domenica 31 dicembre 2023
Bordighera: mostra "Punti di vista" di Enzo Giordano
martedì 2 gennaio 2024 - domenica 14 gennaio 2024
Unione Culturale Democratica - Sezione ANPI - Bordighera (IM), Tel. +39 348 706 7688
martedì 26 dicembre 2023
Amava risalire le valli, del Crosia la più frequentata, ovviamente
"Lasciò la macchina su un promontorio fra due rade argentate. Le colline di Tolone erano sorvolate dal vento e dalla luce. La strada era giusta: boulevard Grignan".
[Francesco Biamonti] (Attesa sul mare).
Francesco Biamonti è stato un importante (e troppo spesso sottovalutato) scrittore italiano. Ha cantato la Liguria dell’entroterra e del mare. Ne ha descritto paesaggio, luce, profumi e personalità umane. Ha passato e ripassato poeticamente gli ulivi, le fasce, il bosco e la macchia mediterranea come un pittore. È entrato in profondità nel paesaggio e ne ha distillato poesia partendo dagli stessi ingredienti di un pittore, proprio come Ennio Morlotti: gli olivi, le fasce, il blu del cielo al tramonto, le grand blue del mare al largo, traducendoli l’uno in un linguaggio artistico di prosa, l’altro in un linguaggio pittorico. Come a dire, stessi ingredienti, stessa tavolozza, diversi linguaggi: scritto l’uno, visivo l’altro. Ma una stessa poesia. La sua è una pagina che profuma di Liguria, di rosmarino, di mimose e di avventure di frontiera.
La casa di Biamonti guarda caso è proprio in curva, sulla curva del paese di San Biagio [della Cima], dietro Vallecrosia, una curva che porta ai boschi e alle campagne della Resistenza e alle prove speciali del rally di Sanremo. Passano e sono passati tutti di lì, è una casa rumorosa. E uscire dal cancello è già una piccola impresa (automobilistica, soprattutto). La sua è stata una vita a km zero, in cerca di boschi, di verde, di tramonti, di uomini e donne di frontiera, di Francia: un piede in Italia e uno in Provenza, sempre a cavalcioni sulla frontiera. Una scrittura "en plein air", una vita naturale e di studio, autenticamente lontana dal glamour.
Giorgio Loreti è un bolognese a Bordighera.
Negli anni amico della fertile comunità culturale del Ponente ligure, un personaggio presente e discreto, assessore negli anni del primo centro sinistra, che non ha perso la cadenza bolognese: ascoltarlo è ascoltare una delle tante storie di Italia e di migrazioni, storie di culture che si arricchiscono, mescolandosi.
Ferroviere a fine 900.
In sintesi
È Bolognese
È ferroviere
È impegnato politicamente
È presidente dell’Associazione Partigiani d’Italia (Anpi)
Chi ci torna in mente…?
"Conosco invece l’epoca dei fatti, qual’era il suo mestiere:
I primi anni del secolo, macchinista, ferroviere,
I tempi in cui si cominciava la guerra santa dei pezzenti
Sembrava il treno anch’ esso un mito di progresso.
Un treno tutti i giorni passava per la sua stazione,
Un treno di lusso, lontana destinazione…"
(La locomotiva - Francesco Guccini)
Caso vuole che sia stato [Giorgio Loreti] amico di Francesco Biamonti e ne sia diventato il suo accompagnatore preferito: “guida tu Giorgio...” gli ha detto un giorno Francesco e gli ha dato le chiavi della sua auto. Ed è proprio quell’automobile ad unirli, una Fiesta blu targata AT 240WA, e di questa parliamo.
1 - Così l’ultima auto di Francesco Biamonti è stata poi la tua. Dicci di quest’auto.
Biamonti non era appassionato di motori e le auto le considerava solo un mezzo da utilizzare per i suoi spostamenti in zona. Ricordo che aveva acquistato dal ‘partigiano combattente’ Giovanni Franceschi (chiedere alla sua compagna, Renata Dalmasso) una Hyundai usata di colore rosso pallido che usò fino al Marzo del 1998. Data in cui acquistò - su suggerimento del fratello Giancarlo - la Ford Fiesta blu scuro 2 porte (e che fossero solo 2 poi Biamonti si rammaricava ) usata da me fino al 2022, dalla morte di Francesco avvenuta nel 2001. L’auto me l’aveva regalata il fratello Giancarlo, dopo la morte di Francesco. A mie spese gli atti conseguenti. Una Fiesta Ford Blu scuro che ho portato dallo sfasciacarrozze di via Roma a Vallecrosia, un anno fa circa.
2 - Com’è che finisci ad accompagnarlo in auto?
Semplicemente per giornaliera frequentazione amicale. Preferiva godersi la visione del ‘suo’ paesaggio, colline, boschi, ricordi di ragazzo quando accompagnava il nonno in campagna… una Liguria anteguerra… cui aggiungere un certo disagio per dolore alla schiena (che si rivelò poi tumore da fumo al polmone).
"Mi giri tu la macchina, per favore? Me la metti su strada?"
[Francesco Biamonti] (L’angelo di Avrigue)
3 - Un aneddoto automobilistico o una sosta che gli piaceva fare?
Come ho detto, sostavamo in zone collinari per ammirare la natura spontanea, priva di coltivazioni.
"Poi, in macchina: - Lasciati guidare, prendi verso Nizza. A Nizza lo condusse per strade deserte alla porta di un club. Era chiuso. Gli fece riprendere la macchina e salirono in alto, oltre Cimiez, a una casa con giardino".
[Francesco Biamonti] (Vento Largo)
4 - La sua strada del cuore secondo te …?
Amava risalire le valli, del Crosia la più frequentata, ovviamente. Ma con la nuova auto si era ripromesso di visitare la Provenza, con compagnia diversa dalla mia. Qualche gita la fece, ma non molte.
"Albert guidava veloce e in mezz’ora arrivò a Mentone"
[Francesco Biamonti] (Vento largo)
5 - Se dovessi dire, chi avrebbe invitato in auto con voi? Un viaggio immaginario con chi, di personaggi (artisti-scrittori-pittori)?
Il poeta Montale.
6 - Di cosa si parlava con Francesco in auto?
Di comuni amici/amiche, della luce (luminosità e paesaggio), argomenti ‘banali’, accenni a letture.
"Lei accelerò talmente che spaventò due verdoni"
[Francesco Biamonti] (L’angelo di Avrigue)
7 - Una sosta in un bar o in un ristorante che gli piaceva?
Prima di scendere verso la costa, spesso ci fermavano a bere il caffè pomeridiano all’Ostaia, il bar/trattoria di S. Biagio, nella curva della provinciale, a pochi passi dalla sua abitazione. L’accoglienza nei suoi confronti, sia dei proprietari che degli eventuali clienti, era sempre molto amichevole, quasi familiare. Così com’era l’atteggiamento di Francesco nei loro confronti. Va detto che Biamonti aveva la rara qualità di ascoltare gli altri, i giovani in particolare. Una vera capacità ‘empatica’ che ne faceva una persona preziosa e cara.
"Uscirono da Nizza sul far del mattino. Albert guidava piano"
[Francesco Biamonti] (Vento largo)
P.S. E’ uscita recentemente da Einaudi una trilogia di Biamonti: L’Angelo di Avrigue, Attesa sul mare, Vento largo. Consigliata la lettura!
Eraldo Mussa, … a Giorgio Loreti sull’ultima auto di Francesco Biamonti, L'Incontro, 1 dicembre 2023
[Francesco Biamonti] (Attesa sul mare).
Francesco Biamonti è stato un importante (e troppo spesso sottovalutato) scrittore italiano. Ha cantato la Liguria dell’entroterra e del mare. Ne ha descritto paesaggio, luce, profumi e personalità umane. Ha passato e ripassato poeticamente gli ulivi, le fasce, il bosco e la macchia mediterranea come un pittore. È entrato in profondità nel paesaggio e ne ha distillato poesia partendo dagli stessi ingredienti di un pittore, proprio come Ennio Morlotti: gli olivi, le fasce, il blu del cielo al tramonto, le grand blue del mare al largo, traducendoli l’uno in un linguaggio artistico di prosa, l’altro in un linguaggio pittorico. Come a dire, stessi ingredienti, stessa tavolozza, diversi linguaggi: scritto l’uno, visivo l’altro. Ma una stessa poesia. La sua è una pagina che profuma di Liguria, di rosmarino, di mimose e di avventure di frontiera.
La casa di Biamonti guarda caso è proprio in curva, sulla curva del paese di San Biagio [della Cima], dietro Vallecrosia, una curva che porta ai boschi e alle campagne della Resistenza e alle prove speciali del rally di Sanremo. Passano e sono passati tutti di lì, è una casa rumorosa. E uscire dal cancello è già una piccola impresa (automobilistica, soprattutto). La sua è stata una vita a km zero, in cerca di boschi, di verde, di tramonti, di uomini e donne di frontiera, di Francia: un piede in Italia e uno in Provenza, sempre a cavalcioni sulla frontiera. Una scrittura "en plein air", una vita naturale e di studio, autenticamente lontana dal glamour.
Giorgio Loreti è un bolognese a Bordighera.
Negli anni amico della fertile comunità culturale del Ponente ligure, un personaggio presente e discreto, assessore negli anni del primo centro sinistra, che non ha perso la cadenza bolognese: ascoltarlo è ascoltare una delle tante storie di Italia e di migrazioni, storie di culture che si arricchiscono, mescolandosi.
Ferroviere a fine 900.
In sintesi
È Bolognese
È ferroviere
È impegnato politicamente
È presidente dell’Associazione Partigiani d’Italia (Anpi)
Chi ci torna in mente…?
"Conosco invece l’epoca dei fatti, qual’era il suo mestiere:
I primi anni del secolo, macchinista, ferroviere,
I tempi in cui si cominciava la guerra santa dei pezzenti
Sembrava il treno anch’ esso un mito di progresso.
Un treno tutti i giorni passava per la sua stazione,
Un treno di lusso, lontana destinazione…"
(La locomotiva - Francesco Guccini)
Caso vuole che sia stato [Giorgio Loreti] amico di Francesco Biamonti e ne sia diventato il suo accompagnatore preferito: “guida tu Giorgio...” gli ha detto un giorno Francesco e gli ha dato le chiavi della sua auto. Ed è proprio quell’automobile ad unirli, una Fiesta blu targata AT 240WA, e di questa parliamo.
1 - Così l’ultima auto di Francesco Biamonti è stata poi la tua. Dicci di quest’auto.
Biamonti non era appassionato di motori e le auto le considerava solo un mezzo da utilizzare per i suoi spostamenti in zona. Ricordo che aveva acquistato dal ‘partigiano combattente’ Giovanni Franceschi (chiedere alla sua compagna, Renata Dalmasso) una Hyundai usata di colore rosso pallido che usò fino al Marzo del 1998. Data in cui acquistò - su suggerimento del fratello Giancarlo - la Ford Fiesta blu scuro 2 porte (e che fossero solo 2 poi Biamonti si rammaricava ) usata da me fino al 2022, dalla morte di Francesco avvenuta nel 2001. L’auto me l’aveva regalata il fratello Giancarlo, dopo la morte di Francesco. A mie spese gli atti conseguenti. Una Fiesta Ford Blu scuro che ho portato dallo sfasciacarrozze di via Roma a Vallecrosia, un anno fa circa.
2 - Com’è che finisci ad accompagnarlo in auto?
Semplicemente per giornaliera frequentazione amicale. Preferiva godersi la visione del ‘suo’ paesaggio, colline, boschi, ricordi di ragazzo quando accompagnava il nonno in campagna… una Liguria anteguerra… cui aggiungere un certo disagio per dolore alla schiena (che si rivelò poi tumore da fumo al polmone).
"Mi giri tu la macchina, per favore? Me la metti su strada?"
[Francesco Biamonti] (L’angelo di Avrigue)
3 - Un aneddoto automobilistico o una sosta che gli piaceva fare?
Come ho detto, sostavamo in zone collinari per ammirare la natura spontanea, priva di coltivazioni.
"Poi, in macchina: - Lasciati guidare, prendi verso Nizza. A Nizza lo condusse per strade deserte alla porta di un club. Era chiuso. Gli fece riprendere la macchina e salirono in alto, oltre Cimiez, a una casa con giardino".
[Francesco Biamonti] (Vento Largo)
4 - La sua strada del cuore secondo te …?
Amava risalire le valli, del Crosia la più frequentata, ovviamente. Ma con la nuova auto si era ripromesso di visitare la Provenza, con compagnia diversa dalla mia. Qualche gita la fece, ma non molte.
"Albert guidava veloce e in mezz’ora arrivò a Mentone"
[Francesco Biamonti] (Vento largo)
5 - Se dovessi dire, chi avrebbe invitato in auto con voi? Un viaggio immaginario con chi, di personaggi (artisti-scrittori-pittori)?
Il poeta Montale.
6 - Di cosa si parlava con Francesco in auto?
Di comuni amici/amiche, della luce (luminosità e paesaggio), argomenti ‘banali’, accenni a letture.
"Lei accelerò talmente che spaventò due verdoni"
[Francesco Biamonti] (L’angelo di Avrigue)
7 - Una sosta in un bar o in un ristorante che gli piaceva?
Prima di scendere verso la costa, spesso ci fermavano a bere il caffè pomeridiano all’Ostaia, il bar/trattoria di S. Biagio, nella curva della provinciale, a pochi passi dalla sua abitazione. L’accoglienza nei suoi confronti, sia dei proprietari che degli eventuali clienti, era sempre molto amichevole, quasi familiare. Così com’era l’atteggiamento di Francesco nei loro confronti. Va detto che Biamonti aveva la rara qualità di ascoltare gli altri, i giovani in particolare. Una vera capacità ‘empatica’ che ne faceva una persona preziosa e cara.
"Uscirono da Nizza sul far del mattino. Albert guidava piano"
[Francesco Biamonti] (Vento largo)
P.S. E’ uscita recentemente da Einaudi una trilogia di Biamonti: L’Angelo di Avrigue, Attesa sul mare, Vento largo. Consigliata la lettura!
Eraldo Mussa, … a Giorgio Loreti sull’ultima auto di Francesco Biamonti, L'Incontro, 1 dicembre 2023
domenica 24 dicembre 2023
La commissione mista, dopo la prima riunione, continuò a lavorare con incontri anche a Nizza ed in Valle Roya
Proprio alla fine della guerra, nel 1946, prese corpo nel bacino transfrontaliero Ventimiglia-Mentone l’idea di creare una “zona franca”. Animatori ne furono, per i Comuni italiani, il Dr. Emilio Azaretti e per i Comuni francesi Mr. Francis Palmero. Il progetto prevedeva la costituzione di un territorio autonomo di 19 Comuni italiani (Valli Roya, Nervia, Crosia) e 11 Comuni francesi (tra cui Mentone, Roquebrune, Breil, Fontan, Saorge e Sospel). Il programma del Movimento della Zona Franca prevedeva la costituzione di un Consiglio Generale composto dai rappresentanti dei Comuni italiani e francesi per trattare i problemi di interesse bilaterale e risolvere le eventuali divergenze, evidenziando ben chiaramente che Italia e Francia avrebbero continuato ad avere piena ed assoluta sovranità sui rispettivi Comuni della zona transfrontaliera. Per motivi contingenti ed opposizione ferma delle autorità centrali, il progetto Zona Franca non si realizzò <13, tuttavia l’operazione servì per innescare il processo di cooperazione; raccordo italo-francese che continuò con incontri, convegni, accordi delle autorità locali, tendenti a dare soluzioni ai numerosi, spesso urgenti, problemi di interesse reciproco.
È codificata e consolidata la valutazione che la cooperazione transfrontaliera nell’interregione delle Alpi Meridionali (Alpi del sud) dal dopoguerra ad oggi si suddivida in quattro periodi temporali.
La prima fase copre il periodo 1947/1960, la seconda il periodo 1960/1970, la terza quello dal 1970 al 1985 e la quarta fase, iniziata nel 1985, è ancora aperta ai giorni nostri. <14
Analizzando questi quattro periodi, emerge che le prime tre fasi sono ormai storia, mentre il quarto periodo rappresenta un’attualità ancora viva, e pertanto sarà quello più ricco di contenuti, anche perché si proietta nelle prospettive future della cooperazione transfrontaliera Verso una Euroregione.
Prima Fase della cooperazione transfrontaliera (1947-1960)
Il Movimento per la creazione di una zona franca nel bacino transfrontaliero Ventimiglia-Mentone fu sostenuto anche dal Movimento Federalista Europeo con la nascita di un Comitato specifico che, successivamente, prese l’iniziativa di costituire una Commissione italo-francese di studio per i problemi di frontiera. La prima riunione della Commissione avvenne il 17 aprile 1948 e servì a preparare un documento bilaterale relativo ai più urgenti problemi di frontiera, tra i quali: Internazionalizzazione ed ammodernamento della S.S. n. 20 di Valle Roya <15; carta di frontiera a favore degli abitanti residenti; ricostruzione della linea ferroviaria Ventimiglia-Breil-Cuneo; istituzione di pubblici servizi automobilistici tra i Comuni italiani e francesi; costruzione del valico stradale di frontiera Olivetta S. Michele-Sospel; costruzione dell’acquedotto Ventimiglia-Mentone; accesso alla coltivazione delle proprietà terriere confinarie e dei pascoli. La commissione mista, dopo la prima riunione, continuò a lavorare con incontri anche a Nizza ed in Valle Roya per gestire i problemi emersi al momento della costituzione; furono programmati convegni e dibattiti pubblici. Domenica 28 dicembre 1952 si svolse a Ponte S. Luigi una imponente manifestazione di amicizia franco-italiana; l’On. Paolo Emilio Taviani, sottosegretario di Stato, ed Henry Spaak, uno dei Padri fondatori dell’Europa, parlarono ai presenti. Nel 1953 venne formulata la richiesta ai governi italiano e francese per l’apertura del secondo valico stradale a ponte S. Ludovico. Nel 1955 venne presa in considerazione dai governi centrali la richiesta per la ricostruzione della linea ferroviaria Ventimiglia-Breil-Cuneo e nell’anno successivo, in una riunione a Nizza, venne ripreso il progetto dell’acquedotto Ventimiglia-Mentone, ai fini della redazione progettuale. Nel 1959 si realizzò il completamento della strada La Brigue-Colle Sanson, collegando così la Valle Roya con la Val Nervia. Questa prima fase della cooperazione transfrontaliera, nata in maniera bilaterale (Ventimiglia-Mentone e territori contigui), si concluse con l’inizio di approcci di cooperazione verso il cuneese, soprattutto in riferimento ai problemi della strada e della ferrovia della Valle Roya, argomenti di interesse anche per Limone Piemonte e Cuneo. In questo periodo si gettarono le basi per la futura collaborazione delle Tre Province.
Seconda fase della cooperazione transfrontaliera (1960-1970)
La seconda fase della cooperazione transfrontaliera è caratterizzata da una sempre più marcata presa di coscienza dell’idea di Unità Europea <16. In questo contesto anche le Camere di Commercio e gli Organismi turistici sviluppano azioni di cooperazione più marcate; a partire dal 1962 i Prefetti di Nizza, Cuneo e Imperia programmano periodiche Conferenze dei Servizi che saranno presto affiancate da una Commissione degli eletti di frontiera; prende corpo il progetto per la creazione di un Distretto Europeo. Nel 1965 si costituisce il CEAM (Commissione Europea Alpi Meridionali) che produce una fervida attività ma con scarsi risultati, per mancanza di strumenti giuridici; per esempio, la proposta del Prof. Sen. Raoul Zaccari <17 fatta nel corso della riunione di Breil del 23 ottobre 1967, tesa alla costituzione di un Consorzio di Comuni franco-italiani, non poté realizzarsi per mancanza di legislazione e normative, appartenendo i Comuni interessati a due distinte sovranità nazionali. Anche il CEAM tentò di costituire una società a carattere transnazionale, ma senza risultati concreti. Questo decennio è stato caratterizzato da una fitta tessitura di accordi e rapporti, nella ricerca di consolidare un tavolo di concertazione, ai fini di elaborare un Organismo franco-italiano che avesse l’autorità di operare sulla base del federalismo, e cioè con ampia autonomia. In questa visione la Commissione italo-francese per i problemi di frontiera, il CEAM e la Consulta degli eletti di frontiera si intersecano con altri organismi sorti, come la Commission des Alpes <18, il CERAF (Centre Etudes, Recherches, Action Fédéraliste), costituito da giovani nizzardi, il CIME (Consiglio Italiano Movimento Europeo) sorto ad Imperia come Comitato Provinciale che organizza a Nizza un convegno su Le Alpi Meridionali nel quadro dell’Europa delle Regioni. Anche il MFE (Movimento Federalista Europeo) si inserisce in questo mosaico di sigle ed associazioni che organizzano Convegni, sottocommissioni di studio, incontri interlocutori bilaterali, assemblee, documenti e manifesti. Ogni azione, ciascuna iniziativa, ha per tema centrale l’Unità Europea e la cooperazione transfrontaliera; il decennio 1960/1970 segna pertanto la crescita del dibattito e della democrazia sui Valori dell’Europa dei Cittadini e dell’integrazione franco-italiana nella zona di frontiera. Il periodo in esame costituisce anche un interessante momento di presa di coscienza dell’associazionismo nell’elaborazione di idee e proposte pertinenti. Intanto il 30 settembre 1967 veniva firmato a Parigi l’accordo per l’acquedotto Ventimiglia-Mentone ed il 14 maggio 1968 avveniva l’apertura del valico stradale Olivetta S.Michele-Sospel.
[NOTE]
13 Il momento di maggior aggregazione al progetto Zona Franca avvenne con la grande manifestazione popolare di Ventimiglia di domenica 24 novembre 1946, con una massiccia concentrazione di rappresentanti dei Comuni interessati.
14 E. Berio, Alpazur Nizza-Cuneo-Imperia “Distretto Europeo”, Imperia 1992. Libro/ricerca stampato con la prefazione dell’Istituto Storico della Resistenza e dell’Età contemporanea di Imperia ed il patrocinio dell’Amministrazione Provinciale di Imperia.
15 Il 17 settembre 1947 i comuni di Briga e Tenda, nell’alta Valle Roya e territori contigui, a seguito del trattato di Pace di Parigi, passarono alla sovranità della Francia.
16 Il 25 marzo 1957, con una solenne cerimonia svoltasi a Roma, in Campidoglio, aveva luogo la firma del trattato con cui veniva istituita la Comunità Economica Europea.
17 Il Prof. Sen. Raoul Zaccari, sindaco di Bordighera, Assessore Provinciale, Sottosegretario di Stato, Parlamentare Europeo, fu un assiduo e fervente propugnatore della cooperazione transfrontaliera, uno dei capisaldi in questo periodo, fino alla sua morte avvenuta nel 1977.
18 Associazione nata a Torino, si interessava dei problemi dei territori di montagna in ottica europea.
Lorenzo Viale, La cooperazione transfrontaliera italo-francese. Verso una Euroregione: Nizza-Cuneo-Imperia, Intemelion n. 4 (1998)
È codificata e consolidata la valutazione che la cooperazione transfrontaliera nell’interregione delle Alpi Meridionali (Alpi del sud) dal dopoguerra ad oggi si suddivida in quattro periodi temporali.
La prima fase copre il periodo 1947/1960, la seconda il periodo 1960/1970, la terza quello dal 1970 al 1985 e la quarta fase, iniziata nel 1985, è ancora aperta ai giorni nostri. <14
Analizzando questi quattro periodi, emerge che le prime tre fasi sono ormai storia, mentre il quarto periodo rappresenta un’attualità ancora viva, e pertanto sarà quello più ricco di contenuti, anche perché si proietta nelle prospettive future della cooperazione transfrontaliera Verso una Euroregione.
Prima Fase della cooperazione transfrontaliera (1947-1960)
Il Movimento per la creazione di una zona franca nel bacino transfrontaliero Ventimiglia-Mentone fu sostenuto anche dal Movimento Federalista Europeo con la nascita di un Comitato specifico che, successivamente, prese l’iniziativa di costituire una Commissione italo-francese di studio per i problemi di frontiera. La prima riunione della Commissione avvenne il 17 aprile 1948 e servì a preparare un documento bilaterale relativo ai più urgenti problemi di frontiera, tra i quali: Internazionalizzazione ed ammodernamento della S.S. n. 20 di Valle Roya <15; carta di frontiera a favore degli abitanti residenti; ricostruzione della linea ferroviaria Ventimiglia-Breil-Cuneo; istituzione di pubblici servizi automobilistici tra i Comuni italiani e francesi; costruzione del valico stradale di frontiera Olivetta S. Michele-Sospel; costruzione dell’acquedotto Ventimiglia-Mentone; accesso alla coltivazione delle proprietà terriere confinarie e dei pascoli. La commissione mista, dopo la prima riunione, continuò a lavorare con incontri anche a Nizza ed in Valle Roya per gestire i problemi emersi al momento della costituzione; furono programmati convegni e dibattiti pubblici. Domenica 28 dicembre 1952 si svolse a Ponte S. Luigi una imponente manifestazione di amicizia franco-italiana; l’On. Paolo Emilio Taviani, sottosegretario di Stato, ed Henry Spaak, uno dei Padri fondatori dell’Europa, parlarono ai presenti. Nel 1953 venne formulata la richiesta ai governi italiano e francese per l’apertura del secondo valico stradale a ponte S. Ludovico. Nel 1955 venne presa in considerazione dai governi centrali la richiesta per la ricostruzione della linea ferroviaria Ventimiglia-Breil-Cuneo e nell’anno successivo, in una riunione a Nizza, venne ripreso il progetto dell’acquedotto Ventimiglia-Mentone, ai fini della redazione progettuale. Nel 1959 si realizzò il completamento della strada La Brigue-Colle Sanson, collegando così la Valle Roya con la Val Nervia. Questa prima fase della cooperazione transfrontaliera, nata in maniera bilaterale (Ventimiglia-Mentone e territori contigui), si concluse con l’inizio di approcci di cooperazione verso il cuneese, soprattutto in riferimento ai problemi della strada e della ferrovia della Valle Roya, argomenti di interesse anche per Limone Piemonte e Cuneo. In questo periodo si gettarono le basi per la futura collaborazione delle Tre Province.
Seconda fase della cooperazione transfrontaliera (1960-1970)
La seconda fase della cooperazione transfrontaliera è caratterizzata da una sempre più marcata presa di coscienza dell’idea di Unità Europea <16. In questo contesto anche le Camere di Commercio e gli Organismi turistici sviluppano azioni di cooperazione più marcate; a partire dal 1962 i Prefetti di Nizza, Cuneo e Imperia programmano periodiche Conferenze dei Servizi che saranno presto affiancate da una Commissione degli eletti di frontiera; prende corpo il progetto per la creazione di un Distretto Europeo. Nel 1965 si costituisce il CEAM (Commissione Europea Alpi Meridionali) che produce una fervida attività ma con scarsi risultati, per mancanza di strumenti giuridici; per esempio, la proposta del Prof. Sen. Raoul Zaccari <17 fatta nel corso della riunione di Breil del 23 ottobre 1967, tesa alla costituzione di un Consorzio di Comuni franco-italiani, non poté realizzarsi per mancanza di legislazione e normative, appartenendo i Comuni interessati a due distinte sovranità nazionali. Anche il CEAM tentò di costituire una società a carattere transnazionale, ma senza risultati concreti. Questo decennio è stato caratterizzato da una fitta tessitura di accordi e rapporti, nella ricerca di consolidare un tavolo di concertazione, ai fini di elaborare un Organismo franco-italiano che avesse l’autorità di operare sulla base del federalismo, e cioè con ampia autonomia. In questa visione la Commissione italo-francese per i problemi di frontiera, il CEAM e la Consulta degli eletti di frontiera si intersecano con altri organismi sorti, come la Commission des Alpes <18, il CERAF (Centre Etudes, Recherches, Action Fédéraliste), costituito da giovani nizzardi, il CIME (Consiglio Italiano Movimento Europeo) sorto ad Imperia come Comitato Provinciale che organizza a Nizza un convegno su Le Alpi Meridionali nel quadro dell’Europa delle Regioni. Anche il MFE (Movimento Federalista Europeo) si inserisce in questo mosaico di sigle ed associazioni che organizzano Convegni, sottocommissioni di studio, incontri interlocutori bilaterali, assemblee, documenti e manifesti. Ogni azione, ciascuna iniziativa, ha per tema centrale l’Unità Europea e la cooperazione transfrontaliera; il decennio 1960/1970 segna pertanto la crescita del dibattito e della democrazia sui Valori dell’Europa dei Cittadini e dell’integrazione franco-italiana nella zona di frontiera. Il periodo in esame costituisce anche un interessante momento di presa di coscienza dell’associazionismo nell’elaborazione di idee e proposte pertinenti. Intanto il 30 settembre 1967 veniva firmato a Parigi l’accordo per l’acquedotto Ventimiglia-Mentone ed il 14 maggio 1968 avveniva l’apertura del valico stradale Olivetta S.Michele-Sospel.
[NOTE]
13 Il momento di maggior aggregazione al progetto Zona Franca avvenne con la grande manifestazione popolare di Ventimiglia di domenica 24 novembre 1946, con una massiccia concentrazione di rappresentanti dei Comuni interessati.
14 E. Berio, Alpazur Nizza-Cuneo-Imperia “Distretto Europeo”, Imperia 1992. Libro/ricerca stampato con la prefazione dell’Istituto Storico della Resistenza e dell’Età contemporanea di Imperia ed il patrocinio dell’Amministrazione Provinciale di Imperia.
15 Il 17 settembre 1947 i comuni di Briga e Tenda, nell’alta Valle Roya e territori contigui, a seguito del trattato di Pace di Parigi, passarono alla sovranità della Francia.
16 Il 25 marzo 1957, con una solenne cerimonia svoltasi a Roma, in Campidoglio, aveva luogo la firma del trattato con cui veniva istituita la Comunità Economica Europea.
17 Il Prof. Sen. Raoul Zaccari, sindaco di Bordighera, Assessore Provinciale, Sottosegretario di Stato, Parlamentare Europeo, fu un assiduo e fervente propugnatore della cooperazione transfrontaliera, uno dei capisaldi in questo periodo, fino alla sua morte avvenuta nel 1977.
18 Associazione nata a Torino, si interessava dei problemi dei territori di montagna in ottica europea.
Lorenzo Viale, La cooperazione transfrontaliera italo-francese. Verso una Euroregione: Nizza-Cuneo-Imperia, Intemelion n. 4 (1998)
domenica 17 dicembre 2023
Si può ipotizzare un’osmosi tra le valli Tanaro, Argentina e Roja
Risulta immediatamente evidente come, proprio in virtù delle contese pregresse, la divisione amministrativa moderna non corrisponda a quella geomorfologica, registrando invece alcune appendici al di qua e al di là del crinale spartiacque tra i corsi del Tanaro e della Bormida. Di conseguenza, come in casi analoghi, nel presente lavoro si è preferito dare priorità agli aspetti fisici <1, facendo coincidere la zona presa in esame con il bacino idrografico del Tanaro stesso, pur consapevoli del fatto che le alture in genere non costituiscono certo, dal punto di vista culturale, delle barriere impenetrabili <2. Quindi sull’alta valle del Tanaro insistono, partendo da monte, i comuni piemontesi di Briga Alta, Ormea, Garessio, Priola, Bagnasco e Nucetto, nonché, almeno parzialmente, quelli di Triora, Mendatica, Cosio di Arroscia, Pornassio, Massimino e Murialdo in Liguria, tra le province di Imperia e Savona.
Questo territorio nel complesso, considerato come appena delineato, assume forma quasi di mezzaluna, dallo sbocco verso il Cebano, posto a nord, fino alle Alpi, che si distendono a ovest <3. La conformazione deriva, grosso modo, dalla sequenza di tre segmenti orientati diversamente e abbastanza riconoscibili: il primo, da Ceva fino a Garessio - passando per Nucetto, Bagnasco e Priola -, con un andamento tendenzialmente nord/sud; per il secondo, proseguendo verso Ormea e il colle di Nava, l’asse prevalente diventa quello nord-est/sud-ovest; l’orientamento dell’ultimo, sempre in un quadro sintetico e semplificato, risulta essere est/ovest, seppure più tortuoso perché posto in ambito montuoso. Proprio quest’ultimo segmento presenta delle peculiarità legate al fiume: infatti il Tanaro non assume tale nome fin dalla sorgente, come di consueto, ma poco a monte di Ponte di Nava, alla confluenza di due diversi torrenti: il Tanarello, posto più a nord, e il Negrone, che vi si immette dopo una decina di chilometri, incrementandone notevolmente la portata d’acqua. Di lì il fiume assume il nome più noto che manterrà fino al suo congiungimento con il Po poco a valle di Bassignana, dopo aver attraversato i centri urbani di Alba, Asti e Alessandria.
[...] La posizione della valle la rende evidente snodo tra il Cuneese e il mare: infatti, ponendosi tra la val Roja a ovest e il percorso Ceva-Savona a est, risulta quasi come la strettoia di una clessidra per chi, provenendo dalle pianure occidentali e dall’Albese, voglia raggiungere la costa tra il Finale e il Taggiasco.
[...] In particolare, si può ipotizzare un’osmosi tra le valli Tanaro, Argentina e Roja <28: quest’ultima, come ben noto, è un importante asse di percorrenza, oggi quasi del tutto in territorio francese, che raccorda la pianura cuneese con Ventimiglia e, attraverso la valle Bevera e Sospello, con la costa più a occidente fino a Nizza.
[NOTE]
1 Così era già stato proposto in occasione delle ricerche sulla pieve di San Giovanni di Mediliano in Demeglio 2004, p. 93 e nota 3.
2 Si tenga inoltre presente che il crinale tra Tanaro e Bormida non costituisce la divisione tra i corsi d’acqua che affluiscono nel Po e quelli che si gettano nel mare: infatti la Bormida, o meglio le Bormide, dopo aver percorso un lungo tratto in Liguria, entra in Piemonte, dove attraversa Acqui Terme, scorre non lontano da Alessandria e si getta nel Tanaro nei pressi di Pavone. Si registra quindi una notevole distanza tra i confini regionali e quelli dei bacini idrografici.
3 Per tutti questi aspetti d’ora in poi si farà riferimento alla carta che correda la scheda di Tiziana Casaburi in questo volume.
8 Sull’archeologia della val Roja e di alcune aree limitrofe a partire dalla Preistoria si veda Sandrone, Simon, Venturino, Gambari, 2013, pp. 63-118.
Paolo Demeglio, Archeologia a Santa Giulitta e in Alta Val Tanaro: una dinamica diacronica e diatopica in (a cura di) Paolo Demeglio, Un paesaggio medievale tra Piemonte e Liguria. Il sito di Santa Giulitta e l’Alta Val Tanaro, Heredium - Collana della Scuola di Specializzazione in Beni Architettonici e del Paesaggio del Politecnico di Torino -, n. 1-2019
Questo territorio nel complesso, considerato come appena delineato, assume forma quasi di mezzaluna, dallo sbocco verso il Cebano, posto a nord, fino alle Alpi, che si distendono a ovest <3. La conformazione deriva, grosso modo, dalla sequenza di tre segmenti orientati diversamente e abbastanza riconoscibili: il primo, da Ceva fino a Garessio - passando per Nucetto, Bagnasco e Priola -, con un andamento tendenzialmente nord/sud; per il secondo, proseguendo verso Ormea e il colle di Nava, l’asse prevalente diventa quello nord-est/sud-ovest; l’orientamento dell’ultimo, sempre in un quadro sintetico e semplificato, risulta essere est/ovest, seppure più tortuoso perché posto in ambito montuoso. Proprio quest’ultimo segmento presenta delle peculiarità legate al fiume: infatti il Tanaro non assume tale nome fin dalla sorgente, come di consueto, ma poco a monte di Ponte di Nava, alla confluenza di due diversi torrenti: il Tanarello, posto più a nord, e il Negrone, che vi si immette dopo una decina di chilometri, incrementandone notevolmente la portata d’acqua. Di lì il fiume assume il nome più noto che manterrà fino al suo congiungimento con il Po poco a valle di Bassignana, dopo aver attraversato i centri urbani di Alba, Asti e Alessandria.
[...] La posizione della valle la rende evidente snodo tra il Cuneese e il mare: infatti, ponendosi tra la val Roja a ovest e il percorso Ceva-Savona a est, risulta quasi come la strettoia di una clessidra per chi, provenendo dalle pianure occidentali e dall’Albese, voglia raggiungere la costa tra il Finale e il Taggiasco.
[...] In particolare, si può ipotizzare un’osmosi tra le valli Tanaro, Argentina e Roja <28: quest’ultima, come ben noto, è un importante asse di percorrenza, oggi quasi del tutto in territorio francese, che raccorda la pianura cuneese con Ventimiglia e, attraverso la valle Bevera e Sospello, con la costa più a occidente fino a Nizza.
[NOTE]
1 Così era già stato proposto in occasione delle ricerche sulla pieve di San Giovanni di Mediliano in Demeglio 2004, p. 93 e nota 3.
2 Si tenga inoltre presente che il crinale tra Tanaro e Bormida non costituisce la divisione tra i corsi d’acqua che affluiscono nel Po e quelli che si gettano nel mare: infatti la Bormida, o meglio le Bormide, dopo aver percorso un lungo tratto in Liguria, entra in Piemonte, dove attraversa Acqui Terme, scorre non lontano da Alessandria e si getta nel Tanaro nei pressi di Pavone. Si registra quindi una notevole distanza tra i confini regionali e quelli dei bacini idrografici.
3 Per tutti questi aspetti d’ora in poi si farà riferimento alla carta che correda la scheda di Tiziana Casaburi in questo volume.
8 Sull’archeologia della val Roja e di alcune aree limitrofe a partire dalla Preistoria si veda Sandrone, Simon, Venturino, Gambari, 2013, pp. 63-118.
Paolo Demeglio, Archeologia a Santa Giulitta e in Alta Val Tanaro: una dinamica diacronica e diatopica in (a cura di) Paolo Demeglio, Un paesaggio medievale tra Piemonte e Liguria. Il sito di Santa Giulitta e l’Alta Val Tanaro, Heredium - Collana della Scuola di Specializzazione in Beni Architettonici e del Paesaggio del Politecnico di Torino -, n. 1-2019
sabato 9 dicembre 2023
E dei due Porcheddu che cosa mi sai dire?
[Marco Innocenti] Parliamo di qualche tua scoperta archivistica. Del lavoro su Modigliani abbiamo già detto. Ma so che su Giacomo Natta continuano le ricerche.
[Enzo Maiolino] Abbiamo già toccato l'argomento Natta sul quale la ricerca continua. Abbiamo avuto qualche risultato (grazie anche all'attenzione dell'amico Astengo) soprattutto in campo epistolare. Ma mancano ancora altri testi sia di che su Natta. Mi piacerebbe portare a termine, arrivare a risolvere ciò che chiamo i due gialli Natta. Uno (ma te ne ho già parlato) riguarda il mistero della scomparsa delle carte recuperate da Fonzi (e poi scomparse). L'altro riguarda i rapporti Natta-Feltrinelli (mai chiariti) su traduzioni affidate a Natta.
[Enzo Maiolino] Abbiamo già toccato l'argomento Natta sul quale la ricerca continua. Abbiamo avuto qualche risultato (grazie anche all'attenzione dell'amico Astengo) soprattutto in campo epistolare. Ma mancano ancora altri testi sia di che su Natta. Mi piacerebbe portare a termine, arrivare a risolvere ciò che chiamo i due gialli Natta. Uno (ma te ne ho già parlato) riguarda il mistero della scomparsa delle carte recuperate da Fonzi (e poi scomparse). L'altro riguarda i rapporti Natta-Feltrinelli (mai chiariti) su traduzioni affidate a Natta.
[Marco Innocenti] In tutto questo c'entra anche una valigia di documenti di Bruno Fonzi.
[Enzo Maiolino] La faccenda della valigia si riferisce al "giallo" Natta-Fonzi. Si tratta della valigia che conteneva le carte di Natta, recuperate da Fonzi a Roma dopo la morte dello scrittore ligure.
[Marco Innocenti] Mario Cupisti, noto a Sanremo per la sua attività giornalistica, e che curiosamente in alcuni suoi pezzi si firmava Alberto Modigliani, ebbe rapporti con Lorenzo Viani. Ecco un altro di quei filoni segreti che tu spesso vai seguendo.
[Enzo Maiolino] Sapevo che Cupisti era imparentato con Lorenzo Viani, ma non ho mai saputo in che modo. Comunque anche Cupisti era di estrazione toscana (viareggina come Viani?).
[Enzo Maiolino] La faccenda della valigia si riferisce al "giallo" Natta-Fonzi. Si tratta della valigia che conteneva le carte di Natta, recuperate da Fonzi a Roma dopo la morte dello scrittore ligure.
[Marco Innocenti] Mario Cupisti, noto a Sanremo per la sua attività giornalistica, e che curiosamente in alcuni suoi pezzi si firmava Alberto Modigliani, ebbe rapporti con Lorenzo Viani. Ecco un altro di quei filoni segreti che tu spesso vai seguendo.
[Enzo Maiolino] Sapevo che Cupisti era imparentato con Lorenzo Viani, ma non ho mai saputo in che modo. Comunque anche Cupisti era di estrazione toscana (viareggina come Viani?).
[Marco Innocenti] E dei due Porcheddu che cosa mi sai dire?
[Enzo Maiolino] Beppe Porcheddu (classe 1898) era lo zio di Gian Antonio Porcheddu (1920-1973). Beppe, più noto come straordinario disegnatore/illustratore, scompare misteriosamente a Roma, nel 1947, mentre era ospite degli amici Dino e Aurora Giacometti. Recentemente è stato ricordato a Torino con una mostra a cura di Santo Alligo.
Gian Antonio, morto prematuramente nel 1973, era pittore di notevole talento, particolarmente colto e informato sulle avanguardie storiche del '900. Aitante, di bell'aspetto (aveva avuto anche qualche esperienza in campo cinematografico), nonostante un'esistenza sregolata, con atteggiamenti da artista maudit, ha lasciato un'opera imponente, perfettamente ordinata nei suoi vari aspetti.
[Enzo Maiolino] Beppe Porcheddu (classe 1898) era lo zio di Gian Antonio Porcheddu (1920-1973). Beppe, più noto come straordinario disegnatore/illustratore, scompare misteriosamente a Roma, nel 1947, mentre era ospite degli amici Dino e Aurora Giacometti. Recentemente è stato ricordato a Torino con una mostra a cura di Santo Alligo.
Gian Antonio, morto prematuramente nel 1973, era pittore di notevole talento, particolarmente colto e informato sulle avanguardie storiche del '900. Aitante, di bell'aspetto (aveva avuto anche qualche esperienza in campo cinematografico), nonostante un'esistenza sregolata, con atteggiamenti da artista maudit, ha lasciato un'opera imponente, perfettamente ordinata nei suoi vari aspetti.
[Marco Innocenti] Ci fu una mostra sui pittori di Bordighera, frutto di un'indagine durata mesi.
[Enzo Maiolino] "Pittori di ieri a Bordighera" è il titolo (proposto da Cesare Perfetto) di un'importante mostra a Bordighera (uno degli eventi culturali che la città realizzò nel 1971 nell'ambito dei festeggiamenti per il V Centenario della fondazione della città).
Su segnalazione di Balbo, ebbi l'incarico di coordinare i lavori di una "Commissione Artistica Esecutiva" (reperimento opere, allestimento, ecc.). A Lorenza Trucchi fu affidata la redazione del testo introduttivo in Catalogo (quest'ultimo a mia cura). Ebbi l'idea di chiedere a Balbo qualche ricordo sui pittori della mostra da lui conosciuti. Balbo fornì un testo importante, di grande freschezza evocativa, che venne pubblicato in Catalogo. Catalogo oggi considerato una... rarità bibliografica e per il quale realizzai un "menabò" per il tipografo che prevedeva l'impostazione grafica di ogni pagina ("menabò" purtroppo smarrito durante la realizzazione del Catalogo). La pubblicazione - ricordo - fu richiesta anche dall'Istituto della Enciclopedia Italiana (Treccani).
A Morlotti, invece, Bordighera dedicò una mostra al Palazzo del Parco nel 1978, in occasione del conferimento della cittadinanza onoraria al pittore lombardo.
[Enzo Maiolino] "Pittori di ieri a Bordighera" è il titolo (proposto da Cesare Perfetto) di un'importante mostra a Bordighera (uno degli eventi culturali che la città realizzò nel 1971 nell'ambito dei festeggiamenti per il V Centenario della fondazione della città).
Su segnalazione di Balbo, ebbi l'incarico di coordinare i lavori di una "Commissione Artistica Esecutiva" (reperimento opere, allestimento, ecc.). A Lorenza Trucchi fu affidata la redazione del testo introduttivo in Catalogo (quest'ultimo a mia cura). Ebbi l'idea di chiedere a Balbo qualche ricordo sui pittori della mostra da lui conosciuti. Balbo fornì un testo importante, di grande freschezza evocativa, che venne pubblicato in Catalogo. Catalogo oggi considerato una... rarità bibliografica e per il quale realizzai un "menabò" per il tipografo che prevedeva l'impostazione grafica di ogni pagina ("menabò" purtroppo smarrito durante la realizzazione del Catalogo). La pubblicazione - ricordo - fu richiesta anche dall'Istituto della Enciclopedia Italiana (Treccani).
A Morlotti, invece, Bordighera dedicò una mostra al Palazzo del Parco nel 1978, in occasione del conferimento della cittadinanza onoraria al pittore lombardo.
Enzo Maiolino, Non sono un pittore che urla. Conversazioni con Marco Innocenti, philobiblon, Ventimiglia, 2014, pp. 147-149
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sabato 2 dicembre 2023
In poco più di una trentina di chilometri di costa, da Imperia a Ventimiglia, i dialetti locali, alla metà del Novecento, sono molti e ben differenti gli uni da gli altri
Bevera, Frazione di Ventimiglia (IM): il fiume Roia, la centrale elettrica, una cava, la linea ferrata per Val Roia e Cuneo |
"La Val Bévera era piena di gente, contadini e anche sfollati da Ventimiglia, e s’era senza mangiare; scorte di viveri non ce n’era e la farina bisognava andarla a prendere in città. Per andare in città c’era la strada battuta dalle cannonate notte e giorno.
Ormai si viveva più nei buchi che nelle case e un giorno gli uomini del paese si riunirono in una tana grande per decidere.
- Qui,- disse quello del comitato,- bisogna fare a turno che deve scendere a Ventimiglia a pigliare il pane" (La fame a Bévera in RR I, p. 253).
"Così Bisma andò a Ventimiglia anche l’indomani. […] Ogni giorno continuò ad andare giù e a portare il pane, e ogni giorno la scampava, passava attraverso le bombe incolume: dicevano avesse fatto un patto con il diavolo.
Poi i tedeschi abbandonarono la riva destra del Bévera, fecero saltare due ponti e un pezzo di strada, misero le mine" (La fame a Bévera in RR I, p. 257).
"Furono falciati insieme, uomo e mulo, ma rimasero ancora in piedi. Come se il mulo fosse caduto sulle quattro zampe, e fosse tutto d’un pezzo, con quelle sue gambe nere e sbilenche. […] poi s’inchinarono insieme, uomo e mulo; sembrava stessero per fare un altro passo, invece diroccarono giù uno sopra l’altro" (La fame a Bévera), (RR I, p. 259).
Il racconto La fame a Bévera è ambientato durante la seconda guerra mondiale, presso Bévera, una frazione del comune di Ventimiglia. Il paese è situato alle pendici sud-est del monte Pozzo (560 mt. s.l.m.), verso la confluenza dell’omonimo torrente con le acque del fiume Roia, a quattro chilometri dal capoluogo. Probabilmente il toponimo Bévera aveva in origine il significato di «corso d’acqua dove si abbeverano le greggi».
Le parole di Calvino, nel racconto confluito in Ultimo viene il corvo, ci presentano un paese segnato profondamente dalla presenza nemica costante, dove si fatica a recuperare il minimo di viveri per il sostentamento. La figura di Bisma è in stretto rapporto con la città semi distrutta: «un paio di baffi bianchi, bisunti e spioventi, sembrava stessero per cascare in terra da un momento all’altro, come tutte le parti del suo corpo» (RR I, p. 254). Anche il fidato mulo contribuisce a creare un ambiente devastato e desolato: «col collo piatto come una tavola chinato fino a terra, e una cautela nel muoversi come se le ossa sporgenti stessero per rompergli la pelle e sbucargli fuori dalle piaghe nere di mosche» (RR I, pp. 254-255). L’immagine che si presenta è quindi quella di un uomo anziano e sordo che per tutta la vita ha sempre dovuto guadagnarselo il pane, con fatica e asperità, ritrovandosi adesso a ricercarlo «per tutta Bévera». La sordità lo aveva fatto vivere in un mondo ovattato e silenzioso, stesso destino riservato al suo mulo: «Gli scoppi non lo imbizzarrivano: aveva tanto penato in vita sua che nulla poteva fargli più impressione» (RR I, p. 255). Quindi, forse incoscientemente, si propongono come veri e propri eroi alla ricerca del pane per l’intero paese, attraversando i nemici e i bombardamenti.
«Finché ho scritto di partigiani sono sicuro che andavo bene: dei partigiani avevo capito molte cose, e attraverso a quelli avevo messo il naso in parecchi strati anche ai margini della società» (S, p. 2711) e Bisma, a mio parere, rappresenta proprio l’esempio di uomo non conformista, né borghese, modello ricercato da Calvino che emerge in Questionario 1956. Proposto da G. B. Vicari a Calvino nel 1956, si interroga l’autore riguardo gli ambienti e i personaggi di cui amava maggiormente scrivere: «Le storie che mi interessa di raccontare sono sempre storie di ricerca d’una completezza umana, d’una integrazione, da raggiungere attraverso prove pratiche e morali insieme al di là delle alienazioni e dei dimidiamenti che vengono imposti all’uomo contemporaneo» (S, p. 2712) e, il protagonista de La fame a Bévera è sicuramente un uomo di cui Calvino ama raccontare le gesta e lo stile di vita non convenzionale.
Infine, una suggestione riguardo ai dialetti locali, emerge in un saggio di Calvino intitolato Il dialetto <29. Ad una domanda riguardo l’uso dei dialetti nella cultura contemporanea, Calvino risponde: «Quando ero studente, cioè già in una società che parlava correntemente in lingua, il dialetto era ciò che ci distingueva - per esempio - noi di San Remo dai nostri coetanei per esempio di Ventimiglia o di Porto Maurizio, e dava motivo a frequenti canzonature tra noi» (S, p. 2815).
In poco più di una trentina di chilometri di costa, da Imperia a Ventimiglia, i dialetti locali, alla metà del Novecento, sono molti e ben differenti gli uni da gli altri e non solo nelle città costiere, ma ancora più forte nei paesi dell’entroterra: «per non parlare del contrasto più forte dei dialetti dei villaggi montanari, come Baiardo e Triora, che corrispondevano a una situazione sociologica completamente diversa» (ibidem).
Calvino attribuisce al dialetto una grande «ricchezza lessicale» che costituiva «un patrimonio […] insostituibile» e riferisce al lettore che quando aveva incominciato a scrivere, quindi nelle sue prime opere, la sua lingua, vicina al dialetto e all’uso del parlato popolare, erano considerati per lui, «garanzia d’autenticità». Non scrive attingendo costantemente ai dialetti locali, ma ne fa uso preciso e limitato a voci spesso legate a «tecniche (agricole, artigiane, culinarie, domestiche) la cui terminologia si è creata o depositata nel dialetto più che nella lingua» (ibidem). Quindi, personaggi come Bisma, uniti anche all’uso dell’italiano popolare, hanno contribuito a far conoscere altri aspetti del ponente ligure agli innumerevoli lettori di Italo Calvino.
[...] Percorso consigliato: partendo dalla stazione della cittadina, si percorre una vecchia pista militare dove si trovano numerose fortificazioni risalenti alla seconda guerra mondiale. Il giro compie un breve anello intorno alla cima del monte Pozzo.
Lungo il tragitto sono visibili rifugi militari ora usati come ricoveri per animali. La quota massima non supera i 500 mt. di altitudine sul livello del mare e il sentiero in alcuni punti è a strapiombo sulla sottostante val Roya. Tutta la val Bévera, con il forte Saint-Roch, il forte dell’Agaisen e il forte del Barbonnet, costituisce un patrimonio storico artistico che testimonia i tormentati episodi bellici in questo scenario montuoso.
[NOTA]
29 Saggio uscito nel 1976, il 9 maggio su «La Fiera letteraria», S, pp. 2814-2817.
Elisa Longinotti, Calvino e i suoi luoghi, Tesi di laurea, Università degli Studi di Genova, Anno Accademico 2022-2023
Ormai si viveva più nei buchi che nelle case e un giorno gli uomini del paese si riunirono in una tana grande per decidere.
- Qui,- disse quello del comitato,- bisogna fare a turno che deve scendere a Ventimiglia a pigliare il pane" (La fame a Bévera in RR I, p. 253).
"Così Bisma andò a Ventimiglia anche l’indomani. […] Ogni giorno continuò ad andare giù e a portare il pane, e ogni giorno la scampava, passava attraverso le bombe incolume: dicevano avesse fatto un patto con il diavolo.
Poi i tedeschi abbandonarono la riva destra del Bévera, fecero saltare due ponti e un pezzo di strada, misero le mine" (La fame a Bévera in RR I, p. 257).
"Furono falciati insieme, uomo e mulo, ma rimasero ancora in piedi. Come se il mulo fosse caduto sulle quattro zampe, e fosse tutto d’un pezzo, con quelle sue gambe nere e sbilenche. […] poi s’inchinarono insieme, uomo e mulo; sembrava stessero per fare un altro passo, invece diroccarono giù uno sopra l’altro" (La fame a Bévera), (RR I, p. 259).
Il racconto La fame a Bévera è ambientato durante la seconda guerra mondiale, presso Bévera, una frazione del comune di Ventimiglia. Il paese è situato alle pendici sud-est del monte Pozzo (560 mt. s.l.m.), verso la confluenza dell’omonimo torrente con le acque del fiume Roia, a quattro chilometri dal capoluogo. Probabilmente il toponimo Bévera aveva in origine il significato di «corso d’acqua dove si abbeverano le greggi».
Le parole di Calvino, nel racconto confluito in Ultimo viene il corvo, ci presentano un paese segnato profondamente dalla presenza nemica costante, dove si fatica a recuperare il minimo di viveri per il sostentamento. La figura di Bisma è in stretto rapporto con la città semi distrutta: «un paio di baffi bianchi, bisunti e spioventi, sembrava stessero per cascare in terra da un momento all’altro, come tutte le parti del suo corpo» (RR I, p. 254). Anche il fidato mulo contribuisce a creare un ambiente devastato e desolato: «col collo piatto come una tavola chinato fino a terra, e una cautela nel muoversi come se le ossa sporgenti stessero per rompergli la pelle e sbucargli fuori dalle piaghe nere di mosche» (RR I, pp. 254-255). L’immagine che si presenta è quindi quella di un uomo anziano e sordo che per tutta la vita ha sempre dovuto guadagnarselo il pane, con fatica e asperità, ritrovandosi adesso a ricercarlo «per tutta Bévera». La sordità lo aveva fatto vivere in un mondo ovattato e silenzioso, stesso destino riservato al suo mulo: «Gli scoppi non lo imbizzarrivano: aveva tanto penato in vita sua che nulla poteva fargli più impressione» (RR I, p. 255). Quindi, forse incoscientemente, si propongono come veri e propri eroi alla ricerca del pane per l’intero paese, attraversando i nemici e i bombardamenti.
«Finché ho scritto di partigiani sono sicuro che andavo bene: dei partigiani avevo capito molte cose, e attraverso a quelli avevo messo il naso in parecchi strati anche ai margini della società» (S, p. 2711) e Bisma, a mio parere, rappresenta proprio l’esempio di uomo non conformista, né borghese, modello ricercato da Calvino che emerge in Questionario 1956. Proposto da G. B. Vicari a Calvino nel 1956, si interroga l’autore riguardo gli ambienti e i personaggi di cui amava maggiormente scrivere: «Le storie che mi interessa di raccontare sono sempre storie di ricerca d’una completezza umana, d’una integrazione, da raggiungere attraverso prove pratiche e morali insieme al di là delle alienazioni e dei dimidiamenti che vengono imposti all’uomo contemporaneo» (S, p. 2712) e, il protagonista de La fame a Bévera è sicuramente un uomo di cui Calvino ama raccontare le gesta e lo stile di vita non convenzionale.
Infine, una suggestione riguardo ai dialetti locali, emerge in un saggio di Calvino intitolato Il dialetto <29. Ad una domanda riguardo l’uso dei dialetti nella cultura contemporanea, Calvino risponde: «Quando ero studente, cioè già in una società che parlava correntemente in lingua, il dialetto era ciò che ci distingueva - per esempio - noi di San Remo dai nostri coetanei per esempio di Ventimiglia o di Porto Maurizio, e dava motivo a frequenti canzonature tra noi» (S, p. 2815).
In poco più di una trentina di chilometri di costa, da Imperia a Ventimiglia, i dialetti locali, alla metà del Novecento, sono molti e ben differenti gli uni da gli altri e non solo nelle città costiere, ma ancora più forte nei paesi dell’entroterra: «per non parlare del contrasto più forte dei dialetti dei villaggi montanari, come Baiardo e Triora, che corrispondevano a una situazione sociologica completamente diversa» (ibidem).
Calvino attribuisce al dialetto una grande «ricchezza lessicale» che costituiva «un patrimonio […] insostituibile» e riferisce al lettore che quando aveva incominciato a scrivere, quindi nelle sue prime opere, la sua lingua, vicina al dialetto e all’uso del parlato popolare, erano considerati per lui, «garanzia d’autenticità». Non scrive attingendo costantemente ai dialetti locali, ma ne fa uso preciso e limitato a voci spesso legate a «tecniche (agricole, artigiane, culinarie, domestiche) la cui terminologia si è creata o depositata nel dialetto più che nella lingua» (ibidem). Quindi, personaggi come Bisma, uniti anche all’uso dell’italiano popolare, hanno contribuito a far conoscere altri aspetti del ponente ligure agli innumerevoli lettori di Italo Calvino.
[...] Percorso consigliato: partendo dalla stazione della cittadina, si percorre una vecchia pista militare dove si trovano numerose fortificazioni risalenti alla seconda guerra mondiale. Il giro compie un breve anello intorno alla cima del monte Pozzo.
Lungo il tragitto sono visibili rifugi militari ora usati come ricoveri per animali. La quota massima non supera i 500 mt. di altitudine sul livello del mare e il sentiero in alcuni punti è a strapiombo sulla sottostante val Roya. Tutta la val Bévera, con il forte Saint-Roch, il forte dell’Agaisen e il forte del Barbonnet, costituisce un patrimonio storico artistico che testimonia i tormentati episodi bellici in questo scenario montuoso.
[NOTA]
29 Saggio uscito nel 1976, il 9 maggio su «La Fiera letteraria», S, pp. 2814-2817.
Elisa Longinotti, Calvino e i suoi luoghi, Tesi di laurea, Università degli Studi di Genova, Anno Accademico 2022-2023
sabato 25 novembre 2023
Due antiche monete romane rinvenute presso Cima Marta
La prima notizia riguarda un rinvenimento avvenuto al di fuori dell’area indagata, ma non distante da essa, nel primo decennio del secolo attuale. Si tratta di due monete, in particolare di due assi d’argento romani, trovate casualmente in superficie presso Cima Marta (2138 m), in valle Argentina, lungo la strada che arriva da Monesi: questa è una frazione del comune di Triora, in provincia di Imperia, non lontano dal confine con il Piemonte e con la Francia.
La localizzazione è riportata con la lettera A nella carta di sintesi già richiamata; le monete sono ora conservate presso il “Museo Storico di Nucetto e dell’Alta Val Tanaro” <22.
La localizzazione è riportata con la lettera A nella carta di sintesi già richiamata; le monete sono ora conservate presso il “Museo Storico di Nucetto e dell’Alta Val Tanaro” <22.
a. Denario in argento di Tito (fig. 5)
D/ IMP.T.CAES.VESPASIAN.AUG.P.M
Testa laureata, lato sx.
R/ TR.P.IX.IMP.XV COS.VIII.P.P
Delfino con tripode.
Denario in argento dell’imperatore Tito, zecca di Roma, diametro mm 19; è una terza emissione battuta tra l’inizio dell’80 d.C. e la fine di giugno dello stesso anno: la datazione è precisa poiché, oltre alla XV salutatio imperatoria e all’VIII consulatus, l’iscrizione riporta la IX tribunicia potestas, che è terminata proprio alla fine di giugno <23. Si tratta di una variante del tipo RIC, II, p. 119, 27 e tav. III, 50, dove l’iscrizione sul D/ inizia con IMP.TITUS (e non con la sola T) e l’iscrizione sul R/ è continua, mentre in questo esemplare è interrotta da uno spazio.
Il delfino sul tripode rappresenta Apollo: forse fu l’eruzione del Vesuvio a portare all’emissione di una serie numismatica di supplicatio con simboli degli dei su pulvinaria <24.
D/ IMP.T.CAES.VESPASIAN.AUG.P.M
Testa laureata, lato sx.
R/ TR.P.IX.IMP.XV COS.VIII.P.P
Delfino con tripode.
Denario in argento dell’imperatore Tito, zecca di Roma, diametro mm 19; è una terza emissione battuta tra l’inizio dell’80 d.C. e la fine di giugno dello stesso anno: la datazione è precisa poiché, oltre alla XV salutatio imperatoria e all’VIII consulatus, l’iscrizione riporta la IX tribunicia potestas, che è terminata proprio alla fine di giugno <23. Si tratta di una variante del tipo RIC, II, p. 119, 27 e tav. III, 50, dove l’iscrizione sul D/ inizia con IMP.TITUS (e non con la sola T) e l’iscrizione sul R/ è continua, mentre in questo esemplare è interrotta da uno spazio.
Il delfino sul tripode rappresenta Apollo: forse fu l’eruzione del Vesuvio a portare all’emissione di una serie numismatica di supplicatio con simboli degli dei su pulvinaria <24.
b. Denario in argento di Traiano (fig. 6)
D/ IMP.CAES.NERVA.TRAIAN.AUG.GERM
Testa laureata, lato dx.
R/ P.M.TR.P.COS.III.P.P
Vittoria seduta, lato sx; tiene una patera e una palma.
Denario in argento dell’imperatore Traiano, zecca di Roma <25, diametro mm 19; emessa nel 100 d.C. sulla base dell’iscrizione che riporta il III consulatus. Si tratta del tipo RIC, II, p. 247, 41.
Le monete battute sotto il II e il III consolato che riportano sul R/ la Germania o la Vittoria sedute richiamano a campagna contro i Germani che Traiano stava conducendo al momento della morte di Nerva e quindi della sua nomina a imperatore <26.
Il ritrovamento, seppure non avvenuto sulla sommità di Cima Marta, risulta comunque in altura e pare testimoniare una frequentazione dei passi e delle vie che mettevano in comunicazione le aree limitrofe: in questo senso può essere accostato a quello avvenuto in frazione Viozene di Ormea <27.
[NOTE]
22 Ringrazio il responsabile, Filippo Nicolino, per la preziosa opera di recupero e conservazione delle memorie locali; devo la segnalazione alla consueta cortesia di Giammario Odello, la cui conoscenza del territorio è profonda e la cui attenzione per lo stesso è sempre vigile.
23 RIC, II, p. 113.
24 Ivi, p. 114.
25 Quasi tutte le monete di Traiano vengono dalla zecca di Roma: ivi, p. 234.
26 Ivi, p. 238.
27 Cfr. il testo di Tiziana Casaburi, scheda n. 9 e relativa carta.
Paolo Demeglio, Archeologia a Santa Giulitta e in Alta Val Tanaro: una dinamica diacronica e diatopica in (a cura di) Paolo Demeglio, Un paesaggio medievale tra Piemonte e Liguria. Il sito di Santa Giulitta e l’Alta Val Tanaro, Heredium - Collana della Scuola di Specializzazione in Beni Architettonici e del Paesaggio del Politecnico di Torino -, n. 1-2019
D/ IMP.CAES.NERVA.TRAIAN.AUG.GERM
Testa laureata, lato dx.
R/ P.M.TR.P.COS.III.P.P
Vittoria seduta, lato sx; tiene una patera e una palma.
Denario in argento dell’imperatore Traiano, zecca di Roma <25, diametro mm 19; emessa nel 100 d.C. sulla base dell’iscrizione che riporta il III consulatus. Si tratta del tipo RIC, II, p. 247, 41.
Le monete battute sotto il II e il III consolato che riportano sul R/ la Germania o la Vittoria sedute richiamano a campagna contro i Germani che Traiano stava conducendo al momento della morte di Nerva e quindi della sua nomina a imperatore <26.
Il ritrovamento, seppure non avvenuto sulla sommità di Cima Marta, risulta comunque in altura e pare testimoniare una frequentazione dei passi e delle vie che mettevano in comunicazione le aree limitrofe: in questo senso può essere accostato a quello avvenuto in frazione Viozene di Ormea <27.
[NOTE]
22 Ringrazio il responsabile, Filippo Nicolino, per la preziosa opera di recupero e conservazione delle memorie locali; devo la segnalazione alla consueta cortesia di Giammario Odello, la cui conoscenza del territorio è profonda e la cui attenzione per lo stesso è sempre vigile.
23 RIC, II, p. 113.
24 Ivi, p. 114.
25 Quasi tutte le monete di Traiano vengono dalla zecca di Roma: ivi, p. 234.
26 Ivi, p. 238.
27 Cfr. il testo di Tiziana Casaburi, scheda n. 9 e relativa carta.
Paolo Demeglio, Archeologia a Santa Giulitta e in Alta Val Tanaro: una dinamica diacronica e diatopica in (a cura di) Paolo Demeglio, Un paesaggio medievale tra Piemonte e Liguria. Il sito di Santa Giulitta e l’Alta Val Tanaro, Heredium - Collana della Scuola di Specializzazione in Beni Architettonici e del Paesaggio del Politecnico di Torino -, n. 1-2019
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giovedì 16 novembre 2023
Collezione effimera di colori: mostra a Bordighera
Un riferimento a Silvana Maccario qui
Giorgio Loreti
Unione Culturale Democratica - Sezione ANPI - Bordighera (IM), Tel. +39 348 706 7688
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venerdì 10 novembre 2023
Idee per il Museo Etnografico di Cervo (IM)
Il Museo Etnografico collegato al Castello
Il Museo Etnografico raccoglie, conserva e valorizza le testimonianze etno-antropologiche del territorio che rappresenta creando un centro cultura e ricerca: “Conoscenze della cultura di un popolo e tradizioni popolari”.
Al primo piano del Castello dei Clavesana si trova appunto il Museo Etnografico del Ponente Ligure e a fianco l’Ufficio I.A.T. (Ufficio Informazioni Turistiche). E’ stato inaugurato nel 1981 e conserva materiale e mobilio dell’800.
Donne di Liguria, un secolo di storia (1850-1950)
Al secondo piano del museo etnografico, nella sala adibita a congressi si trova la Mostra permanente “Donne di Liguria, un secolo di storia (1850-1950)”.
Si tratta di un coinvolgente percorso riferito a un periodo a partire dal 1850 fino al 1950 che riproduce momenti di vita del passato, ambienti, status sociali, arti e mestieri, episodi di vita ligure femminile. Ogni bambola è addobbata al meglio, in ogni dettaglio, a seconda della propria storia.
Questa personale è stata ideata da Nanda De Marchi, vicepresidente dell’Associazione culturale Arcadia di Diano Marina, appassionata di sociale ed amante del proprio territorio che ha voluto rappresentare tradizioni, usi e costumi del mondo femminile dal punto di visto storico.
L’evoluzione femminile di un secolo di storia valorizzando il ruolo della donna come pilastro e sostegno della famiglia e della società.
“Nei vari viaggi e pellegrinaggi in giro per il mondo - dice Nanda - mentre gli altri giravano per negozi io cercavo oggetti particolari che potessero servire per questo progetto. Ho visitato negozi e mercatini d’antiquariato dove ho acquistato tessuti, pizzi, passamanerie, accessori.
Tornata a casa, con il sostegno di Giuseppina Cotta Mandara, ed insieme ad un gruppo-lavoro di persone-soci di Arcadia abbiamo studiato e riprodotto in scala ridotta ambienti costruiti nel dettaglio e confezionato abiti, corsetti, cappelli, gonne, camicette, grembiuli per vestire e rappresentare nel particolare la società femminile ligure di allora. Una credenza arriva dalla Polonia!”
Negli anni la mostra è stata allestita in diverse cittadine liguri e nel 2004 è arrivata a Genova (quell’anno capitale europea della cultura).
E’ stata allestita in Umbria, vicino ad Assisi, ed dal 2012 ha trovato collocazione nel Castello dei Clavesana in Cervo, con grande soddisfazione del direttivo di Arcadia ed orgoglio per Nanda De Marchi.
Redazione, Il Castello dei Clavesana e il Museo Etnografico a Cervo, golfodianese.info
Il Museo Etnografico raccoglie, conserva e valorizza le testimonianze etno-antropologiche del territorio che rappresenta creando un centro cultura e ricerca: “Conoscenze della cultura di un popolo e tradizioni popolari”.
Al primo piano del Castello dei Clavesana si trova appunto il Museo Etnografico del Ponente Ligure e a fianco l’Ufficio I.A.T. (Ufficio Informazioni Turistiche). E’ stato inaugurato nel 1981 e conserva materiale e mobilio dell’800.
Donne di Liguria, un secolo di storia (1850-1950)
Al secondo piano del museo etnografico, nella sala adibita a congressi si trova la Mostra permanente “Donne di Liguria, un secolo di storia (1850-1950)”.
Si tratta di un coinvolgente percorso riferito a un periodo a partire dal 1850 fino al 1950 che riproduce momenti di vita del passato, ambienti, status sociali, arti e mestieri, episodi di vita ligure femminile. Ogni bambola è addobbata al meglio, in ogni dettaglio, a seconda della propria storia.
Questa personale è stata ideata da Nanda De Marchi, vicepresidente dell’Associazione culturale Arcadia di Diano Marina, appassionata di sociale ed amante del proprio territorio che ha voluto rappresentare tradizioni, usi e costumi del mondo femminile dal punto di visto storico.
L’evoluzione femminile di un secolo di storia valorizzando il ruolo della donna come pilastro e sostegno della famiglia e della società.
“Nei vari viaggi e pellegrinaggi in giro per il mondo - dice Nanda - mentre gli altri giravano per negozi io cercavo oggetti particolari che potessero servire per questo progetto. Ho visitato negozi e mercatini d’antiquariato dove ho acquistato tessuti, pizzi, passamanerie, accessori.
Tornata a casa, con il sostegno di Giuseppina Cotta Mandara, ed insieme ad un gruppo-lavoro di persone-soci di Arcadia abbiamo studiato e riprodotto in scala ridotta ambienti costruiti nel dettaglio e confezionato abiti, corsetti, cappelli, gonne, camicette, grembiuli per vestire e rappresentare nel particolare la società femminile ligure di allora. Una credenza arriva dalla Polonia!”
Negli anni la mostra è stata allestita in diverse cittadine liguri e nel 2004 è arrivata a Genova (quell’anno capitale europea della cultura).
E’ stata allestita in Umbria, vicino ad Assisi, ed dal 2012 ha trovato collocazione nel Castello dei Clavesana in Cervo, con grande soddisfazione del direttivo di Arcadia ed orgoglio per Nanda De Marchi.
Redazione, Il Castello dei Clavesana e il Museo Etnografico a Cervo, golfodianese.info
Fonte: Matteo Sicios, Op. cit. infra |
Fonte: Matteo Sicios, Op. cit. infra |
Fonte: Matteo Sicios, Op. cit. infra |
Fonte: Matteo Sicios, Op. cit. infra |
Il Museo [Museo etnografico permanente del Ponente ligure “Franco Ferrero” di Cervo] è infatti un’esposizione permanente di etnografia che unisce gli aspetti peculiari del “museo di storia e cultura contadina”, quindi oggetti legati al lavoro, all’attività agricola, di trasformazione dei prodotti e domestica - unitamente ad elementi di rilievo riconducibili alla grande tradizione mercantile di armatori e di professionisti che abitano Cervo in epoca moderna, con alcune particolarità legate all’attività della pesca del corallo - elementi questi che rendono l’esposizione originale nell’ambito del panorama ligure. Le immagini del borgo e del territorio circostante sono il preludio a progetti futuri che vogliono connettere gli oggetti esposti al paesaggio, con la prospettiva di creare un “Museo diffuso”.
Negli anni 2017-2018 viene realizzata una pianificazione museale completa che evidenzia i punti di forza e di debolezza del Museo. Nel novembre del 2020, sulla base delle valutazioni fatte negli anni precedenti, viene pubblicata una manifestazione di interesse per la realizzazione e la progettazione di interventi di accessibilità fisica e culturale dedicati esplicitamente al target dei turisti stranieri, dei giovani, di utenti con disabilità. I turisti stranieri sono numerosi per l’attrattività turistica di cui gode Cervo ed il Museo merita di contenere un apparato didascalico con traduzioni in lingua. Bambini e ragazzi devono meglio comprendere gli usi e le funzioni dei reperti attraverso la narrazione del loro contesto storico e sociale, assente prima della realizzazione del progetto. Gli exhibit multimediali diventano uno strumento utile per i non udenti e i non vedenti che possono fruire di una narrazione audio coerente e di contenuti video con interprete in LIS, nello specifico l’ISL, “International Sign Language”.
Un’altro obiettivo del Comune è quello di “portare il Museo fuori dal Museo” attraverso la valorizzazione dei suoi contenuti, ma anche includendo i beni culturali come il centro, monumenti e palazzi storici.
[...] Gli strumenti utilizzati per la produzione dei video sono quelli riassunti in Schema 13. Si usano anche strumenti ed oggetti forniti dai privati, dal Museo e dallo storyteller stesso. All’interno del Museo vengono utilizzate le luci, non in esterna, dove ci si avvale di quella naturale, scegliendo con cura la location per le interviste e l’interpretazione. Il numero delle location selezionate per le riprese è alto in proporzione alle clip, sono circa dieci quelle del “Video-Cose”.
La documentazione usata per le riprese è oggetto di una ricerca ad hoc sull’iconografia e si approfondiscono anche alcuni contenuti del Museo che non sono ancora completamente studiati.
[...] A seguito di una valutazione fatta con gli operatori e la responsabile del Museo, si evincono delle criticità nei contenuti che sono stati gioco-forza esclusi dalla produzione video, ma non solo.
Il personale dell’Ente gestore segnala che per l’accensione di entrambi i dispositivi non ci sono problemi né perdite di tempo, ma lo spegnimento dell’exhibit di proiezione del “Video-itinerario” richiede una tastiera ed uno spegnimento manuale. Alla data dell’intervista telefonica non si segnalano criticità di funzionamento. Per quanto riguarda la fruizione, il pubblico si ferma molto volentieri a vedere video il “Video-itinerario”, cosa che avviene anche per quello verticale, ma i visitatori ovviamente non si fermano per tutto il tempo. La riproduzione in loop prevista di tutte le clip non ha infatti l’obiettivo della fruizione totale, ma di invitare alla ricerca degli oggetti di cui si parla.
1) Progetto scientifico
“Video-Cose” dedicati ai seguenti temi ed oggetti esposti: 1) Attrezzi dei maestri d’ascia, 2) Il Mortaio, 3) Il sacco del marinaio, 4) La falce da erba, 5) L’anchisa, 6) Le forbici da tosatura delle pecore, 7) L’otre per trasportare olio, 8) Il basto, 9) La trappa, 10) Il miele, 11) Il cordame, 12) La vinsa per seccare i fichi.
[...] 3) Progetto di gestione
Non si modifica il progetto di gestione esistente - il personale di custodia al Museo, una persona, si occupa dell’accensione delle luci, quindi dei dispositivi che si attivano automaticamente. Si occupa poi dello spegnimento attraverso pc dell’exhibit “Video-itinerario”.
4) Progetto di comunicazione e promozione
Non viene realizzato un progetto di comunicazione specifico sugli exhibit multimediali realizzati. Nel momento in cui si scrive è in programma una presentazione pubblica istituzionale del progetto.
5) Progetto editoriale-multimediale
I contenuti che si elaborano per gli exhibit non sono oggetto di altri prodotti editoriali e multimediali.
A - valutazione, miglioramento del progetto
Gli obiettivi del Comune sono quelli di migliorare l’esposizione e l’accessibilità:
- Creare un nuovo percorso narrativo coerente che accompagni il visitatore nell’esposizione che ha un ordinamento tematico (con un allestimento confusionario).
- Realizzare un collegamento ideale e tematico per incentivare la visita del borgo e del territorio circostante.
- Rendere accessibili i contenuti ai visitatori non udenti e non vedenti, oltre che ai pubblici meglio specificati nella profilazione dei target.
B - progettazione
b1 target
Ci si pone come target sia quello esistente dei visitatori del Museo, con l’obiettivo di migliorare la fruizione da parte dei turisti stranieri che devono poter fruire dei contenuti tradotti, sia quello di nuovi pubblici, delle scuole e delle famiglie, con l’obiettivo di rendere comprensibili gli oggetti esposti in un quadro storico più generale.
[...] La proiezione chiamata “Video-itinerario” deve essere una premessa didascalica ai contenuti dell’esposizione e ai valori del territorio, per fornire un contesto storico, culturale e sociale completo; in questo quadro generale sarà poi inserito anche il racconto del “Video-Cose” che pone il focus sul contesto d’uso, nascita e sviluppo di 12 utensili.
Dal punto di vista gestionale si vogliono degli strumenti con caratteristiche “plug and play” cioè attivi al momento dell’accensione della rete elettrica e che non richiedano competenze digitali specialistiche nell’attività di aggiornamento dei contenuti.
Matteo Sicios, Tecnologie multimediali per la fruizione nei Musei, la proposta di un modello di progettazione. Dall’idea al video etnografico, Tesi di dottorato, Università degli Studi di Genova, 2022
Negli anni 2017-2018 viene realizzata una pianificazione museale completa che evidenzia i punti di forza e di debolezza del Museo. Nel novembre del 2020, sulla base delle valutazioni fatte negli anni precedenti, viene pubblicata una manifestazione di interesse per la realizzazione e la progettazione di interventi di accessibilità fisica e culturale dedicati esplicitamente al target dei turisti stranieri, dei giovani, di utenti con disabilità. I turisti stranieri sono numerosi per l’attrattività turistica di cui gode Cervo ed il Museo merita di contenere un apparato didascalico con traduzioni in lingua. Bambini e ragazzi devono meglio comprendere gli usi e le funzioni dei reperti attraverso la narrazione del loro contesto storico e sociale, assente prima della realizzazione del progetto. Gli exhibit multimediali diventano uno strumento utile per i non udenti e i non vedenti che possono fruire di una narrazione audio coerente e di contenuti video con interprete in LIS, nello specifico l’ISL, “International Sign Language”.
Un’altro obiettivo del Comune è quello di “portare il Museo fuori dal Museo” attraverso la valorizzazione dei suoi contenuti, ma anche includendo i beni culturali come il centro, monumenti e palazzi storici.
[...] Gli strumenti utilizzati per la produzione dei video sono quelli riassunti in Schema 13. Si usano anche strumenti ed oggetti forniti dai privati, dal Museo e dallo storyteller stesso. All’interno del Museo vengono utilizzate le luci, non in esterna, dove ci si avvale di quella naturale, scegliendo con cura la location per le interviste e l’interpretazione. Il numero delle location selezionate per le riprese è alto in proporzione alle clip, sono circa dieci quelle del “Video-Cose”.
La documentazione usata per le riprese è oggetto di una ricerca ad hoc sull’iconografia e si approfondiscono anche alcuni contenuti del Museo che non sono ancora completamente studiati.
[...] A seguito di una valutazione fatta con gli operatori e la responsabile del Museo, si evincono delle criticità nei contenuti che sono stati gioco-forza esclusi dalla produzione video, ma non solo.
Il personale dell’Ente gestore segnala che per l’accensione di entrambi i dispositivi non ci sono problemi né perdite di tempo, ma lo spegnimento dell’exhibit di proiezione del “Video-itinerario” richiede una tastiera ed uno spegnimento manuale. Alla data dell’intervista telefonica non si segnalano criticità di funzionamento. Per quanto riguarda la fruizione, il pubblico si ferma molto volentieri a vedere video il “Video-itinerario”, cosa che avviene anche per quello verticale, ma i visitatori ovviamente non si fermano per tutto il tempo. La riproduzione in loop prevista di tutte le clip non ha infatti l’obiettivo della fruizione totale, ma di invitare alla ricerca degli oggetti di cui si parla.
1) Progetto scientifico
“Video-Cose” dedicati ai seguenti temi ed oggetti esposti: 1) Attrezzi dei maestri d’ascia, 2) Il Mortaio, 3) Il sacco del marinaio, 4) La falce da erba, 5) L’anchisa, 6) Le forbici da tosatura delle pecore, 7) L’otre per trasportare olio, 8) Il basto, 9) La trappa, 10) Il miele, 11) Il cordame, 12) La vinsa per seccare i fichi.
[...] 3) Progetto di gestione
Non si modifica il progetto di gestione esistente - il personale di custodia al Museo, una persona, si occupa dell’accensione delle luci, quindi dei dispositivi che si attivano automaticamente. Si occupa poi dello spegnimento attraverso pc dell’exhibit “Video-itinerario”.
4) Progetto di comunicazione e promozione
Non viene realizzato un progetto di comunicazione specifico sugli exhibit multimediali realizzati. Nel momento in cui si scrive è in programma una presentazione pubblica istituzionale del progetto.
5) Progetto editoriale-multimediale
I contenuti che si elaborano per gli exhibit non sono oggetto di altri prodotti editoriali e multimediali.
A - valutazione, miglioramento del progetto
Gli obiettivi del Comune sono quelli di migliorare l’esposizione e l’accessibilità:
- Creare un nuovo percorso narrativo coerente che accompagni il visitatore nell’esposizione che ha un ordinamento tematico (con un allestimento confusionario).
- Realizzare un collegamento ideale e tematico per incentivare la visita del borgo e del territorio circostante.
- Rendere accessibili i contenuti ai visitatori non udenti e non vedenti, oltre che ai pubblici meglio specificati nella profilazione dei target.
B - progettazione
b1 target
Ci si pone come target sia quello esistente dei visitatori del Museo, con l’obiettivo di migliorare la fruizione da parte dei turisti stranieri che devono poter fruire dei contenuti tradotti, sia quello di nuovi pubblici, delle scuole e delle famiglie, con l’obiettivo di rendere comprensibili gli oggetti esposti in un quadro storico più generale.
[...] La proiezione chiamata “Video-itinerario” deve essere una premessa didascalica ai contenuti dell’esposizione e ai valori del territorio, per fornire un contesto storico, culturale e sociale completo; in questo quadro generale sarà poi inserito anche il racconto del “Video-Cose” che pone il focus sul contesto d’uso, nascita e sviluppo di 12 utensili.
Dal punto di vista gestionale si vogliono degli strumenti con caratteristiche “plug and play” cioè attivi al momento dell’accensione della rete elettrica e che non richiedano competenze digitali specialistiche nell’attività di aggiornamento dei contenuti.
Matteo Sicios, Tecnologie multimediali per la fruizione nei Musei, la proposta di un modello di progettazione. Dall’idea al video etnografico, Tesi di dottorato, Università degli Studi di Genova, 2022
lunedì 30 ottobre 2023
Io sfogliavo i cataloghi dei due vivaisti e scoprivo tante piante che non conoscevo
"Bastià" abitava sulla Colla [n.d.r.: slargo - belvedere sul mare - situato davanti al centro storico (Ventimiglia Alta) di Ventimiglia (IM)] e veniva da noi a cavare le patate e ogni sera andandosene dava appuntamento all'indomani, se "Dio vuole", ripeteva.
E c'era quello con giacca blu, il fazzolettino bianco e il giornale piegato in tasca che prendevamo un po' in giro.
La "scià [signora] Vicenza" e Teresa andavano a messa la domenica, a piedi, in cattedrale con capello e veletta: sembravano una poesia di Gozzano. Sul cancello in ferro c'è ancora la scritta villa Vincenza che ogni tanto perde una lettera, ma dentro le piante del viale sono diventate un bosco di rovi e vitalba: sole le palme, sempre più alte, si sono savalte.
"Luì" faceva il giardiniere dai torinesi di villa Boccanegra: la padrona era diventa famosa per essersi salvata nel naufragio dell'Andrea Doria. Ma lui non ne parlava e andava avanti e indietro da Ventimiglia alta piegato sulla sua bicicletta: era vecchio e anche quando scendeva rimaneva con la schiena piegata.
Arturo Viale, Mezz'agosto, ed. in pr., 1994
E c'era quello con giacca blu, il fazzolettino bianco e il giornale piegato in tasca che prendevamo un po' in giro.
La "scià [signora] Vicenza" e Teresa andavano a messa la domenica, a piedi, in cattedrale con capello e veletta: sembravano una poesia di Gozzano. Sul cancello in ferro c'è ancora la scritta villa Vincenza che ogni tanto perde una lettera, ma dentro le piante del viale sono diventate un bosco di rovi e vitalba: sole le palme, sempre più alte, si sono savalte.
"Luì" faceva il giardiniere dai torinesi di villa Boccanegra: la padrona era diventa famosa per essersi salvata nel naufragio dell'Andrea Doria. Ma lui non ne parlava e andava avanti e indietro da Ventimiglia alta piegato sulla sua bicicletta: era vecchio e anche quando scendeva rimaneva con la schiena piegata.
Arturo Viale, Mezz'agosto, ed. in pr., 1994
Agosto tempo di vacanze, tempo di costa, così conversando con Arturo Viale, scrittore di confine del ponente ligure, mettiamo a punto 3 puntate in cui parleremo - ci racconterà - di personaggi noti e meno noti del passato della Riviera.
Vengono cosi magicamente fuori personaggi incredibili, appassionanti, storie note e sconosciute, personaggi inaspettati e ricchi di magia.
La prima conversazione con Arturo Viale è tutta al femminile.
[...] 2 - Freya Stark
«Madama Stark, come la chiamavano a Mortola, è riuscita a superare i cento anni di vita ed è difficile stabilire dove sia stato il suo baricentro.
Ci sono luoghi in questo mondo in cui è stata felice, luoghi in cui ha lottato, luoghi in cui molte cose della sua vita hanno avuto inizio e altri luoghi meno rilevanti ma da cui la sua esistenza doveva necessariamente passare.
Per capire il personaggio basti sapere che la nonna paterna parlava il tedesco, quella materna che abitava a Genova parlava l'italiano e Freya naturalmente l'inglese anche se era nata a Parigi durante un viaggio bohémien dei genitori.
Era arrivata a Ventimiglia poco dopo la fine della Prima guerra Mondiale e con l'aiuto del padre aveva comprato una casa con terreno agricolo con l'idea di guadagnarsi da vivere coltivando e commerciando i fiori.
'La regione era bellissima screziata dal sole e ricoperta di campi di fiori color gioiello che punteggiavano scogliere che cadevano a precipizio sul mare blu…
Tutto intorno a lei c'erano le grandi ville dei ricchi mentre sulla riva del fiume le donne battevano il bucato con pietre'.
Così si legge in una biografia.
La terra era di circa diecimila metri o, come dicevano loro, due acri e mezzo, la casa rurale aveva quattro stanze, quanto bastava. Una delle svolte nella vita di Freya avvenne nel 1921 quando cominciò ad andare a Sanremo, a fianco del Casinò, da un frate cappuccino che aveva vissuto trent'anni a Beirut e che le insegnò l'arabo.
Prendeva il treno due volte alla settimana, camminando a piedi per circa un'ora fino alla stazione di Ventimiglia, trascurando l'attività floricola.
Studiò per sette anni, si perfezionò a Londra e finalmente era pronta per realizzare il sogno. Questa fu la prima chiave per aprire le porte del Medio Oriente.
Diventò una delle più grandi viaggiatrici e raccontò le sue esperienze in numerosi libri finché mise le radici ad Asolo a villa Freya dove visse la seconda metà della vita tanto da riempire una stanza in modo permanente nel museo della città.
La casa di Mortola [n.d.r.: Frazione nel ponente di Ventimiglia], a fianco dei giardini degli Hanbury, finisce alla nipote Ceci, Contessa Costanza Blanchi di Roascio, figlia della sorella Vera ed ora agli eredi.
Uno dei ritratti più espressivi di Freya, quando aveva trent'anni, glielo aveva fatto un pittore vicino di casa a Mortola, Herbert Olivier, zio del famoso attore Lawrence Olivier. Il ritratto si trova nella National Portrait Gallery di Londra.
Quella era la Riviera un secolo fa.»
3 - Caterina Gaggero Viale [n.d.r.: nonna paterna di Arturo Viale]
«Era nata a Bordighera durante la migrazione della famiglia da case Loa, località del paesino di Mele, dietro Genova, alla zona di Ventimiglia dove visse la vita adulta.
Fu una piccola conquista del West per famiglie dell'entroterra genovese come i Gaggero, i Bruzzone a volte al seguito di famiglie benestanti come i Tonet o i Migone.
Nata nel 1891 si era sposata a diciott'anni con un Ventimigliese di dieci anni più grande che aveva navigato in gioventù, avevano avuto due figli.
La Lilla aveva gestito un'osteria che per più di trent'anni era stata un riferimento per molti, soldati della caserma Gallardi, pescatori di canna di ritorno da Muru Russu [n.d.r.: zona a mare in Frazione Latte di Ventimiglia], e cittadini in cerca di ristoro domenicale fino a quando nel 1959 la Lilla morì.
L'osteria da Bataglia [n.d.r.: situata tra Località Ville e la Frazione Latte di Ventimiglia] era già allora a chilometro zero.
I conigli erano allevati nelle 'lapiniere' (gabbie per i conigli) sotto casa, le uova nel gallinaio a cento metri, le fragole da condire col limone, le fave da accompagnare ai salamini, e avanti così. I pochi prodotti foresti erano lo stoccafisso, i bieleti e il formaggio da grattare [...]
[Arturo Viale]
Eraldo Mussa, Storie di frontiera al femminile, L'Incontro, 16 agosto 2023
Vengono cosi magicamente fuori personaggi incredibili, appassionanti, storie note e sconosciute, personaggi inaspettati e ricchi di magia.
La prima conversazione con Arturo Viale è tutta al femminile.
[...] 2 - Freya Stark
«Madama Stark, come la chiamavano a Mortola, è riuscita a superare i cento anni di vita ed è difficile stabilire dove sia stato il suo baricentro.
Ci sono luoghi in questo mondo in cui è stata felice, luoghi in cui ha lottato, luoghi in cui molte cose della sua vita hanno avuto inizio e altri luoghi meno rilevanti ma da cui la sua esistenza doveva necessariamente passare.
Per capire il personaggio basti sapere che la nonna paterna parlava il tedesco, quella materna che abitava a Genova parlava l'italiano e Freya naturalmente l'inglese anche se era nata a Parigi durante un viaggio bohémien dei genitori.
Era arrivata a Ventimiglia poco dopo la fine della Prima guerra Mondiale e con l'aiuto del padre aveva comprato una casa con terreno agricolo con l'idea di guadagnarsi da vivere coltivando e commerciando i fiori.
'La regione era bellissima screziata dal sole e ricoperta di campi di fiori color gioiello che punteggiavano scogliere che cadevano a precipizio sul mare blu…
Tutto intorno a lei c'erano le grandi ville dei ricchi mentre sulla riva del fiume le donne battevano il bucato con pietre'.
Così si legge in una biografia.
La terra era di circa diecimila metri o, come dicevano loro, due acri e mezzo, la casa rurale aveva quattro stanze, quanto bastava. Una delle svolte nella vita di Freya avvenne nel 1921 quando cominciò ad andare a Sanremo, a fianco del Casinò, da un frate cappuccino che aveva vissuto trent'anni a Beirut e che le insegnò l'arabo.
Prendeva il treno due volte alla settimana, camminando a piedi per circa un'ora fino alla stazione di Ventimiglia, trascurando l'attività floricola.
Studiò per sette anni, si perfezionò a Londra e finalmente era pronta per realizzare il sogno. Questa fu la prima chiave per aprire le porte del Medio Oriente.
Diventò una delle più grandi viaggiatrici e raccontò le sue esperienze in numerosi libri finché mise le radici ad Asolo a villa Freya dove visse la seconda metà della vita tanto da riempire una stanza in modo permanente nel museo della città.
La casa di Mortola [n.d.r.: Frazione nel ponente di Ventimiglia], a fianco dei giardini degli Hanbury, finisce alla nipote Ceci, Contessa Costanza Blanchi di Roascio, figlia della sorella Vera ed ora agli eredi.
Uno dei ritratti più espressivi di Freya, quando aveva trent'anni, glielo aveva fatto un pittore vicino di casa a Mortola, Herbert Olivier, zio del famoso attore Lawrence Olivier. Il ritratto si trova nella National Portrait Gallery di Londra.
Quella era la Riviera un secolo fa.»
3 - Caterina Gaggero Viale [n.d.r.: nonna paterna di Arturo Viale]
«Era nata a Bordighera durante la migrazione della famiglia da case Loa, località del paesino di Mele, dietro Genova, alla zona di Ventimiglia dove visse la vita adulta.
Fu una piccola conquista del West per famiglie dell'entroterra genovese come i Gaggero, i Bruzzone a volte al seguito di famiglie benestanti come i Tonet o i Migone.
Nata nel 1891 si era sposata a diciott'anni con un Ventimigliese di dieci anni più grande che aveva navigato in gioventù, avevano avuto due figli.
La Lilla aveva gestito un'osteria che per più di trent'anni era stata un riferimento per molti, soldati della caserma Gallardi, pescatori di canna di ritorno da Muru Russu [n.d.r.: zona a mare in Frazione Latte di Ventimiglia], e cittadini in cerca di ristoro domenicale fino a quando nel 1959 la Lilla morì.
L'osteria da Bataglia [n.d.r.: situata tra Località Ville e la Frazione Latte di Ventimiglia] era già allora a chilometro zero.
I conigli erano allevati nelle 'lapiniere' (gabbie per i conigli) sotto casa, le uova nel gallinaio a cento metri, le fragole da condire col limone, le fave da accompagnare ai salamini, e avanti così. I pochi prodotti foresti erano lo stoccafisso, i bieleti e il formaggio da grattare [...]
[Arturo Viale]
Eraldo Mussa, Storie di frontiera al femminile, L'Incontro, 16 agosto 2023
'La speculazione edilizia'
Tanti dicono di ricordare la nevicata e la gelata del 1956. Fatto sta che da quel momento nelle campagne sono cresciute molte serre nuove, cambiava il panorama ed il modo di difendere le coltivazioni dal freddo. Ho già detto che c'era voluta la morte della nonna nel 1959 perché mio padre si sentisse autorizzato a coprire le due fasce più belle della campagna con le 'vedrine'. Se ci fossero ancora Calvino o Nico Orengo racconterebbero come, trenta anni dopo, parte di quelle serre vennero considerate per incantesimo depositi e furono poi condonate in metri cubi di case. Ma è una storia che mi dicono sia ancora in corso nei tribunali della Repubblica.
Io ricordo che negli anni Cinquanta per difendere le piante dal gelo avevamo tentato al mattino alle sette, che era il momento più critico per il gelo, una mossa che aveva aiutato in parte a salvare le coltivazioni di margherite bianche e gialle e di calendule. Avevamo preparato dei mucchi di rami e sterpaglie sugli angoli delle fasce e avevamo acceso dei falò i cui fumi si condensavano nell'aria che la tramontana spalmava rasoterra ed era sufficiente a salvare le piante di mazzeria dal gelo nelle mattine in cui il freddo era più pungente e si vedeva la Corsica all'orizzonte.
Invece, quando arrivavano in tarda primavera giornate di vento che seccavano i germogli più teneri quasi come fosse un fuoco, passavamo a spruzzare acqua sulle piante anche due o tre volte al giorno finché il vento, che, come si sa dura tre giorni, cessava. Mio padre lo chiamava il vento delle susine perché puntualmente scrollava gli alberi delle prugne non ancora mature.
Per diversificare le coltivazioni e ridurre i rischi derivanti dal clima avevamo piantato anche il plumosus nella fascia grande sotto una ventina di alberi di mandarino in fondo alla campagna. Avevamo comprato i semi dai Vivai Fratelli
Sgaravatti di Padova e da Carmine Faraone Mennella di Torre del Greco. Io sfogliavo i cataloghi dei due vivaisti e scoprivo tante piante che non conoscevo. Qualche anno dopo sui mandarini sono stati innestati i limoni.
Adesso le vasche dell'acqua sono quasi tutte vuote che tanto non c'è niente da bagnare e i tubi sono spesso gonfi di ruggine e potrebbero rompersi. Allora in inverno bisognava svuotarli che l'acqua sarebbe stata un pericolo se si fosse gelata e poi scongelata cambiando di volume, facendo scoppiare i tubi.
L'acqua della fontana chiamata dei 'Porri' dal nome di una antica famiglia, che riforniva le vasche di tutta la collina, adesso scorre lungo la strada delle Ville o si perde lungo la discesa nella riana e finisce al mare.
Ricordo che si raccontava che Pistone, spinto dalla miseria, un mese dopo il 25 aprile del '45, aveva barattato 48 ore di acqua della fontana in cambio di un coniglio. Era l'unico bene che gli era rimasto a parte le terre gerbe e i danni della guerra.
Adesso qualche vasca nelle posizioni migliori si è trasformata con accorte modifiche e un tetto posticcio, in deposito, 'pied a terre', casetta per gli attrezzi. Soprattutto d'estate con un ombrellone davanti e un rampicante fiorito, per i piemontesi qualche vasca tra gli alberi è meglio di un bungalow di cartapesta.
Arturo Viale, Punti Cardinali: da capo Mortola a capo Sant'Ampelio, Edizioni Zem, 2022
Tanti dicono di ricordare la nevicata e la gelata del 1956. Fatto sta che da quel momento nelle campagne sono cresciute molte serre nuove, cambiava il panorama ed il modo di difendere le coltivazioni dal freddo. Ho già detto che c'era voluta la morte della nonna nel 1959 perché mio padre si sentisse autorizzato a coprire le due fasce più belle della campagna con le 'vedrine'. Se ci fossero ancora Calvino o Nico Orengo racconterebbero come, trenta anni dopo, parte di quelle serre vennero considerate per incantesimo depositi e furono poi condonate in metri cubi di case. Ma è una storia che mi dicono sia ancora in corso nei tribunali della Repubblica.
Io ricordo che negli anni Cinquanta per difendere le piante dal gelo avevamo tentato al mattino alle sette, che era il momento più critico per il gelo, una mossa che aveva aiutato in parte a salvare le coltivazioni di margherite bianche e gialle e di calendule. Avevamo preparato dei mucchi di rami e sterpaglie sugli angoli delle fasce e avevamo acceso dei falò i cui fumi si condensavano nell'aria che la tramontana spalmava rasoterra ed era sufficiente a salvare le piante di mazzeria dal gelo nelle mattine in cui il freddo era più pungente e si vedeva la Corsica all'orizzonte.
Invece, quando arrivavano in tarda primavera giornate di vento che seccavano i germogli più teneri quasi come fosse un fuoco, passavamo a spruzzare acqua sulle piante anche due o tre volte al giorno finché il vento, che, come si sa dura tre giorni, cessava. Mio padre lo chiamava il vento delle susine perché puntualmente scrollava gli alberi delle prugne non ancora mature.
Per diversificare le coltivazioni e ridurre i rischi derivanti dal clima avevamo piantato anche il plumosus nella fascia grande sotto una ventina di alberi di mandarino in fondo alla campagna. Avevamo comprato i semi dai Vivai Fratelli
Sgaravatti di Padova e da Carmine Faraone Mennella di Torre del Greco. Io sfogliavo i cataloghi dei due vivaisti e scoprivo tante piante che non conoscevo. Qualche anno dopo sui mandarini sono stati innestati i limoni.
Adesso le vasche dell'acqua sono quasi tutte vuote che tanto non c'è niente da bagnare e i tubi sono spesso gonfi di ruggine e potrebbero rompersi. Allora in inverno bisognava svuotarli che l'acqua sarebbe stata un pericolo se si fosse gelata e poi scongelata cambiando di volume, facendo scoppiare i tubi.
L'acqua della fontana chiamata dei 'Porri' dal nome di una antica famiglia, che riforniva le vasche di tutta la collina, adesso scorre lungo la strada delle Ville o si perde lungo la discesa nella riana e finisce al mare.
Ricordo che si raccontava che Pistone, spinto dalla miseria, un mese dopo il 25 aprile del '45, aveva barattato 48 ore di acqua della fontana in cambio di un coniglio. Era l'unico bene che gli era rimasto a parte le terre gerbe e i danni della guerra.
Adesso qualche vasca nelle posizioni migliori si è trasformata con accorte modifiche e un tetto posticcio, in deposito, 'pied a terre', casetta per gli attrezzi. Soprattutto d'estate con un ombrellone davanti e un rampicante fiorito, per i piemontesi qualche vasca tra gli alberi è meglio di un bungalow di cartapesta.
Arturo Viale, Punti Cardinali: da capo Mortola a capo Sant'Ampelio, Edizioni Zem, 2022
Altre pubblicazioni di Arturo Viale: La Merica...non c'era ancora, Edizioni Zem, 2020; Oltrepassare. Storie di passaggi tra Ponente Ligure e Provenza, Edizioni Zem, 2019; L'ombra di mio padre, 2017; ViteParallele, 2009; Quaranta e mezzo; Viaggi; Storie&fandonie; Ho radici e ali; Mezz'agosto, 1994; Viaggi, 1993.
Adriano Maini
Adriano Maini
domenica 22 ottobre 2023
Se si eccettuano personaggi della levatura di Amoretti o dei Serrati, nell'Imperiese del Biennio rosso si rilevava la presenza di una sinistra ancora poco definita
Figura di fama nazionale del socialismo ligure a cavallo dei due secoli fu poi quella di Giacinto Menotti Serrati, nato a Spotorno, in provincia di Savona, nel 1872, e divenuto celebre per il suo impegno politico a Oneglia, come sindaco e giornalista. Figlio di un seguace di Mazzini e Garibaldi, fu tra i fondatori della prima “Lega socialista” di Oneglia e del suo organo, La Lima. Nel 1893 era già inserito nel movimento internazionale, al Congresso socialista di Zurigo, mentre pochi mesi dopo subiva il primo arresto a seguito delle dimostrazioni contro i massacri di Aigues-Mortes. Alla fine del secolo riparò spesso nel Midi francese e in particolare a Marsiglia, dove si formò in uno stimolante ambiente cosmopolita. Si adattò ai lavori più umili finché non si trasferì in Svizzera nel 1900, dove militò nel Partito socialista italiano svizzero. Due anni dopo sarebbe stato a New York a dirigere Il Proletario e poi nuovamente in Svizzera, in un costante peregrinare in nome della causa socialista. Contrario alle correnti dominanti riformiste, fu eletto nel '13 alla Direzione del partito e chiamato a dirigere l'Avanti!; non avrebbe esitato a schierarsi a favore della rivoluzione russa durante la Grande guerra. Nel '21 non accettò però le posizioni del congresso di Livorno e optò per una scelta centrista, ritrovandosi isolato da una maggioranza schiacciante schierata con Treves e Turati che dava vita al Psu. Isolato anche da Nenni, sarebbe finito nella frazione dei “terzini” del Pcd'I, poco prima di morire, non trovando spazio nella politica dei partiti del suo tempo. <50
[...] Nell'Imperiese legato al turismo e all'agricoltura, quando cominciarono le lotte di massa postbelliche, furono perlopiù gli operai ad organizzarsi mentre i contadini restarono in un primo tempo inerti. Così il Ponente di Oneglia, Porto Maurizio, Diano Marina, Sanremo o Bordighera fu poco coinvolto da quelle prime agitazioni. Seppure in ritardo, gli echi delle lotte politiche del Biennio rosso raggiunsero anche l'estremo Ponente. La conferenza internazionale che si tenne a Sanremo nel 1920, in cui le autorità italiane, inglesi e francesi dovevano decidere della spartizione dell'ormai crollato Impero ottomano, destò particolare attenzione nella popolazione locale che prese più consapevolezza delle questioni politiche interne e internazionali <95.
A poco a poco anche le cittadine imperiesi assunsero una propria identità politica popolare, e alle elezioni del 1919 Oneglia fu conquistata dai socialisti, mentre Agostino Scarpa animava il Fascio cittadino con il suo organo ufficiale Il Varco. A Porto Maurizio il movimento squadrista costituiva un'eccezione nel quadro ligure, dal momento che fu l'unico a non dichiararsi filodannunziano, e cominciò a prendere piede dopo la vittoria elettorale socialista.
Con il tempo le due anime socialiste della città si sarebbero distinte sempre più: a Porto Maurizio primeggiavano i riformisti, a Oneglia, all'indomani della scissione di Livorno, avrebbero prevalso i comunisti <96.
Nell'Imperiese la figura che più emergeva tra gli antifascisti del tempo era quella di Giuseppe Amoretti. Dapprima socialista, a soli quindici anni fu assunto all'Avanti! grazie all'interessamento di Giacinto Menotti Serrati, e lì conobbe Antonio Gramsci, incontro che lo segnò profondamente e lo condusse nel 1921 a passare alla frazione comunista, fondando la sezione giovanile sanremese, e divenendo cronista dell'Ordine Nuovo, poi dell'Unità nei primi anni del fascismo, quando cominciò a svolgere il lavoro di collegamento come “fenicottero” per l'organizzazione. Dopo l'emanazione delle leggi eccezionali avrebbe fatto parte del Centro interno con la compagna e futura moglie Anna Bessone per poi subire le carceri fasciste e lavorare infine per l'Interazionale in Francia e poi a Mosca <97.
Se si eccettuano personaggi della levatura di Amoretti o dei Serrati, nell'Imperiese del Biennio rosso si rilevava la presenza di una sinistra ancora poco definita. Si pensi che un assessore comunale socialista, più volte riconfermato, come Domenico Biancheri, non era ritenuto dalla polizia capace di forti influenze sulla classe operaia né di tenere conferenze, nonostante la discreta opinione di cui godeva in pubblico e la sua posizione nella Camera del Lavoro di Ventimiglia <98. Similmente il compaesano socialista Andrea Biancheri, pescatore e contadino, che pure subiva svariate condanne per reati di incitazione all'odio fra le classi sociali, non era considerato un elemento realmente pericoloso dalle autorità di Pubblica sicurezza <99. Nell'entroterra di Perinaldo viveva poi ancora in disparte, senza destare l'attenzione della polizia, una famiglia di sinistra che avrebbe dato alla Francia e all'Italia repubblicana antifascisti e resistenti appassionati: i Liprandi, figli di Antonio Giusto Liprandi, che aveva lavorato nel Comune socialista come assessore trasmettendo i suoi ideali alla famiglia <100.
[...]
Vi fu poi una minoranza che scelse, come capitò in altre reti migratorie liguri, la via dell'Africa francese. Filippo Antonio Anfosso, comunista di Camporosso, fervente propagandista, era emigrato solo, celibe, a ventidue anni, nel 1923 in Francia, a Nizza e poi a Mentone, dove trovò lavoro come cameriere. Nel 1927 da Marsiglia era poi salpato per Tangeri, in Marocco, dove si era nuovamente impiegato come cameriere presso un albergo dove lavoravano molti connazionali, il Grand Hôtel Saint-Georges, indirizzato dalle reti di solidarietà della colonia immigrata. Sul finire degli anni Venti si trasferì in Algeria, dove sposò Lucia Destonesse, mise su famiglia e mantenne rapporti epistolari con i genitori rimasti in Liguria, inviando loro anche aiuti in denaro, mentre continuò a perseguire il proprio impegno antifascista <339.
Anche Nino Siccardi, comunista divenuto poi celebre partigiano della zona imperiese, dopo una prima esperienza migratoria nel Midi, a Saint-Raphaël, Cannes e Marsiglia tra il 1929 e il 1930, dove fece il distillatore di mosti d'uva, prese rotte nuove e persino inconsuete per gli antifascisti liguri, cambiando luoghi e mestieri negli anni della grande crisi, adattandosi di volta in volta alla contingenza del momento. Si ritrovò così ad attraversare negli anni Trenta la Siria, la Spagna, il Marocco francese, per poi rimpatriare e tornare a viaggiare per lavoro, trovando impiego imbarcandosi come macchinista <340.
I migranti imperiesi degli anni Trenta avrebbero teso invece a rientrare con l'inizio del conflitto e alcuni di essi parteciparono alla lotta di liberazione. Forse il fatto di aver compiuto la propria formazione civica sotto il regime influì sulle scelte che si presentarono agli esuli con l'avvento della guerra; e ciò tanto più nella zona di confine e di occupazione, dove l'insofferenza per l'italianizzazione forzata di Mentone rendeva la permanenza italiana assai difficile <341.
[NOTE]
50. Su Giacinto Menotti Serrati: Av.Vv., 1892-1982 Psi. Novanta anni di storia. Almanacco socialista: cronistoria, schede, commenti, documentazione sul socialismo italiano, Rotostil, Roma 1982. Cpc: b. 4769, f. Giacinto Bartolomeo Menotti Serrati; Franco Andreucci, Tommaso Detti, Il movimento operaio italiano. Dizionario biografico 1853-1943, v. Giacinto Menotti Serrati, 6 voll., Editori Riuniti, Roma 1975-1979, in Archivio biografico del movimento operaio: http://www.archiviobiograficomovimentooperaio.org/index.php?option=com_k2&view=item&id=26552:serrati-giacinto-menotti&lang=it.
95. Antonini cit., p. 166.
96. Gibelli, Rugafiori cit., pp. 37-38; Antonini cit., 166, 205-208, 216. I due comuni di Oneglia e Porto Maurizio erano allora ancora divisi e lo rimasero sino all'unificazione del 1923, attuata sotto il regime mussoliniano, quando fu dato al nuovo Comune il nome attuale di Imperia, dal nome del torrente Impero che separava i due paesi.
97. AIsrecIm: IID7: f. Giuseppe Amoretti. Cpc: b. 105, f. Giuseppe Amoretti.
98. Cpc: b. 611, f. Domenico Biancheri.
99. Cpc: b. 611, f. Andrea Biancheri.
100. Cpc: b. 2794, ff. Angela Liprandi, Anita Laura Liprandi; b. 2795, Arturo Mario Dino Antonio Liprandi, Liutprando Liprandi, Giusto Antonio Liprandi; b. 4291, f. Linda Revoir; f. b. 3404, Adriano Antonio Moresco. Dpp: b. 1263, ff. Ariella Sgorbissa, Giacomo Sgorbissa; f. Liliana Liprandi. Ps: A1: 1943: b. 47, f. Liliana Liprandi. AIsrecIm: IID7: f. Giusto Antonio Liprandi.
339. Cpc: b. 127, f. Filippo Antonio Anfosso.
340. Archivio IsrecIm: IIDB: f. Nino Siccardi.
341. Cpc: b. 2794, ff. Angela Liprandi, Annita Laura Liprandi, Arturo Mario Dino Antonio Liprandi; b. 2795, ff. Giovanni Battista Liprandi, Giusto Antonio Liprandi, Liutprando Liprandi; b. 4291, f. Linda Revoir; b. 4794, f. Nino Siccardi. Dpp: f. Filiberto Armando Novella. Sull'occupazione italiana in Francia: Jean-Louis Panicacci, L'occupation italienne. Sud-Est de la France, juin 1940-septembre 1943, Presses Universitaires de Rennes, Rennes 2010.
Emanuela Miniati, La Migrazione Antifascista dalla Liguria alla Francia tra le due guerre. Famiglie e soggettività attraverso le fonti private, Tesi di Laurea, Università degli Studi di Genova in cotutela con Université Paris X Ouest Nanterre-La Défense, Anno accademico 2014-2015
[...] Nell'Imperiese legato al turismo e all'agricoltura, quando cominciarono le lotte di massa postbelliche, furono perlopiù gli operai ad organizzarsi mentre i contadini restarono in un primo tempo inerti. Così il Ponente di Oneglia, Porto Maurizio, Diano Marina, Sanremo o Bordighera fu poco coinvolto da quelle prime agitazioni. Seppure in ritardo, gli echi delle lotte politiche del Biennio rosso raggiunsero anche l'estremo Ponente. La conferenza internazionale che si tenne a Sanremo nel 1920, in cui le autorità italiane, inglesi e francesi dovevano decidere della spartizione dell'ormai crollato Impero ottomano, destò particolare attenzione nella popolazione locale che prese più consapevolezza delle questioni politiche interne e internazionali <95.
A poco a poco anche le cittadine imperiesi assunsero una propria identità politica popolare, e alle elezioni del 1919 Oneglia fu conquistata dai socialisti, mentre Agostino Scarpa animava il Fascio cittadino con il suo organo ufficiale Il Varco. A Porto Maurizio il movimento squadrista costituiva un'eccezione nel quadro ligure, dal momento che fu l'unico a non dichiararsi filodannunziano, e cominciò a prendere piede dopo la vittoria elettorale socialista.
Con il tempo le due anime socialiste della città si sarebbero distinte sempre più: a Porto Maurizio primeggiavano i riformisti, a Oneglia, all'indomani della scissione di Livorno, avrebbero prevalso i comunisti <96.
Nell'Imperiese la figura che più emergeva tra gli antifascisti del tempo era quella di Giuseppe Amoretti. Dapprima socialista, a soli quindici anni fu assunto all'Avanti! grazie all'interessamento di Giacinto Menotti Serrati, e lì conobbe Antonio Gramsci, incontro che lo segnò profondamente e lo condusse nel 1921 a passare alla frazione comunista, fondando la sezione giovanile sanremese, e divenendo cronista dell'Ordine Nuovo, poi dell'Unità nei primi anni del fascismo, quando cominciò a svolgere il lavoro di collegamento come “fenicottero” per l'organizzazione. Dopo l'emanazione delle leggi eccezionali avrebbe fatto parte del Centro interno con la compagna e futura moglie Anna Bessone per poi subire le carceri fasciste e lavorare infine per l'Interazionale in Francia e poi a Mosca <97.
Se si eccettuano personaggi della levatura di Amoretti o dei Serrati, nell'Imperiese del Biennio rosso si rilevava la presenza di una sinistra ancora poco definita. Si pensi che un assessore comunale socialista, più volte riconfermato, come Domenico Biancheri, non era ritenuto dalla polizia capace di forti influenze sulla classe operaia né di tenere conferenze, nonostante la discreta opinione di cui godeva in pubblico e la sua posizione nella Camera del Lavoro di Ventimiglia <98. Similmente il compaesano socialista Andrea Biancheri, pescatore e contadino, che pure subiva svariate condanne per reati di incitazione all'odio fra le classi sociali, non era considerato un elemento realmente pericoloso dalle autorità di Pubblica sicurezza <99. Nell'entroterra di Perinaldo viveva poi ancora in disparte, senza destare l'attenzione della polizia, una famiglia di sinistra che avrebbe dato alla Francia e all'Italia repubblicana antifascisti e resistenti appassionati: i Liprandi, figli di Antonio Giusto Liprandi, che aveva lavorato nel Comune socialista come assessore trasmettendo i suoi ideali alla famiglia <100.
[...]
Vi fu poi una minoranza che scelse, come capitò in altre reti migratorie liguri, la via dell'Africa francese. Filippo Antonio Anfosso, comunista di Camporosso, fervente propagandista, era emigrato solo, celibe, a ventidue anni, nel 1923 in Francia, a Nizza e poi a Mentone, dove trovò lavoro come cameriere. Nel 1927 da Marsiglia era poi salpato per Tangeri, in Marocco, dove si era nuovamente impiegato come cameriere presso un albergo dove lavoravano molti connazionali, il Grand Hôtel Saint-Georges, indirizzato dalle reti di solidarietà della colonia immigrata. Sul finire degli anni Venti si trasferì in Algeria, dove sposò Lucia Destonesse, mise su famiglia e mantenne rapporti epistolari con i genitori rimasti in Liguria, inviando loro anche aiuti in denaro, mentre continuò a perseguire il proprio impegno antifascista <339.
Anche Nino Siccardi, comunista divenuto poi celebre partigiano della zona imperiese, dopo una prima esperienza migratoria nel Midi, a Saint-Raphaël, Cannes e Marsiglia tra il 1929 e il 1930, dove fece il distillatore di mosti d'uva, prese rotte nuove e persino inconsuete per gli antifascisti liguri, cambiando luoghi e mestieri negli anni della grande crisi, adattandosi di volta in volta alla contingenza del momento. Si ritrovò così ad attraversare negli anni Trenta la Siria, la Spagna, il Marocco francese, per poi rimpatriare e tornare a viaggiare per lavoro, trovando impiego imbarcandosi come macchinista <340.
I migranti imperiesi degli anni Trenta avrebbero teso invece a rientrare con l'inizio del conflitto e alcuni di essi parteciparono alla lotta di liberazione. Forse il fatto di aver compiuto la propria formazione civica sotto il regime influì sulle scelte che si presentarono agli esuli con l'avvento della guerra; e ciò tanto più nella zona di confine e di occupazione, dove l'insofferenza per l'italianizzazione forzata di Mentone rendeva la permanenza italiana assai difficile <341.
[NOTE]
50. Su Giacinto Menotti Serrati: Av.Vv., 1892-1982 Psi. Novanta anni di storia. Almanacco socialista: cronistoria, schede, commenti, documentazione sul socialismo italiano, Rotostil, Roma 1982. Cpc: b. 4769, f. Giacinto Bartolomeo Menotti Serrati; Franco Andreucci, Tommaso Detti, Il movimento operaio italiano. Dizionario biografico 1853-1943, v. Giacinto Menotti Serrati, 6 voll., Editori Riuniti, Roma 1975-1979, in Archivio biografico del movimento operaio: http://www.archiviobiograficomovimentooperaio.org/index.php?option=com_k2&view=item&id=26552:serrati-giacinto-menotti&lang=it.
95. Antonini cit., p. 166.
96. Gibelli, Rugafiori cit., pp. 37-38; Antonini cit., 166, 205-208, 216. I due comuni di Oneglia e Porto Maurizio erano allora ancora divisi e lo rimasero sino all'unificazione del 1923, attuata sotto il regime mussoliniano, quando fu dato al nuovo Comune il nome attuale di Imperia, dal nome del torrente Impero che separava i due paesi.
97. AIsrecIm: IID7: f. Giuseppe Amoretti. Cpc: b. 105, f. Giuseppe Amoretti.
98. Cpc: b. 611, f. Domenico Biancheri.
99. Cpc: b. 611, f. Andrea Biancheri.
100. Cpc: b. 2794, ff. Angela Liprandi, Anita Laura Liprandi; b. 2795, Arturo Mario Dino Antonio Liprandi, Liutprando Liprandi, Giusto Antonio Liprandi; b. 4291, f. Linda Revoir; f. b. 3404, Adriano Antonio Moresco. Dpp: b. 1263, ff. Ariella Sgorbissa, Giacomo Sgorbissa; f. Liliana Liprandi. Ps: A1: 1943: b. 47, f. Liliana Liprandi. AIsrecIm: IID7: f. Giusto Antonio Liprandi.
339. Cpc: b. 127, f. Filippo Antonio Anfosso.
340. Archivio IsrecIm: IIDB: f. Nino Siccardi.
341. Cpc: b. 2794, ff. Angela Liprandi, Annita Laura Liprandi, Arturo Mario Dino Antonio Liprandi; b. 2795, ff. Giovanni Battista Liprandi, Giusto Antonio Liprandi, Liutprando Liprandi; b. 4291, f. Linda Revoir; b. 4794, f. Nino Siccardi. Dpp: f. Filiberto Armando Novella. Sull'occupazione italiana in Francia: Jean-Louis Panicacci, L'occupation italienne. Sud-Est de la France, juin 1940-septembre 1943, Presses Universitaires de Rennes, Rennes 2010.
Emanuela Miniati, La Migrazione Antifascista dalla Liguria alla Francia tra le due guerre. Famiglie e soggettività attraverso le fonti private, Tesi di Laurea, Università degli Studi di Genova in cotutela con Université Paris X Ouest Nanterre-La Défense, Anno accademico 2014-2015
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martedì 17 ottobre 2023
Mostra all'Unione Culturale Democratica: Salvatore Russo, "Fotografie di Bordighera"
Unione Culturale Democratica - Sezione ANPI
Bordighera (IM), Via al Mercato, 8
giovedì 19 ottobre - domenica 29 ottobre 2023
ore 17-19
Salvatore Russo
BORDIGHERA VISTA DALL'ALTO
Immagini dal drone
Ingresso libero
Giorgio Loreti
Unione Culturale Democratica - Sezione ANPI - Bordighera (IM), Tel. +39 348 706 7688
mercoledì 11 ottobre 2023
Opere di Massimo Parodi
Le opere qui pubblicate e le relative fotografie sono di Massimo Parodi, che abita a Ventimiglia.
Adriano Maini
Massimo Parodi nasce ad Albissola Marina. Frequenta l'Accademia Balbo a Bordighera. Ha esposto in numerose mostre personali e collettive in Italia e all'estero.
Francesco Mulè, Bordighera: a Villa Regina Margherita prosegue la mostra “Regali Frontiere - Arte Contemporanea nell'Estremo Ponente Ligure”, Sanremo news.it, 12 dicembre 2013
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