venerdì 28 luglio 2023

Il cuore di Villa Biener è sicuramente "La Grande Madre"

Fonte: Alessio Santiago Policarpo, art. cit. infra

Sulle colline di Cipressa, affacciate sulla costa del Ponente Ligure - tra Arma di Taggia e Imperia - si trova Villa Biener: un luogo che ha ispirato e che custodisce opere di notevole bellezza e significato realizzate da vari artisti viventi. La sua genesi si deve a Carlo Maglitto e Judith Török, i quali hanno avviato i lavori di risistemazione della villa e del giardino a partire dal 2006; entrambi artisti, hanno tuttavia specifiche e analoghe formazioni: Carlo è psicoanalista e Judith, ungherese, è laureata in medicina.
Il grande progetto a cui hanno dato vita poggia sull’idea che l’arte è l’asse portante della dimensione spirituale dell’uomo, custode della memoria e mezzo di catarsi e scavo interiore, nonché un tramite per renderci consapevoli della natura e della sua potenza rigeneratrice.
Il giardino di ulivi e di alberi da frutto che circonda la villa è popolato da una cinquantina di opere di artisti viventi, come Volker Nikel, Stefano Bombardieri, Kim Boulukos ecc. Molte di esse sono creazioni site specific, dunque nate in quel preciso contesto.
Il cuore di Villa Biener è sicuramente La Grande Madre (2008-2009), una figura accogliente che rappresenta molteplici significati. Il personaggio, rivestito di mosaici, è steso a terra e ingloba armoniosamente degli alberelli preesistenti; la sua esecuzione è frutto di un vero e proprio lavoro di gruppo, portato avanti seguendo i bozzetti di Claudia Lauro. Il soggetto è tratto da una favola africana che concepisce la grande madre con tre teste: la prima, dalle fattezze umane, incarna la conoscenza, e il suo interno vuoto, ricoperto di specchi, fa da rifugio. La seconda testa è quella di un serpente (qui ve ne sono due, simboleggianti la forza dell’eros e l’astuzia), mentre la terza ha la forma di gorilla, simbolo di forza ed esperienza.
L’opera presenta un coacervo di simbologie, di archetipi, di forme diverse, alcune delle quali sembrano desunte dalla pittura maya o da altre culture visive. È una conferma del pensiero che si è voluto trasfondere in questo lavoro: l’arte è unione di diversi orizzonti che hanno però in comune il desiderio di sondare il mistero umano e i suoi primordiali elementi spirituali e fisici.
[...] Così Judith spiega la sua opera: «"Le parole sono pietre. Ecco i nostri sassolini: le prime parole pronunciate da…" e qui segue un piccolo elenco di nomi e di parole incomprensibili, perché storpiate da noi (io, mio figlio e mia nipote) quando avevamo meno di 2 anni e quando si fa fatica ad articolare correttamente le parole che si vogliono pronunciare. La scrittura - come spesso nel mio lavoro - ha una funzione estetica, il significato spesso è secondario, ciò che mi interessa è l’immagine che si crea con le lettere e le parole: colorate, bianche, grigie o nere, evidenti o sfumate, a seconda dell’effetto globale che vorrei ottenere. E’ facile capire anche che ho voluto evitare di scrivere una citazione (di altri o mia) perché mi sembrava inopportunamente presuntuoso - l’idea delle parole storpiate è stata di mio figlio (Enzo Zeno ossia Lorenzo Appetecchia) e io ne fui subito entusiasta.»
In questo luogo lo spettatore può esplorare, osservare, fermarsi e meditare: la natura, il mare, gli uliveti e l’arte concorrono a stimolare nel contemplante una riflessione sul senso panico, universale del linguaggio umano e del suo inserirsi nel corso della storia e nella bellezza del mondo attraverso l’operare artistico [...]
Alessio Santiago Policarpo, Villa Biener a Cipressa. Una "oasi" di arte contemporanea in Liguria, Arteoggi, 10 novembre 2020
 
Judith Török e Carlo Maglitto davanti all'opera Check-point Babel (omaggio a Boetti), 2013. Foto: Gianfranco Daniele. Fonte: Anna Lisa Ghirardi, art. cit. infra

[...] Judit, trovo interessante il fatto che questa realtà abbia avuto vita da una collezione di opere, quella di tuo padre. Quali erano le opere più preziose della sua collezione e perché hai deciso di venderle per creare una casa che è anche un luogo per l’arte?
Judit Török: Mio padre era una persona complessa, geniale e colta. Aveva una travolgente passione che soltanto i veri collezionisti possono comprendere. Cominciò a comprare impressionisti e postimpressionisti ungheresi negli anni ’60, acquistando la maggior parte delle tele nei negozi di antiquariato e alle aste statali, qualcuna da collezionisti privati. Tra quelli più conosciuti in Italia posso citare József Rippl-Rónai, Vilmos Aba-Novák e János Vaszary. Quando morì dovemmo vendere tutto, perché la maggior parte dei capolavori non era esportabile. Fu un sollievo per mia madre che non volle farne la custode e per me che ho potuto traghettare la passione verso l’arte contemporanea.
Quanto ha influito nella tua formazione la passione di tuo padre per l’arte, la letteratura e la musica?
Judit Török: Sono nata con il dono della manualità. A quattordici anni fui ammessa ai corsi di nudo dell’Accademia a Budapest e vinsi piccoli premi. Mi sentivo votata alla carriera artistica, senonché sei mesi prima della maturità seppi che mio padre aveva altri progetti per me: dovevo laurearmi in Medicina. Opposi forte resistenza, ma dovetti capitolare. Questo fatto inasprì il conflitto tra noi. Naturalmente l’ho perdonato e anche amato. Contrassi quindi un matrimonio di facciata con la medicina e mantenni una relazione privilegiata con l’arte, la mia trasgressiva amante. Fu mio padre ad avere il merito di farmi amare la letteratura; la sua biblioteca era enorme, vi si trovava tutta la letteratura e la saggistica migliore. Sempre lui mi aiutò a capire l’arte, mentre mia madre mi fece studiare pianoforte e si occupò della mia istruzione musicale.
Il lavoro di ristrutturazione della proprietà, villa e parco, è stato molto impegnativo. Significativo è il fatto che sin da subito, tu e Carlo, avete coinvolto altri artisti; quali sono stati i principali interventi artistici?
Judit Török e Carlo Maglitto: La Villa era nota nella zona come "La Fortezza", per l’aspetto un po’ austero e svettante. Portava i segni di anni di incuria. In un grande spazio cinto da spesse mura abbiamo trovato solide rocce che reggevano i plinti di appoggio e un baratro dove venivano gettati oggetti di scarto. Questo disastro divenne la nostra galleria e il teatrino. L’uliveto secolare era abbandonato. Ricostruimmo i muri di pietra cercando di dare più spazio e stabilità a piante e sculture, senza incidere sull’aspetto rustico del paesaggio. Decidemmo quindi di coprire il terreno il più possibile, ad esempio con una grande scultura rivestita da mosaici che fosse anche utilizzabile come gioco dai bambini o come luogo di chiacchiere per gli adulti. Ne parlai con una delle artiste invitate l’anno precedente, al nostro primo incontro di scultura, Claudia Lauro. Ne fu entusiasta, preparò le bozze per una Grande Madre. Io feci il modello in creta e, nell’estate del 2008, iniziammo i lavori. È stato un lavoro lungo e furono chiamati amici e gli amici degli amici a incollare tasselli, preparare la colla, rompere e tagliare le piastrelle, studiare gli accostamenti. Finì tutto nell’estate del 2009. Non era ancora terminata la Bistrega che la notte mi suggerì altre idee: due panche sinuose da inserire nel camminamento intorno alle mura delle casa: la Pancablu e la Pancaverde.
I mosaici sono diventati una routine. Nel 2008 abbiamo ricoperto l’interno di una vasca d’irrigazione con mosaici di vetro: Ente-pente-lalula, titolo tratto da una poesia di Christian Morgenstern. Seguì inesorabilmente Il Sentiero delle mura, un percorso pedonale di circa 80 metri lungo le pareti della Galleria che rappresenta le Città, il Mare, Animal House e i Volti. Sulle pareti della Galleria abbiamo inoltre realizzato un racconto sulla storia della nostra famiglia fatto con formelle di terracotta e mosaici (circa 60 metri quadrati) e Check-point Babel (25 metri quadri), omaggio a Boetti.
Credo che Villa Biener non sarà finita fintanto che ci rimarranno insonnie e sogni.
L'associazione culturale di Villa Biener Arte Contemporanea, a partire dalla mostra dedicata all’Arte tribale, ha organizzato numerose esposizioni, manifestazioni ed eventi. Quali sono i più rappresentativi?
Judit Török e Carlo Maglitto: Ne citiamo alcuni. Abbiamo avuto la fortuna di conoscere Valerio Fasoli, che organizza "Master course" con l’intervento di eccellenti professori e allievi già membri delle migliori orchestre di tutto il mondo che al termine dei corsi si esibiscono nel nostro teatrino. L’Eutopia Ensemble di Genova con il maestro Matteo Manzitti ci ha onorati di alcune serate. Abbiamo ospitato musica etnica e jazz. È stata graditissima la performance di Traude Wehage e Gesa Biffio. Ci sono state serate di lettura delle poesie di Carlo accompagnate al piano da Traude. Nella galleria abbiamo allestito molte mostre collettive: Contaminazioni Orientali, Check-Point Eden, Check-Point Babel e Babele con Vista. Ogni fine anno è consuetudine chiamare a raccolta amici e collezionisti per le nostre tradizionali Art Party. Presentiamo spesso le nostre attività all’estero, con la partecipazione a mostre in Germania, Ungheria, Grecia e in varie città italiane.
Dal 2007 avete organizzato simposi presso la villa e molti artisti hanno realizzato opere site specific. Quale è l’intento di questa esperienza?
Judit Török e Carlo Maglitto: Quell’anno ebbe inizio ciò che per alcuni anni sarebbe diventata la nostra principale attività: organizzare ogni estate un incontro con la scultura per popolare il parco di opere e fare incontrare gli artisti provenienti da ogni parte del mondo, ponendo l’accento sulla convivialità e l’amicizia. Gli artisti vivevano con noi per circa due settimane. Fino ad oggi sono state collocate una cinquantina di piccole e grandi opere, alcune site-specific. Tra gli artisti: Villö Turcsány, Claudia Lauro, Tegi Canfari, Paola Malato, Annamaria Gelmi, Pierluigi Cattaneo, Gabriela Nepo-Stieldorf, Peter Hrubesch, Giancarlo Manco, Adriano Leverone, Stefano e Remo Bombardieri, Carlo Maria Maggia, Ruggero Maggi, i Plumcake, Riccardo Galleni, Hojin Jung, Margherita Serra, István Ézsiás, Aron Gábor e Zsuzsa G. Heller, Belle Shafir, Saskia Koning, Barbara Falender, Sergio Frattarola, Nadia Gianelli, Saskia van der Made, Olivier Bataille, Kim Boulukos, Leo Wesel, Zsolt Nyári, Noa e Tal Lev, Pierangelo Russo, Peter Markus, Ciacio Biancheri, Massimo Parodi, altri e naturalmente noi [...]
Anna Lisa Ghirardi, Intervista a Judith Török e Carlo Maglitto, Espoarte, 10 settembre 2014
 
L'opera di Judith Török, per qualità soggetti stile, rappresenta in modo artisticamente raffinato le origini ebraiche della pittrice e un mondo di grande spessore culturale e storico, quello dell'Est europeo, da noi poco conosciuto.
Per cui abbiamo ritenuto opportuno promuovere questa mostra, in quanto è coerente coi nostri sentimenti e quindi particolarmente 'adatta' alla commemorazione del 25 Aprile e della sconfitta della barbarie nazifascista. All'Artista va il nostro più sincero ringraziamento e la riconoscenza per avere accettato il nostro invito.
Giorgio Loreti
Chiara Salvini, ... Judith Török (1947) pittrice di origini ebraiche...Nel delirio non ero mai sola, 23 aprile 2014

Un lavoro di Judith Török esposto nella sopradetta Mostra. Fonte: Chiara Salvini, art. cit. infra

"Villa Biener Arte Contemporanea" (Associazione culturale non a scopo di lucro) nasce per volontà di due artisti Judith Török e Carlo Maglitto che considerano la propria dimora un luogo aperto, in dialogo con tutte le altre realtà che intendono garantire la presenza, la visibilità e la fruibilità dell’arte contemporanea. Svolge un ruolo attivo nella produzione di opere d’arte, coinvolgendo spesso giovani artisti, per lasciare un segno nella storia del luogo.
[...] La Villa è situata in un antico uliveto, sulle colline di Cipressa, dove le terrazze si affacciano sul mare.
Al Circolo Culturale Unione Democratica presso il PD di Bordighera, con una notevole partecipazione di pubblico, Sindaco compreso, si è inaugurata la bella mostra di opere, realizzate con tecnica mista, della pittrice Judith Török. Nel corso della mostra, aperta al pubblico tutti i giorni dalle 17 alle 19 fino al 4 Maggio, avranno luogo le seguenti manifestazioni: Sabato 26 Aprile ore 17, incontro del pubblico con la pittrice Judith Török che parlerà della sua arte e delle vicende della sua vita che da Budapest l'hanno condotta in Italia [...]
Chiara Salvini, ... la Mostra di Judith Török al Circolo Culturale Unione Democratica di Bordighera..., Nel delirio non ero mai sola, 30 aprile 2014

Allora frequentavo i giovani della mia generazione del dopoguerra, non tutti liguri di nascita o di provenienza. Sognavamo, ognuno a modo proprio, una società priva di soprusi.
Aderii con entusiasmo all'Unione Culturale E. De Amicis assieme al mio compagno di banco Angelo Oliva, figlio di immigrati calabresi, giovane di forte carattere e di spiccata intelligenza.
[...] Per un ragazzo appena uscito dalle elementari di Lentini (Siracusa), costretto a cambiare spesso scuola e villaggio per la carriera del padre, l'impatto culturale della Buca ha gettato le basi che oggi mi vedono Presidente di Villa Biener, centro d'arte contemporanea a Cipressa (IM) e operatore artistico.
Carlo Maglitto in Giorgio Loreti, Archivio Unione Culturale Democratica Bordighera, 2017

All'ordine del giorno la costituzione di un Circolo Culturale: ci vediamo alle 21 presso la sede del PCI di Vallecrosia: il segretario Pascalin Gazzano ci ospita.
[...] Confesso che sulle prime provai un po' di diffidenza per la scelta del posto: in casa mia non si era mai parlato di politica e l'autonomia del costituendo Circolo avevamo detto che doveva essere assoluta. L'atteggiamento distaccato tenuto in un angolo del locale dal Pascalin fugò tutte le mie perplessità.
Molte volte avevamo ragionato con Giorgio Loreti sulla necessità di dare vita a un qualcosa che smuovesse il conformismo dominante. Quella sera un gruppo di "ragazzini": Giorgio Loreti, Angelo Oliva, Dario Biancheri, Carlo Maglitto, io ed altri di cui non ricordo il nome, decise di fare una cosa rivoluzionaria: fondare, appunto, un Circolo Culturale. Così nacque l'unione Culturale "Edmondo De Amicis", in seguito solo Unione Culturale Democratica. Poi... venne la Buca, poi... gli incontri con Seborga, Biamonti, Capitini, poi...
Matteo Lanteri in Giorgio Loreti,  Op. cit.  

sabato 22 luglio 2023

Bordighera: in esposizione opere di Eleonora Siffredi e di Silvio Maiano e poesie di Bianca Tarozzi

Eleonora Siffredi, Senza titolo

Unione Culturale Democratica -  Sezione ANPI

Bordighera (IM), Via al Mercato, 8 

 

lunedì 24 LUGLIO - giovedì 10 AGOSTO 2023
ore 17-19
 

SILVIO MAIANO
ELEONORA SIFFREDI
opere
 

BIANCA TAROZZI
poesie
 

invito
ingresso libero


Le sue [di Eleonora Siffredi] 'opere finite' portano il segno del cercare e del trovare in ogni dove e in ogni materia, in tutti i modi che le sono congeniali, un suo rapporto con le cose... Come finestre aperte su paesaggi di un'immaginazione che non può avere limiti di spazio e di tempo.
Guido Strazza

Penso che tutti coloro che hanno scritto del tuo [di Eleonora Siffredi] lavoro abbiano saputo scoprire aspetti significativi del tuo appassionato operare... tuttavia mi pare di cogliere un più meditato senso costruttivo. Ma identica rimane la malia.
Enzo Maiolino

Silvio Maiano, Senza titolo, 2023 - tecnica mista, 80x78

L'idea di questa piccola esposizione con Eleonora è nata durante la preparazione della mostra di Guido Strazza nella sede dell'Ucd. La frequentazione del comune amico Enzo Maiolino ci ha fatto incontrare oramai quindici anni fa. Ne è presto nata una reciproca simpatia e stima. I lavori di Eleonora creati con materiali poverissimi sono ricchi di grazia e poesia: da sempre mi conquistano. Il mio lavoro attraverso forme esatte cerca di non lasciare nulla al caso. Immaginare il dialogo tra opere così diverse ci incuriosiva.

Silvio Maiano

Silvio Maiano è nato nel 1973 e vive a Bordighera.  [...]

Il tempo delle musiche, del canto
dispiegato,
invisibile, accanto
risuona, in sogno.
Non anni, istanti,
i preziosi momenti
quando il fuoco si alza,
oscilla e balza
nel caminetto, danza
insieme all’ombra
sulle pareti e muta,
trasfigura la stanza.
Bianca Tarozzi, Gli anni migliori della nostra vita

Bianca Tarozzi. Figlia di Leonildo Tarozzi. Studia a Bologna e poi a Venezia , dove si laurea in letteratura anglo-americana con una tesi sul poeta Robert Lowell. Ha insegnato Letterature americane all'Università di Verona.

Giorgio Loreti

Unione Culturale Democratica -  Sezione ANPI - Bordighera (IM),  Tel. +39 348 706 7688  

Bianca Tarozzi. Fonte: La Rivista intelligente

Le poesie di Bianca Tarozzi sono storie narrate in versi, racconti in poesia, poemetti, affreschi in rima. Sono liriche fatte di narrazione, trame fittamente e finemente intrecciate con il filo del linguaggio, il sapiente filo del linguaggio di Tarozzi in cui ironia, leggerezza e compassione sono i punti che utilizza per il ricamo. Nelle sue poesie racconta in versi un mondo che sembra perduto e lontano, un mondo che echeggia la tradizione e dà luce a oggetti di cui si era persa memoria: un tempo altro a cui la memoria riporta si avvicenda con il presente vivo e vivido, fatto di persone e cose reali, un quotidiano concreto. Lo scherzo che il lessico di Tarozzi crea è il continuo altalenarsi tra parole talvolta inusuali, rime interne e un dire moderno, contemporaneo: è anche nel ritmo, nella forma musicale, che la sua poesia registra ciò che vede, sente, ricorda, accade, ciò che la circonda. Emerge, in tal modo, la sua esigenza di nominare le cose, di fare delle sue poesie oggetti della memoria e della parola e, d’altro canto, di fare degli oggetti sue poesie. Una ossimorica urgenza di contemplazione del mondo, del presente o dei ricordi, per poi divenire scrittura del mondo nel forgiare parole durevoli. Un universo di memorie e osservazioni cucite nel lino di una poesia per non dimenticare.

Redazione, Bianca Tarozzi, La Rivista intelligente 

mercoledì 19 luglio 2023

Un congegno tecnico registrato trasmette litanie che non ricordano l’allegro scampanio dei tempi andati


Dal libro di Nilo Calvino su Camporosso e vita civile e religiosa trascrivo alcune notizie della Parrocchia in foto [San Marco di Camporosso (IM)].
Le prime notizie di una cappella in sito risalgono alla fine del secolo XV, il carattere dei camporossini è già delineato essendo caduta la scelta su San Marco come protettore.
Recita un vecchio detto: Campurussin de l’anima persa chi porta u Cristu a réversà… Il suddetto Evangelista era osteggiato dalla repubblica di Genova perchè patrono di Venezia sua acerrima nemica.
I devoti erano indubbiamente incuranti della politica.
Dopo una riunione nella ormai piccola chiesa si decideva nel 1505 di ampliarne le dimensioni aprendo l’ingresso dalla parte del vicolo che collegava il centro del paese.
I lavori non furono eccellenti e i muri non solidi anche per le frequenti inondazioni del fiume indebolivano di conseguenza anche il tetto, pertanto  alla fine del XVII dopo infiniti rimandi si procedeva al restauro.
Sembra curioso per noi oggi il fatto che le spese furono sostenute dalle autorità laiche e dalla popolazione e dal Comune.
La Chiesa ufficiale metteva sempre ostacoli.
Solo nel 1771 venne ultimata e solennemente consacrata.
Ma non era finita lì, un fulmine ruppe il campanile e uccise il povero campanaro e il chierico mentre le piene del Nervia corrodevano le fondazioni.
Messe insieme le forze di tutti, il campanile risorse nel 1827 mancava però ancora la terza campana.
Solo nel 1830 fu aggiunta una quarta campana.
Ma le sventure non ebbero fine.
Si fecero i pavimenti nel 1866 rovinati dopo i diversi allagamenti subiti negli anni.
Evidentemente San Marco e tutti gli altri ospiti con aureola all’interno erano perennemente occupati altrove.
Quando nel 1910 una terribile inondazione del Nervia procurò nei muri una fenditura longitudinale, si dovettero costruire due contrafforti a sostegno.
Il testo porta la data di pubblicazione del 1989 e so per certo che le campane sono state nuovamente sostituite qualche anno fa ancora una volta con il contributo di fedeli e laici.
A proposito delle campane in una nota si legge che le campane che nel 1827 si erano forse rotte nel tirarle giù per il restauro del campanile, venivano rifuse, una terza fu aggiunta nel 1830, mentre nel 1832 arrivò la quarta.
La maggiore pesava 676 chili.
Dal 1777 era iniziato il calvario delle campane… ora non rischiano più la vita campanari e chierici perchè un congegno tecnico registrato trasmette litanie che non ricordano l’allegro scampanio dei tempi andati.
Annunciano ancora lievi e tristi suoni le morti di uomini e donne con una diversa intonazione che solo i più anziani sanno distinguere.

camporossina doc

martedì 18 luglio 2023

Un progetto per Albintimilium

Fonte: Valentina Bruno, Op. cit. infra

Introduzione e cenni storici
L’area d’intervento è collocata presso Ventimiglia, città posta all'estremo ponente del territorio regionale ligure vicino al confine con la Francia.
 

Ventimiglia (IM): la parte nord della zona archeologica di Albintimilium nel 2018, prima, quindi, di lavori più recenti

Ventimiglia, anticamente Albintimilium, risale all’età della Roma repubblicana, presumibilmente tra la fine del II° ed il I° secolo a.C. ma venne progressivamente abbandonata in seguito alla distruzione, avvenuta probabilmente nel V secolo a.C.
I primi scavi nell’area risalgono al 1877, ad opera di Girolamo Rossi; attualmente sono portati avanti dal dott. Gian Piero Martino, funzionario della Soprintendenza Archeologica della Liguria.
 

Tabella illustrativa affissa nella zona di Nervia di Ventimiglia pertinente Albintimilium

Progetto
I caratteri di ciascun percorso previsto dal progetto potrebbero essere dedicati alla ricerca dei “passi perduti” dei viaggiatori passati nei secoli per Albintimilium, in un ordine emozionale di visita regolato dalla selezione di un dato modo di vedere le cose d’archeologia.
Ritengo che ogni sito possa diventare - e teoria di tutti i luoghi - e le vicende dell’antico; quindi, essere pretesto per la narrazione letteraria e, nello stesso tempo, lo spazio per la “sperimentazione” architettonica.
L’area di progetto ha una dimensione pari a circa 23.900 mq.
Il percorso ha la funzione di collegare le varie aree archeologiche costituendo un tracciato chiaro e ben individuabile che permetta una corretta fruizione degli scavi e garantisca la nascita di un vero e proprio parco archeologico.
Il progetto inizia con uno studio sulla viabilità che, come indicato dalle N.T.A del PUC vigente, vede su via Nervia una viabilità da potenziare con la realizzazione di una carreggiata a doppio senso di marcia: questo permette un accesso al parco più riservato e sicuro rispetto ad uno collocato su Corso Genova.
 

Ventimiglia (IM): gli scavi di Porta Marina di Albintimilium nel 2015

Poco distante da via Nervia vi è Porta Marina, che originariamente fungeva da collegamento tra la città e il mare: nulla mi è parso più corretto che far partire il percorso proprio da qui.
A ridosso di via Nervia ho previsto un parcheggio che permette, tramite apposite rampe, di raggiungere l’Info-box/Bookshop e successivamente l’inizio del percorso.
 

Ventimiglia (IM): uno scorcio delle Terme di Albintimilium nel 2017

Seguendo il tracciato indicato il visitatore giunge alla prima parte delle Terme: il percorso presenta un tracciato obbligatorio ma sono presenti frequenti aree che consentono maggiore libertà e spazio alla curiosità.
 

Ventimiglia (IM): da Vico del Pino uno scorcio delle Terme di Albintimilium e dell'Antiquarium

Grazie ad un breve sottopassaggio realizzato sotto vicolo del Pino si accede alla seconda parte delle Terme e all’Antiquarium, mentre riutilizzando il sottopassaggio già esistente sotto corso Genova il visitatore passa direttamente dalle Terme al Teatro.
 

Ventimiglia (IM): uno scorcio del Teatro di Albintimilium nel 2018

Nell’area del Teatro sono presenti due percorsi: uno non praticabile dai disabili e uno facilmente accessibile anche ai disabili: il primo permette tramite una serie di scale di entrare all’interno del Teatro, laddove il secondo prevede alcune rampe che permettono di vedere il Teatro stesso dall’alto.
 

Ventimiglia (IM): il Teatro di Albintimilium nel 2018

Da questo secondo percorso il visitatore ha due possibilità: o recarsi al Bar / Locale ristoro con tanto di area per la sosta e parcheggio oppure continuare il percorso di visita.
 

Ventimiglia (IM): uno scorcio del Decumano di Albintimilium

Visita che prosegue in buona parte su un importante decumano, l’antica via Aurelia.
 

Ventimiglia (IM): uno scorcio della Domus (del Cavalcavia) di Albintimilium

Successivamente il visitatore arriva alla Domus per poi, grazie al lungo sottopassaggio realizzato sotto corso Genova, raggiungere le Insulae.

Ventimiglia (IM): uno scorcio delle Insulae di Albintimilium nel 2012

Dalle Insulae è possibile recarsi ai locali didattico-espositivi, al Laboratorio / Magazzino, alla Sala Conferenze e poi proseguire alle Cabine del gas dove, raggiungendo un’ulteriore decumano, il visitatore viene condotto verso la fine del percorso e al parcheggio.
Valentina Bruno, Riqualificazione del sito archeologico di Ventimiglia, Tesi di Laurea Magistrale in Architettura, Politecnico di Torino, 2009

giovedì 13 luglio 2023

Sulla costa, nella zona di Passable, c’era la base alleata durante la seconda guerra mondiale

La baia di Villefranche sur mer

Eccoci alla seconda puntata sulle città di frontiera del Ponente Ligure: storie minime che diventano Storia. "Mi sono sempre piaciuti i ricordi e le storie" ci racconta Arturo Viale (Ventimiglia, 1952) contadino mancato, poi dirigente di banca, autore di “Oltrepassare-storie di passaggi tra Ponente Ligure e Provenza” e di altre opere, tra cui “Punti cardinali da capo Mortola a capo S. Ampelio”. Oggi ci racconta di Villefranche, La Turbie, Bordighera, Monaco e Dolceacqua. A modo suo: storie vere che sembrano un romanzo. Il privilegio di allontanarsi dall’oggi per leggerlo meglio.
1 - Di Villefrance cosa ci dici ?
Sapevo dell’esistenza di Villafranca grazie alla presenza del faro. I due fari che si accendevano ogni sera, e si vedevano da casa li chiamavamo di Antibes e Villafranca ma in realtà sono posizionati su Cap Ferrat e sulla Garoupe. Dietro al primo faro c’è la baia di Villafranca che in seguito ho scoperto sempre calma, come uno specchio. Una volta tenendo stretta una mano, ho provato a contare le barche in rada e mi sono fermato quando ho superato le cento.
Sulla costa, nella zona di Passable, c’era la base alleata durante la seconda guerra mondiale. Il comando era a Le Petit Rocher. Erano stati istituiti dei collegamenti col Gruppo Sbarchi di Vallecrosia per passare informazioni, materiali, e per il rientro di piloti e paracadutisti a fine missione nel nord Italia. A Montecarlo, all’ingresso del porto, avveniva il controllo e il filtro dell’Intelligence Service per poter proseguire. Fin da bambino ogni sera quando si accendevano i due fari con frequenze diverse, cercavo di sincronizzare l’alternanza dei loro lampi come fossero suoni flash flash flash flash flash flash.
[...]
Eraldo Mussa… sulle città di frontiera,L'Incontro, 6 giugno 2023

Pubblicazioni di Arturo Viale: Punti Cardinali, Edizioni Zem, 2022; La Merica...non c'era ancora, Edizioni Zem, 2020; Oltrepassare. Storie di passaggi tra Ponente Ligure e Provenza, Edizioni Zem, 2019; L'ombra di mio padre, 2017; ViteParallele, 2009; Quaranta e mezzo; Viaggi; Mezz'agosto; Storie&fandonie; Ho radici e ali.
Adriano Maini

L'attività della Squadra di azione patriottica di Vallecrosia-Bordighera fu indubbiamente una delle più ardite più pericolose...
I collegamenti con la montagna venivano mantenuti dai sapisti stessi; e quelli con Sanremo da Renzo [Stienca Rossi] e negli ultimi tempi dal giovanissimo studente Enrico Cauvin [di Vallecrosia].
All'inizio l'attività della SAP aveva carattere informativo, costituendo essa il SIM della zona e funzionando spesso di collegamento con le formazioni di montagna, stanziate nell'immediato retroterra.
Mario Mascia, L'Epopea dell'Esercito Scalzo, Ed. ALIS, Sanremo (IM), 1946, ristampa del 1975 a cura dell'Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia

Inoltre vennero comprate sei grosse barche a Vallecrosia per un valore di lire 22.0000 [...] necessarie per traghetti clandestini.
Francesco Biga, Storia della Resistenza Imperiese (I^ Zona Liguria), Vol. III. Da settembre a fine anno 1944, a cura Amministrazione Provinciale di Imperia e con patrocinio IsrecIm, Milanostampa Editore - Farigliano, 1977

A settembre 1944 insieme a Renzo Rossi partecipai all’incontro con Vitò [Giuseppe Vittorio Guglielmo, in quel momento comandante della V^ Brigata d'Assalto "Luigi  Nuvoloni" della II^ Divisione "Felice Cascione", da dicembre 1944 comandante della II^ Divisione "Felice Cascione"]. Ci accompagnò Confino, maresciallo dei Carabinieri che aveva aderito alla Resistenza. Vitò investì formalmente Renzo Rossi del compito di organizzare, per la nostra zona, il S.I.M. [Servizio Informazioni Militare] e la S.A.P.: io fui nominato suo agente e collaboratore.  
Renzo Biancheri, "Rensu u Longu", in Giuseppe Mac Fiorucci, Gruppo Sbarchi Vallecrosia,  ed. Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia - Comune di Vallecrosia (IM) - Provincia di Imperia - Associazione Culturale "Il Ponte" di Vallecrosia (IM), 2007 

Gruppo Sbarchi Vallecrosia, il gruppo più specializzato della SAP della zona di confine. Gruppo Sbarchi, una definizione la cui genesi non era più chiara agli stessi protagonisti che a distanza di decenni dagli eventi della Resistenza resero le loro testimonianze a Giuseppe Mac Fiorucci per la stesura dell'omonimo opuscolo (Gruppo Sbarchi Vallecrosia, ed. Istituto Storico della Resistenza e dell’Età Contemporanea di Imperia - Comune di Vallecrosia (IM) - Provincia di Imperia - Associazione Culturale “Il Ponte” di Vallecrosia (IM), 2007): furono interviste molto vivaci, che hanno gettato luce anche sugli aspetti più tecnici delle richiamate operazioni, ma che hanno inoltre tratteggiato le singole adesioni alla Resistenza e personali, precedenti trascorsi in montagna. Forse sono utili alcuni collegamenti, in ogni caso non esaustivi della materia. Una recente fatica di Sergio Favretto, "Partigiani del mare", pur nel suo puntuale svolgimento con inquadramento in accadimenti di portata più generale, è molto atta allo scopo. Per il giusto rilievo - supportato, tra l'altro, con la copia di una dichiarazione del comandante della I^ Zona Operativa Liguria, Nino Siccardi, "Curto" -, dedicato ai compiti specifici svolti da Renzo Rossi. È opportuno sottolineare che il Gruppo Sbarchi si fece già trovare pronto per la Missione Kahnemann, partita da Vallecrosia nella notte tra il 14 ed il 15 dicembre 1944, per cui sarebbe interessante indagare sulla preparazione ricevuta, ad oggi scarsamente attestata, se si escludono, forse, l'incarico dato a settembre 1944 da Vitò [Giuseppe Vittorio Guglielmo, che si firmava Ivano] allo stesso Renzo Rossi ed i viaggi oltre confine di Alberto Nino Guglielmi.[...] in questo contesto diversi furono gli attori (a titolo dimostrativo si citano adesso il sergente Bertelli ed i suoi bersaglieri e i fratelli Biancheri, martiri della Resistenza). E diverse furono le interazioni, non sempre positive, come per gli effetti a cascata ingenerati dall'agguato mortale compiuto ai danni del capitano Gino Punzi, in quanto dall'arresto del suo radiotelegrafista, costretto dai nazisti a trasmettere falsi messaggi all'OSS di Nizza, si pervenne, per vie traverse, anche al ferimento del comandante partigiano Stefano Leo Carabalona. In questo quadro, risulta opportuno fare un cenno anche ad altri passaggi clandestini in Francia, compiuti - non sempre via mare, in verità - da altri patrioti, specie di Ventimiglia, come fu il caso di Paolo Loi, qui menzionato. Adriano Maini  

Pietro Loi resta in territorio francese, opererà tra Carnoles e Mentone in qualità di addetto a radio libera; ritornerà [a Ventimiglia] saltuariamente via Grammondo, Grimaldi e la Mortola;  la sua missione è di trasmettere notizie militari, di portare in salvo altri perseguitati e, poiché i suoi genitori erano in pericolo, attendeva di portarli oltre confine.
don Nino Allaria Olivieri, Ventimiglia partigiana… in città, sui monti, nei lager 1943-1945, a cura del Comune di Ventimiglia, Tipolitografia Stalla, Albenga, 1999
 

mercoledì 5 luglio 2023

Binda ora scucchiaiava in un gavettino di castagne bollite

                                                                

Dintorni di Triora (IM). Foto: Alessandro Spataro

Monte Gerbonte (fotografia di Elisa Longinotti). Fonte: Elisa Longinotti, Op. cit. infra

Una mappa dei luoghi calviniani. Fonte: Elisa Longinotti, Op. cit. infra

                                                                                     Tappa 3
                                                                       Creppo - Monte Gerbonte
Alle nove e un quarto arrivò su Colla Bracca assieme alla luna, ai venti era già al bivio dei due alberi, per la mezza sarebbe stato alla fontana. In vista di San Faustino prima delle dieci, dieci e mezzo a Perallo, Creppo a mezzanotte, per l’una poteva essere da Vendetta in Castagna: dieci ore di strada a passo normale, sei ore a dir tanto per lui, Binda, la staffetta del primo battaglione, la più veloce staffetta della brigata (Paura sul sentiero in RR I, p. 246).
Binda ora scucchiaiava in un gavettino di castagne bollite, sputacchiando le pellicole rimaste appiccicate. […] Si incamminò. -Vado da Serpe, in Gerbonte, - disse.- Forza Binda,- gli dissero i compagni. Lui già svoltava dietro allo sperone di roccia, aveva perso di vista il casone, si lasciava alle spalle il dirupo nero di cespugli (Paura sul sentiero in RR I, p. 252).
- Al Culdistrega,- disse quello con i baffi neri, - così non c’è da scavare la fossa […].
Li condussero su per il sentiero di rocce, con le armi alle reni. Il Culdistrega era l’apertura d’una caverna verticale, un pozzo che scendeva nella pancia della montagna, giù giù, non si sapeva fin dove (Uno dei tre è ancora vivo in RR I, p. 273).
I tedeschi, con quattro o cinque cannoni e lanciabombe, tirano sulla parete superiore del costone diroccando case e casoni a San Faustino. Fu allora che cadde, ferito dalle scheggie, il garibaldino Petrin di Creppo. Le sorti della battaglia arridono ai nazisti: essi riescono a piazzare le mitragliatrici sul costone e a battare e isolare i nostri centri di fuoco. Alle nostre mitraglie non resta che ritirarsi (Le battaglie del comandante Erven, dal racconto di Italo Calvino in L’epopea dell’esercito scalzo, p. 237).
Attraverso la dettagliata descrizione del percorso che Binda fa in Paura sul sentiero, è possibile provare a ripercorrere il tragitto che la staffetta faceva per avvisare i vari distaccamenti dell’arrivo dei nemici. Quindi raggiunta colla Bracca sulla strada extraurbana che unisce San Giovanni dei Prati a Aigovo, passando attraverso i sentieri nel bosco da Perallo e Creppo, dopo dieci ore di strada si raggiunge un luogo chiamato Castagna in direzione di Realdo. Il tragitto prevedeva di attraversare il torrente Argentina all’altezza del vecchio ponte di Loreto (oggi identificato come il ponte di Mauta) che dista dieci minuti di cammino ripido verso valle, partendo da Loreto, piccolo borgo di case arroccate sull’argine sinistro del torrente Argentina, che è stato un crocevia strategico durante la guerra di liberazione delle forze partigiane contro i nazi-fascisti. Questo tragitto notturno di Binda unisce punti centrali della Valle Argentina che sono stati luoghi protagonisti delle battaglie partigiane. Gli abitanti di questi paesi, per lo più contadini: «hanno dimostrato nella guerra partigiana un entusiasmo, uno spirito combattivo, una solidarietà» tale da apportare un contributo profondo alle Brigate Garibaldine. Così spesso Calvino li nomina nei suoi scritti, come in Liguria magra e ossuta dove leggiamo: «da Castelvittorio <18 a Molini di Triora, da Agaggio a Badalucco, da Vignai a San Faustino che si distinsero nella lotta e nella sofferenza. La guerra di liberazione fu la prima guerra profondamente sentita dai contadini liguri» (S, p. 2365).
Oggi il percorso di Binda sarebbe difficile ma non impossibile. La rete sentieristica non garantisce un collegamento fra queste località che possono essere raggiunte invece in auto.
Scendendo lungo la SP 65 si arriva a Perallo e infine a Molini di Triora <19 e svoltare a sinistra raggiungendo Loreto. Prendere la SP 81 lasciando sulla sinistra il nuovo ponte di Loreto <20, fino a raggiungere Creppo <21. Questa località è ricca di grotte e una di queste, conosciuta come «Tana della Ciapella», o tana del tedesco, è stata identificata come il luogo in cui sono stati fucilati alcuni prigionieri tedeschi nonché il Culdistrega di Uno dei tre è ancora vivo. La fucilazione dei tre tedeschi del racconto gettati nudi nella grotta, ha trovato riscontro nella memoria collettiva degli abitanti di quella zona del ponente ligure che va da Triora a Realdo <22 (vedi cap. 2). L’episodio si colloca tra febbraio e marzo 1945 nelle vicinanze di Drondo, piccolo abitato di case dove i partigiani avevano una base e dove ancora oggi è presente questa grotta o semplicemente «buco» come veniva chiamato in quella zona, che presenta una lunga fenditura nella roccia, che precipita per parecchi metri aprendosi e formando un’ampia grotta. L’apertura è spesso nascosta dall’erba che la sovrasta.
[...]
                                                                                    Tappa 4
                                                            Passo della Guardia - Monte Pellegrino
Domani voi dovete tenere la cresta del Pellegrino dal pilone, fino alla seconda gola, mi intendi? Poi ci sarà da spostarsi verranno ordini. Tenere ben staccate le squadre e i nuclei: i mitragliatori coi serventi e i fucilieri che si possono spostare quando si ha bisogno. Tutti gli uomini devono andare in azione, nessuno escluso, nemmeno il furiere, nemmeno il cuoco (Il sentiero dei nidi di ragno in RR I, p. 102).
-Tedeschi giù da Briga, fascisti su dai Molini. Sgombrare. Per l’alba tutti in cresta al Pellegrino con le pesanti-. […] Poi s’alzò, battè le mani: -Sveglia voialtri, c’è da andare a picchiarsi (Paura sul sentiero in RR I, p. 252).
Il monte Pellegrino (1455 mt.) e i suoi dintorni furono teatro di guerre napoleoniche tra francesi e piemontesi, oltre ad essere un luogo di numerosi scontri e battaglie resistenziali tra il 1944-45. Il bosco, in questa zona è costituito soprattutto da pini e castagni che ne creano un’atmosfera magica e fantastica e che fanno da cornice a Binda in Paura sul sentiero. La staffetta infatti vede nemici in ogni cespuglio mentre corre per i vari distaccamenti della valle Argentina per informare i partigiani dell’imminente arrivo dei nemici. La conformazione del bosco aumenta l’illusione di essere inseguito dai tedeschi: «Scendeva per il bosco, adesso. […] C’era un tedesco per ogni cespuglio, un tedesco appollaiato in cima ad ogni albero, […] fucili s’alzavano tra i rami, le radici degli alberi finivano in piedi umani» (RR I, p. 250). Questo bosco magico diventa quindi, per Binda, ma anche per i partigiani che si nascondono lungo tutta la valle Argentina, natura sia matrigna che salvifica, creando angoscia e terrore ma ricoprendo, contemporaneamente, anche la funzione di rifugio.
Questa aurea di mistero aleggia anche nei paesi della valle. Uno fra tutti è Triora <23, conosciuto come luogo di streghe, dove nel 1587 si tenne la più grande caccia alle streghe che l’Italia ricordi: la città fu colpita da una pesante carestia e da condizioni meteorologiche impervie, così gli abitanti si convinsero che la colpa di queste sciagure fosse da imputare alle streghe che vivevano nascoste nel borgo. Furono così accusate di stregoneria una ventina di donne che vennero processate, torturate e molte infine bruciate.
Questo periodo storico è testimoniato da un museo dedicato alla stregoneria, dove sono ricostruite le torture e le vicende del periodo: Museo Regionale Etnografico e della stregoneria.
Le vicinanze con il fronte francese fece di Triora e dei comuni limitrofi, luogo ideale per presidi nemici, infatti dopo l’8 settembre 1943 fu occupata militarmente dai tedeschi che condussero un’aspra opera di repressione sul territorio con rastrellamenti contro le formazioni partigiane. Il paese divenne quindi teatro di guerra tra partigiani e tedeschi. Quest’ultimi misero in ginocchio il paese che il 5 luglio 1944 fu fatto saltare in aria col tritolo, uccidendo i cittadini che non riuscirono a mettersi in salvo nelle campagne circostanti <24.
[NOTE]
18 Castelvittorio è posizionato su un colle coperto di ulivi nella Val Nervia. In L’epopea dell’esercito scalzo, Italo Calvino racconta alcuni episodi dei castellesi, abitanti di Castelvittorio, durante la lotta di Liberazione che hanno fatto fuggire i tedeschi.
19 Il paese prende il nome dai ventitré mulini ad acqua che si trovavano lungo il torrente Argentina e il rio Capriolo. Si trova ai piedi dello sperone su cui sorge Triora, dalla quale dipese fino al 1903. Ippolito Edmondo Ferrario, Elisabetta Colombo, Triora. Il paese delle streghe, Frilli, Genova 2007, pp. 70-71.
20 Questo ponte oggi è uno tra i più alti ponti d’Europa: fu costruito nel 1959 (misura 112 metri ed è una struttura di cemento armato ad una sola campata di 119 metri) ed è purtroppo tristemente noto alle cronache per diversi casi di suicidio.
21 La frazione di Creppo si presenta come un ordinato e pittoresco insieme di case rustiche con una bella strada ciottolata che l’attraversa fino al sagrato della chiesa dedicata a Maria Vergine. Ippolito Edmondo Ferrario, Elisabetta Colombo, Triora. Il paese delle streghe, Frilli, Genova 2007, p. 67.
22 Loretta Marchi, Uno dei tre è ancora vivo. Un racconto di Italo Calvino tra letteratura e storia, in Bollettino di Villaregia. Studi e ricerche di storia arte letteratura del ponente ligure, XIII – XIV – XV (2002-2003-2004) NN. 13-14-15, pp. 175-182.
23 Il toponimo Triora deriva dal latino «tria ora», tre bocche, che gli storici hanno ricondotto alle tre bocche di Cerbero, il cane infernale, posto alla custodia del mondo dei morti, che campeggia sullo stemma comunale. Secondo un’altra leggenda le tre bocche apparterrebbero a quella di Tages, Pompeio e Cerio, tre legionari disertori che all’epoca della conquista romana si sarebbero nascosti nella zona vivendo di furti e rapine. Ancora le tre bocche rappresenterebbero i tre affluenti dell’Argentina stesso: il Capriolo, il Gerbonte e il Grugnardo. Ippolito Edmondo Ferrario, Elisabetta Colombo, Triora. Il paese delle streghe, cit., p. 18.
24 Triora. Il paese delle streghe, cit., pp. 23-26.

Elisa Longinotti, Calvino e i suoi luoghi, Tesi di laurea, Università degli Studi di Genova, Anno Accademico 2022-2023

fig 70d. Un’ulteriore vista sul territorio descritto in Paura sul sentiero. Fonte: Matteo Banal, Op. cit. infra

Grazie alla barra di ricerca del tool è stato possibile individuare il Monte Pellegrino (citato da Calvino sia all’interno di Paura sul sentiero sia ne Il sentiero dei nidi di ragno) riportato dall’autore come Pellegrino, il Passo della Mezzaluna, il Monte Gerbonte (Gerbonte nella narrazione), Castagna, Creppo, Molini di Triora, Perallo, Langàn (sia il colle che il monte sono nella medesima area), Monte Ceppo (Ceppo), Bajardo (riportato come Baiardo), Bévera (sia la frazione di Ventimiglia che l’omonimo torrente entrambi citati nel racconto La fame a Bévera), Val Bévera e Ventimiglia.
[...] Restringendo il campo alla zona del bosco di Realdo si trova il rio Corvo, che ha scavato le rocce circostanti dando vita a una gola. Se noi prendiamo la lingua d’oc, al quale ceppo linguistico appartiene la zona nei pressi di Triora, rocce si trascrive ròche che italianizzato potrebbe diventare il luogo ampiamente ricercato: Rocche del Corvo. Nella stessa zona è presente anche la Gola del Corvo (in francese Col du Corbeau) e la località non abitata indicata come Corvo. Purtroppo non si trovano indicazioni di alcun tipo per il Rovere del Fariseo e della Bicocca che pur dovendo restare nei pressi della zona non trovano alcuna corrispondenza geografica.
Matteo Banal, Sui sentieri dei nidi di ragno. Un’esplorazione visuale dello spazio geoletterario, Tesi di laurea, Politecnico di Milano, Anno Accademico 2018-2019