poteva avvenire diversamente. Il Ponente ligure è sempre stato un terreno aperto alle contaminazioni esterne, ai contributi e alla partecipazione di piemontesi e di francesi.
In questo alveo di vissuto comune, si collocano: il gesto eroico e simbolico ante litteram di Salvatore Bono, compiuto l’8 settembre del ‘43 alla stazione ferroviaria di Nizza; le vicende personali di Salvatore Marchesi (fratello del grande latinista Concetto) animatore di vari CLN locali; la singolare e efficace attività del Gruppo Sbarchi di Vallecrosia, formazione partigiana clandestina sui generis e specializzata, che operò con gli Alleati stabilizzatisi a Nizza e a Villefrance sur Mer.
Si collocano pure le vicende personali della moglie Ada e della figlia Lidia sempre di Concetto Marchesi, nascoste per mesi fra mare e Alpi Marittime; si inseriscono le violenze subite dagli ebrei deportati o fuggiti, trasferiti in Francia e difesi dalla rete di soccorso creata da Angelo Donati (importante banchiere ebreo di Modena e Console della Repubblica di San Marino, adottò due bambini ebrei e li fece nascondere a Triora per molti mesi), con il capitano dei Carabinieri Massimo Tosti e il francese Père Marie-Benoit dei Frati Cappuccini; la solidarietà verso gli ebrei e la partecipazione alla Resistenza del mondo cattolico e della popolazione civile; si inserisce il dissenso espresso di molti vescovi del Sud Francia alla Repubblica di Vichy e l’aiuto agli ebrei, il ruolo del Vaticano alla luce di alcune documentazioni inedite raccolte presso l’Archivio Storico della Segreteria di Stato. Mentre Angelo Donati aiutava gli ebrei nel Sud della Francia, altri ebrei delle famiglie Donati di Modena venivano nascosti e salvati nel Monferrato da Brusasca e da alcuni parroci, come narra Paola Sacerdote Pinchet in una intervista inedita.
Grazie alle ricerche e alla raccolta di documenti poco noti, all’esplorazione negli archivi del SOE e dell’OSS, alla consultazione del Fondo Aldobrando Medici Tornaquinci e di altri fondi archivistici e bibliotecari, si perviene ad una nuova narrazione della Resistenza nel Ponente ligure, lotta di Liberazione avvenuta anche con la fattiva collaborazione degli Alleati.
Queste pagine si uniscono alle altre pagine già note ed edite, ma hanno un piglio nuovo, meno eroico e rivendicativo, più corale e meno militante, un po' più fenogliano. La Resistenza viene declinata muovendo da piccoli episodi per giungere alle vere caratterizzazioni che ne hanno fatto  un fenomeno non solo conflittuale e liberatorio, ma tanto umano, civile e morale, come ci hanno insegnato Beppe Fenoglio e  Claudio Pavone.
Queste pagine rivelano come Beppe Porcheddu, convinto antifascista e noto pittore-grafico ed illustratore, ospitò in incognito la famiglia di Concetto Marchesi e pure i due ufficiali inglesi Michael Ross e George Bell; come la missione Zucca guidata da Pietro Ziccardi e l'attività coraggiosa di Renzo Rossi agevolarono i rapporti fra partigiani ed Alleati; come la rete di intelligence creata da Gino Punzi sostenne le formazioni resistenti e garantì coperture agli aiuti alleati provenienti dalla costa francese.
Emerge, soprattutto, come il Gruppo Sbarchi, sorto da un’idea del CLN e dalla SAP di Vallecrosia-Bordighera, abbia svolto un ruolo chiave e innovativo fra l’antifascismo locale e le formazioni partigiane italiane e quelle francesi; come il tratto di costa e il retroterra montano fossero fortemente connotate da presenze di ribelli, la cui attività ci viene confermata da mille testimonianze e pure dalla breve antologia dei notiziari della GNR; come la violenza dei tedeschi accompagnata dalle milizie fasciste non ebbe limiti, per illogicità e disumanità; come la popolazione seppe in ogni caso reagire, creando una forza oppositiva poi vittoriosa; come frequente sia stata l’interrelazione con la Resistenza del basso Piemonte e del cuneese, attraverso scambi di informazioni e di uomini, di armi e mezzi.
Abbiamo di fronte un mosaico di storia resistenziale che offre ancora novità, al di là del già noto e recuperato dalla nebbia del difficile ricordo.
Claudio Dellavalle (già professore ordinario di storia contemporanea all’Università di Torino), Prefazione a Sergio Favretto, Partigiani del mare. Antifascismo e Resistenza sul confine ligure-francese, Edizioni SEB27, Torino, aprile 2022

[ Alcune pubblicazioni di Sergio Favretto: Con la Resistenza. Intelligence e missioni alleate sulla costa ligure, Seb27, Torino, 2019; Fenoglio verso il 25 aprile, Falsopiano, 2015; La Resistenza nel Valenzano. L’eccidio della Banda Lenti, Comune di Valenza, 2012; Resistenza e nuova coscienza civile. Fatti e protagonisti nel Monferrato casalese, Falsopiano, 2009; Giuseppe Brusasca: radicale antifascismo e servizio alle istituzioni, Atti convegno di studi a Casale Monferrato, maggio 2006; Casale Partigiana: fatti e personaggi della resistenza nel Casalese, Libertas Club, 1977 ]

martedì 19 aprile 2022

O nella vecchia Bordighera, lassù, in alto, con il mio amico Seborga

Bordighera (IM): uno scorcio del centro storico del Paese Alto

Guido Hess Seborga scriveva in maniera del tutto libera, senza farsi condizionare dagli avvenimenti, convinto che la poesia potesse servire al popolo. Maria Luisa Spaziani lo descrive così: “Era un’anima ardente, e sentiva la poesia, anche se non aveva una prospettiva storica; quando incontrava un poeta, questo occupava tutto lo spazio culturale disponibile”. Guido era discendente dal comunista Moses Hess e cambiò nome in Seborga per distinguersi e distaccarsi dal peso che il nome Hess si portava dietro. Nonostante nacque a Torino, frequentò fin da giovane il Ponente ligure e in particolar modo Bordighera, luogo a lui caro per l’affetto che lo legava alla famiglia materna originaria del posto. All’età di diciotto anni Guido Seborga si sposta all’estero, prima in Svezia, poi Berlino e Parigi e proprio il periodo fascista sarà quello più fiorente e importante per la sua carriera.
C. Panella, Seborga, Bordighera, la Liguria del ‘900…, Resine - Annata XXX - n° 122 - 2009

Guido Hess Seborga, giornalista, letterato, poeta pittore, é nato a Torino nel 1909 da famiglia in cui lui amava individuare sangue ligure, egiziano, ebreo. Il suo vero cognome era Hess. La scelta dello pseudonimo Seborga, piccolo paese ligure dell'entroterra di ponente, è legata all'amore per il mare e a quella che considerava la sua vera città d'origine e non soltanto d'elezione, Bordighera. Studiò nella Torino antifascista di Augusto Monti (di cui era stato allievo) e Felice Casorati, di Gobetti e poi di Mila e di Bobbio, ma la sua insofferenza all'ordine lo spinse a nuovi ambienti, conoscenze ed esperienze a Berlino, poco prima dell'avvento del nazismo, poi a Parigi, luogo amatissimo in cui tornò con frequenza lungo tutta la sua vita. A Torino conobbe e strinse amicizia con Umberto Mastroianni arrivato nel '28 da Roma, con Luigi Spazzapan, Mattia Moreno, Oscar Navarro, Raf Vallone, Vincenzo Ciaffi, Albino Galvano, Piero Bargis con cui si trovava a passeggiare per via Po, corso Vittorio e via Pietro Micca discutendo di tutto in totale libertà, protetti dall'oscuramento bellico. La matrice antifascista torinese lo indusse all'azione, alla diserzione dalle guerre fasciste e alla partecipazione alla guerra partigiana, prima nella clandestinità col Partito d'azione poi nelle brigate socialiste "Matteotti". Dall'azione diretta passò nel primo dopoguerra all'attività politica nel Partito Socialista di cui aveva tentato la ricostruzione in Liguria ancora prima della guerra. A Roma con Basso diresse la rivista "Socialismo" ed entrò nelle vicende della direzione del partito occupandosi anche della propaganda del Fronte Popolare. Già presente dagli anni '30 sui maggiori periodici culturali italiani (Circoli, Campo di Marte, Prospettive, Letteratura, Maestrale), nel dopoguerra contribuì alla riapertura della redazione torinese del "Sempre Avanti" poi ridiventato "Avanti", fu giornalista sui quotidiani e sulle riviste della sinistra italiana e internazionale occupandosi dei temi della cultura e dell'impegno, della critica d'arte e dell'attualità. Partecipò con Ada Gobetti, Franco Antonicelli, Felice Casorati, Massimo Mila ed altri alla fondazione dell'Unione Culturale di Torino, fu tra gli organizzatori dell'allestimento del Woyzeck di Buchner rappresentato nel '46 al teatro Gobetti. A Parigi, dove fu direttore di "Italia Libera" e collaborò a "Europe" e "Editions des Minuit" scrisse per i giornali italiani di quell'ambiente di intensa attività culturale e artistica dei surrealisti, del Cafè Flore, di Sartre, Vercors, Artaud, Eluard, Tzara, di Severini e Magnelli che, lui ben conosceva dall'anteguerra, raccontando di teatro, cinema, musica, letteratura, pittura. Nel 1948 Mondadori pubblicò nella prestigiosa Medusa degli italiani "L'uomo di Camporosso", nel 1949 "Il figlio di Caino" accolti dalla critica italiana e straniera con interesse e giudizio positivo. Affiancò all'attività di scrittore quella di poeta, presente fin dagli anni giovanili e approdata nel 1965 alla prima di tre raccolte "Se avessi una canzone". Se i versi furono il leit-motiv che percorse tutto l'arco della sua vita, fin da bambino fu affascinato dalle incisioni rupestri della Valle delle Meraviglie, che costituiscono il legame ideale fra poesia e pittura: dagli anni '60 riprese a disegnare e dipingere creando nelle "ideografie" una forma di pittura originale che unisce il segno dinamico e le nere silouettes di figure arcaicizzanti alle contrastanti accensioni cromatiche degli sfondi in cui esse si profilano. Morì nel 1990.
Redazione, Guido Hess Seborga, Storia XXI Secolo 

“Quasi tutti i pittori per bene si ricordano delle mostre che hanno fatto, dei critici che hanno scritto delle loro opere. Forse sorridono di un collega che non ha un patrimonio di medaglie, di presentazioni illustri, di un curriculum importante. Io amo dipingere, pescare, qualche volta scrivere; camminare in montagna al mio paese, in riva al mare a Spotorno o nella vecchia Bordighera, lassù, in alto, con il mio amico Seborga.”
Giovanni Macciotta
Redazione, Giovanni Macciotta, Magica Torino. L'Arte dalla nostra pArte

Ritorno sempre in queste valli dalla terra rossiccia, dalla terra a fasce costruite verticali, tra i rami ritorti, duri e dolenti degli ulivi grigi, nei paeselli di pietra antica dalla dinamica architettura che si crea a slanci verticali, ritorno al mare ostile, o gioioso nella notte di luna, ed ogni fascia della terra è un letto per fare l'amore.
Questa costa ligure di ponente nelle sue spaziose aperture dinamiche, nelle valli dell'entroterra, dove l'aria respirata è bruciata di sole, mi accoglie sempre in un ozio aderente alla vita e ricco d'esplosioni di giovinezza, nella fervida natura di pini palme agavi e cipressetti gentili.
Forse qui scopro meglio che altrove il segreto della mia nascita, del mio dolce riposo, del mio lavoro; ma certo la morte non la saprei conoscere, tutto è vivente e vibrante, anche il dolore.
Ricordo i versi qui del poeta Cesare Vivaldi (Quaderni di poesia popolare):
Con un bicchiere in mano un uomo esce -
dalla porta segnata da un ramo di pino -
il vecchio dalla chitarra se ne va -
aprendo al sole la gola rossa di vino
che in un libretto in dialetto ligure ha segnato alcuni accenti precisi di questi paesi.
Guido Seborga, Riviera di Ponente, Il Lavoro Nuovo, 19 agosto 1951 

Guido Seborga, al secolo Guido Hess, ebbe come narratore un’intensa e breve fortuna a fine anni Quaranta, tanto che la sua opera “Uomo di Camporosso” edito da Mondadori venne tradotto anche in francese come esempio del nuovo realismo italiano. Più difficili gli anni Cinquanta in cui compone: “Morte d’Europa” e “Ergastolo”. Negli ultimi anni gli scritti di Seborga stanno tornando in circolo grazie all’opera di Massimo Novelli e della figlia Laura Hess.
Stefano Verdino, Omaggio a Guido Seborga, Resine - Annata XXX - n° 122 - 2009 

Ebreo torinese innamorato di Bordighera e Parigi, Guido Seborga ha partecipato attivamente alla Resistenza ed è stato uno scrittore apprezzato soprattutto in Francia. Ma non è tardi per recuperarne la memoria e l'opera.
Era stato l’amore per la Riviera Ligure a convincere il giovane Guido Hess (1909-1990), nato a Torino e di famiglia ebraica, a prendere come pseudonimo letterario il cognome Seborga, legato a un paesino vicino a Bordighera, che Guido considerava il suo vero luogo d’origine.
[...] Di fede socialista e antifascista, durante la Seconda Guerra Mondiale partecipa alla Resistenza nelle Brigate Matteotti; nel dopoguerra collabora come giornalista a testate come l’Avanti e fonda la rivista Socialismo, mentre a Parigi frequenta i tavolini del Café de Flore, dove incontra personaggi come Jean-Paul Sartre, Tristan Tzara, Antonin Artaud, oltre al suo grande amico, il pittore Alberto Magnelli.
La sua attività di scrittore comincia nel 1948, quando Mondadori pubblica il romanzo L’uomo di Camporosso, che racconta le vicende tormentate di uno scaricatore di porto, sopraffatto da difficoltà economiche e difficili rapporti con la moglie e i figli.
Il romanzo successivo, Il figlio di Caino (1949), possiede un ritmo più libero e sperimentale nel narrare l’evoluzione drammatica della lotta partigiana in Liguria durante gli anni del fascismo, con una scrittura in bilico tra prosa e poesia. “Questo romanzo non rappresenta soltanto un episodio della lotta partigiana, ma riassume la resistenza stessa, grazie alla scoperta di una intima dialettica degli avvenimenti, la quale fa vivere il dramma agli uomini come soggetti coscienti della propria liberazione nella moralità concreta della storia”, ha scritto Domenico Zucaro nel 1952.
Una letteratura impegnata che piace fin da subito in Francia, dove i libri di Seborga vengono tradotti e recensiti con grande favore. Negli anni successivi ne pubblica altri tre: Morte d’Europa, Ergastolo e Gli innocenti, seguiti dal diario Occhio folle, occhio lucido, uscito nel 1968, senza contare la raccolta di poesie Se avessi una canzone (1965), dedicate alla terra e al mare dell’amata Liguria.
L’instancabile Seborga partecipa attivamente alla vita culturale di Bordighera come organizzatore del premio letterario Cinque Bettole, che vede la partecipazione di Italo Calvino e Giancarlo Vigorelli, mentre nel 1960 cura a Sanremo il ciclo di conferenze Incontri con l’uomo, al quale partecipa Salvatore Quasimodo.
I romanzi di Seborga sono stati ripubblicati dalla casa editrice Spoon River, mentre per approfondire la sua figura segnaliamo i testi di Massimo Novelli, L’uomo di Bordighera. Indagine su Guido Seborga (Spoon River 2003) e Laura Hess e Massimo Novelli, Guido Seborga. Scritti, immagini, lettere (Spoon River 2009).
Ludovico Pratesi, I dimenticati dell’arte. Guido Seborga, lo scrittore della Resistenza, Artribune, 21 novembre 2021

sabato 10 luglio 2021

Un operatore turistico, già partigiano, e la borgata a lui cara

San Bartolomeo al Mare (IM): la borgata di Poiolo - anni 1950 - Fonte: Cà de Puiö


Arimondo Ambrogio "Angiulin de Ciletta".
Operatore turistico.
Nato a San Bartolomeo del Cervo (IM) il 4 agosto 1921 da Nicola e Caterina Arimondo.
Deceduto a San Bartolomeo del Cervo il 3 giugno 1990.

La sua esistenza è stata un chiaro esempio di impegno sociale costante e fedele agli ideali di giustizia e di progresso che sono stati la sua guida. Durante il secondo conflitto mondiale, insieme ad alcuni amici ha costituito un nucleo partigiano, dando vita al quarto distaccamento S.A.P. comprendente tutta la Valle Steria. Dal giugno 1944 poi ne ha preso il comando e ne ha condotto le operazioni fino alla liberazione, vivendo nella clandestinità.
 

San Bartolomeo al Mare (IM): coltivazione di garofani in pien'aria nella borgata di Poiolo - 1953 - Fonte: Cà de Puiö

Nel primo dopoguerra, insieme al prof. Giuseppe Roggerone e altri amici ha dato vita a San Bartolomeo a un circolo intitolato al poeta Olindo Guerrini, che per un breve periodo è stato un luogo di incontro e di riflessione per i giovani del luogo. Quando questo è stato costretto a chiudere perchè troppo "innovatore", Angiulin ha preso parte alla fondazione dell'Opera Nazionale Dopolavoro, poi è stato un brillante protagonista della filodrammatica di San Bartolomeo, quindi è stato consigliere dell'Azienda Autonoma di Soggiorno, fondatore e dirigente dell'Unione Sportiva, presidente della sezione Anpi Valle Steria e consigliere di quella provinciale.
 

San Bartolomeo al Mare (IM): la Chiesa di Sant'Anna nella borgata di Poiolo - anni 1960 - Fonte: Cà de Puiö

Nel luglio 1980, con un gruppo di amici riuniti nella borgata Poiolo, ha fondato il Circolo Culturale Cà de Puiö, di cui è stato presidente fino al 1988. In questi anni la sua opera appassionata e la capacità di coinvolgere gli altri è stata determinante per la crescita del Circolo e per l'espletamento di un'intensa attività, rivolta essenzialmente al recupero dei valori storico-culturali della nostra terra.
 

San Bartolomeo al Mare (IM): lavandaie presso il torrente Steria - anni 1920 - Fonte: Cà de Puiö

Sotto la sua spinta sono state organizzate numerose conferenze e incontri con studiosi o illustri personaggi, escursioni di studio e gite di arricchimento culturale, mostre e iniziative diverse in collaborazione altre associazioni o enti.
 

San Bartolomeo al Mare (IM): asportazione di sabbia (portata via su tombarelli) dal torrente Steria - anni 1920 - Fonte: Cà de Puiö

 

San Bartolomeo al Mare (IM): panorama - 1912 - Fonte: Cà de Puiö

Riveste una rilevanza particolare per la nostra terra la promozione del lavoro di ricerca degli alunni delle locali scuole medie sullo stato della Valle, condensato nel libretto l'Ambiente, edito a cura del Circolo nel 1987. Sono pure da segnalare il fascicolo annuale A vuxe de Cà de Puiö e il relativo supplemento, una raccolta di studi e ricerche che vanta contributi di autori altamente qualificati. Si tratta di lavori nei quali Angiulin si è sempre impegnato personalmente. La stessa cosa è avvenuta per il volume di vecchie immagini del paese Puiö e dinturni, ma soprattutto per U Vucabulâiu, il vocabolario della parlata locale, l'opera che più di tutte lo ha appassionato; è stato un lavoro da lui voluto caparbiamente e portato avanti dai soci del Circolo sotto il suo stimolo costante con un impegno collettivo di ricerca, del quale peraltro non ha potuto vedere l'esito, perchè il volume è stato dato alle stampe soltanto sei mesi dopo la sua scomparsa, avvenuta il 3 giugno 1990 nella sua casa di San Bartolomeo al Mare.
Redazione, Arimondo Ambrogio "Angiulin de Ciletta", Circolo Culturale Cà de Puiö

Cervo non ebbe un CLN proprio, ma fece capo ad uno stesso CLN insieme a San Bartolomeo, con il quale Cervo allora formava un unico Comune. Nato alla fine di settembre 1944, il CLN (comprensoriale per Cervo-San Bartolomeo) [...] Insieme ai già sopraccitati membri del CLN, meritano speciale menzione Giovanni Belfiore, il professor Pietro Ruggero, Luigi Cassarino, Pierino Steria, Ambrogio Arimondo [...]
Francesco Biga in Francesco Biga e Ferruccio Iebole (a cura di Vittorio Detassis), Storia della Resistenza Imperiese (I^ Zona Liguria) - vol. V, Ed. Istituto Storico della Resistenza e dell’Età Contemporanea di Imperia, 2016 


I Bagni Medusa nascono nei primissimi anni cinquanta, da un’idea di Arimondo Ambrogio che percorrendo i tempi in un periodo in cui l’economia della zona era basata principalmente sull’agricoltura, un industria di laterizi, marineria, ha intuito l’importanza di organizzare a San Bartolomeo al Mare un servizio balneare per rispondere adeguatamente alle esigenze turistiche del momento.
Pioniere in questo campo ha dato avvio con una scelta coraggiosa ad un’attività che nel tempo ha sempre risposto in modo adeguato alle esigenze dell’utenza.
Bagni Medusa