mercoledì 28 aprile 2021

Le vacanze di Edoardo Sanguineti a Bordighera


Bordighera (IM) in una fotografia d'epoca

[...] La cartolina dalle vacanze di Edoardo Sanguineti risale all'immediato dopoguerra. Lo ritrae seduto a un bar di
Bordighera con un libro in mano, magro, forse più emaciato di oggi, finalmente al riparo dal sole. "Vivevamo a Torino e ogni anno andavamo un po' al mare e un po' ai monti. I miei genitori si erano conosciuti in montagna, così andarci era quasi un cerimoniale obbligato. Ma io preferivo il mare: con il tempo, a differenza delle vette dove mi annoiavo, era diventato un luogo mentalmente abitabile. Andavamo da una zia, sorella di mio padre, che stava a Bordighera. Lì si era sposata con un ferroviere e aveva un figlio: il mio solo cugino. Eravamo entrambi figli unici. E ritrovarlo ogni anno, per me significava rompere la solitudine. Ma non andavamo granché d'accordo. Avevamo fra i quindici e i vent'anni, lui girava con le ragazze, ballava, praticava sport e di fronte a me, più piccolo, si dava arie da grande. Però, in fondo, mi aggregava sempre alle sue compagnie...". Sanguineti  racconta come una favola la sua vacanza a Bordighera. Per lui, spiega, era una finestra aperta sul mondo. Un altro mondo, abitato da ragazzi del popolo, come quel cugino tanto diverso da lui. "Io rappresentavo il tipo del giovane intellettuale, l'orribile primo della classe. Mio cugino invece non studiava volentieri, era uomo rivolto alla vita pratica, molto concreto, molto allegro, molto mondano. La zia, religiosissima, si preoccupava di quel figlio incontrollabile. Ciò nonostante era un ragazzo con degli interessi precisi: sognava di fare la vita di mare, che poi seguì. Con le crociere Costa viaggiò per  l'universo mondo, in moto perpetuo mandava cartoline da ogni parte del globo. Ma allora, erano i tempi dell'asse Roma-Berlino-Tokio, lui studiava il giapponese. E io lo guardavo sbigottito, anzi con un po' di invidia: alle prese con il greco e il latino com'ero, quella lingua esotica mi appariva ben più affascinante. 
"Comunque - sorride Sanguineti - andando lì imparai a nuotare. Verso quella pratica non avevo nessuna vocazione, tant'è vero che ho nuotato per tutta la vita annaspando come i cani sull'acqua. E poi ho un allergia fisica nei confronti del mare: dopo un quarto d'ora incomincio a tremare come una foglia per il freddo. Con l'insicurezza che avevo, non sono mai andato sott'acqua e se ci andavo era del tutto contro la mia volontà. Insomma procedevo con una costante angoscia d'annegamento. Ma bene o male imparai. Il cugino e i suoi amici, invece, erano degli eccellenti nuotatori, naturalmente".
Sanguineti preferiva pescare con lo zio. Dire che si divertiva gli pare troppo: "Era un'esperienza curiosa. C'erano i granchi e c'era tutta una fauna da scogli davvero appassionante, esseri abbastanza incredibili: il Paguro bernardo, le conchiglie abitate...". 
 
Bordighera (IM): scogli di Sant'Ampelio

Tutta l'estraneità e lo stupore del giovane Sanguineti sono ancora qui, nei suoi occhi sgranati e nelle mani che si muovono accompagnado le parole, poi rallenta il ritmo: torna a parlare di spiaggia. "No, andarci non mi piaceva granché, anche se un po' alla volta mi abituai all'idea di stare al sole. Ma mentre prendere il sole in montagna è bello perché non si rischia nulla, in spiaggia come fai? Dopo un po' devi buttarti in acqua e allora iniziano il freddo, il gelo, le sofferenze". 
Perciò Sanguineti andava al bar, all'ombra, con il mare lì sotto finalmente tenuto a bada. 
Seduto al tavolino leggeva un libro di Carlo Bo. 
Ironia della sorte o documentazione precoce non si sa, vero è che proprio contro gli scrittori e critici ermetico spiritualisti una quindicina di anni più tardi, Sanguineti, divenuto esponente della neoavanguardia, avrebbe acceso le polemiche, militando per una nuova letteratura. 
Ma lui adesso non ne parla così. "Era un libro su Mallarmé, che doveva essere uscito negli anni Quaranta. Lo ricordo come uno dei testi più ermetici che si potessero immaginare, nel senso sia culturale che letterale della parola: poetica dell'ermetismo portata fino in fondo". 
"Insomma - ride Sanguineti - non si capiva un accidente. Però ero davvero affascinato e un po' ipnotizzato da quella scrittura ardua, ma tanto suggestiva, mallarmeana davvero". 
Alle spalle del bar, appena sopra il paese, stavano le colline, incoronate dalle bellissime ville art nouveau che la comunità inglese aveva fatto costruire. Prima della guerra per pallidi nobili, principi, botanici e scrittori d'oltre Manica trascorrere l'inverno lì era diventata una consuetudine. La Belle Epoque correva sulle prime macchine decappottabili. Si fermavano davanti ai fastosi alberghi o ai club odorosi di cuoio [...]
Per sentirsi a casa Sanguineti andava in libreria. A Bordighera, racconta, ce n'era una sola "piccolissima, stipata di libri che una signorina appassionata selezionava con cura. Voleva creare una specie di piccolo polo culturale cittadino. Mi ricordo che lì scoprii i cataloghi degli editori, meravigliosi. Uno in particolare, quello Bompiani, era talmente bello che non invitava a comprare, bastava guardarlo per immaginare che cosa potessero essere quei libri. A quei tempi non esisteva l'editoria di consumo, i libri erano rari e costosi: un lusso. Leggere romanzi poi, era cosa indecorosa e moralmente sospetta. Agli occhi di genitori e insegnanti significava non studiare. Come si dice oggi dei ragazzi che guardano troppo la Tv".
Ma i libri più belli glieli portava Seborga. Al bar sul lungomare, naturalmente. 
"Anche lui non amava la spiaggia. Faceva un bagno al mattino presto e poi, come me, saliva al caffé. Passavamo il tempo chiacchierando. Era persona di cultura bizzarra e disordinata, ma con delle passioni interessanti. Conosceva bene i surrealisti, era stato in Francia e adorava Artaud. Arrivava carico dei suoi libri quando delle avanguardie in Italia ancora non si sapeva nulla. Quei testi stranieri erano difficili da avere. Anche perché le avangurdie storiche non erano amate dagli ermetici, che cercavano una scrittura di originaria purezza e al massimo si spingevano a un orfico mallarmeismo, tutt'altro che aggressivo. Un mallarmeismo all'italiana, insomma: la mistica della poesia. Ma neppure ai neorealisti piacevano le avanguardie. Così si trattava di trovarli questi libri e Seborga me li portava. Curioso, lui che scriveva romanzi nient'affatto spregevoli ma nell'ambito di una poetica neorealista, mi iniziò alla conoscenza delle avanguardie storiche... Ma era un tipo bizzarro. Artaud mi piaceva. [...]".
Cinzia Fiori, La Malesia a Bordighera, Corriere della Sera, 3 agosto 1996  
 

giovedì 22 aprile 2021

I muschi come l'Araba Fenice

 


I muschi. Considerati di poco interesse e calpestati comunemente.

I loro nomi botanici difficili da ricordare. Poca nota ha dato loro anche Linneo.

Scarsi anche i nomi comuni ad essi dati.

Solo il Giappone ammira e coltiva questi muschi modesti, mentre sono visti come un nemico dai proprietari dei prati nostrani.

In una guida del Sol Levante, che ne elenca alcune varietà, ve ne sono almeno trecento con nomi facili, abbinati a lanterne, scoiattoli, pennelli, brina.

Muschio della brina che si posa, muschio argento, muschio di sabbia, muschio ombrello, piccolo cipresso e così via.

Per noi solo il quercino, lo sfagno o muschio di Natale, e un muschio luminoso perché riflette la luce all’interno delle grotte.

Sono grandi pionieri: per primi abitano i territori, anche i più inospitali.

Sono parte integrante dell’intera biosfera.

L’armonia che percepiamo nei boschi è merito loro, anche se non ce ne rendiamo conto, attratti come siamo da tutti gli altri imponenti abitanti.

Ci inducono al riposo e al sogno.

Apparentemente morti sono invece solo addormentati.

Basta una pioggia a risvegliarli.

Si nascondono negli anfratti ombrosi delle città, sui tetti, negli interstizi del pavé.

Seguono gli umori della pioggia, seccano e poi rinascono.

Come l’Araba Fenice.

In tutti i vecchi e abbandonati giardini sono ospiti illustri.

Sempre in Giappone, dove sono curati in maniera quasi maniacale, i giardinieri indossano guanti e con cura eliminano foglie e erbe, aghi di pino, che rovinerebbero l’incanto, impedendo alla luce solare di raggiungerli per consentire la sintesi clorofilliana.

Chi possiede un giardino di muschi quando riceve ospiti versa acqua lungo il cammino per imitare un acquazzone, come gesto di ospitalità.

Ho sognato anch’io un angolo muscoso nel mio giardino.

Il muschio non è trascuratezza o abbandono, è il consenso al tempo che passa.

Il luogo ombroso era disponibile, i vivaisti olandesi collaborano con i sognatori, coltivandoli in vaso.

Come Sisifo iniziavo l’inutile fatica.

Vietavo a chi transitava di passare su quel tappeto morbido invitante.

Acquazzoni ne potevo produrre, superfici verdi originali di muschi ne avevo già, non avevo però fatto un patto di non belligeranza con i merli.

Loro alzano con i loro becchi e lanciano in giro i morbidi cuscinetti sotto cui si trova cibo per i loro figlioli.

Ogni mattina rimettevo come un mosaico distrutto i pezzi a riformare la trama verde.

La mia tappezzeria più preziosa di un arazzo di Aubusson strappata.

Inutile.

Sisifo alzava massi che ricadevano, io pezzi di muschio.

In Giappone i merli saranno più rispettosi?

L’AMATORE DEI MUSCHI TRASFORMA IL PROPRIO SGUARDO SENZA IL CONCORSO DI ALCUN STRUMENTO E INGRANDISCE QUEL CHE VUOLE ANZICHÈ RIDURLO.

Coricandosi per terra con gli occhi a livello dei muschi si può intravedere un bosco, quando sono fioriti.

Un gioco che facevo da piccola per fingere di camminare fra alti alberi.

Il muschio della memoria, l’erba dei ricordi.


Haiku

Muschi d’un verde profondo
la polvere del mondo é lontana.
                           
                            Sen no Rikyu

I muschi sono apparsi sulla terra prima di noi, e rimarranno dopo la nostra scomparsa.

Gris de lin


sabato 17 aprile 2021

Bordighera: il giardino che non c'è più - Mostra fotografica

Claude Monet, Ville [ndr: Giardino Moreno] a Bordighera, 1884 - Fonte: WikiArt

Apre Domenica 18 aprile 2021 alle ore 16, nella sede dell’Unione Culturale Democratica e della Sezione ANPI di Bordighera (IM), in Via al Mercato, 8, la mostra fotografica "Bordighera: il giardino che non c'è più" di Vera.

La mostra rimarrà aperta al pubblico tutti i giorni, dalle ore 16,00 alle ore 18,00, fino a Domenica 2 maggio 2021.

L'ingresso sarà consentito con le stesse norme che regolano l'accesso alle librerie, con mascherina e massimo due visitatori per volta.

Dobbiamo ringraziare Vera per la inedita e sorprendente documentazione fotografica di un perduto giardino ligure tradizionale che usualmente come altri arricchiva gli alberghi e le ville cittadine, al pari del ricordo dei celebri Giardini Moreno e il parco di Villa Giribaldi perduti quasi un secolo prima.
La visione fotografica della tipica alternanza ottocentesca dei vialetti, delle aiuole fiorite, delle composizioni artistiche dei palmizi e dei gruppi arborei, ben diversa dalla tipologia dei giardini contemporanei, ci incanta per il loro fascino paesistico e per le rosse panchine che suggeriscono ancora momenti di pacata contemplazione.
Giardini e valori da difendere, proteggere e valorizzare.

Giuseppe E. Bessone

Poi, un triste giorno d'Autunno, arrivarono le ruspe. La gente si fermava a guardare in silenzio e il cielo, annichilito, taceva.                                                 
Vera Noach-Kas

Vera fotografa, pittrice, poetessa, amante del bello, vive e lavora a Bordighera. 

Fonte: Unione Culturale Democratica e Sezione A.N.P.I. di Bordighera

Oltre ai famosi Hanbury, Winter, Bicknell, Lowe, appassionati di giardini, ce ne sono stati altri, di cui non conosciamo il nome, che con altrettanta bravura e passione hanno creato un giardino incantevole nel cuore di Bordighera. Ombroso, profumato, con piante da frutto provenienti da tutte le parti del mondo: il diametro di una singola foglia di una magnifica pianta poteva anche misurare più di 70 centimetri. Piante di mandarino, pompelmo, kiwi e altri frutti dai nomi strani, dolci, succosi da mangiare appena raccolti o da trasformare in marmellate. Il prato era di un verde intenso, fiori di tutti i colori quanti ne esistono sulla terra, curato amato usato apprezzato. Un pezzo dell'Eden, del Paradiso delle origini, primordiale, in cui i rumori esterni non arrivavano e anche con la canicola non si sentiva l'afa. Api, farfalle, insetti delle più varie specie erano richiamati dai delicati profumi e dai colori intensi dei fiori. Una bellezza che superava i nostri sogni, oltre a quanto noi stessi pensavamo di meritare. 

Giorgio Loreti

Unione Culturale DemocraticaSezione ANPI - Bordighera (IM), Via al Mercato, 8 [ Tel. +39 348 706 7688 - Email: nemo_nemo@hotmail.com ]

lunedì 12 aprile 2021

A Porto Maurizio Boine si fece animatore di molteplici iniziative locali

Giovanni Boine - Fonte: Wikipedia

Troppo «bisbigliante» aveva annotato a proposito del titolo del canto eponimo della raccolta novariana Giovanni Boine (1887-1917), il quale precocemente riconobbe nei testi di Murmuri ed Echi un «senso di definitivo e di greca (o cinese? […]) sobrietà», offrendo minuti e tempestivi rilievi critici accolti da Novaro in totale autonomia di vaglio. Fra il poeta malato, tornato nel natio ponente ligure in cerca di sollievo per la propria salute, e l’imprenditore di Oneglia, esponente illuminato di un ceto emergente legato a demonizzati interessi economici, si era stabilita una speciale sintonia, in grado di annullare la soluzione di continuità fra itinerari di cultura assai diversi.
Ad accomunarli per certo quella dimensio animi della provincia fattivamente spartita dal punto d’osservazione sulla letteratura contemporanea tenuto dalla «Riviera Ligure» e dall’assunzione programmatica dichiarata nell’opera boiniana.
Da Porto Maurizio, dove era nato, e dall’entroterra imperiese, dove la famiglia materna possedeva alcuni di quegli uliveti depauperati dalla nuova economia incarnata dai Sasso e dai Novaro, Boine passò prima nella Milano del «Rinnovamento», di Tommaso F. Gallarati Scotti e di Alessandro Casati, protettore munifico e consigliere, compagno a Parigi nelle visite al Collège de France e alla Bibliothèque Nationale; la battuta d’arresto imposta nel 1907 da Pio X all’inchiesta modernista, partecipata dal giovane nell’interpretazione psicologica e culturale offerta dell’“esperienza religiosa” e nella coscienza acquisita di una missione etica dell’intellettuale, contribuì a porre fine all’unico episodio di aggregazione e di stabile attività letteraria di Boine, la cui formazione fu elitariamente condotta da autodidatta, nella orgogliosa manifestazione della propria indipendenza.
A Porto Maurizio Boine si fece animatore di molteplici iniziative locali, fautore della nascita della biblioteca comunale e di un ciclo di conferenze che coinvolse Salvemini, Prezzolini e Jacini; da Porto Maurizio intensificò la partecipazione (avviata nel 1909) al dibattito culturale della «Voce» e, di seguito, le collaborazioni ai periodici e quotidiani («Il Resto del Carlino», «Il Marzocco», «La Tribuna») le cui porte un altro amico, Emilio Cecchi, riuscì di volta in volta a dischiudergli.
Ma nella collocazione liminare dell’estremo ponente ligure e, insieme, nel richiamo di laboriosa concretezza della contigua Oneglia, visse pure una tormentata condizione di marginalità sociale e storica, culturale ed esistenziale, sublimandovi come stimmate la stessa malattia fisica e imponendo al vincolo ideologico e lirico con il proprio paese una accusata cifra di “ligusticità”.
Il manifesto di una riflessione condotta in corpore vili, intitolato La crisi degli olivi in Liguria e percorso dal vivo sentimento del disagio e della perdita del ruolo dell’intellettuale nel nuovo contesto economico e sociale, fu affidato alla «Voce» nel 1911; con esso le proposte di estetica dell’Ignoto (1912), costruite sul rifiuto della rigida schematicità dei generi, sull’opzione per una espressione raddensata che insegua la «libera vita», le cose, i pensieri, i sentimenti nella loro complessità e simultaneità.
La scoperta pronuncia lirico-autobiografica della scrittura di Boine, gli accostamenti stridenti di linguaggio, la ritmica fortemente scandita della sintassi traducono un discorso rotto e frammentato che fluisce però in un continuum da un’opera all’altra, dai sommovimenti tumultuosi di animo e pensiero del romanzo non-romanzo Il peccato (1914), dalla tematica e dalle soluzioni stilistiche tutte novecentesche, alla tensione morale della sola pronuncia ammessa per l’interiorità, quella dei Frammenti (1918), i poèmes en prose ripresi postumi dai fascicoli di «Riviera Ligure» da Mario Novaro, alla cui cura riconoscente si deve anche la raccolta dei saggi critici di «Plausi e botte», con la loro acuminata e aforistica prosa.
«Manifestazione esistenziale irrinunciabile e vitale», strumento e spazio di «analisi e autoanalisi incessante»: così Bertone definisce, nell’introduzione agli Scritti inediti (1977), l’attività scrittoria di Boine, attestata da una mole sorprendente ed eterogenea di testi mai pubblicati che si affiancano nel breve arco della sua esistenza a quelli editi e ad un imponente corpus epistolare, a restituire il senso di una vita combusta tutta e subito sulla pagina al fuoco delle travagliate antinomie fede-ragione, legge-libertà, ordine-caos, tradizione e rinnovamento. Con un diretto rispecchiamento nel tessuto socio-economico della propria regione e una proiezione dell’anima angosciata nel paesaggio di Liguria condotta fino alla sua assunzione a spazio interiore.
L’acceso lirismo che freme sottopelle alla prosa narrativa e critica di Boine e, di contro, lo scarso peso nell’economia della sua produzione delle prose liriche dei Frantumi, incerte nell’esasperato tratto sperimentale ed espressionistico, giustifica del pari la definizione di «poeta a metà» spesa da Eugenio Montale per questo nobile campione della letteratura ligure primonovecentesca, unico ad essere accolto nell’antologia poetica di Pier Vincenzo Mengaldo (1978) prima di Camillo Sbarbaro.
Federica Merlanti, La letteratura in Liguria fra Ottocento e Novecento. II. Il Novecento. 1. «La Riviera Ligure» e i suoi poeti, Storia della cultura ligure (a cura di Dino Puncuh), Società Ligure di Storia Patria - biblioteca digitale - 2016, pp. 112-114 
 
In diverse occasioni Boine, dopo il suo trasferimento a Porto Maurizio, esprimeva ai suoi corrispondenti  la  volontà  di  animare  la  vita  culturale  della  cittadina:  “ Sai,  comincio  ad  avere  qualche considerazione qui intorno. Me ne rallegro non per me, ma per il bene che ne può venire” - scriveva  a  Casati  nell’aprile  1910 -  s’io  riuscissi  non  a far colti questi miei paesani, ma come Nietzsche dice, a far che rispettino la coltura che è tutto ciò che si può pretendere dalla maggioranza degli uomini, sarebbe già molto” <17. Nel suo attivismo è possibile tuttavia cogliere il segno di una giovanile inquietudine di transplanté dal  vivace  ambiente  culturale  della Milano d’inizio secolo, alla provincia ligure; scriverà nel 1912 in La  città: “Egli  della  città  grande  conosceva  il  rombo  febbrile,  l’intensità  della  febbre, l’eroico, l’infaticato lottare. Nella città grande la lotta è eroica, tutto è eroico, e ciò maschera, ciò trasfigura ogni cosa” <18. Si confronti il  passo estratto dalla prosa - a conferma della sua forte matrice autobiografica - con quanto precedentemente confessato per via epistolare a Casati il 26 marzo 1910: "C’è la febbre in città: il martellamento delle officine, il rotolio dei tram e dei carri, il vocio, l’agitarsi della folla, non foss’altro che questo che pur è materiale, ti si propaga dentro e ti dà il senso del moto, il senso della vita. Vivi coi nervi in città" <19
Dall’epistolario di Boine si  evince come da tempo, ancor prima  di quanto dichiarato  a  Prezzolini  nell’aprile  1911,  covassero  in  nuce  le  “parecchie  cose  da  dire  sulla  provincia”,  sulla  vita  della  provincia vista anche in posizione antitetica alla vita nella città moderna, “febbrile”, dinamica. Il ritorno nella provincia ligure, a Porto Maurizio, era stato per il giovane Boine un ritorno traumatico, dettato da ragioni economiche e di salute: la  diagnosi della malattia che lo condurrà precocemente alla morte, aveva interrotto progetti (in primo luogo, di vita), culturali, di studio: un approdo, quello a Porto Maurizio, dal quale - non si dimentichi - Boine seguiva e seguirà negli anni a venire e “a distanza” le parallele e vivaci esperienze di maturazione, personale e intellettuale, dei coetanei amici milanesi degli anni del “Rinnovamento” e di quelli raccolti attorno alla “Voce”.  Scriveva  a  Stefano  Jacini  nel  febbraio  1910:  “Mi  è  crollato  il  castello  dorato  che  credevo  d’aver  costrutto  con  voi  e  tento  di  ricostruirmi una piccola casa, umile e  alda. Costrurrò anche qui sulla sabbia? Ma non ho salute ed ho paura di dover lasciare questo sogno a metà” <20. Negli stessi giorni, così confessava a Casati: “Le letture, i discorsi, i miei studi li vedo ora in rapporto, solo in rapporto alle cose sode che faccio, a questo paese a cui voglio bene ed in cui  resisterò fin che mi dura la  vita” <21. Nella trama del suo epistolario, in specie con Casati, si accendono indizi illuminanti la sua condizione interiore lungo i primi mesi del 1911.
17 Giovanni Boine ad Alessandro Casati, 1 aprile 1910, in G. Boine, Carteggio III, G.Boine- Amici del “Rinnovamento”, a c. di Margherita Marchione e S. Eugene Scalia, t.I° 1905-1910, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 1977, p.383.
18 La città, in OP83, p.423.
19 Giovanni Boine ad Alessandro Casati, 26 marzo 1910, in G. Boine, Carteggio III, cit., p.379.
20 Giovanni Boinea Stefano Jacini, 7-11 febbraio 1910, ivi, p.353.
21 Giovanni Boine a Alessandro Casati, 13 febbraio 1910, ivi, p.359.  

Francesca Petrocchi, Giovanni Boine: La crisi degli olivi in Liguria (1911), Convegno "Giovanni Boine. Parole e immagini", Imperia, 8 novembre 2007 
 
Boine, Giovanni (2007)
Frantumi, a cura di Veronica Pesce, prefazione di Giorgio Bertone
Genova: Edizioni San Marco dei Giustiniani, 208 p.

Si attendeva da anni un’edizione completa di Frantumi e ringraziamo la curatrice, Veronica Pesce, per averci procurato finalmente un insieme degno non soltanto di essere studiato e letto piacevolmente ma altresì fornito preziose indicazioni sull’ampio apparato delle varianti.
Ne emerge un testo conservativo del maggior numero consentito di oscillazioni grafiche, interpuntive, diacritiche e propriamente grammaticali spesso atipiche alle convenzioni; testo leggibile e più vicino, certamente, alle intenzioni di Boine. Acute note critiche garantiscono il piacere e l’interesse della lettura immediata.
[...]
L’intuizione pura, cioè, si traduce nella prosa d’arte e nel frammento lirico; in essi il sentimento moderno trova la sua vibrazione, anche la poesia nuova si vale dell’espressione frammentata, sciolta dal sistema ottocentesco che richiamava con sé un mondo di cultura sorretto dagli elementi della vecchia retorica, dai miti, dall’ispirazione civile e sociale.
La curatrice partendo da una comprovata revisione delle bozze da parte di Boine, da un profondo studio ed analisi delle lettere tra Boine e la redazione della rivista, opta qui per la versione di «Riviera Ligure», la rivista letteraria fondata, nel 1899, da Mario Novaro, partendo dal presupposto che solo ammettendo l’intervento del poeta si può giustificare buona parte delle varianti.
Non ritiene pertanto di privilegiare l’autografo in presenza di una stampa autorizzata dall’autore, rimandandoci all’Apparato per casi particolari, pur essendo conscia del pericolo di includere nelle varianti eventuali sviste tipografiche.
Il testo è stato suddiviso in Frantumi e Frantumi postumi ad indicare quanto pubblicato essendo ancora vivo l’autore e quanto raccolto da Mario Novaro in Pensieri e Frammenti integrando però quanto questi aveva arbitrariamente escluso.
Nella prima sezione troviamo le prose liriche che Boine pubblicò su «Riviera Ligure» tra il 1915 e 1917 e precisamente Frammenti (unico testo ad esser pubblicato anche su Almanacco della Voce), Resoconto dell’escursione, Deliri, Frantumi, I miei amici di qui, Prosette quasi serene, Conclusioni d’ottobre, Bisbiglio a vespero, Circolo (unico testo di cui non si conserva l’autografo).
La storia editoriale dei Frantumi è legata al generoso interessamento di Mario Novaro, al quale si deve l’idea della raccolta in volume, il suo ordinamento e la sistemazione testuale. Fu lo stesso Boine a chiamare così, con un titolo generale e riferito ad un solo gruppo di poesie, i 26 fogli di manoscritti che inviò a Novaro il 12 giugno 1915 e che furono pubblicati sulla «Rivista Ligure» nel settembre del 1915: «...Sono infatti frantumi di qualcosaltro che lavoro, ed un certo respiro che li lega vedrai che c’è».
Santa Ferretti, Giovanni Boine, Quaderns d’Italià 16, 2011 

Boine Giovanni: 2 L di Boine; 3 L, 2 C di UB. Carteggio 1914-1916.
La recensione di Boine, entusiastica, a Uomini e altri animali è scritta quando i due ancora non si conoscono. In seguito si incontrano due volte, nel maggio 1915, presentati da Alessandro Casati (cfr. lettera di UB a Mario Costanzo 13.10.1953); in una lettera a UB, Boine presagisce la morte imminente. La sua recensione nella rubrica Plausi e botte è, insieme a quella di Linati, fra le prime critiche e più acute che attirano l’attenzione sulla prosa di UB, di un «non so che bizzarro realismo», e sulla «sprezzante individualità» dell’autore, padrone della materia senza i «tecnicismi» di cui lo accusa Cecchi:
«Ora dirò in quattro e quattrotto a mio modo e più schietto: questo è un uomo, un carattere che mi va a genio, è uno scrittore come ce ne sono pochi, ben pochi, uno, due, fra i viventi in Italia, e ci ho un gusto tra maligno ed egoistico ad essere il primo in barba a tutti ad affermarlo». È UB a fornire a Boine l’occasione di partecipare all’iniziativa editoriale della collana «Breviari intellettuali», per cui UB traduce Pascal e La Rochefoucauld (su cui si veda la recensione di Boine), Bossuet, Joubert, Prévost, Vauvenargues e Boine prepara una traduzione di Chamfort [028].
(a cura di) Margherita d’Ayala Valva, L'Archivio Ugo Bernasconi, Carteggi, Manoscritti, Documenti a stampa (1874-1960), Inventario, Carteggi: elenco dei corrispondenti, Edizioni Scuola Normale Superiore Pisa, 2005

Carlo Maria Parodi a Boine
                                                                                                                           Oneglia, 20 giugno 1916
Caro Boine,
   Non so se oggi avrò libertà di venire a Porto, o, venendo,
la rara fortuna d'incontrarla, perciò mi servo di uno studente che le darà o imposterà la presente [...]
(a cura di) M. Marchione e S. E. Scala, Giovanni Boine - Amici della «Voce» - Vari (1904-1917) (Vol. 4), Storia e Letteratura, 1979
 

mercoledì 7 aprile 2021

Gli alberi (di Vera Noach-Kas)

 





Perchè questo fuoco denso

in uno sguardo così breve e intenso,

azzurro più di azzurri cieli

e che mantiene il segreto impegno

della nostra dipartita?

Perchè più angusta già si fa la strada

e il mare in corrugato verde muta?

Perchè nessuno sente l'urlo

degli alberi monchi della via Romana?

E perchè mai nessun cuore cede?

E perfino tu rivolgi un annoiato sguardo,

e tanto danno di tutto ciò che è bene

noi siamo già quasi

morti.

Vera Noach-Kas



P.S. La Via Romana è quella di Bordighera (IM)

lunedì 5 aprile 2021

La donna tradita e la donna velata

Uno scorcio di Imperia Castelvecchio

Una donna, ecco cosa mancava alla storia che stavo scrivendo. 

Stavo scrivendo una storia sul tradimento, una parola che si sente spesso in Liguria, ma che non è il solito tradimento tra un uomo e una donna, in Liguria il tradimento è una cosa che riguarda sostanze, i possedimenti, toccagli tutto a un Ligure dell’interno, ma non toccargli la roba. Per questo se gli tocchi la roba è tradimento. 

Volevo scrivere la storia di una donna tradita dai suoi fratelli, una donna buona, e perché era buona derubata della sua parte di eredità. Per farlo dovevo scrivere di un testamento falsificato, storia di una donna che apparteneva alla piccola borghesia proletaria e che aveva faticato fino ai trent’anni nel suo con suo padre e sua madre, i fratelli e le sorelle. Ma poi padre e madre erano morti e la roba se l’erano divisi fratelli e sorelle. 

Testamenti falsificati, si è detto, bisogno di perizie di grafie, denunce, la donna aveva solo pianto e non aveva denunciato. 

E allora lei, la donna tradita, alla fine era dovuta andare in giornata, e ogni giorno passava davanti alle case che non possedeva più, in mezzo alle terre che non possedeva, e ci passava per andare in giornata da altri. Ogni giorno il cosmo le chiedeva di perdonare i suoi fratelli. 

La donna tradita che volevo narrare aveva perdonato, era una donna che non insultava mai nessuno, che non si lamentava mai, che se poteva dava una mano ai più bisognosi di lei, una donna che lavava le lenzuola dei poveri e faceva le iniezioni ai malati.

Questa storia non l’ho scritta, troppe volte avrei calcato la mano sulla tastiera, troppe volte avrei dovuto cambiar tastiera.

Ho finito per scrivere un romanzo sulla Resistenza e su un territorio pubblico regalato a un monopolio, a un cartello, a una scatola cinese. Storie di ingiustizie come quella della donna tradita. Ecco che alla fine avevo lo stesso la mia storia di tradimenti. 

Ma una donna. Ecco cosa mancava ancora alla storia che avevo scritto. Un giorno, mentre leggevo un blog che seguo quotidianamente, ImperiaParla, un posto dove si respira il salino delle mie spiagge, lessi di una donna che durante la guerra civile aveva fatto la spia, era successo in montagna, questa donna aveva ascoltato, visto e annotato e quand’era tornata coi suoi nelle questure e nei covi saloini, la Resistenza aveva subito duri colpi, nascondigli scoperti, imboscate, esecuzioni. Lei partecipava alle punizioni, ma tornava nell’entroterra con un cappuccio in testa. La chiamavano la donna velata. Era la donna che mi serviva per la mia storia.

Marino Magliani, New Magazine Imperia, marzo/aprile 2009

domenica 4 aprile 2021

Discettando della Buca di Bordighera


Davide Lajolo, Il vizio assurdo. Storia di Cesare Pavese (1960) Mondadori, 1978, Oscar, 334 pp.
L'immagine più caratteristica della sua infanzia, me l’aveva confidata Pavese stesso, il giorno che eravamo andati insieme, durante le ferie d’agosto, a rivedere a Santo Stefano la cascina diSan Sebastiano dov’era nato. Mi aveva detto: “La gente qui mi ricorda come il bambino che stava spesso appollaiato sulla pianta del cortile a leggere un giornalino o un libro”  
Il voltagabbana
Da Wikipedia, «Sorridevo nel buio. Sorridevo perché proprio quel giorno m’era pervenuto in carcere, attraverso un “repubblichino” convertito, il ritaglio di un foglio fascisteggiante dove mi si definiva “un voltagabbana”.[1] »
[1] Il Voltagabbana è un romanzo autobiografico dello scrittore italiano Davide Lajolo pubblicato a Milano dalla casa editrice il Saggiatore nel 1963.
[...] 9 Responses [...]
nemo scrive:    
16 Luglio 2014 alle 19:21
Mostra, in parte, ospitata nella sede del PD …. ma voluta e organizzata da quanto rimane ( anche fisicamente… ) della vecchia Unione Culturale Democratica dei primissimi anni sessanta del secolo scorso… Grazie Chiara della visita e delle gentili parole. Circa Laiolo, rispetto al ‘Voltagabbana’, ho apprezzato e mi ha ‘coinvolto’ di più il suo … ‘vedere l’ erba dalla parte delle radici ‘ ( cito a memoria … ).
Chiara Salvini scrive:    
16 Luglio 2014 alle 21:19    
[...] Appena puoi riprendi il tuo blog che piange fin qui e ci manca, per quello che “scegli”, ma anche come “modello di sintesi” - Mario per anni mi ha parlato di un grande scrittore francese di cui non so piu’ il nome, forse Anatole France, può essere? : che ogni giorno scriveva e riponeva nel cassetto, nel giorno dopo continuava a scrivere, ma dalla prima stesura toglieva tutto quello che gli sembrava inutile e così andando, proprio come penso si sara’ esercitato a fare Nemo, arrivava a dire l’essenziale e basta -ciao caro nemo [...]
EVVIVA OGGI E SEMPRE LA NOSTRA BUCA! UNIONE CULTURALE DEMOCRATICA —DI CUI ESISTE TUTTA LA DOCUMENTAZIONE PRONTA-PER ESSSERI DI BUONA VOLONTA’–A FARNE UN LIBRO!
CHIARA: mi potrò sbagliare, ma se ti metti con tutti, ma l’angelo blu, come la chiama Audetto che di spirito manageriale se ne intende, ancor piu’ decisivo se uno non lo fa pesare - specie se è donna -è la volta che in qualche anno -se non perdete troppo tempo in…lo vedremo pronto con l’editore! Chi scommette?
nemo scrive:    
17 Luglio 2014 alle 13:18    
Molto gradito il tuo affettuoso e divertente commento, cara Chiara. Circa i documenti (in larga parte conservati e divisi per anno ) dell’UCD, spero si possano elencare in un quaderno della Buca (sarà il 3° ? …. ). Mi piacerebbe che fossero poi consegnati a una Fondazione collegata agli studenti ( la Novaro ? ). Come direste, voi liguri DOC, ? Vieremu …. Il blogghetto ? Ripartirà presto …
Chiara Salvini scrive:    
17 Luglio 2014 alle 20:04
GRAZIE CARO NEMO, BLOGGHETTO? Francamente….vuoi i complimenti? Che del resto ti ho gia’ fatto e ripetuto qui sul mio blog..ma quando vuoi posso ripeterli, perché le cose che si pensano veramente (es.hai dato un “giudizio” su un lavoro), almeno chiara non lo dimentica - Il segreto di fare tutte quelle cose importanti per la storia culturale di Bordighera e, francamente, anche per te -e forse anche per tua figlia - anche se non so: è’ affidarti all’angelo blu o “angelo azzurro, se preferite! Mandami per piacere come cercare il blog “occhio lucido occhio pazzo” che non mi riesce mai - Un minuscolo pettegolezzo su il Signor Audetto: abbiamo subito simpatizzato per i colori che avevo addosso (“abbigliamento futurista”)…lui galante, penso di professione, io senza alcuna professione l’ho accompagnavo con molta allegria…Ben due volte gli ho chiesto dove si possono trovare i suoi lavori su Internet che’ volevo metterli blog. “Non li trovi perché non ci sono”
[...] Chiara Salvini scrive:    
18 Luglio 2014 alle 13:43
caro nemo, e cara Marisa, per caso avete il testo della conferenza del prof. di Torino che è venuto a parlare di Bordighera “ai suoi tempi culturali più belli!”, penso che avrà detto qualcosa anche della della BUCA, immagino - Nel caso, ammesso che l’abbiate, se potete mandarmelo, oltre a leggerlo, vorrei pubblicarlo [...]
Chiara Salvini,... ieri ero a Bordighera al Circolo Culturale... nella biblioteca del circolo ho trovato un libro di Davide Laiolo..., neldeliriononeromaisola, 16 luglio 2014

[E da quella data il libro auspicato, come si potrà ben vedere dall'immagine pubblicata qui sopra è uscito; anzi ne è stato edito almeno un altro, di cui a questo link...]

venerdì 2 aprile 2021

Maristella aveva lo spessore di un professore universitario

La dottoressa Maristella La Rosa Detassis ritratta durante la conferenza a Villa Luca, Coldirodi, 2009 (ph. Davide Dalmasso) - Fonte: Il Regesto, cit. infra

Nel portare il mio contributo al ricordo di Maristella La Rosa su questo numero del Regesto, mi è caro ricordare il giorno della sua nomina ad Accademica della Pigna, il 27 dicembre 2016, quando presso la sede di Piazza del Capitolo si tenne la VI Assise dell’Accademia. Eravamo in molti presenti, tra i quali Freddy Colt, Franco D’Imporzano, Mino Casabianca, Alfredo Moreschi, Marco Innocenti, Bruno Monticone, Umberto Salemi e Riccardo Mandelli, anche lui nominato accademico insieme a Maristella.
Prendendo la parola per ringraziare della nomina, Maristella La Rosa si dichiarava particolarmente onorata ad accogliere l’incarico e disponibile a partecipare attivamente alle attività dell’Accademia. Vi era nelle sue parole l’entusiasmo di ritrovarsi insieme ad altri specialisti per portare un contributo di idee e di proposte alla cultura sanremese.
Le sue competenza archivistiche, la sua sensibilità di studiosa seria e preparata, la sua storia intellettuale e le sue numerose pubblicazioni la collocavano a pieno titolo in quell’assise e arricchivano delle sue competenze l’Associazione tutta.
Negli anni seguenti ci davamo appuntamento per recarci insieme alle riunioni dell’Accademia.
Quelle brevi passeggiate erano una piacevole occaper rinnovare la stima che sentivamo una per l’altra, per scambiarci i nostri punti di vista e aggiornarci vicendevolmente sui nostri studi.
Lei appassionata di poesia e studi archivistici, impegnata nella redazione di articoli sulla “Gardiöra du Matüssian” (poi raccolti nel 2017 nel volume Sanremo: una terra e una storia - percorsi archivistici), io in quegli anni impegnata in studi storico-biografici.
La serietà intellettuale di Maristella La Rosa, il suo rigore scientifico unito alla capacità di comunicare la sua materia in modo brillante, erano le qualità rare che apprezzavo in lei.
Maristella aveva lo spessore di un professore universitario, una formazione solida in settori molti specialistici, l’archivistica e lo studio storico dei documenti, e una chiara visione della realtà culturale della sua città.
Ci accumunava la stessa passione, la stessa dedizione, nella valorizzazione degli istituti culturali cittadini - l’Archivio di Stato, la Biblioteca civica e il Museo civico.
Per questo forse ci sentivamo così vicine al di là dell’amicizia nata molti anni prima, ai tempi della partecipazione al Circolo Nuova Cultura che riuniva studenti, professori e giovani intellettuali in un progetto di rinnovamento e partecipazione alla cultura della città.
Ma la nostra conoscenza si approfondì proprio nell’ambito del lavoro archivistico.
Fu Maristella La Rosa che mi avvicinò alla ricerca archivistica quando fui assunta all’Archivio di Stato di Imperia. Mi insegnò il rigore scientifico di quella professione e mi fece apprezzare la ricchezza nascosta dell’Archivio di Stato di Sanremo.
Molti anni dopo, al suo ritorno dalla Lombardia dove aveva ricoperto l’incarico di direttrice dell’Archivio di Stato di Sondrio, potemmo riallacciare i rapporti avendo lei assunto l’incarico di direzione dell’Archivio di Stato di Imperia.
Io ero bibliotecaria della Biblioteca Civica Dott. Francesco Corradi e collaborammo, nel 1997, alla redazione del volume Sanremo ottocento nei documenti della sezione di archivio di Stato di Sanremo e nella raccolta libraria della biblioteca civica, esposti nella mostra omonima.
Negli anni successivi elaborammo insieme una collaborazione fra Archivio di Stato e Museo civico - di cui ero responsabile - per un appuntamento nel periodo marzo-aprile che celebrasse attraverso l’esposizione di documenti dell’Archivio di Stato e di opere d’arte del Museo civico, la figura della donna in occasione dell’8 marzo e della Settimana della cultura che cadeva in aprile.
Ricordo in particolare l’impegno che mettemmo entrambe nell’allestire la mostra Per maritar giovani figlie. Corredo e status delle donne a Sanremo. La mostra presentava una ricca scelta di documenti notarili dotali e opere d’arte d’epoca che completano iconograficamente l’esposizione.
Nel 2011 Maristella La Rosa fu l’anima della mostra sui 150 anni dell’Unità d’Italia allestita nel Museo civico di Palazzo Borea d’Olmo in collaborazione con l’Archivio di Stato e l’Istituto internazionale di Studi Liguri.
Fu relatrice di conferenze che si svolsero al Museo civico e alla Pinacoteca Rambaldi di Coldirodi dove, in occasione della rassegna Amarcord a Villa Luca del Centro Studi Kenton, venne a presentare nel 2009 l’esperienza della casa editrice musicale Beltramo, unico editore sanremese d’interesse nazionale.
Tra i suoi numerosi scritti voglio qui citare il suo primo volume che ci svela un aspetto poco noto di Maristella, quello di poetessa: Faccia a terra ovvero Lo stil vecchio : meditazione in sette tempi con epilogo per voce femminista : [otto poesie di Maristella Detassis La Rosa, un disegno di Cesi Amoretti]. Pubblicato a Sanremo nel 1977, è uno stupendo volumetto dalla grafica impeccabile.
Il merito del suo lavoro culturale, già riconosciuto dal titolo di Cavaliere del lavoro, è stato sancito dal Premio San Romolo per la cultura attribuitole dal Comune di Sanremo nel 2004.
Maristella si è spenta il 25 aprile 2020 ed io voglio qui testimoniare, oltre al mio affetto e alla mia stima, il sentimento di molti che hanno potuto apprezzare la straordinaria fermezza di studiosa rigorosa, ed ora avvertono con dolore la sua mancanza, per averla così prematuramente perduta.

Loretta Marchi, Maristella La Rosa, un'archivista a Sanremo in IL REGESTO (Bollettino bibliografico dell’Accademia della Pigna - Piccola Biblioteca di Piazza del Capitolo), Sanremo (IM), anno XI, n° 3 (43), luglio-settembre 2020