venerdì 29 marzo 2024

Mio papà gli dava 50 lire e lui metteva sul banco il giornale

Sanremo (IM): un angolo della città vecchia

La poesia di mio fratello, quella su quei due poveri e drammatici personaggi morti per droga [a Sanremo], è stata fatta tra la fine degli anni Cinquanta e l’inizio dei Sessanta. Uno dei due mio papà lo conosceva: era stato un croupier eccezionale (non è per niente facile fare quel mestiere, perché occorre una prontezza e una lucidità straordinaria nell’immediato), si era ammalato non so di che cosa e la morfina che gli somministravano in clinica lo aveva assuefatto.
Aveva ripreso a lavorare, ma ormai era “drogato”. I suoi colleghi di lavoro, che lo stimavano molto, avevano fatto una colletta per una cura disintossicante. Non so quali fossero allora i mezzi di cura, ma sicuramente se ne parlava in modo impressionante: il malato veniva rinchiuso in una stanza dove, prevedendo le sue crisi di astinenza, le pareti erano imbottite per attenuare il male che si poteva procurare sbattendo contro di esse. Uscito da questa terribile esperienza, ma abbandonato dalla famiglia (aveva moglie e figli), purtroppo non si riprese più. Viveva vendendo tutto quello che poteva racimolare. Al mattino presto veniva nella bottega di mio papà con un rotocalco un po’ stropicciato che prendeva chissà dove, mio papà gli dava 50 lire e lui metteva sul banco il giornale. Il rotocalco e lui erano spiegazzati allo stesso modo. Mio papà dovette sopportare per tutto il tempo che durò questo scambio le ironie dei negozianti vicini e, se ricordo bene, anche quelle di mia mamma.
La tragedia si concluse in tono minore: l’ex-croupier e un altro drogato (due barboni che, si fa per dire, avevano fatto sodalizio in quel deserto umano di sofferenza) furono trovati morti non so da chi nella stamberga che occupavano nella città vecchia (avevano venduto anche le grondaie della casa per racimolare qualcosa), riversi su un pagliericcio, già freddi e immersi in una morte che forse era stata l’unica loro amica. Quella fine orribile per solitudine, miseria, sofferenza, degrado e ipocrisia del mondo, fece molto effetto, anche se era stata annunciata da mesi, se non da anni. La droga era apparsa a tutta la città nel suo aspetto orribile di alienazione e di morte. In seguito sarebbe diventata piano piano uno spettacolo quasi normale nei vicoli degradati della città vecchia, dove si sopravviveva in qualche modo alla miseria, all’abbandono, al freddo dell’inverno, al male della vita per gli esclusi.
Nel sonetto mio fratello tratta e sintetizza delicatamente il dolore di quei poveri esseri umani, indifesi dal gelo, dall’indifferenza, dalla disumanità mettendolo a confronto con la sfrontatezza e la bestialità dello spacciatore, che può rientrare a testa alta nella società “perbene”, simboleggiata dalla città nuova.
Donatella d’Imporzano

Droga

I l’han truvai destéixi: atacà
int’u brassu a sanghéta che carpìu
a g’ha l’ ùrtimu sciau. In prève a Diu
u i racumanda de premùra…e u va.

Ina vejéta i òji gh’è andà a serà
e éli daa barèla i han dau l’adìu
au brùtu stàgiu ch’u g’ha fau da nìu
int’e stu cantu persu da sità.

Ciù sutùrnu u carùgiu u l’è staséira;
aa lùùxe incerta e sporca du fanà
in tissiu bèn vestìu u sta a gardà

cun in fa strafutente, daa ringhéira.
Pòi u scrola e spale, u assende a sigaréta
e u cara in giù, scivurandu in’ariéta…


Droga

Li hanno trovati distesi: attaccata
nel braccio la sanguisuga che preso
gli ha l’ultimo soffio di vita. Un prete a Dio
li raccomanda di premura…. e va.

Una vecchietta gli è andata a chiudere gli occhi
e loro dalla barella hanno dato l’addio
al brutto “staggio” che gli ha fatto da nido
in questo angolo dimenticato della città.

Più tetro è il carugio questa sera;
alla luce sporca e incerta del fanale
un tizio ben vestito sta a guardare

con un fare strafottente, dalla ringhiera.
Poi scrolla le spalle, accende la sigaretta
e se ne va in giù, fischiettando un motivetto.

Franco d’Imporzano

Chiara Salvini, Un sonetto del famoso poeta ligure..., Nel delirio non ero mai sola, 12 dicembre 2015 

mercoledì 27 marzo 2024

Silvana Maccario, Autoritratto, 2024

 


Lavoro di Silvana Maccario di Camporosso (IM)

Una piccola raccolta nasce così, da sola

 


 

NOTICINA INTRODUTTIVA

Una mattina, era per la precisione il 25 novembre 2022, alle ore 10 e 44 minuti antimeridiane, il Barry (nome con cui confidenzialmente viene talora chiamato Fabio Barricalla) mi scrive, attraverso le vie eteree delle comunicazioni cellulariche, una poesia del genere haikai:

Gocce sul prato
Bianco e nero su verde -
Giorno d'autunno

Io rispondo, alle ore 10 e 51 minuti:

Platano alto
verde contro l'azzurro -
Garibaldi Avenue

Mi trovavo in un bar, effettivamente sito in corso Garibaldi, a Sanremo, ed effettivamente c'era un platano che si stagliava contro il cielo azzurro, lì appresso. La cosa non aveva nulla di sorprendente, giacché il corso Garibaldi di Sanremo è tutto costellato di platani.
Assai più tardi, vale a dire alle ore 15 e 24 minuti, quindi in fascia postmeridiana, il Barry avrebbe replicato:

Quella donna e quel platano
Lungo la via deserta

e la storia é finita lì. Sennonchè, avendo pensato di mettere al corrente l'amica Silvana Maccario delle prime mosse di questa conversazione in versi fra il Barry e me, alle ore 10 e 59 minuti ricevevo, dalla Silvana Maccario medesima, questa poesia:

Perle di corniolo
nel giardino
per gli alati
che non hanno denari

E, alle ore 11 e 6 minuti, quest'altra:

Il caleidoscopio
si arabesca
solo se viene capovolto

La cosa aveva preso una piega imprevista. Di Silvana Maccario conoscevo la delicatezza e la giocosità di certe sue missive, conoscevo la dotta passione con cui lascia vivere un giardino di piante autoctone ed esotiche attorno a casa sua, conoscevo le immagini che crea - "collezionista effimera di colori", per designarla con una definizione da lei stessa coniata - fotografando le sue creature. Nulla sapevo di una sua arsversificatoria.
Su mia richiesta si ha, nei giorni successivi, qualche invio di poesie e di fotografie. Una piccola raccolta nasce così, da sola, in pochissimo tempo, quello impiegato per la crescita di un fungo nel bosco, o per l'aprirsi di un fiore.

Marco Innocenti

[...]


 

Lo sai che
certe foglie
prima di morire
si vestono a festa?
E che ci sono rose
che per non invecchiare
muoiono senza aprirsi?

La lespedeza
rovescia
cascate di gioia

Le plastiche sugli alberi
sostituiscono gli uccelli.
La civiltà impiccata

Atropo sfingide della notte
porta sulle ali
il vessillo della morte

In uno spazio angusto
un ragno con la preda
si è accasato

Cuscini d'erba
raccontano a grilli distratti
tragedie umane

Erba di mare
dalla prateria di sale
sulla rena
fa la fine di Loth



 

[...]

Silvana Maccario, Margini, Quaderno del circolo lepómene stampato a Sanremo, gennaio 2023

sabato 23 marzo 2024

Sul territorio imperiese l’80% dei comuni non presenta servizi educativi per la prima infanzia

Figura 23 - Copertura asili nido Imperia, La povertà educativa in Liguria, Openpolis. Fonte: Chiara La Manna, Op. cit. infra

La provincia di Imperia si colloca all'ultimo posto in Liguria per quanto riguarda l'ampiezza dell'offerta di servizi per l'infanzia destinati ai residenti.
Secondo i dati del 2019, nonostante la presenza di quasi 4mila residenti di età compresa tra 0 e 2 anni, il territorio mette a disposizione solamente 900 posti in servizi educativi per la prima infanzia, sia pubblici che privati. Ciò equivale a soli 23 posti ogni 100 bambini.
Tuttavia, il capoluogo, Imperia, si distingue positivamente superando nettamente la media provinciale e attestandosi leggermente al di sotto della soglia stabilita dall'Unione Europea. Qui, infatti, si contano 31,2 posti ogni 100 bambini.
Sanremo, il comune più popoloso della provincia, supera addirittura il target europeo, registrando un 33,4%.
Entrambi i territori, nonostante rappresentino le aree con la maggiore densità di residenti della provincia, superano la media con oltre 30 posti disponibili ogni 100 bambini.
La frattura critica, ancor più del caso di Genova, si evidenzia tra i comuni costieri e quelli dell'entroterra.
Nelle località marine, l'offerta di servizi si attesta comunque al di sopra del 27%, in linea con la media nazionale e superiore a quella provinciale.
Al contrario, nell’entroterra, tale offerta non supera il 5%. In altre parole, nei comuni dell'entroterra, circa il 16% della popolazione è composto da bambini sotto i 3 anni della provincia, ma i posti autorizzati sono solo il 3%; ciò significa che al 13% dei bambini al di sotto dei tre anni, residenti nell’entroterra imperiese, viene negata la possibilità di frequentare un asilo nido.
Nei comuni costieri, risiede l'84% dei minori imperiesi, ma il 97% dei posti totali è concentrato in queste zone.
Pieve di Teco, con circa 38 posti ogni 100 bambini, si distingue come l'unico comune non costiero con un'offerta significativa di servizi per la prima infanzia.
Dopo Sanremo e la città capoluogo, gli altri centri abitati più densamente popolati presentano un'offerta che si colloca al 20% o al di sotto di questa percentuale. Tra questi, possiamo menzionare Ventimiglia (posizionata al terzo posto per numero di residenti, con 16,4 posti ogni 100 bambini), Taggia (con il 17,3%), Bordighera (con il 20%) e Vallecrosia (con il 18%).
Di seguito verrà riportata la tabella con i dati relativi ai servizi per la prima infanzia nei diversi comuni che fanno parte della provincia di Imperia.
 





Fonte: Chiara La Manna, Op. cit. infra

Dei 66 comuni che fanno parte della provincia di Imperia:
- 53 comuni non hanno servizi o posti attivi (colore giallo);
- 4 comuni non raggiugono la media nazionale del 26,9% (Colore rosso);
- 1 comune supera la media nazionale ma non raggiunge quella europea
(33%) (Colore azzurro);
- 8 comuni superano la media europea del 33% (colore verde).
Analizzando i dati riportati nella tabella sovrastante, notiamo come dei 66 comuni presenti sul territorio imperiese l’80% dei comuni non presenta servizi educativi per la prima infanzia, mentre solamente il 12,1% dei comuni supera la media europea fissata al 33%.
Chiara La Manna, I rischi della povertà educativa. L’analisi del caso Ligure, Tesi di laurea, Università degli Studi di Genova - Scuola di Scienze Sociali, Anno Accademico 2022-2023

lunedì 18 marzo 2024

All'albergo Savoia di San Remo allestito da ospedale da campo ebbe inizio la selezione e le camionette dell'OVRA incominciarono ad avviare alle patrie galere i compagni

Sanremo (IM): l'ex Albergo Savoia

Mi chiamò il commissario il quale mi disse che gli era diventato impossibile aiutarmi anche minimamente e che era perciò indispensabile che io lasciassi la mia famiglia e l'Italia per recarmi in Francia. Si sarebbe interessato lui per farmi ottenere il passaporto e l'unico mezzo per ottenerlo era quello di portare come scusa che mi recavo in Francia per acquistare del terreno. Giunsi così a Nizza dove trovai ospitalità presso alcuni parenti di mia cognata. La famiglia era composta solo da due coniugi. Il marito era occupato presso il mercato della frutta ed io per i primi giorni lo andavo ad aiutare ma la mia aspirazione era quella di trovare un vero lavoro. Una sera sentimmo bussare e rimase felicemente sorpreso quando vidi entrare il compagno Bosco. Anche lui cercava lavoro ma lo trovò quasi subito, grazie ad un conoscente impiegato nel Principato di Monaco. Finalmente capitai anch'io su un'anima buona e il 25 aprile del 1923 fui assunto presso una ditta di riparazioni ferroviarie e tranviarie.
I primi giorni di lavoro furono terribili per me, ero circondato da un'aria ostile e nemica che non mi sapevo spiegare. Arrivato al punto di non poterne più, mi rivolsi al capo officina il quale per tutta risposta mi disse di rivolgermi ad un operaio che aveva un occhio solo il quale me lo avrebbe spiegato. Parlai con quell'uomo e la spiegazione fu che noi italiani eravamo tutti fascisti e che per noi non c'era posto in Francia. Quando però gli spiegai che il motivo del mio esilio era proprio perché ero antifascista, allora tutto cambiò, mi fissò un appuntamento per quella sera stessa fuori dalla fabbrica per recarci insieme alla Camera del Lavoro.
Qui il mio accompagnatore mi fece fare la tessera, poi mi fissò un altro appuntamento in piazza Garibaldi per le ore 21, dove mi avrebbe fatto conoscere dei compagni del PCF.
Quel giorno segnò l'inizio di una salda amicizia fra me ed i miei compagni di lavoro.
... Frattanto non perdevamo tempo ed organizzavamo frequenti manifestazioni antifasciste a Nizza, Beausoleil e Cannes. A Beausoleil i fascisti tentarono l'inaugurazione del gagliardetto, ma non fu loro possibile, anzi furono costretti dal popolo e dagli antifascisti italiani a fuggire.
Finalmente dopo tanti sacrifici fu possibile farmi raggiungere da mia moglie e da mia figlia, e ci sistemammo alla meglio in una stanza d'affitto, ammobiliata con un letto, un tavolo e due sedie, presso un ferroviere. Ma nel mese di giugno del '24, dopo l'assassinio di Matteotti, subii il primo arresto con altri compagni. Fummo però liberati dopo quattro ore per merito di altri compagni francesi che rifiutarono di lasciare il carcere senza di noi. Alla fine di novembre fui di nuovo arrestato, poi condotto alla frontiera e consegnato ai fascisti di Ventimiglia.
Lorenzo Pagliasso
Arrestato a Nizza all'inizio del '36 per delazione dell'agente provocatore Michele Lombardi la polizia francese mi aveva dato tre giorni di tempo per andarmene dalla Francia. Del mio caso si interessò la Lega dei diritti dell'uomo, ma non riuscì di ottenere il permesso di soggiorno. Arrestato fui condannato ad un mese di carcere. Con la vittoria del fronte popolare nel '36 ottenni finalmente il riconoscimento di rifugiato politico. Nel '39 mi arrestarono nuovamente e mi condannarono a sei mesi di carcere. Uscito di prigione, come al solito avevo tre giorni per lasciare il territorio francese. Sempre grazie alla Lega dei diritti dell'uomo ebbi un foglio, da rinnovare ogni mese, che mi autorizzava a rimanere.
Ciò avvenne due o tre volte, poi non me lo rinnovarono più. Il 16 novembre del '39 un commissario di polizia venne a prelevarmi. Andai in carcere in taxi in luogo del "panier à salade" che avendo fatto il giro a prendere tutti gli altri (una trentina di antifascisti di nazionalità diverse) era pieno zeppo. Dopo alcuni giorni fui avviato al famoso campo di concentramento di Vernet d'Ariège. Inizialmente non stavamo male come vitto. Poi con l'invasione del nord della Francia ebbe inizio la riduzione della razione, poi miseria e fame.
Il 10 maggio del 1941 la commissione italiana di armistizio ci venne a prelevare, fummo portati in Italia, rinchiusi in un primo tempo nel carcere di Ventimiglia e dopo un mese circa ognuno fu trasferito nel suo capoluogo di provincia. Io al carcere "Leutrum" di Cuneo.
Chiamato di fronte alla commissione per il confino di polizia dopo due mesi di carcere, mi condannarono ad un anno di confino a Ventotene.
Giuseppe Gilio
Nel luglio del 1931 un giornale svizzero in lingua tedesca pubblicava una foto con relativa didascalia di due fascisti bolognesi che avrebbero dovuto partecipare ad una gara di nuoto nella piscina dell'Eglisée sotto gli auspici del locale consolato fascista e del fascio di Basilea. In una riunione dell'Alleanza Antifascista si era discusso della cosa e si era deciso che gli appartenenti alla sezione dovevano ammassarsi all'ingresso e penetrarvi soltanto dopo che io per primo ne avessi varcato l'ingresso. Il gruppo avrebbe dovuto portarsi dietro le autorità.
Ad un mio segnale, che avrei dovuto fare stando dall'altro lato della piscina, le autorità, sospinte decisamente da dietro, avrebbero dovuto capitombolare nella vasca. Senonché più che il pregustato piacere per la beffa poté il prurito alle mani di tre antifascisti: un anarchico e due comunisti. Venendo meno agli accordi presi, prima che io arrivassi, caricarono con tutta decisione le "autorità" menando botte da orbi e facendo strage di "cimici".
Quando, all'ora stabilita giunsi all'Eglisée, me li vidi comparire in cima allo scalone con le manette ai polsi e attorniati dai gendarmi svizzeri. Impulsivo, quasi quanto loro, raggiunsi lo scalone e improvvisai un comizio. Il comizio durò poco: quattro gendarmi mi impacchettarono e ci portarono alla gendarmeria. Al posto di polizia, per prima formalità, esame delle identità da parte del commissario che mi contestò di "aver preso contatto" con la polizia di Basilea altre due volte: una prima volta il 28 settembre 1930 alla stazione di Basilea per aver arringato emigrati italiani causando la congestione del traffico e per aver preso per il bavero il vice-console italiano con il quale ero venuto a diverbio; una seconda volta per aver strappato la "cimice" ad uno studente universitario.
Nel 1934, proveniente dalla Svizzera dalla quale ero stato espulso per la mia attività antifascista, mi ero trasferito a Nizza Marittima per continuare la lotta. ... Con Tortora andavo a notte fatta sulla spianata del "Casinò de la fétée" dove erano sempre parcheggiate numerose e lussuose macchine italiane i cui proprietari giocavano, guadagnavano o perdevano e rientravano in Italia la notte stessa. Nelle connessure delle macchine incustodite, nei fusi delle ruote di scorta, in tutte le parti della carrozzeria suscettibili di ricettare manifestini, Tortora introduceva materiale di "Giustizia e Libertà", io materiale comunista. Ma un bel gioco dura poco.
Fu così che venne organizzato il lancio di manifestini antifascisti in Italia a mezzo di palloncini liberati in Francia. Venne presa in affitto una baita in prossimità della frontiera. Al proprietario venne fatto credere che doveva servire per la caccia. Parecchie grosse bombole di idrogeno, scatoloni pieni di palloncini di gomma sgonfi, fatti venire direttamente da Parigi, manifestini di propaganda della carta leggerissima e con stampa a caratteri piccoli ma chiari, furono trasportati con un furgoncino fin quasi al nostro quartier generale. Quando i palloncini sonda indicavano che il vento spirava abbastanza forte in direzione dell'Italia liberavamo numerosi palloncini gonfi di idrogeno e gravidi di volantini. Ignari della sorte che li attendeva auguravamo loro fervidamente buon viaggio e buon lavoro.
Carlo Bava
Avevamo allestito (nel campo di prigionia in Francia) il "salon" da barbiere che ci serviva da recapito per tenere i contatti e al mattino i più giovani facevano un po' di ginnastica per evitare l'abbrutimento. La precauzione era stata presa dagli anziani che pensavano già a come istituire un corso di economia politica. Per dare meno nell'occhio fecero arrivare alcune copie di grammatica francese ed i quaderni necessari. Il francese fu effettivamente studiato ma l'obiettivo più importante rimase la preparazione teorico-politica dei compagni che vi parteciparono. Gli anziani Contin, Alberganti, Benetti che avevano ben assimilato i libri di testo tenevano le lezioni. I componenti dei vari gruppi dopo aver preso appunti si riunivano e tornavano alla lezione seguente relazionando su ciò che avevano imparato. Seguiva la discussione. Frequentava il corso anche un sardo di 52 anni, zolfataro, che non sapeva nè leggere nè scrivere. Egli con una tenacia formidabile e con l'aiuto del collettivo (...) dopo cinquanta giorni scrisse la sua prima lettera alla moglie precisandole che le scriveva "di sua mano". Un particolare che mi riguardava personalmente: dopo pochi mesi di frequenza del corso mi chiesi come avevo osato tenere nel Vars decine di comizi, ignorante com'ero delle cose che stavo imparando.
Il 28 maggio 1940 fummo trasferiti nel campo di concentramento di Vernet d'Ariège per far posto ai fascisti che venivano rinchiusi sette mesi ed otto giorni dopo di noi (...).
Il 20 giugno Mussolini aggredì la Francia e l'annuncio venne dato via radio dagli altoparlanti installati nel campo dove eravamo stati radunati negli spiazzi (...) noi ascoltammo i comunicati senza battere ciglio (...) ognuno di noi, più che essere preoccupato per sè lo era per i compagni dirigenti più conosciuti e presi di mira.
Anche in questa situazione il partito ebbe la sua grande funzione dirigente. Le riunioni si facevano passeggiando in due o tre, un anziano ed uno o due giovani. Si decise che i compagni mai condannati (in Italia) dovevano tornare in Italia per fare propaganda contro il fascismo e la guerra, perché al campo la prospettiva era di essere deportati in Germania.
Venendo in Italia vi era però la via crucis della galera, il confino oppure nella migliore delle ipotesi il servizio militare in tempo di guerra e la prima linea. Mario Montagnana, che mi preparava al lavoro clandestino, alle mie preoccupazioni rispose che in guerra non tutti muoiono e quale pacchia può essere per un comunista trovarsi in mezzo a dei giovani avidi di sapere che non avevano mai sentito altro che la propaganda fascista. A Mario Montagnana piaceva il mio modo di raccontare barzellette antifasciste, di dire le cose scherzando o a doppio senso.
Questo modo di esprimere certe verità - mi aveva detto - in Italia può costare anni di galera: tu dovrai usare la verità come i medici usano il veleno in certi rimedi, se è adoperato in giusta misura il paziente guarisce se si esagera muore. Con questa differenza - aveva proseguito - che nel tuo caso se sbagli dose anziché il paziente muore il medico, e cioè tu andrai in galera o ti fucileranno ed il Partito perderà un attivista. Ebbi modo di constatare quanto fossero giuste le sue previsioni (...). Il 19 luglio partimmo in ottocento (non tutti erano compagni) in vagoni bestiame (...) dopo ventuno ore di viaggio giungemmo a Nizza occupata dai fascisti.
Costoro (...) sembravano i padroni del mondo. Ci fecero distribuire, a nome del duce naturalmente, un panino ed un quartino di vino. Poi fummo trasportati in carcere a Mentone e qui un alto ufficiale, mani sui fianchi, manco a dirlo ci chiese se qualcuno avesse a lamentare maltrattamenti subiti in campo di concentramento (...). All'albergo Savoia di San Remo allestito da ospedale da campo ebbe inizio la selezione e le camionette dell'OVRA incominciarono ad avviare alle patrie galere i compagni che erano stati segnalati.
Giuseppe Gastaldi
(a cura di) Giuseppe Biancani, Comunisti del Cuneese. Per una storia del movimento operaio della provincia di Cuneo, Cipec, quaderno n. 10

mercoledì 13 marzo 2024

Mestamente prese la via della passerella

                                                     

Ventimiglia (IM): la passerella sul Roia in oggi in gran parte distrutta da una recente piena del fiume e, pertanto, inagibile

                                                                  seguito di questo articolo


L'astio con Luigi si era ancor più accentuato qualche tempo prima, quando il giovane era stato selezionato dall'allenatore di calcio della Ventimigliese per andare a fare un provino nel nuovo campo sportivo di Peglia [zona di Ventimiglia tra il ponte della ferrovia ed il fiume Roia] onde valutare la possibilità di un suo inserimento nelle squadre giovanili.
Il novello "Gigi Riva" non aveva trovato di meglio che andare ad allenarsi per l'evento nel cortile dell'officina e subito erano iniziate le lamentele del pensionato, il quale non ricevendo considerazione dallo "screanzato capellone", si era prontamente recato nel negozio del nonno ad esternare le sue vigorose proteste. L'anziano avo non attendeva altro per prendersi una rivincita sul rinomato attaccabrighe e dopo averlo ben fatto sfogare a suon di colorite frasi, aveva prontamente troncato la discussione: alzando lo sguardo da sotto gli occhiali, con un'occhiata commiserevole, l'aveva zittito dicendogli «... E vui sé couscì scignuru che a st'ura de dopu de sdernà ve ne andè a dorme?... In scangiu de fave mantegni a descrocu da chela santa dona de vustra muiè... andè a travaglià cume fasu mi... vieré che nisciun ve darà de fastidiu [... E lei è così signore che a quest'ora di dopopranzo se ne va a dormire?... Invece di farsi mantenere a scrocco da quella santa donna di sua moglie... vada a lavorare come faccio io... vedrà che nessuno le darà fastidio]».
Luigi, indispettito dalla presenza dell'anziano, sostenendone lo sguardo prontamente gli rispose «Sto studiando il moto dei massimi sistemi».
«Come il moto dei massimi sistemi? - replicò dubbioso l'attaccabrighe - mi sembra che invece stai piantando un chiodo!».
«Se lo vede da solo perché me lo chiede?».
«... E perché pianti un chiodo?».
«Perchè avevo in testa il chiodo di piantare un chiodo e l'ho piantato!».
«... Ma non si può!».
«Come non si può... e chi lo dice?».
«Lo dico io».
«E che autorità ha lei per dire così? Non è mica il sindaco!».
«O bella e che c'entra il sindaco... Il muro non è mica tuo!».
«Ma neanche suo... non sa che l'arredo urbano appartiene alla città e di conseguenza a tutti i cittadini... quindi è un po' anche mio».
«Che storie sono queste... non possiamo tutti fare quello che vogliamo fare... altrimenti... ».
«Altrimenti cosa? Non sa che c'è la libertà?... È dalla rivoluzione francese che se ne parla».
«Ma che rivoluzione francese del piffero... se tutti facessero così ci sarebbe l'anarchia!».
«A parte che se ci fosse l'anarchia non sarebbe neanche poi tanto male... e la rivoluzione culturale dove la mette?».
«La rivoluzione culturale... fa bene Pasolini a dire che voi giovani non siete altro che dei piccoli borghesi... senza cognizione del vero senso del proletariato!».
«Pasolini non è altro che un socialimperialista! Si legga Marcuse e lasci in pace chi sta lavorando per dare alla città un'opera d'arte. Proprio lei, che non ha mai lavorato, mi viene a parlare di proletariato... Non c'è più limite alla degenerazione della nostra civiltà».
Punto sul vivo Michele decise di abbandonare la contesa, allontanandosi fra mille borbottii e Luigi si approntò a terminare l'opera con ancora più vigore.
Il chiodo aveva raggiunto il giusto punto di penetrazione e faceva la sua bella figura al centro del muro proiettando l'ombra sulla nivea parete.
Il giovane contestatore era soddisfatto del suo capolavoro e col carboncino si stava accingendo a firmare l'opera d'arte, quando all'improvviso ricomparve Michele. Nelle mani stringeva una grossa tenaglia e senza proferire parola alcuna, avvicinatosi al chiodo, con un vigoroso colpo, dopo averlo preso nella morsa dell'attrezzo, lo "arrancò" [strappò] via dalla parete.
Luigi esterrefatto rimase un attimo senza parole, quindi, livido in volto per la rabbia apostrofò rudemente il pensionato «Cosa sta facendo?».
Con un sorriso beffardo Michele prontamente replicò al giovane «Sto studiando il moto dei massimi sistemi».
«Ma che massimi sistemi e massimi sistemi! Ha "arrancato" il chiodo».
«Se lo hai visto perché me lo chiedi?».
«... E perché lo ha "arrancato"?».
«Avevo in testa il chiodo di "arrancare" un chiodo e l'ho "arrancato"!».
«Ma non lo poteva fare!».
«Perché non avrei potuto... e chi lo dice?».
«Lo dico io!».
«E che autorità hai per dire così? Non sei mica il sindaco!».
«Ma che sindaco e sindaco... il muro non è mica suo!».
«Ma neanche tuo... L'hai detto tu che l'arredo urbano appartiene alla città e di conseguenza a tutti i cittadini... quindi è un po' anche mio».
«Che storie sono queste... non può mica fare tutto quello che vuole a suo piacimento...».
«Come non posso! L'hai detto tu che esiste la libertà e che è sin dalla rivoluzione francese che se parla!».
«Si diverta pure a parlare con le mie parole... ora tirerà in ballo anche la rivoluzione culturale... ma il chiodo era il mio».
«Come il tuo... vedi che aveva ragione Pasolini... ora veramente dimostri di essere soltanto un piccolo borghese che difende la proprietà privata».
Luigi a questo punto preferì troncare la discussione: con un personaggio del genere, per il momento ritenne meglio lasciare perdere... nel laboratorio del nonno c'era almeno un centinaio di chiodi altrettanto grossi e solidi, non aveva che l'imbarazzo della scelta. Mestamente prese la via della passerella [sul fiume Roia, vicino alla foce, in Ventimiglia] per ritornare a casa borbottando fra sé e sé: «Ci mancava pure che anche Pasolini "ci mettesse il becco" sulla contestazione giovanile: grazie a lui, ora anche uno come Michele, che non ha mai fatto nulla in vita sua, si sente autorizzato, in nome del proletariato, a parlare contro i giovani contestatori, che come me cercano di dare al mondo un domani migliore».
Gaspare Caramello, A Foura du Bestentu. Racconti e Novelle della Ventimiglia di oggi e di ieri, Alzani, 2006, pp. 74-76

mercoledì 6 marzo 2024

Il borgo della Foce si presenta oggi urbanisticamente compatto


Nel 1818, Oneglia insieme a Sanremo e Nizza divenne capoluogo di provincia della Divisione di Nizza mentre Porto Maurizio fu scelto come Capoluogo del Mandamento.
Nel 1887, il centro storico fu danneggiato dal tremendo terremoto del 23 febbraio, che causa ingenti danni in tutto l'entroterra e rase al suolo anche la vicina cittadina di Diano Marina e il paese di Bussana. L'espansione sia di Porto Maurizio che di Oneglia aveva dall'unificazione italiana aperto un dibattito sulla unificazione delle due città, che si protrasse per anni fra proposte rifiutate da una e dall'altra parte, fino ad arrivare, nel 1923, all'unificazione effettiva per regio decreto.
Il Borgo della Foce tra '600 e '700
La Foce è un antico e suggestivo borgo di pescatori di Porto Maurizio e prende il nome dalla foce del torrente Caramagna, intorno alla quale sorgono le case. L'antico "arco di Sant'Anna" che sorgeva a fianco di una chiesetta coprendone l'ingresso, oggi in disuso ma ancora visibile, era munito di possenti battenti che rendevano sicuro il borgo dalle incursioni via mare. La presenza della chiesetta è documentata dal secolo XV come oratorio di San Nicherosio ed era sede del Consolato dei marinai. Il 15 luglio 1537, un gruppo di saraceni sbarcati nottetempo presso i tre scogli, nella zona oggi detta le Ratteghe, penetrarono nell'oratorio catturando e poi uccidendo le due guardie che ivi si erano assopite durante il loro turno di veglia: Aloise Bruno ed Etolo Aicardi <15. Tali cognomi ancora oggi sono tipici del Borgo della Foce. Oltrepassato l'arco di Sant'Anna si entra in un nucleo che subì trasformazioni nel Seicento e nel Settecento. Le case più antiche, risalenti al XV e XVI secolo, sono le più basse e adiacenti l'antico arco; in origine avevano finestre con grate in ferro che guardavano verso le abitazioni dell'attuale via De Tommaso, poi murate dalle costruzioni realizzate in aderenza ai primi nuclei abitativi. Alcune di queste antiche abitazioni, realizzate con massi, malta e pietre di mare, erano dotate di cisterne per la raccolta dell'olio e dell'acqua piovana e avevano finestre ad arco, contrariamente a quelle più recenti e settecentesche riscontrabili nel palazzo Berio, sito in via De Tommaso (palazzo affrescato dai pittori liguri come Francesco Carrega, che operarono nel XVIII secolo) e nel palazzo Lavagna, che ospitò anche Napoleone Bonaparte in attesa della prima campagna d'Italia.
Nei secoli scorsi non esistevano né l'attuale molo frangiflutti né il lungomare a riparare dal mare le case: come in tutti gli altri borghi liguri costruiti in riva al mare, queste davano direttamente accesso sulla spiaggia, dove normalmente erano tirate in secca le barche da pesca. La mancanza di ripari implicava anche che il mare dovesse essere calmo perché le navi potessero avvicinarsi a riva e poteva anche capitare che si dovesse attendere per giorni in rada prima che si presentasse un momento favorevole alle operazioni di carico.
Il borgo della Foce si presenta oggi urbanisticamente compatto, abbarbicato ad una sottile striscia di terra, al di sotto degli scoscesi pendii occidentali del promontorio portorino, ma in passato il centro abitato si trovava diviso in due blocchi di edifici, obliquamente attraversati da un lungo e stretto carruggio che aveva sbocco direttamente sul litorale antistante il borgo. Ad occidente trovava il suo limite presso una zona ortiva a ponente delle sponde del
torrente Caramagna e, dal lato del borgo, dalla cappella di San Niccolò di Bari. Procedendo verso ovest si incontrava lo sbocco a mare del torrente, che durante i diversi regimi di portata a cui era soggetto durante le variazioni stagionali, turbava la vita degli abitanti sia con piene ed esondazioni, sia con periodi di secca che causavano la formazione di acquitrini, dove proliferavano nugoli di zanzare e l'insorgere di febbri malariche. Inoltre nel corso d'acqua era solito che venissero scaricati i residui delle lavorazioni dei numerosi frantoi e delle fabbriche di sapone che contribuivano a rendere le immediate vicinanze della foce particolarmente maleodoranti e insalubri. La spiaggia della Foce si estendeva da una punta rocciosa detta Ciappa, sino ai Cappuccini - convento e chiesa collocati sul pendio tra la foce del Caramagna e del Prino, cui si è già accennato - era continuamente esposta all'azione erosiva delle correnti e delle mareggiate che puntualmente spazzavano la spiaggia sino alle case, ma che grazie ai naturali depositi delle stesse correnti veniva presto ricostruita. Nonostante un ruscello che scorre presso i Cappuccini non permettesse la costruzione di un vero e proprio porto, lo scalo marittimo della Foce vide per tutto il '700 un traffico di velieri e bastimenti di notevoli dimensioni maggiore rispetto al porto della Marina, borgata ai piedi orientali del promontorio, poiché in questa zona potevano avvicinarsi maggiormente alla costa per effettuare le operazioni di carico e scarico ma anche perché spesso costituiva un valido riparo dalle tempeste.
[...] In luogo sopraelevato, alle spalle del Borgo della Foce, si trova un interessante Santuario dedicato alla Santa Croce, un gioiello di arte e architettura alle porte della città. Il Santuario è un complesso architettonico singolare per la zona: una chiesa barocca cinta da due ali di convento settecentesco eretta sulla collina a ponente di Porto Maurizio denominata monte Calvario, già noto come monte Gagliardone. Il complesso non presenta la tradizionale pianta rettangolare con chiostro interno e chiesa, ma si presenta come un blocco compatto il cui spazio aperto è costituito non dal classico chiostro, ma da un vasto piazzale antistante la facciata principale dell’edificio sacro, esposta a sud, verso il mare.
[...] Trasformazioni recenti ed edilizia urbana
Dalla Spianata è possibile percorrere con facilità la passeggiata pedonale, che a picco sulla costa e sul mare conduce alle spiagge attrezzate del borgo Marina. Il sentiero attraversa cespugli di macchia mediterranea, intervallati da panchine per la sosta su alcuni spazi creati apposta per fruire del panorama. Questa passeggiata risale agli Anni Settanta; in precedenza, dal Corso Garibaldi, detto localmente il Bulevàr al mare non c'era altro che la ripida scogliera detta delle Ràtteghe o Bundàsci. Prima ancora, dalle case di Porto Maurizio, in alto sul promontorio, fino al mare c'era solo qualche orto, tra cui quello delle monache di clausura di Santa Chiara che è visibile ancora oggi, racchiuso da alte mura, sotto le logge del monastero omonimo.
Nel 2014 l’intera area è stata magistralmente riqualificata e resa quasi completamente pedonale, valorizzando ulteriormente questa zona così suggestiva. La bellezza particolare del Borgo della Foce ha richiamato nel tempo l’attenzione di
numerosi artisti e ha fatto da sfondo ad alcuni set cinematografici.
Ad est della piccola spianata intitolata al pittore Luigi Varese (Porto Maurizio 1825 - 1889) <22, che proprio qui a fine Ottocento risiedeva e realizzava le sue opere, inizia la stupenda passeggiata dedicata a Domenico Moriani, giovane partigiano nato alla Foce e trucidato dai nazisti nell’ottobre del 1944.
Sebbene la pendenza non sia irrilevante, la passeggiata, che consente di raggiungere il vicino Borgo Marina, è percorribile con estrema facilità, in particolare dopo i recenti lavori di riqualificazione. Il percorso, di circa 10 minuti, si sviluppa a picco sul mare in mezzo a tipici cespugli della macchia mediterranea che inebriano i sensi con i loro caratteristici aromi. Vi sono inoltre alcune panchine e spazi creati appositamente per poter gustare al meglio il panorama mozzafiato. Proprio in ragione della sua bellezza romantica, la passeggiata è detta "degli Innamorati".
[NOTE]
5 Gianni De Moro, Porto Maurizio in età rinascimentale (1499-1542), Circolo Parasio, Imperia 1989, p. 249.
22 Allievo di F. Coghetti all'Accademia romana di San Luca, collaborò con il maestro alla decorazione del duomo di Savona. Interessato alle nuove esperienze artistiche, venne a contatto a Milano con G. Bertini e i fratelli Induno, a Firenze con D. Morelli e S. Ussi. Nella pittura di paesaggio, agli inizi adottò modi di tradizione classica con soggetti composti in studio; successivamente alternò una pittura di paese più immediata, spesso all'acquerello, a soggetti di genere di vena e temi risorgimentali. Cfr. Nerino Mariangeli, Imperiesi nella storia, A. Dominici Editore, Conegliano 1979, pp. 211-214; Gianna Piantoni, Luigi Varese «romano» tra Accademia e vedutismo, in «I colori dell'ottocento tra Riviera e Côte d'Azur. La visione e l'immagine nell'opera di Luigi Varese (1825-1889)», Tipografia F.lli Stalla, Albenga 1992, pp. 11-13.
Giacomo Tambone, Borgo Foce a Porto Maurizio: una ricostruzione storica intorno alla cappella di San Francesco da Paola, Tesi di Laurea, Università degli Studi di Genova, Anno Accademico 2018-2019