San Biagio della Cima (IM): una vista sulla Val Nervia |
Enzo Barnabà, il siciliano di Grimaldi
Vive sul sentiero del “Passo della Morte”, il sentiero che da un centinaio di anni è meta di fuoriusciti in cerca di fortuna, di disperati, di sognatori di vita nova dopo tanta vita grama. Enzo Barnabà è uno storico, un letterato, un cittadino del mondo, un “citizen” impegnato e serio, ma anche un ragazzo della costa un po’ selvatico, che puoi trovare in inverno a fare il bagno in mare all’ora di pranzo. Così tra ricordi e storie, tra personaggi da “belle époque” e scrittori di successo, tra passi della morte e sentieri di speranza, Enzo ci svela una zona di frontiera che è un fazzoletto di rocce e terra intriso di inferno e di paradiso. Da centellinare. [...] Gli ebrei e il Passo della Morte, durante la guerra
“Una delle mussoliniane leggi razziali imponeva che gli ebrei stranieri lasciassero il territorio italiano entro il marzo del 1939. A Ventimiglia ce n’erano tanti: avevano lasciato i paesi che cadevano in mano ad Hitler nella speranza di salvarsi in Francia. Le analogie con la situazione odierna sono evidenti. Ricorso alla carità altrui, notti passate per strada, ostilità italiana, respingimenti francesi, ricorso ai “passeur”, morti e suicidi. Anche gli itinerari dei passaggi clandestini erano simili. La cartina che Robert Baruch disegnò e spedì alla propria comunità meranese, dopo essere arrivato a Nizza, potrebbe essere distribuita ai migranti d’oggi. Andrebbe solo tradotta ed attualizzata la toponomastica”.
[...] Uomo e poeta di frontiera su tutti è Francesco Biamonti
“Francesco ha saputo raccontare più d’ogni altro questa frontiera, pensiamo a “Vento largo” (Einaudi Editore). Quasi assillato dal mito del “doppio”, era sollecitato a conoscere in profondità la Francia limitrofa. Memorabile, l’articolo scritto - in occasione dell’accordo di Schengen - osservando l’alba che illumina le rocce che delimitano il Passo della Morte: le frontiere si eclissano per noi, non per il “popolo della notte” che si sposta verso il confine, “quello verticale a picco sul mare”. I suoi “passeur” sono tuttavia dei personaggi letterari, lontani dai reali, che erano contadini che arrotondavano le entrate con piccoli traffici. Ventimiglia, quando il fascismo aveva trasformato le caratteristiche della frontiera (da respingimento a contenimento) rendendola difficilmente penetrabile, viveva largamente di questi traffici incentrati sul passaggio di merce, uomini e valute”. [...]
Eraldo Mussa, Storie di frontiera: Enzo Barnabà siciliano di Grimaldi, L'Incontro, 12 gennaio 2013
E non è solo questa la sola anomalia presentata dall'affare degli ebrei stranieri. Basti rilevare che, per la prima ed unica volta, una professione illegale, quella del "passeur" fu, de facto, resa legale, per il tramite di uno specifico provvedimento, insolitamente diramato a mezzo telegramma, che si segnalava per brevità e vaghezza; conteneva infatti un unico articolo che recitava: «Facilitare al massimo l'esodo degli ebrei stranieri». Il provvedimento non aveva e non poteva evidentemente avere alcun fondamento giuridico ma si segnalava per la sua ambiguità e cercava una qualche forma di legittimazione sul campo nella riproposizione di un vecchio ma sempre efficace principio: il fine giustifica i mezzi.
Abbiamo visto come, all'arrivo di migranti sempre più numerosi e venuti da lontano, abbia corrisposto l'affermazione sulla scena della frontiera di organizzazioni prive di ogni scrupolo che agivano su vasta scala.
Saranno queste ad operare una concorrenza così spietata da provocare l'estinzione quasi completa della figura del "passeur" tradizionale: l'uomo legato alla sua terra, prudente, solitario, affidabile, profondo conoscitore ogni passo di frontiera. Una figura assai somigliante a quella di "Varì", il passeur del dopoguerra protagonista del romanzo di Francesco Biamonti "Vento Largo". "Varì" faceva il "passeur" da tempo, si muoveva con disinvoltura sui sentieri anche di notte, perché era abituato a camminare sulle scomode "fasce" della sua terra. Considerava il suo un mestiere nobile, di traghettatore di anime disperate che avrebbero, forse, trovato al di là della frontiera un barlume di speranza o anche soltanto un sorriso.
Amava portare gente in Francia, perché ricordava che intere generazioni di persone della sua terra erano andate "di là" a cercare fortuna.
E chi meglio di lui, che quella pericolosa concorrenza stava riviveendo, poteva raccontare i brutti risvolti di una convivenza sempre più difficile: «Continuava in fondo per la vecchia strada, cercando solo di evitare i tratti battuti da troppi avanzi di galera. Troppi passeur nuovi per le antiche vie del sale e dei pastori, gente senza pietà, gente crudele».<71
I romanzi di Biamonti hanno sempre una precisa collocazione geografica: il confine tra Italia e Francia, al confine tra terra e mare, tra monti aspri e piana mediterranea, sospeso tra mondo contadino e cultura cittadina, un modo, probabilmente, per ribadire la fedeltà alla sua terra <72. In "Vento largo" è il confine, l'invisibile ma concreta linea attraverso la quale i "passeur" di diverse etnie conducono clandestini di ogni provenienza ad essere protagonista assieme a "Varì".
Ma i passeur in camicia nera avrebbero trovato raramente negli ebrei le caratteristiche che presentavano alcuni suoi clienti:
"Giacche bisunte, caviglie nude, avevano l'aria di accalappiacani. Erano scalcagnati e si muovevano con destrezza, forse venivano dalle montagne dell'Atlante. Età in scala. Il più vecchio, sui sessanta, biascicava un po' di francese. Camminavano leggeri e scrutavano il sentiero nel quarto di luna. Interpretavano il suono dell'aria tra i rami. Si parlavano con un sussurro che si perdeva nel vento [...] Poi arrivarono dei turchi, dignitosi, tristi, come stoici antichi. All'incontro e al commiato, ringraziamenti e strette di mano, leggeri inchini." < 73
71 F. Biamonti, Vento largo, cit., p. 9
72 Su questi aspetti, e più in generale, sul rapporto tra lo scrittore e questi temi si veda G. Bertone, Confine o frontiera? La Liguria di Francesco Biamonti in Quaderns d’Italià, 2002, pp. 91-110
73 F. Biamonti, Vento largo, cit., p. 9
Paolo Veziano, Ombre al confine. L’espatrio clandestino degli Ebrei dalla Riviera dei Fiori alla Costa Azzurra 1938-1940, ed. Fusta, 2014, pp. 56,57
I romanzi biamontiani, che sono ambientati negli anni contemporanei o appena precedenti alla loro effettiva stesura, coprono un arco temporale di circa tre decenni, dagli anni Settanta agli anni Novanta. Ciononostante, attraverso le esperienze e la memoria dei personaggi Biamonti recupera anche la storia precedente dei movimenti clandestini, almeno a partire dagli anni Venti. Anzi, gli attraversamenti a cui i protagonisti dei libri assistono rievocano di continuo nella loro mente le vicende del passato.
È lo stesso Biamonti ad aver spiegato in un articolo del 1998 che i sentieri di confine erano per lui la via per entrare in «una marea di ricordi»: "Ripenso a quei sentieri tra le rocce, al passo della Morte, del Cornaio, del Cardellino, al passo dei Sette Cammini, ai ginepri, ai lentischi, agli spini, ai flussi di umanità che li hanno affrontati, varia secondo i tempi: socialisti liguri, anarchici di Carrara, antifascisti sulla via dell’esilio e poi gli ebrei nel trentanove e quaranta, e nel dopoguerra gli slavi che volevano raggiungere la Francia. Ricordo uomini svelti e donne flessuose, con scarpe che si dovevano togliere per superare gradini di pietra e canaloni incisi nel rocciume color cenere. Si passava in genere nelle notti di luna. Oggi, di Europei, per la montagna, non ne passano più. Per gli altri tutto continua come prima. Devono nascondersi, almeno per i primi chilometri adiacenti a quello che già fu un confine. Curdi, arabi e negri non si fidano. Percorrono le loro stesse vie i corrieri dell’eroina, un uomo armato in testa e un altro alle spalle. [...] Per me si entra in una marea di ricordi". <479
Innanzitutto, vale la pena notare che la storia clandestina del confine si incarna agli occhi di Biamonti in luoghi specifici, emblematici del passaggio e spesso della morte, i quali non sono altro che i passi di montagna attraverso cui i passeurs hanno sempre condotto i fuggiaschi e i migranti in Francia.
[...] Patrizia Audenino e Antonio Bachelloni scrivono che, soprattutto verso la Francia, «si svolse il flusso dei primi “esuli” antifascisti, in maggioranza comunisti, ma anche anarchici e socialisti, strettamente legati all’universo operaio». <485
Biamonti cita poi, procedendo cronologicamente, l’esilio degli «ebrei nel trentanove e quaranta». La fuga di queste persone, dettata dalle persecuzioni razziali, è ricordata anche nei romanzi, in particolare in PN [Francesco Biamonti, Le parole la notte]: «Cose di cui era meglio non parlare, cose che aveva stentato a credere: ebrei in fuga, derubati e buttati in mare da un barcaiolo nel '38 o nel '39, pastori sgozzati nei casolari da gente che transitava» (PN, 74).
Dimostrando di conoscere realmente la vicenda storica, qui lo scrittore fa riferimento al passaggio clandestino via mare, che in effetti caratterizzò in un primo momento la fuga degli ebrei. Sulla questione non si può che rimandare allo studio specifico "Ombre al confine" dello storico locale Paolo Veziano, che porta in esergo la citazione biamontiana e in cui si descrive nel dettaglio il fenomeno delle «agenzie di navigazione clandestina»:
"All’inizio di luglio [del 1939] le agenzie di navigazione clandestina si stavano avviando verso un elevato standard di efficienza, come testimonia il buon numero di trasporti organizzati, ma i pescatori si trovavano a fare i conti con il notevole potenziamento dell’apparato di sorveglianza francese". <486
Biamonti aveva vissuto personalmente, benché fosse ancora un bambino, l'esodo ebraico. Leggendo con attenzione le interviste dei primi anni Novanta si trova un ricordo personale molto importante, che trasforma il giovane Biamonti in un piccolo passeur:
"Quella mattina d’agosto Biamonti accompagnava il nonno che andava ad aspergere il solfato nel vigneto, su un’altura da cui si scorge il mare, distante cinque-sei chilometri dalla Francia. «Avvicinandoci abbiamo sentito dei brusii, e vedevamo levarsi, fra il bosco e la vigna, un filo di fumo. Lui ha detto: “Andiamo cauti, perché c’è qualcuno: forse dei ladri”. Invece, arrivati là, intorno a un fuoco quasi spento perché d’agosto le notti son fresche su quel colle, abbiamo trovato, accoccolate, una decina di persone: erano due famiglie ebraiche che, con molta educazione, hanno chiesto scusa di trovarsi in un podere altrui e se lì era il confine perché su quei sentieri impervi di notte non si avventuravano, avevano paura». Il confine era l’altro crinale, non quello che intendevano. «Allora mio nonno m’ha detto: “Accompagnali, fino a che non possano sbagliarsi”. Io li ho accompagnati. E dopo, prima di andar via, m’hanno baciato. La cosa mi ha molto commosso. Saremmo stati nel Trentotto-Trentanove, poco prima che scoppiasse la guerra con la Francia: avevo otto-nove anni. [...] Quella gente rannicchiata intorno a un falò che non bruciava quasi più [...] gli è rimasta sempre impressa. «E m’ha fatto prendere una simpatia enorme per tutti coloro che sono erratici nel mondo. Per questo ho scritto 'Vento largo' sul passaggio dei clandestini». <487
Dopo la cesura segnata dalla Seconda Guerra Mondiale, riprendono i movimenti clandestini verso la Francia, che non sono tanto quelli degli italiani che migrano, in maniera ormai per lo più definitiva per cercare lavoro, ma piuttosto quelli dei sovversivi politici e di coloro che provengono dall’Europa comunista.
[NOTE]
479 Bia. scr. (1998d: 130).
485 P. Audenino e A. Bachelloni, L’esilio politico fra Otto e Novecento, P. Corti e M. Sanfilippo (a curda di), Migrazioni, vol. 24 di Storia d’Italia, Einaudi, Torino 2009, p. 353: «Così, in Europa, l’emigrazione italiana, in quanto distinta dall’esilio politico, veniva accolta su scala significativa solo da Svizzera, in minor misura Belgio, e Francia. Fu dunque verso questi tre paesi, soprattutto l’ultimo, che si volse il flusso dei primi “esuli” antifascisti, in maggioranza comunisti, ma anche anarchici e socialisti, strettamente legati all’universo operaio. Questo intreccio, variamente declinato, di traiettorie migratorie e traiettorie dell’esilio, non è, come abbiamo visto, inedito, ma è particolarmente marcato, se non altro quantitativamente nel caso dell’esilio verso la Francia. Si calcola infatti che gli italiani politicizzati ammontassero al 10 per cento circa dell’intero contingente di emigrati in Francia tra le due guerre. Ne conseguì una migrazione politica che, per quanto minoritaria, si caratterizzò come un'“emigrazione politica di massa”».
486 P. Veziano, Ombre al confine. L’espatrio clandestino degli ebrei stranieri dalla Riviera dei Fiori alla Costa Azzurra 1938-1940, prefazione di A. Cavaglion, Fusta, Saluzzo 2014, p. 89. Cfr. anche, seppur in maniera più generale, P. Audenino e A. Bachelloni, L’esilio politico fra Otto e Novecento, cit., p. 364.
487 Bia. int. Vaccari (1994).
Matteo Grassano, Il territorio dell'esistenza. Francesco Biamonti (1928-2001), Tesi di laurea, 29 gennaio 2018, Université Nice Sophia Antipolis in cotutela internazionale con Università di Pavia
Con tutta evidenza Biamonti inclina e flette le sue coordinate verso Nizza (la Baie des Anges o la Baia degli Angeli, indifferentemente), verso Cannes e le due isole, Saint-Honorat e Sainte-Margherite; e verso i monti dell’una e dell’altra parte (Cima Marta). Cancella il litorale italiano come luogo della «speculazione edilizia» (ben sapendo che già l’aveva cancellato il «suo» Calvino: «Io ero della Riviera di Ponente; dal paesaggio della mia città - San Remo - cancellavo polemicamente tutto il litorale turistico - lungomare con palmizi, casinò, alberghi, ville - quasi vergognandomene», <13 con quel che segue di descrizione della risalita verso i monti all’inseguimento del suo paesaggio), del traffico maleodorante di auto, e dei traffici malavitosi; anche se, quanto a macrocriminalità (investimenti delle varie mafie non solo italiane) e microcriminalità nelle Passeggiate, sa bene che la Côte d’Azur non ha niente da invidiare alla Riviera. Làtitano dunque, censurati, i toponimi di quest’ultima, che saranno Bordighera o Ventimiglia. Se la più terribile, Sanremo, è nominata una tantum, sarà per bollarla per sempre:
"Cose di cui era meglio non parlare, cose che aveva stentato a credere: ebrei in fuga, derubati e buttati in mare da un barcaiolo nel '38 o nel '39, pastori sgozzati nei casolari da gente che transitava. - Sarebbe meglio non stare sui confini, - si limitò a dire. - O forse tutto il mondo è uguale".
13. Italo CALVINO, Prefazione 1964 [al Sentiero dei nidi di ragno], in ID., Romanzi e racconti, edizione diretta da Claudio MILANINI, a cura di Mario BARENGHI e Bruno FALCETTO, vol. I, Milano: Mondadori, 1991, p. 1188
Giorgio Bertone, Confine o frontiera? La Liguria di Francesco Biamonti, Quaderns d’Italià 7, 2002
Francesco Biamonti fu dunque un testimone privilegiato, un profondo conoscitore di questo aspetto della memoria popolare e forse il suo più autorevole cantore.
Dopo la sua morte, ogni risvolto della sua opera letteraria, dalle influenze agli stilemi, è stato studiato a fondo; poco, o per nulla riconosciuto invece - forse perché dato troppo frettolosamente per scontato - è stato questo suo indiscutibile merito.
Nel suo libro forse più bello, "Vento largo", i passeur muovono i traffici caratteristici degli anni del dopoguerra. Anche il protagonista, Varì, è costretto quasi controvoglia a continuare il suo dignitoso lavoro in quegli anni difficili ma, per caratteristiche e per vissuto, questo personaggio sembra appartenere, più che al presente, alla non lontana stagione del passaggio degli ebrei.
Si può ritenere invece più verosimile la notizia del presunto arricchimento di un numero ristretto di addetti ai lavori, per effetto dei ripetuti furti di valigie. Più che di furto sarebbe forse più corretto parlare di mancata consegna; in qualche caso poteva effettivamente accadere che, a causa del sovraffollamento delle barche, i bagagli al seguito non potessero essere imbarcati. Si dice che in questi casi i passeggeri ricevessero la falsa rassicurazione che sarebbero stati caricati sul trasporto successivo e consegnati in un secondo momento. Per comprensibili ragioni di riservatezza questa voce non è stata confermata dagli spedizionieri e non ha trovato riscontri nelle carte francesi.
Sembra avere invece maggior credibilità la voce data per certa da più di uno spedizioniere secondo cui alcuni funzionari locali avrebbero regolarmente preteso sia da loro sia dai passeggeri una tangente sui trasporti. La denuncia orale dei concussi trova riscontro oggettivo in una lettera confidenziale scritta da una persona rimasta anonima ma che dimostrava di essere comunque bene informata. La missiva, ricca di particolari in qualche caso inesatti, denunciava l’esistenza di una vera e propria combriccola di speculatori della quale avrebbero fatto parte anche funzionari di polizia, milizia e finanza. Non è da escludere che la lettera possa essere frutto del risentimento di qualche funzionario rimasto escluso dalla spartizione delle tangenti.
Abbiamo visto come il rumore provocato da queste voci avesse costretto Achille Peruzzi ad aprire un’inchiesta. Sappiamo anche che questa si concluse con l’esito che a Roma qualcuno auspicava: le prove della colpevolezza dei concussori non furono trovate.
Paolo Veziano, Op. cit., pp. 204,205