lunedì 21 aprile 2025

Mia mamma cuoceva la sardinara, piatto forte di Sanremo

Sanremo (IM): Piazza Colombo

Tra i primi ricordi della mia infanzia c'è quello di mia madre che mi prepara pane e pomodoro. Erano i primi anni del secondo dopoguerra, non c'era molta abbondanza ma noi piccoli bambini non ce ne accorgevamo. I cibi erano semplici e gustosissimi. Il sapore di quel pane, fatto ammollare con un po' d'acqua per permettere ai miei pochi denti di morderlo, con sopra un pomodoro schiacciato, un po' di sale, olio e basilico mi è rimasto dentro, come un ricordo di tenerezza, un profumo di casa che mi commuove ancora oggi.
Un appuntamento eccezionale era quello con "a lùna", un testo rotondo di rame dove mia mamma cuoceva la sardinara, piatto forte di Sanremo e, sotto altri nomi, caratteristico di tutta la Liguria di Ponente. Si tratta di una pasta lievitata, su cui si mettono pomodori, capperi, filetti d'acciuga sotto sale, olive liguri piccole e scure (oggi si dice taggiasche) e abbondante olio. Dimenticavo una cosa essenziale: nella pasta soffice, con sopra il pomodoro fresco (ma vanno bene anche i pelati preventivamente schiacciati o la polpa di pomodoro) si inseriscono "e dosse d'aju", cioè spicchi d'aglio "vestii", cioè lasciati con la loro buccia.
Il profumo della sardinara è così caratteristico che nessuno può negare di averla cotta, si espande dalla propria casa a quella dei vicini e una fetta non si può negare a nessuno.
Altro profumo indimenticabile è quello della farinata, farina di ceci fatta sciogliere nell'acqua appena appena tiepida e lasciata riposare per un'ora almeno. Ci si aggiunge sale, olio, se si vuole un cipollotto fresco tagliato fine fine. Non fatevi ingannare dalla semplicità di questo piatto, perché più un cibo è semplice più richiede esperienza perché riesca bene. Vanno proporzionate con precisione tre cose: la farina, l'acqua e la misura della teglia, che deve essere di rame e preventivamente unta con l'olio di oliva. Si deve infornare quando il forno è al massimo del calore, perché la miscela si rassodi quasi subito. Dopo una ventina di minuti, quando la superficie sarà di un bel colore giallo oro e il suo profumo si sarà sparso ovunque nei dintorni, la farinata sarà pronta. Una volta si portavano questi cibi ancora da cuocere al forno più vicino a casa, che in genere era anche una panetteria. Per la farinata si andava con una teglia e con un pentolino che conteneva il liquido preparato, facendo attenzione a non spanderlo per la strada. Nel forno avveniva poi la messa in opera e la sapiente cottura.
Nei primi anni del secondo dopoguerra, quando l'olio si comprava a un quarto di litro per volta portando in negozio il contenitore a cui si faceva la tara, un mio zio che ricordo sempre allegro e con la voglia di scherzare, quando mangiava pane e pomodoro scarsamente condito, faceva finta di leccare con avidità l'olio che solo nella sua fantasia traboccava dal pane: un teatrino spensierato che ci ha reso ancora più indimenticabile quel mangiare.
Chiara Salvini, Pan e pumata: liguritudine con olive taggiasche di Donatella D'Imporzano, Nel delirio non ero mai sola, 1 ottobre 2015

Il raccontino sul pan e pumata me lo hai ispirato quando mi descrivevi con quale cura tuo papà lo preparava. Prova a descriverlo, così potremmo fare delle sedute molto approfondite sulle diverse modalità con cui "vivere" il pan e pumata, come direbbe qualche famoso critico gastronomico nell'era di "Eataly".
(Donatella)
No, nini, non ti ricordi, che "vivere" si vive solo il kilim, anche addentando un pane e pomodoro!
[...] Prima di venire a casa alla sera, mio padre soleva comprare il PANE DI TRIORA che arriva a Sanremo tutti i giorni.
Si portava in tavola l'occorrente, ossia il pane tagliato a fette, olio aglio e pomodori… forse erano quelli buonissimi che crescono in estate in Liguria.
come sapete si chiamano "cuore di bue" perché - mangiati - vi fanno sentire un bue tutto cuore!
Ora si metteva comodo, spostando piatti e forchette…
Ci siete, tutto occhi e immaginazione?
Prima cosa prendeva l'aglio sbucciato, e lo passava con dolce energia sulla crosta del pane… che grattugiando l'aglio se lo incorpora un pochino…
Tagliava i pomodori a metà lasciando i semi e la pelle…
Ognuna delle metà la spiccicava sul pane, con energia più forte… il pomodoro va ad impregnare il pane e di sé ne lascia poco…
Toglieva dal pane il pomodoro a tutte e due le fette…condiva con un po' di sale, poco, e olio abbondante, a lui piaceva guardare "o rujo" dell'olio sul pane…
Aveva mantenuto la tradizione di suo padre che faceva in casa sia l'olio che il vino dalle campagne.
A mio papà però era successo un guaio morale grosso: in casa sua, le due donne che governavano la casa, mia madre e la sua prima figlia, mia sorella, odiavano sia l'uno che l'altro: il vino: "oh, come sa di aceto!", e l'olio lo mandavano alla ditta Carli, poi compravano da Carli l'olio per condire… con uno sconto, immagino [...]
Chiara Salvini, 16:26 Così tirata in ballo, e dopo aver gustato il tuo miserello "pan e pomata"..., Nel delirio non ero mai sola, 1 ottobre 2015

lunedì 14 aprile 2025

Presentazione a Vallecrosia dell'ultimo libro del professore Graziano Mamone




Venerdì 18 aprile 2025 a Vallecrosia, alle ore 17, presso la Sala Polivalente Comunale "Giacomo Natta" di Via Melvin Jones, avrà luogo - organizzata dall'Associazione Culturale "Il Ponte" - la presentazione del libro del professore Graziano Mamone "I frati del popolo. I cappuccini alle elezioni del 18 aprile 1948 (Quaderni di storia - Le Monnier - Firenze).
Intervengono Gian Paolo Lanteri e Paolo Veziano.

Tra gli altri lavori di Graziano Mamone: Graziano Mamone, Legionari del Duce in Spagna. Tra storia e memoria. 1936-1945, Fusta, 2021; Graziano Mamone (contributo), La libera Repubblica di Pigna. Parentesi di democrazia (29 agosto 1944 - 8 ottobre 1944) (a cura di) Paolo Veziano (con il contributo di) Giorgio Caudano e di Graziano Mamone, Comune di Pigna - IsrecIm - Fusta, 2020; Deserti della mente. Psichiatria e combattenti nella guerra di Libia (1911-1912), Le Monnier - Firenze, 2019; Graziano Mamone, Morti e viventi. Lutto e memoria della Grande Guerra in Liguria in Aa.Vv., Memorie di pietra. Testimonianze della Grande Guerra in Liguria, Consiglio regionale della Liguria, 2018; Graziano Mamone, Soldati italiani in Libia. Trauma, scrittura, memoria (1911-1912), Unicopli, 2016; Graziano Mamone, Guerra alla Grande Guerra. La galassia dissidente tra Basso Piemonte, Liguria di Ponente e Provenza. 1914-1918, Saluzzo, Fusta, 2016; Graziano Mamone, Imperiese in F. Cammarano (a cura di), Abbasso la guerra! Neutralisti in piazza alla vigilia della Prima guerra mondiale in Italia, Le Monnier - Firenze, 2015; Graziano Mamone, Memorie di sabbia. Storia di un bersagliere alla guerra di Libia. 1911-1912, De Ferrari - Genova, 2011. 
Adriano Maini

venerdì 11 aprile 2025

Da Vallecrosia ad un'oasi in Libia e ritorno

Vallecrosia (IM): la zona "Ponte"

a nonno Ibrahim,
per la sua amicizia e la sua saggezza,

a Silvano,
l'amico che nel momento più scuro mi ha spedito in Libia,

a Sandro l'idraulico,
con lui si riusciva a ridere anche nel deserto.


Prefazione
Ibrahim, i soldati, i tanti Mohamed, i jisiani (gli egiziani), Mimo, Sandro, i coreani, gli italiani ed i libici. Tante vite, tutte culture diversissime tra di loro che si trovano scaraventate in un unico luogo. E questo luogo non è, come si potrebbe pensare, una metropoli, ma più semplicemente e sorprendentemente un'oasi sperduta nel deserto libico.
Jalo è un paese di poche migliaia di abitanti, ed è il crogiolo in cui si trovano a convivere i protagonisti di "Ibrahim, i datteri, il pesto", una sorta di diario in cui Mac Fiorucci [di Vallecrosia] ci racconta la sua esperienza africana.
Jalo è in Libia, una nazione cui molti italiani guardano con particolare interesse e con sentimenti forti, fin da quando fu colonizzatta esattamente cento anni fa. E chi vi scrive è uno di questi, in quanto le sue due zie sono nate negli anni '20 del secolo scorso proprio a Tripoli.
Ma ciò che sorprende di più, leggendo le pagine scritte da Mac, è che i segni della colonizzazione italiana, terminata drammaticamente nel 1969 con la rivoluzione di Gheddafi, sono presenti nei ricordi degli anziani libici, ancor più che nei rari esempi di architettura coloniale. Quasi delle memorie fossili che Mac, dopo averle scoperte in mezzo alla sabbia del deserto, ci ripropone nel suo racconto.
È stupefacente leggere di come il rispetto dei soldati italiani nei confronti degli uomini e delle donne libiche e della loro cultura viene ricordato e tramandato ancora oggi. Esemplare è il ricordo dell'episodio in cui a Jalo i nostri militari consegnarono ai civili libici tutto quanto possibile alla vigilia della resa alle truppe inglesi nella seconda guerra mondiale. Non dimenticando però di svuotare nel deserto le damigiane di vino per non mettere a rischio i precetti religiosi della popolazione locale.
E altrettanto commovente è il ricordo della riconoscenza manifestata dai libici con il lancio dei datteri attraverso le finestre del carcere per sfamare i soldati italiani ormai prigionieri degli inglesi.
[...] E la solidarietà, che tra questi sentimenti è quello che emerge più prepotentemente dalla lettura di questo libro, è quella che ci può salvare. E che forse ha salvato anche Mac e molti altri.
Dr. Enrico Maria Ferrero
[...] Nella presentazione del mio "Scritti invano" del settembre 2009, ricordavo l'intenzione espressa agli amici di raccogliere in un libro i racconti di vita vissuta durante il mio soggiorno in Libia, dal luglio 1997 al dicembre 1999. Durante i recenti avvenimenti che hanno visto concludersi il regime dittatoriale di Gheddafi, più volte mi è stato chiesto: - Tu che ci sei stato, com'è?
Non è facile rispondere. Ho vissuto quei 2 anni e mezzo in un'oasi, lontano da Tripoli e Bengasi, ma in una realtà libica mia-mia, come dicono i libici, cioè al 100%. Sono passati da allora quasi 12 anni ma alcune cose fondamentali non sono cambiate. Penso che la Libia raccontata dai media, tv specialmente, risenta del ricorrente errore di raccontare mezze verità. Ricordo un insegnamento di mio padre: mezza verità è una balla intera. Una di queste mezze verità: la sollevazione popolare da Bengasi a tutta la Libia di popolazioni ridotte all'indigenza e in miseria dal regime. Per capire la balla chiedetevi se avete mai visto o saputo di libici che vendono tappeti o puliscono i parabrezza delle auto ai semafori dei nostri incroci. Non ce ne sono. Da questi aneddoti che racconto, forse emerge una Libia più reale. La recente rivoluzione ha spezzato la tirannia feroce e crudele contro ogni opposizione anche minima e contro il fanatismo religioso. Gli autori del recente sovvertimento sono trentenni e quarantenni, i ventenni e trentenni che ho conosciuto bene ai tempi del mio soggiorno. Temo che il fattore importante della rivolta sia stata non la protesta contro la miseria che in Libia non c'è, ma la frustrazione per l'inaccessibilità a beni di relativo lusso, che la ricchezza del paese consentirebbe e che il governo nega. Per specifica volontà del regime ai giovani di allora è stato impedito di apprendere una qualsiasi lingua straniera, sono stati educati a una concezione di vita parassitaria dipendente dalla distribuzione dei proventi del petrolio, senza una diffusa educazione allavoro. Ho qualche serio dubbio che in questi 11 anni possano aver maturato e profondamente acquisito i valori fondamentali della democrazia così come noi la intendiamo; inoltre l'inesorabilità del tempo avrà ridotto la presenza degli anziani privando quei giovani della loro importante saggezza. Spero di sbagliarmi, ma percepisco il divenire delle condizioni più favorevoli all'insorgere del fanatismo religioso.
[...] Fatta eccezione per Sandro l'idraulico, grande amico, dei personaggi italiani e della ditta per cui abbiamo lavorato non è stato riportato il nome. Per tutti loro e in particolare per il padrone e il capo-area, nutro la massima stima e riconoscenza. Nel 2001 Sandro venne a trovarmi a Vallecrosia. Di sua iniziativa si adoperò per riportarmi in Libia. Quando il suo progetto stava prendendo corpo, rimase vittima di un incidente stradale sulla strada nazionale per l'oasi di Kufra.
Come per il mio precedente "Scritti invano", questa mia raccolta di aneddoti libici certamente non è un'opera d'arte e, per un minimo di pudore che mi è rimasto, non oso mettere in vendita questa raccolta.
È un omaggio ai tanti sostenitori de "Il Ponte" [di Vallecrosia], che mi hanno permesso di realizzare il "Gruppo Sbarchi", le varie presentazioni di libri, anche di illustri scrittori e giornalisti, le mostre storiche dei documenti relativi al "Gruppo Sbarchi", le "Leggi Razziali" e tutte le altre iniziative realizzate.
[...] Il lavoro sarà sempre in Libia, ma non con i francesi. Partenza programmata. Alla vigilia ricevo la telefonata dalla segretaria della ditta che mi invita a non partire, è tutto rinviato. Nessuna spiegazione, rinviato sine die. La notte non dormo, penso che le garanzie di Silvano [Zanella] non siano state sufficienti. Quando vedi tutto nero, non c'è niente da fare. Il giorno dopo esco di casa, giro vagabondando tutto il giorno, così quando mi telefonano di partire la sera stessa per Roma, perché avrei così fatto il viaggio Roma-Djerba con il padrone, io non sono in casa. In ditta sono incazzati. Mi avessero detto la ragione del rinvio... Ci metto una pezza. La ditta modifica d'ufficio la data di partenza sul biglietto aereo.
Finalmente si parte. Treno Ventimiglia-Roma, partenza alle 22 e arrivo a Termini alle 7 del mattino. L'aereo per Djerba-Tunisi alle 2 del pomeriggio da Fiumicino.
In cuccetta non dormo, troppa emozione. Dopo 18 mesi di buio, forse un po' di luce.
A Genova la sosta è un po' lunga, a Spezia anche, in Toscana la velocità scende. A Pisa il ritardo è di quasi 3 ore, l'avvicinamento a Roma è sempre più lento con lunghe soste in aperta campagna. Poco prima delle 10 arriviamo a Civitavecchia, ennesima sosta lunga. Realizzo che la distanza da Civitavecchia a Fiumicino sia simile a quella da Roma. Sto per scendere ma il capotreno mi informa che il treno riparte e che gli hanno telefonicamente garantito l'ingresso a Termini. C'è stato un incidente; un locomotore ha tranciato un tratto della linea elettrica proprio sul passante che collega a Roma le linee nord e sud.
[...] Il poliziotto estrae dal cappotto una trasmittente e confabula qualcosa. Il pilota dell'aereo alza gli occhi verso la vetrata e fa segno che ormai... Irremovibile l'ufficiale fa segno al pilota di fermarsi. Rassegnato il pilota si leva la cuffia-radio e ordina qualcosa al secondo che gli siede a fianco.
- Vai, vai, presto! -  Mi ordina. Passo ben 3 controlli passaporti in un baleno, accompagnato dal coro "Ialla, Ialla" di tutti gli addetti. Nel frattempo è stata riappoggiata la scaletta al portellone vicino alla carlinga, un'hostess si affaccia: - Presto, presto. -
Salgo trafelato la scaletta, ho il tempo di voltarmi e salutare con un cenno della mano l'amico poliziotto, che risponde stringendo le sue mani, come la stretta di mano e poi con il pollice all'insù di ok.
- Il posto in ultima fila. -  Mi indica con tono severo.
Percorro tutto il corridoio senza guardare in vollo nessuno. Mi accompagna un brusio fatto di epiteti, il più gentile è: stronzo.
Arrivo al mio posto, fianco a me: Pierpaolo il chimico.
- Sei un fenomeno! Anche qui c'era il vecchietto che ti ha fatto passare? - domanda ridendo.
-  Sì. Me lo porto dietro.
Seduta sul sedile di emergenza infisso sul portellone di coda, l'hostess continua a fissarmi. È bella, ma non credo che il suo sguardo intenso nei miei confronti sia per il mio sex appeal: barba di due giorni, insonne da 40 ore, blu jeans ancora polverosi di sabbia del deserto.
Il cicalino segnala il permesso di slacciare le cinture di sicurezza. L'hostess si alza e chinandosi verso di me, mi chiede:
-  Ma lei, chi è?
Già! Chi sono?
Giuseppe "Mac" Fiorucci, Ibrahim, i datteri, il pesto. Tragicomiche di un vallecrosino nel deserto della Libia di Gheddafi, Associazione Culturale "Il Ponte" - Vallecrosia, 2011