martedì 29 novembre 2022

Arrivo a Bordighera e voglio approfittarne per vedere qualche albero in questa città

Bordighera (IM): uno scorcio del Lungomare Argentina in una fotografia d'epoca

Gorbio è un borgo medievale meravigliosamente conservato con i viottoli in acciottolato antico, i suggestivi portali ad arco a sesto acuto e all'apice della rocca il Castello dei Conti Lascaris di Ventimiglia.
È l'ora del ritorno. Scendo a Menton. Percorro il lungomare e mi colpisce un fico magnolioide nel 'Jardin Elisée Reclus". Mi fermo per osservarlo: le radici si espandono nel parco come tentacoli. È maestoso, dalla chioma ampia che abbraccia il giardino, proseguendo mi accorgo che ce ne sono altri altrettanto maestosi.
Riprendo il viaggio: arrivo a Bordighera e voglio approfittarne per vedere qualche albero in questa città famosa per i giardini. Mi fermo davanti ad un fico imponente. Si avvicina una signora alla quale chiedo di una magnolioide che avrebbe avvolto un muro con le radici tentacolari. Lei è Rita e mi invita a visitare il lungomare Argentina dove esiste un complesso di alberature di araucarie. È una poetessa di origini belghe; si offre di accompagnarmi a vedere il lungomare raccontandomi che tra tutti gli alberi se ne distingue uno colpito da un bombardamento durante la seconda guerra ma che si è ripreso ed è il più rigoglioso. Rita mi dice dobbiamo imparare a resistere come gli alberi. Nella vita si incontrano momenti di difficoltà, di sconfitta, di caduta, dobbiamo resistere e rialzarci e continuare a camminare, come questo albero colpito. Abbiamo passato in rassegna tutte le Araucarie del viale: ci salutiamo. Torno indietro e mi fermo al bar ... e siedo nel dehor sotto l'albero che dicevo. Lo osservo e scatto qualche foto. Arriva il titolare che mi pare un tipo un po' burbero, sono tentato di chiedere se sa qualcosa della pianta, ma rinuncio, ordino solo il drink. Al momento del conto lo anticipo e domando se ha informazioni. Mi sorprende! Non si tira indietro mi racconta che le araucarie sono state piantate all'inizio del 900. Anche lui conferma che quella nel suo dehor è la più bella. Non sa nulla del bombardamento.
"In estate i ragazzi si contendono le sedute qui sotto - dice A. - perché si gode di una ineguagliabile frescura. L'albero è un refrigerante naturale, qui circola sempre aria fresca."
Oggi è stata una giornata piena, ricca di scoperte, di incontri e dialoghi. Rita è rimasta sorpresa quando le ho chiesto informazioni di una pianta. Mi confessa: "nella mia vita è la prima volta che una persona mi chiede informazioni per piantare un albero."
Marco Bertolino, Vento alto, Youcanprint, Lecce, 2022

Bordighera (IM): Lungomare Argentina

Imperia. “Vento alto” è il nuovo libro di Marco Bertolino. La storia è ambientata anche nella Riviera di Ponente.
«Attraverso gli alberi, parlo di territorio, di memoria, ricordo, radice, salute, ambiente di diritti degli alberi. Il libro è stata una ricerca da levante a ponente della Riviera, nelle Langhe e Monregalese, in Francia sino in Lucania. Con il libro ho voluto dare una visione positiva del futuro attraverso la considerazione di valori che a mio avviso sono importanti» - commenta Marco Bertolino parlando di “Vento alto”.
Redazione, “Vento alto” di Marco Bertolino è ambientato nella Riviera di Ponente, Riviera 24.it, 19 Luglio 2022

Bordighera (IM): Lungomare Argentina

Savona. L’avvocato penalista e civilista Marco Bertolino (Albenga, 1971) ha dato alle stampe la sua opera prima: “Vento alto”, Youcanprint, “un viaggio bellissimo incontro alla natura”, come lo ha definito Franca Moraglio Giugurta che ne ha curato la prefazione. Ventun capitoli, a cui si aggiungono pagine di nomi, citazioni e bibliografia, che formano un gradevole volume di 220 pagine.
Partendo dall’incontro/abbraccio con gli alberi più maestosi (e famosi) di Liguria e Piemonte, raggiungibili con una moto Guzzi nell’arco della giornata, Bertolino offre l’occasione ai lettori di conoscere particolarità della vita contadina del nostro passato, quando si era ben lungi dall’immaginare che la vita di città avrebbe preso il sopravvento su quella di campagna. Il timore che affiora qua e là tra le righe è che, scomparsi i nostri ‘vecchi’, non ci sia più nessuno che abbia memoria storica e possa spiegare, ad esempio, perché la castagna sia sempre stata la fonte di reddito primaria dei contadini.
Nei suoi viaggi non sempre trova ciò che cerca, ma lo spettacolo che offre la natura è comunque avvolgente, e il caso fortuito lo porta a valorizzare posti sconosciuti e a imbattersi in quelle persone che - uniche - sanno spiegare determinate sfaccettature di muri, viottoli, lavatoi, e ancora alberi.
Chi tra noi sa chi erano le sciascelline? Lo spiega Bertolino nella sua fatica (e vi lasciamo la curiosità). Così come veniamo a conoscere in quale modo (incredibile) si rendevano lisce le piste da ballo nei paesi. Ripercorrendo i sentieri calpestati dai cavalli delle truppe napoleoniche, scopriamo anche che c’è una sessualità negli alberi e scopriamo anche (doppiamente incredibile) a chi era destinata l’acqua più pura che sgorgava: non certo agli uomini ma alle mucche.
Ma c’è spazio anche per la pallapugno (e quante scommesse!), per i vini, per la mela rossa di Feisoglio, di cui oggi sono rimasti pochi alberi, e via discorrendo [...]
L.S., “Vento alto”: opera prima di Marco Bertolino, L'Ancora, 24 ottobre 2022

martedì 22 novembre 2022

Ci chiamavano i bambini libici

Sanremo (IM): Porto Vecchio

"E in ottobre ci trasferirono a San Remo. A San Remo la collocazione venne fatta in grande stile, [perché] vennero requisiti molti alberghi: il Grand Hotel, [che] allora si chiamava il Grande Albergo, e c'erano le ragazze. Ma siccome noi eravamo tra i più piccoli, una squadra - gli unici - ci misero insieme alle ragazze. E ci rimanemmo alcuni mesi, dopo di che ci trasferirono dove c'erano i maschietti. L'altro albergo [era un albergo] che allora si chiamava Albergo Aosta, oggi so che si chiama Hotel Londra. Noi nel 1980 eravamo in vacanza a San Bartolomeo e io e lei andammo a San Remo proprio a visitare il grande albergo, che era il Grand Hotel e l'Albergo Aosta. Ci fermammo a un chiosco a prendere una bibita, e il gestore, al quale chiesi se si ricordava [quel periodo mi rispose]: cosa, io ero l'economo! Si ricordava tutto! Quanti ricordi mi fece venire in mente! E li ricordavo con nostalgia e si vedeva che questa persona aveva qualcosa di umano, perché ricordava questi bambini, ricordava cosa ci avevano fatto durante la guerra. E quindi noi siamo stati lì quattordici mesi, che ci chiamavano i bambini libici, e in tutto l'albergo c'era un cartello che era scritto "Colonia bambini libici". Bimbi libici perché significava i bambini che venivano dalla Libia, non è che abbiamo cambiato nazionalità, e quindi eravamo italiani e basta."
16) Com'erano i rapporti con la popolazione locale?
R.: "Ma non avevamo contatti con la popolazione, eravamo isolati. Al mattino si partiva o dal Grand Hotel o dall'Albergo Aosta e si andava verso il centro di San Remo a scuola. E andavamo alle scuole pubbliche."
Enrico Miletto, Intervista a Nicola G. del 26/04/2012, in L'Esodo istriano-fiumano-dalmata in Piemonte. Altre profuganze. Profughi dalla Libia e dall’Africa orientale, Istituto piemontese per la storia della Resistenza e della società contemporanea 'Giorgio Agosti'
 
Roquebrune Cap Martin e Mentone

La signora Grazia Arnese Grimaldi nel 1938, a soli 5 anni, approdò nel “deserto libico”. Il padre, coltivatore, riuscì con l’aiuto dei due figli maggiori a far emergere dalla sabbia e dal ghibli, un’azienda agricola florida e rigogliosa. Il 6 giugno del 1940, Grazia, insieme ad altri 13.000 bimbi libici, venne tolta ai genitori e “obbligata” a “vacanze” in colonie fasciste (ne esistevano anche qui nella nostra zona: Sanremo, Bordighera, Ventimiglia e Mentone).
Cominciò una triste odissea di vagabondaggio per l’Italia subendo il trauma e il terrore della guerra, delle bombe e della fame, ma soprattutto soffrì per la lontananza dalla famiglia. Solo a guerra conclusa poté ricongiungersi alla madre; aveva circa 13 anni e con l’etichettatura di “profuga” perché aveva perso tutto, si trovò ad affrontare la vita con tutta la rabbia e la volontà di cui era capace.
Chiara Salvini, 26 aprile 2013... Bordighera... Grazia Grimaldi che ha vissuto in prima persona..., Nel delirio non ero mai sola, 25 aprile 2013

Bordighera (IM): gli scogli di Capo Ampelio

A Bordighera, negli anni di guerra 1940/1945, vennero ospitati in molti alberghi e nella casermetta della ex-Gil circa quattromila di quei tredicimila ragazzi italo-libici che, per ordine del fascismo, avevano dovuto abbandonare le famiglie, dalle quali rimasero divisi fino alla fine del conflitto. Molti di questi ragazzi perirono per cause belliche (circa tremila ) e molti altri non poterono più ricongiungersi ai famigliari: episodi di grandi sofferenze fisiche e morali frutto della dittatura e causate dal conflitto provocato dai nazi-fascisti. Tutto questo è descritto con precisione storica e partecipazione umana da una di quei ragazzi d'allora, Grazia Arnese Grimaldi che, nel suo libro "I tredicimila ragazzi italo-libici dimenticati dalla storia" pubblicato da Marco Sabatelli Editore in Savona, ricorda la tragedia di quei bambini. L'ANPI di Bordighera, con la lettera riportata in allegato, ha proposto al Comune che la presentazione del libro, con l'intervento dell'autrice, venga inserita tra le iniziative del programma per la celebrazione del prossimo 25 Aprile, giornata della Liberazione. E' una straordinaria occasione per far conoscere ai cittadini una pagina che pochi ricordano della storia recente di Bordighera. A tale fine, l'ANPI si rivolge a tutti coloro che abbiano ricordi, immagini, documenti riferibili all'importante episodio storico affinché, se disponibili, li facciano conoscere, per una giornata "della memoria" cittadina; mettendosi in comunicazione direttamente via internet con l'ANPI o rivolgendosi alla libreria "Amico Libro".
Il Presidente dell'ANPI di Bordighera
Vincenzo Ridi  
PS. La data, il luogo e l'ora della manifestazione, appena stabiliti, saranno resi pubblici con altro comunicato.
ANPI
Associazione Nazionale Partigiani d'Italia
Via XX Settembre n. 17
BORDIGHERA
Al Signor Commissario Prefettizio
Dottor Paolo D'Attilio
Comune di BORDIGHERA  
Oggetto: proposta di manifestazione per il prossimo 25 Aprile
Gentilissimo Signor Commissario,
in occasione della Celebrazione della Liberazione dal nazi-fascismo, la scrivente associazione intende rendere particolare omaggio ai tredicimila ragazzi italo-libici che il 6 Giugno 1940 vennero tolti ai genitori e obbligati a "vacanze" in colonie fasciste. Per questi ragazzi, maschi e femmine, ebbe inizio una triste odissea di vagabondaggio per l'Italia durante la quale tremila di loro perirono. Solo diecimila, dopo il conflitto mondiale, poterono riabbracciare i loro cari.
A Bordighera, alloggiati in varie residenze, ne furono ospitati nel 1941, 1344, e nel 1942, 1638.  E la loro presenza è ancora nella memoria dei nostri concittadini meno giovani.
Tutto questo è contenuto nel bel libro "I tredicimila ragazzi italo-libici dimenticati dalla storia", scritto da una di quei ragazzi d'allora, Grazia Arnese Grimaldi, e pubblicato da Marco Sabatelli Editore in Savona, Gennaio 2012.
La presentazione del libro con l'intervento dell’autrice (che può essere qui solo nei giorni 26 o 27 Aprile) ci offre la possibilità di far conoscere un triste episodio frutto della dittatura, e causato dal conflitto voluto dal nazismo e dal fascismo.
Pensiamo di fare cosa doverosa e gradita chiedendo l'inserimento della sopra accennata iniziativa nel programma del Comune per la celebrazione del prossimo 25 Aprile al quale la scrivente Associazione chiede:
a) la messa a disposizione (per il 26 o il 27) di un locale (Sala Rossa del Parco) per la presentazione del libro e per un ricordo di questo avvenimento cittadino;
b) la consegna di un pubblico attestato di accoglienza (si spera, calda e affettuosa) della Città a quei ragazzi che vennero "forzatamente deportati" nelle colonie ex-Gil di Bordighera.
Rimango a disposizione per meglio illustrarLe personalmente i nostri intendimenti.
Confidando nella Sua sensibilità e positiva accoglienza della nostra proposta, Le porgo i più cordiali saluti.
Il Presidente dell'ANPI di Bordighera (Ing. Vincenzo Ridi)  
Bordighera, li 14 Marzo 2013
Documento ANPI Sezione di Bordighera


ANPI sezione di Bordighera
Libreria "Amico Libro"
Istituto di Studi Liguri
Vi invitano venerdì 26 Aprile 2013
presso l’Istituto di Studi Liguri - Via Romana, 39 - Bordighera
ore 16.00 proiezione del film "Vacanze di guerra - l’odissea dei bambini italiani in Libia"
ore 17.00 presentazione del libro "I tredicimila ragazzi italo-libici dimenticati dalla storia"
di Grazia Arnese Grimaldi - Marco Sabatelli Editore
Intervista l’autrice: Giorgio Loreti
Ingresso libero
La signora Grazia Arnese Grimaldi nel 1938, a soli 5 anni, approdò nel "deserto libico". Il padre, coltivatore, riuscì con l’aiuto dei due figli maggiori, a far emergere dalla sabbia e dal ghibli, un'azienda agricola florida e rigogliosa. Il 6 giugno del 1940, Grazia, insieme ad altri 13.000 bimbi libici, venne tolta ai genitori e "obbligata" a "vacanze" in colonie fasciste (ne esistevano anche qui nella nostra zona: Sanremo, Bordighera, Ventimiglia e Mentone).
Cominciò una triste odissea di vagabondaggio per l'Italia subendo il trauma e il terrore della guerra, delle bombe e della fame, ma soprattutto soffrì per la lontananza dalla famiglia. Solo a guerra conclusa potè ricongiungersi alla madre; aveva circa 13 anni e con l'etichettatura di "profuga" perchè aveva perso tutto, si trovò ad affrontare la vita con tutta la rabbia e la volontà di cui era capace.
Questo incontro nasce dall’intento di gettare un po' di luce su un episodio della nostra storia (che ha toccato pure Bordighera) poco conosciuto e non citato nei testi scolastici.

Redazione, I tredicimila ragazzi italo-libici dimenticati dalla storia, Bordighera TV, 24 aprile 2013   

Bordighera (IM): ex Albergo Continentale

Le autorità avevano pensato di portarci al sicuro mandandoci a Napoli, invece eravamo in gran pericolo perché i primi aerei da combattimento li abbiamo sentiti proprio sopra di noi. Si vedeva il fuoco delle mitragliatrici dalle persiane; venivano sempre di notte, si vede che di giorno si vergognavano. Comunque in quel posto siamo rimasti cinque giorni, passati col terrore dei bombardamenti. A questo punto hanno pensato bene di portarci proprio al sicuro, in una cittadina tranquilla e bellissima che è rimasta dentro me e si chiama Bordighera. Morirò con la voglia di rivederla perché là sono stata due anni e due mesi con i miei fratelli, naturalmente, e là ho frequentato la terza e quarta elementare. A Bordighera si stava veramente bene, eravamo in un albergo che si chiama Continentale ed esiste ancora perché mio fratello V. quando si sposò andò là per la luna di miele, sicché la nostalgia l'ha sentita anche lui. Egli era stato cresimato a Bordighera; ricordo che il padrino era un uomo piccolino, ma tanto buono.
Nella Stramazzo, Bordighera, Italia, 1940, Italiani all'estero. I Diari raccontano: un progetto di Nicola Maranesi per l’Archivio diaristico nazionale, Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale  

Un'immagine, relativa ai bambini ed ai ragazzi qui in tema, riferita alla provincia di Imperia

Sanremo (IM): uno scorcio dei due porti

17) E in classe c'erano anche i bambini sanremesi?
R.: "No, eravamo solo di noi, solo di noi. Si andava inquadrati sul lungo mare di San Remo, marciando, e lì si andava a scuola. L'insegnamento era, per quello che ricordo io, ottimo. All'uscita, siccome l'alimentazione era scadente, ci incontravamo all'uscita dalla scuola con le ragazze e con le mie sorelle. E una delle due usciva dalla fila - perché anche loro erano inquadrate, anche loro marciavano - mi correva incontro e mi portava un panino. Il panino era tanto, era un panino così [piccolo, come il palmo di una mano]: loro ne mangiavano metà e l'altra metà la davano a me. E poi si tornava [in albergo]. Poi i miei genitori dalla Libia, che si scrivevano con i parenti che avevano al paese qui in Italia, raccontavano tutto. Raccontavano che avevano i figli, [che] uno era partito per il servizio militare, che l'altro più giovane era partito volontario un po' per le necessità e un po' perché la propaganda invogliava. Nel frattempo si era ammalata una delle mie sorelle che era rimasta lì, si era ammalata gravemente, per cui in casa di sette figli ce n'era rimasta una. E allora pensando ai più piccoli, mia madre scriveva - e faceva scrivere dalla mia sorella più grande, quella che era rimasta con loro, perché mia madre era completamente analfabeta, mio padre qualcosetta [leggeva e scriveva]- a una zia. Che noi avevamo una zia che inizialmente erano abbastanza benestanti per i tempi, per come si può essere benestanti in una povertà. Chi aveva tanto di più, era considerato benestante rispetto a chi era proprio nell'indigenza. E arrivarono alla decisione di toglierci da queste colonie e portarci dai parenti. Si pensava ma sì, tanto la guerra finisce... Mai decisione fu peggiore! Eh sì, perché, povera gente, questi erano una famiglia di nove figli, [che vivevano] sempre nel mio paese, e quindi così ne arrivavano altri tre [vale a dire me e le mie sorelle]. Siamo partiti per andare dagli zii gli ultimi giorni del '42, da San Remo. Per cui facemmo capodanno lungo il viaggio: da San Remo per arrivare dagli zii, ci impiegammo quattro giorni. Per cui quando arrivammo lì, trovammo una situazione completamente differente da come ci eravamo abituati. Intanto, in colonia, ci facevano fare il bagno tutte le settimane, ci si cambiava tutte le settimane, c'era pulizia. Sì, era scarsa l'alimentazione, ma per il resto si faceva tutto quello che era possibile, questo glielo riconosciamo. Ma lì troviamo, se non proprio povertà, quasi. E quindi, niente più bagno, niente più cambiarsi, per cui ho fatto i pidocchi. Ma non era colpa di questa povera gente, era la povertà! Ma chi glielo ha fatto fare! Avrebbero dovuto passare il sussidio, ma siccome il sussidio non arrivava, la gente - e molti [lo fanno] ancora oggi - sbagliano nel trattare con le autorità, con chi si ha di fronte. Allora si va e si pretende... E se dall'altra parte c'è qualcuno che è arrogante, allora dice: ah sì, è così? Allora faccio in modo di non fartelo avere. E noi il sussidio non lo abbiamo mai avuto. Per cui la zia sperava: quello che abbiamo noi, più il sussidio che ci passano, ci campiamo anche noi su quel sussidio che ci passano. E invece non arrivò una lira. E non arrivò per il segretario comunale con il quale mia zia si era scontrata per il fatto che tardava ad arrivare il sussidio. Probabilmente il sussidio arrivò, ma nelle sue tasche! Non è possibile che il sussidio non arrivasse, tutti hanno avuto il sussidio, perché tanti ragazzi sono finiti a casa dei parenti, tantissimi. [E questo] perché il regime cercava di scaricare per alleggerire le spese, era comprensibile, c'era un esercito da mantenere. E comunque, per tornare indietro, ricordo che la scuola funzionava perfettamente, il doposcuola altrettanto perfettamente - parlo di San Remo - al punto che c'era un insegnante anche al pomeriggio, che insieme ci faceva fare i compiti e ci guidava passo, passo. E so che noi apprendevamo bene, tutti apprendevamo bene: questo tipo di organizzazione era perfetta. Ma nella giornata c'erano due ore - accidenti!- di cultura fascista. Di queste persone, di questi ragazzi che poi sono diventati uomini e donne, quasi la totalità, o se non la totalità ma la stragrande maggioranza, sono rimasti con quel tipo di inculcamento che hanno avuto nel loro cervello, e sono rimasti con la mentalità fascista! Quando c'era il duce, quando c'era il duce...
Enrico Miletto, Intervista a Nicola G. già cit.


Una cartolina di mobilitazione per il "servizio presso la colonia dei bimbi libici a Bordighera"

Bordighera (IM): la spiaggia di Bagnabraghe

Bordighera (IM): uno scorcio del Palazzo del Parco, costruito al posto dell'Albergo Parco

Vi ricordo che siamo nel millenovecentoquarantadue e fate conto com'era divisa la mia famiglia in quell'anno. Continuiamo: sempre in quest'anno ritornarono a casa la mamma con la piccola E. e furono ospitate dalla nonna materna a Liettoli. Vi faccio notare che noi eravamo sempre a Bordighera e quando abbiamo sentito che la mamma era qui in Italia restammo sempre in attesa che venisse a prenderci per portarci a casa con lei. Ogni tanto arrivava qualche madre a prendere i suoi figli; noi restavamo male e speravamo sempre di sentire dal megafono il nostro cognome, sentire che la nostra mamma era venuta a prenderci. Il bel giorno arrivò anche per noi. Venne assieme alla mia sorellina E. che, ricordo bene, indossava un vestitino a fioretti rossi. Tengo a precisare che erano due anni e un mese che non vedevamo la nostra mamma. In quel momento eravamo tutti alle stelle! Lei non poteva portarci via subito e disse: «State buoni che tra un mese vengo a prendervi tutti e andiamo a casa dalla nonna. Siete contenti?». Nel frattempo da Cesenatico è venuto da noi anche mio fratello R.; così almeno eravamo tutti uniti. Passò quel benedetto mese e la mamma ci venne a prendere.
Nella Stramazzo, Il ritorno della madre in Op. cit.

Bordighera (IM): una spiaggia

27) In tutto questo periodo continuavate a mantenere rapporti con la vostra famiglia?
R.: "No, nessuno sapeva niente. Due volte - una volta a Rimini e una volta a Bordighera - ci hanno messo in comunicazione radio con la famiglia e noi mandavamo i saluti, ma non so se poi loro li avevano ricevuti. Loro [il regime] dicevano che la famiglia li aveva ricevuti, ma non lo sapevamo. Noi ci mettevamo in fila, ci presentavamo e mandavamo i saluti. [Questa scena] si vede anche in un documentario dove c'è una bambina bionda - che [tra l'altro] è di Torino - che saluta la famiglia. Poi le notizie erano quelle che dava il bollettino del partito."
28) A Bordighera lei inizia a fare una vita più normale, quindi...
R.: "Noi eravamo trattati come i prediletti. All'inizio come dei prediletti del regime. Cioè noi ricevevamo un'educazione fascista e militaresca, perché eravamo inquadrati come i militari: alzabandiera, marce e tutto quanto. Però poi abbiamo incominciato una vita normale con gli altri bambini. Ma a scuola andavamo solo noi, perché il regime aveva previsto che in ogni colonia ci fosse una scuola. Solo che a Bordighera è stato diverso, perché lì c'erano sei o sette alberghi che avevano questi bambini, eravamo 1.500 a Bordighera, 1.500 a Sanremo, un migliaio a Ospedaletti, un migliaio anche a Mentone. E poi qualcosa anche in provincia di Savona, ma eravamo soprattutto concentrati lì. E quindi non potevano fare sei scuole in ogni albergo, e allora han preso un albergo e lo hanno utilizzato come scuola. E noi al mattino andavamo a piedi, incolonnati, in marcia, e andavamo lì, che non passava il bus a prenderci! E quando pioveva stavamo a casa, eravamo tutti contenti!"
29) Con la popolazione locale avevate dei rapporti?
R.: "No, no, come bambini no, eravamo controllati e isolati. Sì, noi andavamo per la strada marciando eccetera, magari ci guardavano, ma come rapporti non ne avevamo, eravamo un po' isolati. Eravamo maschi e femmine divisi, e anche nella scuola, se potevano facevano la scuola maschile e femminile. Dove non c'erano tanti alunni facevano la scuola mista, ma se potevano facevano soprattutto quello."
30) Lei prima mi parlava di assistenza. Quindi ricevevate un po' di assistenza...
R.: "Assistenza sì. Avevamo la divisa da balilla che, tra parentesi, fino a che non ho compiuto otto anni ero figlio della lupa, con la banda davanti. Sì, avevo quella divisa lì e basta. Il mantello d'inverno, ma meno male che a Bordighera non faceva tanto freddo! Comunque sì, avevamo quello e basta."
31) Mi rifaccio a un passaggio di un'intervista che ho fatto a un altro profugo arrivato dalla Libia con una storia simile alla sua. Un passaggio che mi ha molto colpito. Parlandomi della sua esperienza di bambino in una colonia dove era stato inviato subito dopo essere sbarcato a Bari, mi ha detto che ha fatto la comunione e la cresima, e in quell'occasione c'erano delle famiglie che si prestavano ad essere padrini e madrine. Lui aveva poi ricevuto un regalo - credo una statuetta - che però non ha mai più visto. E la cosa lo fece restare molto male. Lei ha vissuto simili esperienze.
R.: "No, a me mi han detto che il mio padrino doveva essere addirittura il federale di Imperia. Poi questo qui non ha potuto e allora mi ha tenuto a cresima un maestro elementare che mi ha regalato il libro di Pinocchio. Il primo libro che ho ricevuto, è stato il libro di Pinocchio, che poi io me lo ero portato dietro quando sono andato a finire nel Veneto dai miei parenti ed è rimasto lì e non l'ho più visto. Ma è vera 'sta storia. [Mi ricordo] che molti della popolazione di Bordighera han tenuto a cresima questi bambini. Non eravamo mal visti, salvo gli ultimi periodi, perché questa banda di bambini e di ragazzi, affamati... Perché poi continuava a subentrare la fame: caduto il fascismo è cominciato a diventare dura, specialmente nel '43-'44, l'ultimo anno che siamo stati lì. Insomma, quando andavamo in giro andavamo nei campi e facevamo altro che le cavallette!"
32) Quando cade il fascismo cosa succede?
R.: "Lì era ancora territorio sotto il fascismo, Bordighera era ancora sotto il fascismo. Io ricordo che nella mia colonia il 25 luglio [1943] quando è caduto [il regime] c'erano della gente esagitati, erano i più vecchi, che dicevano: 'Oh, adesso andiamo noi a liberarlo [riferendosi a Mussolini], era tutto così'."
33) Quindi la propaganda di regime aveva fatto presa...
R.: "Eh sì. Alcuni son poi andati nelle Brigate Nere a Salò, per intenderci. Erano convinti, erano di quell'idea e qualcuno è [anche] morto. Io ho visto un bollettino che dicevano che due o tre che erano del reparto libico son morti, che hanno costituito anche un reparto dei bambini della Libia, quelli più grandi però. I miei fratelli che erano più grandi di me, sono rimasti nelle campagne dell'Emilia, perché queste famiglie li ospitavano e intanto loro lavoravano e queste famiglie ricevano magari anche un sussidio."
34) Prima lei mi ha detto di essere andato nel Veneto dai suoi parenti...
R.: "Sì, nel '44. Erano tornati i tedeschi. A noi [prima] ci gestiva la Gioventù Italiana del Littorio. Caduto il fascismo, è caduta anche la Gioventù Italiana del Littorio, ed è subentrato il Ministero dell'Africa Italiana per un certo periodo, ma per poco. Poi al Ministero dell'Africa Italiana è subentrato un altro ente fascista l'Opera Nazionale Maternità e Infanzia, che ci ha gestito fino alla fine delle colonie. Chiaramente noi nel '44, tutte le colonie della Liguria sono state mandate nel bergamasco, perché c'era l'avanzata degli eserciti [nemici]. Quelli che erano nel litorale adriatico li han mandati nel bresciano, son tutti saliti. Però anche lì era diventata critica la situazione, perché mezzi per mantenere queste colonie non ce n'era, e allora succedeva? Che chi aveva dei parenti che erano disposti a tenerli, [i bambini] potevano essere mandati da questi parenti, che poi magari ricevevano un piccolo sussidio. Quelli che non avevano parenti, specialmente quelli del meridione che i parenti erano oltre la linea gotica, le donne le mandavano nei collegi e gli uomini - come i miei fratelli- a lavorare nelle campagne dai contadini che li ospitavano. Qualcuno poi si è anche arruolato: venivano questi qua a cercare di arruolarli. Non era obbligatorio, però fame ce n'era tanta, lì avevano magari anche la possibilità di mangiare, l'età era giusta per arruolarsi e si sono arruolati. Non c'è niente da dire. Io poi...Nel '43 una mia sorella era stata ospitata da un mio zio nel Veneto. A me avevano chiesto se avevo dei parenti e io ho citato questa sorella, e loro senza avvisare questo mio zio che sarei arrivato, mi han preso e mi han mandato lì. Mi ricordo che durante il viaggio siamo stati anche mitragliati, perché eravamo su un camioncino scoperto. Ci hanno mitragliato dentro ai vigneti ma poi siamo arrivati. E sono arrivato lì, che neanche sapevano che sarei arrivato, ma siccome di aprenti ne avevo tanti nel Veneto, non è stato un problema."
Enrico Miletto, Intervista a Ernesto S. del 31/05/2012, in L'Esodo istriano-fiumano-dalmata in Piemonte. Altre profuganze. Profughi dalla Libia e dall’Africa orientale, Istituto piemontese per la storia della Resistenza e della società contemporanea 'Giorgio Agosti'

martedì 15 novembre 2022

Ben prima che Beppe Porcheddu si trasferisse a Bordighera, Leonardo Bistolfi...

Bordighera (IM: Località Arziglia

Nello sviluppare la ricerca sulla Resistenza sulla costa del Ponente ligure, da Imperia al confine francese, ho incrociato la figura di Giuseppe Porcheddu, antifascista e pittore-grafico-illustratore di significativo rilievo, vissuto prima a Torino e poi a Bordighera.
La novità è giunta, invece, dalla scoperta che fu il casalese Leonardo Bistolfi a motivare e valorizzare l’artista Porcheddu. Non solo, attivando la dottoressa Varvello del Museo Civico Bistolfi di Casale Monferrato e il dott. Mantovani della Biblioteca Civica Canna, ho ritrovato il catalogo di una mostra di opere di Porcheddu avvenuta a Torino nel 1928, con una originalissima prefazione di Leonardo Bistolfi.
Giuseppe Porcheddu, Beppe, nato a Torino il 1 maggio 1898, scomparve il 27 dicembre 1947 in una vicenda non ancora del tutto ricostruita; sardo di origini (il padre Giovanni Antonio era nativo di Ittiri, in provincia di Sassari; ingegnere molto noto per aver introdotto e sviluppato in Italia le tecniche del cemento armato, fu progettista anche del Lingotto di Torino e di vari silos al porto di Genova) fu pittore, incisore, scultore, grafico, fumettista ed illustratore di grande talento. Venne scoperto e incoraggiato da Leonardo Bistolfi già a Torino, dove viveva e studiò alla facoltà di architettura al Politecnico.
È noto per le bellissime illustrazioni del Pinocchio di Collodi edite nel 1942, per i disegni delle bambole Lenci, per i disegni e la creazione di personaggi di fumetti diffusi in tutta Italia. Molte sue opere sono oggi custodite e promosse dal Museo della Scuola e del Libro per l'Infanzia MUSLI di Torino e dalla Fondazione Tancredi di Barolo di Torino, sotto la direzione del prof. Pompeo Vagliani.
Accanto all’arte coltivò sempre la convinzione antifascista; promosse poi l’attività resistenziale fra Sanremo e Bordighera...
Sergio Favretto, Come Leonardo Bistolfi scoprì e valorizzò il grafico e illustratore Beppe Porcheddu, Il Monferrato.it, 13 gennaio 2021

La propaganda antifascista e antitedesca fu praticata nella zona di Bordighera da Renato Brunati e da me in un contempo indipendentemente, senza che nemmeno ci conoscessimo: ma nel 1940 ci incontrammo e d’impulso associammo i nostri ideali e le nostre azioni, legati come ci trovammo subito anche da interessi intellettuali ed artistici.
La vera azione partigiana s’iniziò dopo il fatale 8 settembre 1943, allorchè Brunati e la sig. Maiffret subito dopo l’occupazione tedesca organizzarono un primo nucleo di fedeli e racimolarono per le montagne, sulla frontiera franco-italiana e nei depositi, armi e materiali: armi e materiali che essi vennero via via accumulando a Bajardo in una proprietà della Maiffret, che servì poi sempre di quartier generale in altura, mentre alla costa il luogo di ritrovo e smistamento si stabiliva in casa mia ad Arziglia e proprio sulla via Aurelia.
Giuseppe Porcheddu, manoscritto (documento IsrecIm) edito in Francesco Mocci (con il contributo di Dario Canavese di Ventimiglia), Il capitano Gino Punzi, alpino e partigiano, Alzani Editore, Pinerolo (TO), 2019 

[...] [Mostra artistica piemontese-sarda] <158
[n.d.r.: come già riportato da Sergio Fravretto, art. cit., Leonardo Bistolfi nel 1928 presentava la mostra di Giuseppe Porcheddu]
[...] [Prefazione ai disegni di Giuseppe Porcheddu] <186
In un giorno lontano, quando l’autore delle visioni di bellezza qui raccolte aveva appena sette anni, il padre suo - animatore di geniali costruzioni, aspramente combattute al loro apparire, e diffuse ora in tutto il mondo - venne a me, portandomi alcuni disegni del piccolo Beppe.
Erano paesaggi fantastici, strani aggruppamenti di figure umane, bizzarre scene di sapore fiabesco, trattate con mano già capace di esprimere le vicende delle forme e degli spazi.
Chiesi come il fanciullo si esercitasse a copiare quelle figurazioni; ma le parole commosse del padre mi gridarono che tutti i disegni del suo Beppe erano gli esemplari di una spontanea ed originale creazione, manifestata senza fatica e senza esitazioni.
Così fu che io conobbi e seguii poi, nello svolgersi degli anni, l’arte di Beppe Porcheddu: fecondo suscitatore di sensazioni e di emozioni, creatore inesauribile di fisionomie fisiche e spirituali, immaginoso descrittore di ambienti e di anime.
Arte che crea (come poche, forse, nel campo dell’illustrazione letteraria) l’atmosfera chiara e completa del momento psicologico; arte che, a primo aspetto, si presenta con forme che paiono caricaturali, ed è invece l’esaltazione della personalità umana precisata in tutte le caratteristiche esteriori ed interiori.
Per questo le creature delle composizioni di Beppe Porcheddu nel loro silenzio lineare parlano ardentemente, e nella irrealtà del sogno vibrano di verità e di passione.
Quale educazione teorica e pratica ha avuto la sua sensibilità, sospinta a tentare tutte le forme dell’espressione artistica?
Come la sua fantasia ha potuto realizzare tutte le sue aspirazioni, ogni qualvolta si è accinta a nuovi tentativi, pur valendosi di mezzi materiali sino ad allora ignorati o conquistati improvvisamente, senza lo spossante tirocinio di una preparazione tecnica?
Dove e quando egli ha appresa l’eloquenza descrittiva della mano che usa la penna o il pennello o il bulino?
Quali eredità ha egli raccolto da lontane vite della sua isola ardente o da altri orizzonti di bellezza?
O non pare forse che tutte queste vite le abbia egli stesso vissute?...
Molti furono gli artisti che tentarono di rievocare in vaste opere aspetti di uomini e di cose appartenenti a tempi antichi o remoti. Ma pochi riuscirono a raggiungere il senso intimo dell’essere.
Vedete - ad esempio - l’estatico amplesso del Re Lear, avvolto nella sublime grandezza della sua potenza e come incatenato dalla tragica attesa dell’infinito che incombe su di lui!
Quando, o giovane poeta, hai veduto questa città della tristezza? E come hai potuto rappresentare la barbarica ferocia de La Vendetta di Thaora di A. Varaldo, in questo quadro possente ove i personaggi scolpiti nelle mirabili architetture dei loro costumi, e le anime affocate dall’odio sembrano scagliarsi in una infernale bufera di passioni
[...] Così coloro che non conoscono ancora l’artista, all’apparire di questa raccolta delle molte creazioni originate dall’impeto della sua geniale facoltà animatrice sentiranno il valore spirituale della vasta produzione di Beppe Porcheddu, e saranno come avvolti dalla passione che lo sospinge verso le vie sempre più alte dell’arte.
[NOTE]
158 «Gazzetta del Popolo», 17 settembre 1922, p. 2, in articolo anonimo dal titolo 'La Mostra artistica piemontese-sarda inaugurata ad Alessandria con un discorso di Leonardo Bistolfi'. Alla mostra, allestita al teatro Virginia Marini, parteciparono tra gli altri gli artisti Bistolfi, Vittorio Accornero, Dina Allara, Giovanni Battista Alloati, Giuseppe Biasi, Pietro Boccalatte, Agostino Bosia, Remo Branca, Domenico Buratti, Alberto Caffassi, Felice Carena, Carlo Carrà, Felice Casorati, Francesco Ciusa, Teonesto Deabate, Cesare Ferro, Giovanni Giani, Giacomo Grosso, Alessandro Lupo, Giuseppe Manzone, Francesco Menzio, Pietro Morando, Gaetano Orsolini, Giuseppe Porcheddu, Egle Pozzi, Recalcati, Medardo Rosso, Edoardo Rubino, Primo Sinopico, Strada, Domenico Valinotti, Venanzio Zolla.
186 In Disegni di G. Porcheddu, Torino 1928, pp. 5-9. Ristampato in «Illustrazione del Popolo», n. 53, 1928, pp. 7-8. Giuseppe Porcheddu (Torino 1898 - Località ignota 1947), figlio dell’ingegnere e costruttore Giuseppe Antonio, fu uno dei principali disegnatori e illustratori italiani del Novecento, attivo soprattutto nel periodo fra le due guerre. Collaboratore, tra l’altro, del «Pasquino», illustrò due libri per ragazzi del figlio di Leonardo, Giovanni (in arte Gian) Bistolfi, Un po’ di destino (1927) e Racconti così (1927). Uno dei suoi capolavori fu l’edizione torinese (Paravia ed.) del Pinocchio di Collodi (1942). Su Porcheddu, v. Corrado Farina, Segno particolare Beppe Porcheddu. L’opera di un artista poco italiano, in «Charta», n. 68, 2004, pp. 30-33, ed il capitolo Giuseppe (Beppe) Porcheddu. Grandezza di un artista scomparso nel nulla, in Santo Alligo, Pittori di carta. Libri illustrati tra Otto e Novecento, Torino 2007, pp. 233-258, 306-307 (con bibliografia).
Walter Canavesio, Leonardo Bistolfi. Il Fez rosso. Scritti di un operaio della Bellezza, Edizione digitale senza scopo di lucro, 2014

Beppe Porcheddu nel dicembre 1947 trascorse le feste di Natale a Roma, ospite dell'amico Giacometti, con cui stava organizzando una importante mostra.
Il 27 dicembre uscì di casa e nessuno lo rivedrà più. Lasciò scritto alla sorella: "La vita è un continuo tradimento. I più bei sogni… restano sogno. Chissà quando ci rivedremo?"
Nel 1971 la città di Bordighera, nel corso delle celebrazioni del cinquecentenario, promosse la mostra “Pittori di ieri a Bordighera” nella quale Beppe Porcheddu venne messo in luce con la presentazione di cinque opere riprodotte a catalogo.
Nel 2007 la Galleria d’Arte Narciso di Torino ordinò un'importante mostra postuma.
Redazione, Beppe Porcheddu pittore e illustratore che ha operato in Liguria, Istituto Documentazione Arte Ligure

sabato 12 novembre 2022

Singolari considerazioni - scomodando anche Totò e Grock - a febbraio 1954 sul turismo in provincia di Imperia ed in Costa Azzurra e su altro ancora

Nizza: uno scorcio di Piazza Massena

Quello contro gli italiani è un lamento insistente, diffuso lungo tutto l'arco della Costa Azzurra, ed è sempre lo stesso: i turisti stranieri arrivano, si fermano due o tre giorni a Nizza, a Cannes, ad Antibes, e subito dopo fuggono verso l’Italia. Non trovano niente o quasi da ridire contro l'attrezzatura turistica organizzata dai francesi da Mentone a Saint-Raphaél, la cucina è eccellente, le strade magnifiche, completa è la gamma dei giochi e dei divertimenti, spettacolare la bellezza dei luoghi. Ma tutto ciò non interessa più gli stranieri, oppure li interessa molto meno di una volta; si direbbero distratti. Gli albergatori li sorprendono a studiare carte e guide dell'Italia, a consultare dizionari italiani, a guardare verso sud; sono impazienti come innamorati. Dopo aver visto o gustato solo poche fra le moltissime cose che offre la Costa Azzurra, prendono il volo con un senso di sollievo. Che mai li attira in Italia?
I francesi spiano tutto quel che avviene di là dalla frontiera, si lamentano e cercano di capire, poi finiscono col fare come il giocatore sfortunato al tavolo della roulette, quando si appiglia airultima risorsa di pedinare col suo denaro le giocate di chi sta vincendo. È precisamente quel che è avvenuto col Festival internazionale della canzone organizzato a Nizza dal 26 al 31 gennaio. Questa volta i francesi erano sicuri di farcela, e in questa manifestazione, diretta concorrente di quella di San Remo, avevano investito somme ragguardevoli, decine di milioni di franchi. Se il Festival di San Remo era una faccenda solo italiana, i francesi pensarono di dare un carattere internazionale alla loro manifestazione; e perciò, a furia di milioni, reclutarono cantanti italiani, austriaci, americani, cecoslovacchi, canadesi, spagnoli, giapponesi, inglesi, messicani, brasiliani, svizzeri, danesi, paraguaiani. Accanto vi misero molte fra le vecchie e popolari glorie della canzonetta francese, da Maurice Chevalier a Joséphine Baker, da Tino Rossi a Jean Sablon. Le serate del Festival, oltre che dalla radio francese, erano messe in onda da una folla di radio europee e americane. I prezzi furono fìssati a un livello quasi popolare, da 400 franchi a 1500.
Quando la sera del 26 cominciò il Festival, al Casino municipale di Nizza mezza sala era vuota. Andò meglio la sera dopo al Palais de la Méditerranée, ma la sera successiva, di nuovo al Casino municipale il fiasco divenne allarmante. I giornali protestarono per tutte le decine di milioni spesi inutilmente, gli stranieri finsero di non accorgersi nemmeno ch’era in corso un Festival internazionale, continuarono a fuggire verso la frontiera italiana. I francesi hanno ora deciso di ripetere anche l'hanno venturo il Festival della canzone, ma è certo che non lo faranno mai più coincidere con quello di San Remo. Non c’è che dire: il giocatore sfortunato resta sfortunato anche se ripete come un segugio le giocate di chi ha fortuna.
Se al Festival di Nizza c’era un’aria di fronte popolare per via dei baschi e dei pullover nella platea e nei palchetti, nel candido giardino d’inverno del Casino di San Remo, stilizzato da due alte palme e spennellato qua e là sulle pareti da fasci di garofani, le pellicce di visone, gli esprits, i grandi diademi, le profonde scollature non attiravano nemmeno uno sguardo tanto erano comuni. L’ultima sera, sabato 30, nemmeno a 25 mila lire era più possibile trovare un biglietto. Poche ore prima dell’inizio dello spettacolo si videro signore cadere in deliquio nelle braccia dei mariti dopo una lunga, estenuante caccia ai biglietti: si trattava qualche volta di gente che si era messa in viaggio due o tre giorni prima dalla Sicilia o dalla Calabria.
Il Festival è al suo quarto anno, i prezzi di anno in anno vengono aumentati, il disagio nei ristoranti e negli alberghi sta raggiungendo il limite della sopportazione, gli organizzatori non sanno più da che parte voltarsi per porre un argine al successo, per rendere più composta, meno frenetica, la troppa grazia fatta piovere da Sant’Antonio. Ma è difficile che vi riescano. La smania di San Remo afferra, travolge ogni anno migliaia di persone, è diventata forse la manifestazione mondana di maggiore risonanza nell’inverno italiano. Dietro alla mondanità ci sono poi gli interessi delle Case, dei canzonieri e dei parolai che stanno assisi intorno alla torta di miliardi che la Società degli Autori divide ogni anno fra i più meritevoli o fortunati. Ma non si tratta solo di denaro. C’è la gloria, c’è la popolarità, vincere a San Remo era come un tempo laurearsi poeta con l'alloro del Campidoglio. Questo vi spiega la grande, incontenibile emozione dell’attore Totò. Volentieri avrebbe rinunciato a molti suoi successi teatrali e cinematografici pur di vedere la sua ultima e diletta creatura, la canzone «Con te», prevalere sulle altre o almeno essere accolta con favore dal pubblico. Non è una questione di denaro: «Malafemmina», anche senza passare per San Remo, gli procurò una quindicina di milioni nel giro di pochi mesi.
Sebbene non premiata, «Con te» gli arrecherà una somma di certo non inferiore. Ma Totò voleva vincere, ed era arrivato a San Remo con la fidanzata Franca Faldini, la figlia, il genero, un piccolo gruppo di amici. Totò ha composto finora una cinquantina di canzoni, e quasi tutta la musica dei suoi sketches. Si può perciò considerare un po’ di più di un dilettante. Appartiene poi a una famiglia di musicisti, e nella storia della canzone napoletana suo zio Ernesto De Curtis occupa, uno dei primissimi posti. Ora ha in mente altri motivi, altre canzoni, altre musiche. Ma «Con te» è la canzone che più ama; dice di avervi versato dentro tutta la sua tenerezza, tutta la sua anima, ch’è una cosa molto diversa dalla sua maschera teatrale. La canzone gli appariva così bella che non solo ci teneva a vincere, ma era sicuro di battere tutti i concorrenti. Molta è ora la sua amarezza per San Remo, anche perché è convinto di essere stato sconfitto non sul piano del valore artistico, ma solo dalla concorrenza sleale. Era considerato il nemico da battere, il concorrente più pericoloso, e perciò dice che c’è stata una coalizione contro di lui da parte di tutti i canzonieri ammessi al Festival. Una parte notevole del giardino d’inverno era occupata dalle varie claques organizzate da ciascun concorrente, e se ciascuna di esse aveva l'incarico di battere freneticamente le niani alla canzone di chi l’aveva pagata, tutte avevano poi avuto l’ordine di zittire gli applausi favorevoli alla canzone di Totò. E dice Totò: «Io ero arrivato a San Remo innocente e ingenuo come un colombo. Chi poteva mai immaginare tutte le brutte cose che ho visto con gli occhi miei? Ma l'ingenuità si paga. Me ne parto spennato come un pollo».
N. A., Totò al Festival di Sanremo: affari e sentimento, «L'Europeo», anno X, n.6, 7 febbraio 1954, articolo qui ripreso da Totò...

Nizza, 11 febbraio
Il famoso clown svizzero «Grock», che da qualche tempo si era ritirato nella sua villa di Imperia, ha annunciato che riprenderà fra qualche mese la sua attività seguendo un circo francese viaggiante. «Grock» aveva iniziato la carriera nel 1896. Egli ora ha 75 anni [n.d.r.: la maggior parte delle fonti indica, però, nel 1880 l'anno di nascita di Grock, per cui risulterebbe che l'articolista avesse invecchiato di un anno il noto personaggio in questione].
Redazione, «Grock» a 75 anni torna a fare il «clown», «La Nuova Stampa», Venerdì 12 Febbraio 1954

(Dal nostro inviato speciale)
Alassio, 16 febbraio
Visto Magni; parlato con Magni. Visto intorno a mezzogiorno mentre con Minardi, Albani, Scudellaro e altri alassini della Legnano era di ritorno da una lunga gita d'allenamento oltre il confine con la Francia. L'incontro è avvenuto all'uscita di Bordighera [n.d.r.: di sicuro questa intervista si sarà svolta nella città delle palme, ma è da notare una certa approssimazione nel considerare la geografia, dato che la frontiera con la Francia è in territorio di Ventimiglia], e, come ai corridori rimaneva ancora un'ora e mezzo di strada avanti di sedersi a tavola, la sosta fu breve.
Vittorio Varale, Magni vuole vincere la "Sanremo, e sta temprando le forze in Riviera. Come si svolge la sua preparazione - Parteciperà alla Settimana Sarda e forse alla Parigi-Roubaix - Dubbia la presenza sua e della sua squadra nella Milano-Torino, «La Nuova Stampa», Mercoledì 17 Febbraio 1954

(Dal nostro inviato speciale)
Triora, febbraio
Triora è un comune a 786 metri sul livello del mare. Amena posizione, a 38 chilometri da Sanremo e a 45 da Porto Maurizio, dovette già essere un centro di notevole importanza se, nel 1285, Genova gli impose un contributo di 200 balestrieri per aiutarla a combattere contro Pisa e se, nel 1399, il fisco lo tassava ufficialmente per lire genovesi 3490 contro 3210 di Ventimiglia, 2918 di Albenga e 2189 di Sanremo (una lira genovese valeva press'a poco come 25 lire nostre del 1914). Di certo sul finire del secolo scorso, Triora, con le sue undici frazioni, aveva superato i cinquemila abitanti; adesso, sempre con le frazioni, è poco al di sopra dei mille. La differenza è dovuta a un deflusso costante verso l'estero o verso il mare vicino. Il caso di Triora non è solo. Tutti i centri montani e vallivi della provincia d'Imperia lamentano la stessa emorragia di abitanti [...] Ma le strade basterebbero a combattere il male? No. Sarebbero appena un sollievo, l'inizio di una cura, la cui lunghezza rischierebbe di vederla perfezionata ad ammalato morto. Che cosa si può fare di meglio? Torniamo a Triora. I testi dicono che la zona produce grano, vino, legumi, fieno, castagne e ottimo miele. Per il miele, niente da osservare: le api volano, quindi si trovano alla pari (o circa) con quelle della pianura: le castagne son del genere umile e, non potendo ambire ad entrare nella famiglia dei «marrons glacés», finiscono come mangime per i suini (specialmente in Svizzera) ma in concorrenza con altri mangimi di minore prezzo sui quali deve allinearsi per lo smercio (la castagna secca sarebbe ottima con il latte ma non è più di moda, e addio!); il fieno basta appena a tirar su vacche magre e per il grano, il vino, i legumi bisogna fare i conti con il lavoro che esigono. Fatiche di secoli tagliarono i costoni della montagna in brevi terrazzi di pianura artificiale, sorretta da muri a secco. Di un'aratura meccanica nemmeno parlarne, tutto vanga e zappa. Altrove la terra può avere la benzina come forza motrice che la feconda, qui c'è soltanto il braccio. La disparità dei due mezzi è catastrofica nel confronto dei risultati produttivi da portar sul mercato, dove vige la legge della domanda e dell'offerta. Lo scoraggiamento che ne deriva è implicito. Ma non basta. Qui non esistono ricchi che «sfruttino», come dicono i politici, il lavoro altrui: qui son tutti piccoli proprietari che «sfruttano» soltanto se stessi. Sudore dall'alba al tramonto, e può derivarne quel tanto che basti per non morire di fame. Ma è difficile morire di fame. E' molto più facile essere aggrediti da una malattia.. In questa circostanza, il piccolo proprietario non ha difesa: niente margini di risparmio (o minimi), nessuna assistenza attraverso mutue od altri organi sociali. Contemporaneamente egli sente dire che, al piano e nelle città, i diritti dell'uomo garantiscono al lavoro non soltanto il pane ma un determinato numero di calorie e di vitamine. Istintivamente, egli sente nascere in lui la tentazione di emigrare verso le vitamine e le calorie. Magari non sarà lui ad emigrare ma suo figlio, perchè, ecco, il padre muore, lo lascia erede di quelle fasce da coltivare, arriva il fisco e gli domanda qualche cosa come tassa di successione. Il fisco è una macchina che va a leggi, son le leggi che bisogna rivedere. Può succedere ad esempio che taluni parenti, accortisi del pericolo di uno spezzettamento eccessivo della proprietà terriera nei confronti della coltivazione, vogliano riunire in un corpo unico i vari frammenti: arriva il fisco e considera il fatto alla stregua di una compravendita. Non parliamo poi delle abitazioni. A Triora, in via Madonna di Lourdes, abita, sola, Giovanna Oddo. Ella non sa quanti anni abbia: sa soltanto di essere nata nel 1881. I suoi antenati tagliarono una scala nella roccia, a questa scala appiccicarono una specie di muri e ne venne fuori, qualche cosa di abitabile, ma sempre meno abitabile col passare del tempo. Su questa miseria, la signorina Giovanna Oddo paga tasse (quanto, non ha importanza). Via, allora, a rivoletti verso le vitamine e le calorie (reali o supposte). Per rimediare, dicevamo che le strade si mettono a correre verso i luoghi abbandonati: scopo principale creare correnti turistiche. Sulle prime case di Triora, una lapide dice: «Chi qui soggiorna acquista quel che perde», si sottintende che acquista in salute ciò che perde in denaro. Una altra lapide ricorda con un poeta latino che «la casa umile regala sonni tranquilli». Benissimo, ma il turismo moderno tende poco al «soggiorno», è di passaggio, bisogna attirarlo con qualche cosa di più suggestivo del sonno tranquillo. Potrebbe aiutare la cucina. Triora esporta a Ventimiglia Bordighera e Sanremo una trentina di sacchi di pane al giorno, ricercatissimo perché non bianco e perché cotto al forno con l'antichissimo uso dela legna leggera (fascine). Ecco un minimo eventuale di attrattiva turistica per un pranzo o una cena. Verso un paesetto della valle Roja c'é una processione di turisti attratti dalle trote vive, ossia presentate vive all'appetito di passaggio. Presso Ventimiglia, un ristorante si è specializzato in antipasti. Tutto ciò è la maniera più gentile di prendere il prossimo per la gola. Ma tutto ciò domanda pure del tempo per propaganda ed organizzazione [...] In attesa dei miracoli futuri si dovrebbe cominciare col non sottrarre quel poco che c'è: si limitino le tasse o scompaiano addirittura. Il privilegio di non pagar tasse fu sempre concesso dal principi per attirare gente nelle loro terre e fermarcela. « Il denaro  - ha scritto un poeta russo - non fa la felicità ma il non averne fa piangere»: tanto più quando a breve distanza, un sipario di fiori da Ventimiglia ad Oneglia, canta le lodi della vita facile (anche se non sempre è tale)
a.a., Dietro il sipario dei fiori la dura lotta dei contadini liguri, «La Nuova Stampa», Mercoledì 17 Febbraio 1954

Nizza, febbraio
Dopo i tre tradizionali colpi di cannone, S.M. Carnevale, LXX della serie intitolato quest'anno «Re dei Giocattoli», è entrato festosamente nella sua «buona città di Nizza» giovedì sera, preceduto da musiche ed araldi impennacchiati, seguito da un corteo di sedici enormi carri con gli umoristici personaggi di cartapesta dipinti - gloria e vanto di uno stuolo di specialisti carnevalieri che vi lavorano per sei mesi dell'anno - intercalati da tante cavalcate, da 40 gruppi a piedi, da maschere e testoni isolati, tutti interpretanti il soggetto dell'anno: i giocattoli.
Battaglie cortesi
E' sempre uno spettacolo straordinario; l'ampia piazza Massena, la lunga avenue de la Victoire sono trasformate da imponenti decorazioni in legno intagliato dipinto, da archi, trionfi, creati con arte e legati fra loro dal filo di un'autentica trama: il Re Carnevale prende in prestito da Papà Natale la sua bisaccia e versa fiumi di balocchi sui bimbi del mondo.
[...]  Re Carnevale ha ripetuto due volte il percorso fra piogge di coriandoli e battimani e canti gioiosi. Le musiche hanno suonato tutte le arie care ai nizzardi e soprattutto la canzone che ogni anno si compone appositamente per la circostanza, gli altoparlanti hanno amplificato a distanza il festoso frastuono assordante. D'ora in poi, fino al martedì grasso quando verrà solennemente incenerito sullo spiazzo di Rauba Capeu, Carnevale impazzerà con sfilate di carri e testoni, battaglia di fiori e di «confetti» di giorno e di sera, culminanti con la pazza Notte di Nizza, gran veglione mascherato al Casinò, grande rallegrata notturna del buon popolo della città e dei dintorni che in questa occasione, per antica tradizione, si riversa nelle strade e nei pubblici locali, canta, mangia, beve, fino alle ore piccolissime. Tra i numerosi spettatori della prima serata carnevalesca erano José Ferrer e la moglie che sono ospiti per una breve vacanza a Beaulieu.
Circo senza animali
Se giovedì entrava solennemente in Nizza il Re del Carnevale, venerdì tornava all'applauso entusiastico della città che per la prima, nel lontano 1904, lo aveva consacrato artista - accanto al nostro Fregoli - il re del circo, Grock. A 74 anni questo meraviglioso clown, il più grande che sia mai esistito, si esibisce durante un'ora sulla pista girevole dei suo circo e affascina - questa è la parola - grandi e piccini rifacendo, molto più perfezionati, tutti i «trucchi» del suo mestiere, quelli che hanno entusiasmato il mondo intero e fatto ridere gente di ogni paese e razza [n.d.r.: non si praticava certo ancora l'attuale "politicamente corretto"!]. Il Circo Grock ha innalzato il suo tendone a cupola sulla piazza Risso, alla periferia di Nizza; è capace di quattromila posti ed è l'unico in Europa a possedere una pista girevole (azionata da sei motori). Dopo la lunga pausa lontano, dalle scene, Grock è tornato tre anni fa al mondo della sua passione. Messo su con Amar questo Circo di varietà (senza animali, salvo un numero bellissimo di cani ammaestrati) ha percorso per due anni tutta la Germania e l'anno scorso si è trasferito in Svizzera dove è rimasto fino all'autunno. Poi è venuto con la sua troupe in Italia, svernando a Vercelli con l'intenzione di esordire a Milano in gennaio. Ma da Roma non è giunta l'autorizzazione, lungamente chiesta, sempre promessa e rinviata. E così Grock, amareggiato, se ne è partito per la Francia, dove un contratto lo lega al carnevale nizzardo. E' qui con tutto il suo mondo, gli antichi compagni, il suo personale di un tempo. Un certo gruppo di fidati numeri di Amar, il quale gli è amico e presentatore. Le roulottes che costituiscono un intero villaggio sono 68, dipinte in giallo e rosso e spiccano allegre sulla grande piazza. I numeri di varietà sono tutti eccezionali: due di essi sono italiani, Floridas, acrobati e Gay und Gay, comici. Grock ha anche comprato i Chaloudls, i famosi acrobati su cicli di Ringling North, che abbiamo ammirato ne «Il più grande spettacolo del mondo».
Grock e Charlot.
Grock entra in scena nella seconda parte dello spettacolo e vi rimane un'ora intera di seguito: canta, suona, fa acrobazie, è giocoliere con le palline, clown dalla rosa calvizie del cranio alla punta delle famose ciabatte. Rifà il gioco del pianoforte, trae dal piccolissimo violino suoni deliziosi; a 74 anni si esibisce nel salto della sedia come cinquantanni fa. Anzi, se il pubblico lo richiede concede il bis su questo clownesco salto che nessuno è riuscito a rubargli. A Losanna, dove ha dato molti spettacoli, Grock ha incontrato Charlie Chaplin, che conduceva al circo le sue bimbe. I due grandissimi comici si sono stretti la mano commossi. L'anima di Charlot e quella di Grock - al secolo Adriano Wettach - si sono trovate vicine. Gli uomini, entrambi alla fine della loro eccezionale carriera, entrambi «unici» nel loro genere ed insuperati, si sono guardati sorridendosi. Nei loro occhi sono affiorate lievi, dolcissime, lagrime di emozione.
m.r., Grock il vecchio clown a Nizza con gli acrobati, «Stampa Sera» Martedì 23 - Mercoledì 24 Febbraio 1954

Di ben altra portata e rilievo è invece una rassegna che i compositori leggeri italiani si accingono ad affrontare: il Festival della canzone italiana a Parigi, che si svolgerà il 26, 27 e 28 marzo. Già l'anno scorso la manifestazione si svolse, e con grande successo. In Italia non ebbe quasi eco, poiché la R.A.I. non ritenne opportuno interessarsene e trasmetterla al pubblico italiano. Anche quest'anno i nostri microfoni non saranno installati nella sala Pleyel, per la seconda edizione. E, davvero, non se ne capisce il motivo. Negli ambienti radiofonici si sostiene che la manifestazione parigina ha caratteri un po' troppo mercantili e editoriali. Ma anche a Sanremo, in definitiva, sono gli editori che presentano i pezzi e non direttamente gli autori. Sarebbe forse meglio far buon viso anche a questo gioco parigino, per non vedersi poi costretti a intervenire alla terza o quarta edizione, tardivamente e di mala grazia. E i motivi per questo intervento, sia pure marginale, delle radioaudizioni italiane, non mancano: ben sessanta canzoni sono presentate al secondo Festival italiano di Parigi (quasi tutti i gruppi editoriali e gli autori di un certo nome vi partecipano); S. E. Quaroni, nostro ambasciatore, ha assunto la presidenza effettiva della manifestazione; il Sottosegretario alle Belle Arti francese, Cornu, fa parte del comitato insieme a grossi nomi dell'arte, della critica, del teatro e del varietà. Segurini (ché anche qui, il noto maestro dirigerà l'orchestra) ha formato un grande complesso, adatto a tutti i generi, e scelto una schiera di cantanti di primissimo ordine (le voci più popolari della Radio italiana: Nilla Pizzi, Katyna Ranieri, Jula de Palma, Alma Danieli, Luciano Tajoli, Teddy Reno, Giacomo Rondinella, Franco Ricci). Le canzoni presentate nelle tre giornate sono divise in quattro categorie: chansons de charme, canzoni realiste, canzoni di fantasia e canzoni à voix (per le quali, cioè, sono richiesti più solidi mezzi vocali). La giuria assegnerà un unico gran premio, consistente in una coppa e 300 mila franchi, nonché quattro premi di categoria, dotati ciascuno di una medaglia e 50 mila franchi. Ventitré nazioni, meno l'Italia, saranno «collegate» per radio con la Sala Pleyel per il secondo Festival della canzone italiana. Quali i pezzi prescelti? Sessanta in tutto, inviati dagli editori, dietro pagamento di una quota fissa abbastanza sostanziosa (è questo il punto che non piace alla Rai e che, senza dubbio, è molto discutibile).
Angelo Nizza, Orgia di canzoni, «Stampa Sera» Mercoledì 24 - Giovedì 25 Febbraio 1954

lunedì 7 novembre 2022

La giuria premierà il ventunenne Angelo Oliva per il racconto 'Una grossa porcheria'

Vallecrosia (IM): al confine con Bordighera

Poi, nel 1968, dopo l’improvvisa morte della madre, [Francesco Biamonti] decise di vendere all’amico [di Vallecrosia] Angelo Oliva la casa di Ventimiglia e di ritornare col padre, ormai pensionato, nella casa di campagna della famiglia, a San Biagio [della Cima (IM)]. Qui, dicono le quarte di copertina dei suoi due primi romanzi, fu un coltivatore di mimose.
[...] quella di Guido Seborga e dei pittori Balbo e Maiolino, che all’inizio degli anni ’50 fondarono i premi delle “Cinque Bettole” per la pittura e per la letteratura, passando libri e stimoli a scrittori come Sanguineti e Biamonti, e poi quella più giovane di Giorgio Loreti e Angelo Oliva, che insieme a quest’ultimo scoprirono i poeti francesi, i surrealisti e gli esistenzialisti.
[...] E vi sarà coinvolto anche Biamonti, per cui il primo biennio degli anni ’60 è piuttosto attivo: nell’estate del ’61 fa parte (con presidente Seborga) della giuria del “Cinque Bettole” che torna alle origini. La giuria premierà il ventunenne Angelo Oliva per il racconto 'Una grossa porcheria', e come secondo il venticinquenne Bruno Gambarotta, di Torino.
Claudio Panella, Francesco Biamonti: la preistoria e l'esordio (1951-1983), Tesi di Laurea, Università degli Studi di Torino, Anno Accademico 2001/2002

39 Angelo Oliva, «L’avventura della poesia francese», in «il Giornale» dell’Unione Culturale Democratica, II, 5, 1961, p. 5, cit. da C. Panella, Prima dell’Angelo..., cit., p. 21.
Matteo Grassano, Il territorio dell'esistenza. Francesco Biamonti (1928-2001), Tesi di laurea, 29 gennaio 2018, Université Nice Sophia Antipolis in cotutela internazionale con Università di Pavia

La Buca, così veniva poi definita l’Unione Culturale Democratica, dal nome della sua sede, è nata nel 1960 per la volontà di giovani di sinistra dell'estremo Ponente Ligure, fra i quali Elio Roggeri, Angelo Oliva, Carlo Maglitto, Giorgio Loreti, Matteo Lanteri e molti altri. Col sostegno entusiasta e partecipe di adulti affermati, in particolare dello scrittore, poi anche pittore, Guido Seborga.
Sergio Biancheri in Giorgio LoretiArchivio Unione Culturale Democratica, 2017

All'ordine del giorno la costituzione di un Circolo Culturale: ci vediamo alle 21 presso la sede del PCI di Vallecrosia: il segretario Pascalin Gazzano ci ospita.
[...] Confesso che sulle prime provai un po' di diffidenza per la scelta del posto: in casa mia non si era mai parlato di politica e l'autonomia del costituendo Circolo avevamo detto che doveva essere assoluta. L'atteggiamento distaccato tenuto in un angolo del locale dal Pascalin fugò tutte le mie perplessità.
Molte volte avevamo ragionato con Giorgio Loreti sulla necessità di dare vita a un qualcosa che smuovesse il conformismo dominante. Quella sera un gruppo di "ragazzini": Giorgio Loreti, Angelo Oliva, Dario Biancheri, Carlo Maglitto, io ed altri di cui non ricordo il nome, decise di fare una cosa rivoluzionaria: fondare, appunto, un Circolo Culturale. Così nacque l'unione Culturale "Edmondo De Amicis", in seguito solo Unione Culturale Democratica. Poi... venne la Buca, poi... gli incontri con Seborga, Biamonti, Capitini, poi...
Matteo Lanteri in Giorgio LoretiOp. cit.

Allora frequentavo i giovani della mia generazione del dopoguerra, non tutti liguri di nascita o di provenienza. Sognavamo, ognuno a modo proprio, una società priva di soprusi.
Aderii con entusiasmo all'Unione Culturale E. De Amicis assieme al mio compagno di banco Angelo Oliva, figlio di immigrati calabresi, giovane di forte carattere e di spiccata intelligenza.
[...] Per un ragazzo appena uscito dalle elementari di Lentini (Siracusa), costretto a cambiare spesso scuola e villaggio per la carriera del padre, l'impatto culturale della Buca ha gettato le basi che oggi mi vedono Presidente di Villa Biener, centro d'arte contemporanea a Cipressa (IM) e operatore artistico.
Carlo Maglitto in Giorgio LoretiOp. cit.

In quello stesso mese uscì il primo numero de "il Giornale" dell'associazione, un ciclostilato che riporta la data del 30 ottobre 1960.
[...] Tra le firme presenti nel giornale e più ricorrenti nelle attività promosse dall'UCD, il giovane ferroviere socialista Giorgio Loreti, che tiene viva l'associazione ancora oggi, il futuro scrittore Francesco Biamonti, il pittore Carlo Maglitto, l'imperiese Matteo Lanteri, Angelo Oliva, che farà un'importante carriera politica nel PCI...
Claudio Panella in Giorgio LoretiOp. cit.

Fin dagli anni ’50 Bordighera è stato un centro culturale decisamente animato, e Seborga passava spesso le sue giornate nei caffè del centro, intrattenendosi con coloro che diverranno i suoi compagni di una vita. Nei locali ormai scomparsi del Gran Caffè della Stazione, o del Caffè Giglio sull’Aurelia, poi del bar Chez Louis di C.so Italia (davanti all’allora sede del P.S.I), si è incontrata e formata più di una generazione di artisti liguri: oltre a quella di Seborga e dei pittori Balbo e Maiolino, che all’inizio degli anni ’50 fondarono i premi delle “Cinque Bettole” per la pittura e per la letteratura, passando libri e stimoli a scrittori come Sanguineti e Biamonti, quella più giovane di Giorgio Loreti e Angelo Oliva, che insieme a Seborga scoprirono i poeti francesi, i surrealisti, gli esistenzialisti e la politica [...] Va sottolineato come i dibattiti, pubblici e privati, promossi da Seborga a Bordighera abbiano formato profondamente intere generazioni: alle diverse iniziative già messe in atto se ne aggiunse una nuova quando, alla fine degli anni ’50, il giovane socialista Giorgio Loreti e altri suoi colleghi chiesero aiuto anche a Seborga per la fondazione dell’Unione Culturale Democratica
[...] La rivista dell’Unione Culturale Democratica fu quindi il banco di prova, il primo spazio libero per molti dei giovani, bordigotti e non, che poi si dedicarono alla scrittura, alla pittura, alla politica. Fin dai primi numeri vi scrissero con Giorgio Loreti, Beppe Maiolino, Angelo Oliva e in una delle sue poche uscite di questo tipo Francesco Biamonti [...] Tutti i nomi sopra citati, e non solo, furono variamente influenzati dall’azione continua di formazione e incitamento all’organizzazione giovanile che Seborga portò avanti nella Bordighera di quegli anni [...] e ancora, in un articolo dal titolo di "Nuovi fiori sulla nostra costa", Seborga citava "le pagine scritte da certi giovani come Oliva, Lanteri, Loreti..."
Claudio Panella, Dedicato a Guido Seborga, bordighera.net

Foto: Giorgio Loreti

[n.d.r.: il racconto 'Una grossa porcheria' di Angelo Oliva venne pubblicato in seguito, a puntate, sul periodico "L'Eco della Riviera" di Sanremo]

Angelo Oliva nacque il 2 febbraio 1940. Il suo percorso politico cominciò negli anni sessanta nella Federazione giovanile del Pci, membro della segreteria nazionale e, dal marzo 1967 all'aprile 1969, componente del comitato di redazione di «Nuova generazione», la rivista della Fgci. Nel 1969 fu inviato a Budapest, in qualità di presidente della Fédération mondiale de la jeunesse démocratique. Dal 1972, anno del suo rientro in Italia, gli vennero affidati incarichi politici negli organismi nazionali del Pci, sempre nel settore della politica internazionale. Vice responsabile della sezione Esteri dal 1972 al 1975 e dal XIV congresso (1975) membro del Cc, incarico che gli verrà confermato con il XV congresso (1979). Nel 1986 (XVII congresso) venne eletto nella Ccc e nel 1989 nella I commissione del Cc (Politica estera e rapporti con i partiti comunisti ed i movimenti di liberazione). Dal gennaio 1993 lavorò al Parlamento europeo, con le funzioni di segretario generale aggiunto del gruppo socialista. Morì nell'ottobre 2004.
Maria Antonietta Serci, Angelo Oliva, Fondazione Gramsci

Ma non sarebbe giusto, in special modo, lasciar passare la dolorosa notizia della scomparsa di Angelo Oliva senza un ricordo più attento, al di là delle parole di cordoglio.
Angelo è morto, non ancora anziano, nella sua terra, dove si era ritirato, lontano dai luoghi - Roma e Bruxelles - del suo impegno politico e istituzionale e, per lungo tempo, della sua vita, delle sue relazioni umane. Era stato attivo nel Pci in Val d'Aosta e in Piemonte, ma ebbe i ruoli più significativi nella direzione della Federazione giovanile comunista e soprattutto nell'apparato centrale del partito. Il suo contributo fu prezioso in seno alla “Sezione esteri” del Pci negli anni '70.
Ed è venuto il momento di reagire a rappresentazioni sbrigative e false di quelle stanze di Botteghe Oscure, in cui si sarebbero solo recepite le posizioni e le direttive sovietiche: in quegli anni, sotto la direzione di Sergio Segre, ma con il convinto apporto di Angelo, la Sezione esteri fu un crogiuolo di idee e iniziative nuove, sia pur tra pesanti resistenze e difficoltà: si aprirono le strade dei rapporti con il socialismo europeo, in particolare con la socialdemocrazia tedesca, si svilupparono atteggiamenti sempre più critici, all'insegna di una marcata autonomia, verso il partito comunista sovietico e verso altri partiti comunisti, anche europei.
Quella maturazione di esperienze, quell'avvio di relazioni internazionali nuove per il Pci, fu poi prezioso per l'assunzione e lo svolgimento da parte di Angelo del più importante incarico, quello di segretario del gruppo comunista ed apparentati nel Parlamento europeo. Nella breve fase transitoria del Gruppo della sinistra europea e nell'approdo, infine, al Gruppo socialista, la presenza operosissima, la combattività politica, la visione aperta e lungimirante di Angelo Oliva - accanto ai presidenti, Gianni Cervetti e Luigi Colajanni - risultarono decisive. Il riconoscimento di quel suo ruolo, del prestigio che si era conquistato, della simpatia che aveva suscitato nelle relazioni con i rappresentanti di altre forze della sinistra europea, gli valsero nel gennaio 1993 il titolo di Segretario generale aggiunto del gruppo socialista.
Non si può, ormai da tempo, non convenire sul giudizio di un'evoluzione lenta, contrastata, faticosa del Pci verso le sponde del socialismo democratico europeo: ma tale giudizio nulla può togliere al valore del lavoro e della battaglia di quanti cercarono di rendere più spedito e sicuro quel cammino.
E Angelo fu uno di loro, non tendendo certo a sacrificare il patrimonio migliore della storia del Pci di cui si sentiva partecipe, ma preoccupandosi di evitarne un fatale isterilimento.
L'uomo era riservato, schivo, anche un po' borbottone e chiuso. Ma io che come altri ho potuto contare sulla schiettezza e sulla qualità della sua collaborazione - quando fui responsabile della Sezione di organizzazione del Pci, quando venni eletto per la prima volta al Parlamento europeo e anche successivamente nello svolgimento di tutte le mie missioni internazionali - io che come altri ho potuto contare sulla sua lealtà, sul suo spirito critico e sul suo stimolo per andare avanti nella direzione giusta, sento di dovergli rivolgere, un po' a nome di tanti, il più affettuoso omaggio.
È stato uno splendido compagno e un autentico amico, di cui ci mancheranno anche l'ironia, i momenti di buon umore, la confidenza e la sensibilità umana.
Giorgio Napolitano, Angelo Oliva e la memoria della sinistra, "l'Unità", 13 ottobre 2004

Una «Conferenza internazionale dei giovani per la sicurezza europea» era stata effettivamente tenuta alla fine del 1971 a Firenze, e le adesioni ufficiali erano state ampie (avevano partecipato, fra le altre, l’associazione giovanile dell’Internazionale socialista, Iusy, e le corrispondenti liberali e cristianodemocratiche): quanto alla reale mobilitazione e all’eco sulla stampa, tuttavia, il giudizio degli organizzatori non era positivo <59.
59 FIG, APC, Sezione Esteri, mf. 58, pp. 304-7, «Nota sulla “Conferenza internazionale dei giovani per la sicurezza europea” di Firenze presentata da Angelo Oliva», 13 dicembre 1971.
Michele Di Donato, PCI e socialdemocrazie europee. Da Longo a Berlinguer, Tesi di dottorato, Università degli Studi "Roma Tre", Anno Accademico 2012-2013

La carta del 16 gennaio ’72 introduceva un’altra figura di spicco della realtà italiana che avrebbe preso le redini della Sezione esteri: Sergio Segre <259.
259 Partigiano, giornalista, ministro degli esteri del PCI dal 1970 al 1979. Con lui alla Sezione Esteri Angelo Oliva, Renato Sandri, Aldo Mechini. Intervista all’autore, Roma, 2 ottobre 2013.
[...] Cunhal avanzava la proposta di un incontro per la seconda metà di aprile, senza sapere che proprio quel 30 aprile sarebbe tornato in patria da vincitore <284.
284 Il colloquio nella sede del PCI si terrà ugualmente. Pedro Soares incontrò Bufalini, Galluzzi, Mechini, Oliva, in FIG/APC 1974, doc. NC, b. 268, fasc. 95, 30 aprile 1974, riportato anche da «l’Unità» in prima pagina.
[...] Proprio negli stessi giorni in cui il premier del III governo provvisorio Vasco Gonçalves elogiava il «processo di democratizzazione» <335 del Paese, una delegazione del PCI composta da Pecchioli, Oliva, Mauro Tognoni e Galleni incontrava il rappresentante portoghese Pires per esaminare «alcuni problemi di comune interesse tra i due partiti» <336 mentre il giornalista Franco Fabiani intervistava Cunhal che sottolineava «il ruolo del PCP nella difesa della democrazia» <337.
335 «l’Unità», 2 ottobre ’74.
336 «l’Unità», 3 ottobre ’74, p. 13.
337 «l’Unità», 6 ottobre ’74, p. 18.

[...] Il periodo più florido dei rapporti tra PCI e PCP è riscontrabile da novembre del 1974. In seguito all’invito posto dal PCP il 30 agosto ’74, la V riunione di segreteria del 24 settembre decretava l’invio di una delegazione a Lisbona tra il 16 e il 18 novembre. Il viaggio su volo AZ 472344 veniva confermato dalla riunione di segreteria di inizio novembre insieme alla delegazione composta da Pecchioli, Oliva (vice responsabile sezione esteri), Elio Gabbuggiani (membro comitato centrale), Aldo d'Alessio (deputato, segretario presidenza camera dei deputati), Ennio Polito (responsabile esteri de «l'Unità»). Il viaggio fu considerato un successo e la delegazione italiana venne trattata con tutti gli onori, anche per risultare all’altezza dell’imminente Congresso del PSP che annoverava invitati illustri quali Olof Palme e Willy Brandt.
Massimiliano Pinna, The relations between Italian and Portuguese left. PCI, PCP and revolutionary lefts (1969-1976), Tesi di Dottorato, Università degli Studi di Macerata e Instituto Universitario de Lisboa, Anno Accademico 2017-2018

I giornalisti della rivista “Panorama” Giovanni Fasanella e Rocco Incerti ricostruirono la vicenda dopo il crollo dell’URSS, quando l’unico compagno di partito che ne era a conoscenza rilasciò un’intervista. Il compagno in questione è Emanuele Macaluso, che dopo 18 anni di silenzio trovò l’occasione per denunciare l’accaduto. Macaluso sostenne che il 3 ottobre del 1973, mentre Enrico Berlinguer si stava dirigendo all’aeroporto di Sofia per fare ritorno in Italia, rimase vittima di un attentato che non si rivelò, fortunatamente, mortale. Proprio perché Enrico ebbe la fortuna di non farsi male, decise di non rivelare a nessuno i suoi sospetti, se non a Macaluso e alla sua famiglia. Alla pubblicazione dell’intervista, moltissimi esponenti del PCI di quegli anni affermarono che era impossibile, che l’opzione dell’attentato non era realistica: a quel punto intervenne la moglie di Berlinguer, Letizia, che confermò la versione di Macaluso.
Per ricostruire i fatti con precisione, Fasanella e Incerti si affidarono al racconto di Gastone Gensini che, insieme ad Angelo Oliva, aveva accompagnato Berlinguer durante la visita a Sofia. Gensini e Oliva avevano avuto, in effetti, il dubbio che si fosse trattato di un attentato, ma non ne avevano fatto parola perché all’epoca era ritenuto troppo pericoloso. Gensini ha raccontato ai giornalisti di Panorama come si svolse l’incontro ufficiale tra Berlinguer e il leader bulgaro, Zhivkov, segretario del Partito comunista bulgaro (PCB): l’incontro non si aprì in modo pacifico, perché Berlinguer confermò la sua condanna dell’invasione sovietica a Praga e Zhivkov, che ne aveva attivamente preso parte, la difese in modo parecchio aggressivo. Per comprendere le motivazioni di ciò che accadde, è bene anche sottolineare che la Bulgaria era un Paese del “socialismo reale” molto fedele all’URSS, e che realmente subiva la sua influenza. Berlinguer approfittò della recente crisi cilena per affrontare con il leader bulgaro la sua nuova proposta politica, quella che sarebbe stata conosciuta poi con il “compromesso storico”. Non usò direttamente questo termine, ma riuscì a infastidire ulteriormente Zhivkov insistendo sulla necessità italiana di far collaborare le forze di sinistra con quelle di destra, di unire il potere del proletariato con la borghesia: questo non andava solo contro l’URSS, secondo il leader bulgaro andava proprio contro il comunismo. Non era comprensibile una via democratica poiché si contrapponeva alla via che, secondo Zhivkov, doveva essere comune a tutti i partiti comunisti. I colloqui tra i due leader non stavano andando molto bene, e Berlinguer decise di lasciare prima la Bulgaria: non si fidava del PCB, inoltre Zhivkov aveva malcelato un paio di minacce.
Serena Nardo, Il ruolo del Partito comunista italiano nella Guerra Fredda: lotta per l'autonomia dalle superpotenze, Tesi di laurea, Università degli Studi di Padova, Anno Accademico 2021-2022

È molto interessante la presenza di Venanzi, soprattutto per l’invio, in carta intestata del Senato della Repubblica della propria «sintetica relazione sui lavori del Congresso del Partito Socialista Portoghese» alla sezione esteri gestita ancora da Angelo Oliva. Tramite i compagni della delegazione del PCP invitati al Congresso ed Elena Costa, Venanzi ottenne un incontro - nella tarda mattinata del 16  con Aurelio Santos del PCP, al quale motivava la sua presenza al congresso socialista: dopo «una comprensibile diffidenza iniziale, è stato cordialissimo», così come «ottima è stata l'accoglienza fattami da Mario Soares che, naturalmente, è stato molto contento, invece, per la nostra presenza». Venanzi sottolineava inoltre la corposa presenza di una delegazione del Psi a Lisbona, scrollatasi di dosso le critiche precedenti. È utile rimarcare anche la nota che riportava la presenza di «due giovani ufficiali dell’MFA invitati al Congresso, che si sono mostrati molto interessati a conoscere la [nostra] linea politica».
Massimiliano Pinna, The relations between Italian and Portuguese left. PCI, PCP and revolutionary lefts (1969-1976), Tesi di Dottorato, Università degli Studi di Macerata e Instituto Universitario de Lisboa, Anno Accademico 2017/2018

Nell’agosto dello stesso anno [1975] si registrò un rapporto del membro del PCI Angelo Oliva, nel quale si tracciava un’analisi accurata della situazione politica in Belgio e di quella del PCB. Il rapporto indugiava in particolare sull’interesse dei comunisti belgi nei confronti della politica dei suoi omologhi italiani e delle possibilità di un contatto fra questi. In particolare, annotava Oliva, un dirigente di primo piano belga «ci prega di tenerlo informato su iniziative e prese di posizione del PCI, sia in campo nazionale che europeo, esaminare la possibilità di un contatto a Bruxelles o a Roma tra PCI e PCB» <243. Un mese e mezzo più tardi la sezione esteri del partito italiano ricevette una nota di Baldanesi incaricato, in questo caso, di analizzare le possibilità di contatto tra i socialisti belgi e i comunisti italiani <244.
243 APC, Nota di Oliva, Estero, 1975, mf.207, 0783
244 APC, Estero, 1975, mf.210, 0537

Mario Amodeo, Il PCI a Bruxelles. Le relazioni tra i partiti comunisti italiano e belga negli anni dell'eurocomunismo (1974-1979), Tesi di Laurea, Università degli Studi di Pisa, Anno Accademico 2014-2015

Grazie a queste premesse ha luogo la missione di Petruccioli e Ghiara, i quali, però, non sono i soli comunisti italiani ad arrivare a Pechino nel luglio del 1979. Nonostante gli organi di stampa comunisti del Pci non riportino la presenza di altri rappresentanti del partito nella Repubblica popolare, Pons sottolinea che proprio nel luglio del 1979 si era tenuto un secondo incontro riservato con i cinesi tra i rappresentanti delle sezioni Esteri dei due partiti. Lo studioso riporta che Antonio Rubbi e Angelo Oliva <398, in seguito del viaggio a Pechino, “giudicarono come un obiettivo realistico la ripresa dei rapporti tra i due partiti”: <399 la “Nota sullo svolgimento della visita in Cina e sugli scontri riservati tra le delegazioni del Pci e del Pcc” <400, presente negli Archivi della FIG, sarebbe stata redatta tra il 24 e il 31 luglio 1979, proprio mentre Petruccioli e Ghiara tornavano da Pechino. Rubbi e Oliva quindi, in maniera ufficiosa e non documentata dagli organi di stampa del Partito comunista italiano, ebbero dei colloqui per definire la possibile riconciliazione dei partiti. <401
398 Angelo Oliva (1940-2004) entra negli anni Sessanta nella Fgci e, dal 1967 al 1969, è tra i componenti del comitato di redazione di Nuova generazione. Vice-presidente della Sezione esteri del Pci dal 1972 al 1975, nello stesso anno diventa membro del Comitato centrale, carica che mantiene fino allo scioglimento del Pci. Scheda bibliografia persone: Angelo Oliva, “Archivi del Novecento”, http://catalogo.archividelnovecento.it/scripts/GeaCGI.exe?REQSRV=REQPROFILE&ID=63679, 18/05/2017.
399 PONS, Berlinguer e la fine del comunismo, p.180.
400 Fin da queste prime prese di contatto tra i due partiti, però, l'Urss e la Germania orientale non esitano a mostrare la propria contrarietà circa il riallacciamento dei rapporti. In una “Nota sulle conversazioni con la Sed”, sempre presente nella sezione Estero degli Archivi, è riportato che la Sed apostrofò il Pci affermando che il riavvicinamento alla Rpc avrebbe significato lo spostamento della bilancia delle forze mondiali a favore del “nuovo blocco militare” antisovietico, costituito proprio dalla Rpc e dagli Usa: il Pci, stringendo alleanze con le forze capitaliste e imperialiste, avrebbe dimostrato, quindi, di passare dalla parte del nemico. Ibidem.
401 Per uno sguardo sul contenuto di questi colloqui si veda Antonio RUBBI, “A Pechino 23-31 luglio”, Appunti cinesi, pp.49-78.
[...] la delegazione del Pci, guidata da Berlinguer e composta da Giancarlo Pajetta, Antonio Rubbi, Angelo Oliva e Silvana Dameri, <568 dopo aver visitato Pechino, effettuerà un breve soggiorno anche nella Repubblica popolare di Corea. <569 Insieme alla delegazione del Pci partiranno anche i numerosi giornalisti, tra i quali, Renzo Foa <570 per L'Unità e Lina Tamburino <571 per Rinascita. <572 Berlinguer, alla vigilia della sua partenza per la Cina, viene intervistato su Rai Uno alla trasmissione “Tam tam” proprio a proposito del viaggio: <573 il leader sottolinea la volontà di riprendere un dialogo franco con la Cina popolare, con cui si ha il desiderio di parlare della situazione internazionale e delle tensioni e dei conflitti tra i paesi socialisti.
568 Silvana Dameri (1952-) milita nel Pci dalla fine degli anni Sessanta. In seguito, entra nella Camera dei deputati dal 1996 al 2006 con i Ds. Per un resoconto riguardo la sua azione politica nel gruppo di donne attive nel Pci, riunite attorno alla figura di Adriana Seroni e Nilde Jotti, si veda: Graziella FALCONI, Oh, bimbe! Le ragazze di Adriana, Roma, Edizioni Memori, 2014, pp.320.
569 Ibidem
570 Per una breve biografia di Renzo Foa si veda nota n..473 p.101..
571 Lina Tamburrino (1936-2009) inizia la sua esperienza giornalistica a Cronache meridionali e, in seguito alla chiusura della rivista, avvia la sua collaborazione con la redazione napoletana de l'Unità. Chiamata alla redazione nazionale del quotidiano del Pci, all'inizio degli anni Ottanta passa a Rinascita, per tornare poi a l'Unità come corrispondente dalla Cina, dove rimane per cinque anni e si fa testimone e interprete dei fatti di Piazza Tian Anmen nel giugno 1989. E' morta Lina Tamburino, firma storica de “l'Unità”, “Federazione Nazionale Stampa Italiana (F.N.S.I.)”, 2 gennaio 2009, http://www.fnsi.it/e-morta-lina-tamburino-firma-storica-de-lunita, 10/03/2017.
572 “Berlinguer stasera a Pechino”, in l'Unità, 14 aprile 1980.
573 “Berlinguer alla TV sul viaggio in Cina e sull'eurocomunismo”, l'Unità, 12 aprile 1980.

Clara Galzerano, La normalizzazione dei rapporti tra il Pci e il Pcc (1979-1980): Lo sguardo dei comunisti italiani sulle riforme di Deng Xiaoping, Tesi di Laurea, Università Ca' Foscari - Venezia, Anno Accademico 2016-2017