sabato 12 novembre 2022

Singolari considerazioni - scomodando anche Totò e Grock - a febbraio 1954 sul turismo in provincia di Imperia ed in Costa Azzurra e su altro ancora

Nizza: uno scorcio di Piazza Massena

Quello contro gli italiani è un lamento insistente, diffuso lungo tutto l'arco della Costa Azzurra, ed è sempre lo stesso: i turisti stranieri arrivano, si fermano due o tre giorni a Nizza, a Cannes, ad Antibes, e subito dopo fuggono verso l’Italia. Non trovano niente o quasi da ridire contro l'attrezzatura turistica organizzata dai francesi da Mentone a Saint-Raphaél, la cucina è eccellente, le strade magnifiche, completa è la gamma dei giochi e dei divertimenti, spettacolare la bellezza dei luoghi. Ma tutto ciò non interessa più gli stranieri, oppure li interessa molto meno di una volta; si direbbero distratti. Gli albergatori li sorprendono a studiare carte e guide dell'Italia, a consultare dizionari italiani, a guardare verso sud; sono impazienti come innamorati. Dopo aver visto o gustato solo poche fra le moltissime cose che offre la Costa Azzurra, prendono il volo con un senso di sollievo. Che mai li attira in Italia?
I francesi spiano tutto quel che avviene di là dalla frontiera, si lamentano e cercano di capire, poi finiscono col fare come il giocatore sfortunato al tavolo della roulette, quando si appiglia airultima risorsa di pedinare col suo denaro le giocate di chi sta vincendo. È precisamente quel che è avvenuto col Festival internazionale della canzone organizzato a Nizza dal 26 al 31 gennaio. Questa volta i francesi erano sicuri di farcela, e in questa manifestazione, diretta concorrente di quella di San Remo, avevano investito somme ragguardevoli, decine di milioni di franchi. Se il Festival di San Remo era una faccenda solo italiana, i francesi pensarono di dare un carattere internazionale alla loro manifestazione; e perciò, a furia di milioni, reclutarono cantanti italiani, austriaci, americani, cecoslovacchi, canadesi, spagnoli, giapponesi, inglesi, messicani, brasiliani, svizzeri, danesi, paraguaiani. Accanto vi misero molte fra le vecchie e popolari glorie della canzonetta francese, da Maurice Chevalier a Joséphine Baker, da Tino Rossi a Jean Sablon. Le serate del Festival, oltre che dalla radio francese, erano messe in onda da una folla di radio europee e americane. I prezzi furono fìssati a un livello quasi popolare, da 400 franchi a 1500.
Quando la sera del 26 cominciò il Festival, al Casino municipale di Nizza mezza sala era vuota. Andò meglio la sera dopo al Palais de la Méditerranée, ma la sera successiva, di nuovo al Casino municipale il fiasco divenne allarmante. I giornali protestarono per tutte le decine di milioni spesi inutilmente, gli stranieri finsero di non accorgersi nemmeno ch’era in corso un Festival internazionale, continuarono a fuggire verso la frontiera italiana. I francesi hanno ora deciso di ripetere anche l'hanno venturo il Festival della canzone, ma è certo che non lo faranno mai più coincidere con quello di San Remo. Non c’è che dire: il giocatore sfortunato resta sfortunato anche se ripete come un segugio le giocate di chi ha fortuna.
Se al Festival di Nizza c’era un’aria di fronte popolare per via dei baschi e dei pullover nella platea e nei palchetti, nel candido giardino d’inverno del Casino di San Remo, stilizzato da due alte palme e spennellato qua e là sulle pareti da fasci di garofani, le pellicce di visone, gli esprits, i grandi diademi, le profonde scollature non attiravano nemmeno uno sguardo tanto erano comuni. L’ultima sera, sabato 30, nemmeno a 25 mila lire era più possibile trovare un biglietto. Poche ore prima dell’inizio dello spettacolo si videro signore cadere in deliquio nelle braccia dei mariti dopo una lunga, estenuante caccia ai biglietti: si trattava qualche volta di gente che si era messa in viaggio due o tre giorni prima dalla Sicilia o dalla Calabria.
Il Festival è al suo quarto anno, i prezzi di anno in anno vengono aumentati, il disagio nei ristoranti e negli alberghi sta raggiungendo il limite della sopportazione, gli organizzatori non sanno più da che parte voltarsi per porre un argine al successo, per rendere più composta, meno frenetica, la troppa grazia fatta piovere da Sant’Antonio. Ma è difficile che vi riescano. La smania di San Remo afferra, travolge ogni anno migliaia di persone, è diventata forse la manifestazione mondana di maggiore risonanza nell’inverno italiano. Dietro alla mondanità ci sono poi gli interessi delle Case, dei canzonieri e dei parolai che stanno assisi intorno alla torta di miliardi che la Società degli Autori divide ogni anno fra i più meritevoli o fortunati. Ma non si tratta solo di denaro. C’è la gloria, c’è la popolarità, vincere a San Remo era come un tempo laurearsi poeta con l'alloro del Campidoglio. Questo vi spiega la grande, incontenibile emozione dell’attore Totò. Volentieri avrebbe rinunciato a molti suoi successi teatrali e cinematografici pur di vedere la sua ultima e diletta creatura, la canzone «Con te», prevalere sulle altre o almeno essere accolta con favore dal pubblico. Non è una questione di denaro: «Malafemmina», anche senza passare per San Remo, gli procurò una quindicina di milioni nel giro di pochi mesi.
Sebbene non premiata, «Con te» gli arrecherà una somma di certo non inferiore. Ma Totò voleva vincere, ed era arrivato a San Remo con la fidanzata Franca Faldini, la figlia, il genero, un piccolo gruppo di amici. Totò ha composto finora una cinquantina di canzoni, e quasi tutta la musica dei suoi sketches. Si può perciò considerare un po’ di più di un dilettante. Appartiene poi a una famiglia di musicisti, e nella storia della canzone napoletana suo zio Ernesto De Curtis occupa, uno dei primissimi posti. Ora ha in mente altri motivi, altre canzoni, altre musiche. Ma «Con te» è la canzone che più ama; dice di avervi versato dentro tutta la sua tenerezza, tutta la sua anima, ch’è una cosa molto diversa dalla sua maschera teatrale. La canzone gli appariva così bella che non solo ci teneva a vincere, ma era sicuro di battere tutti i concorrenti. Molta è ora la sua amarezza per San Remo, anche perché è convinto di essere stato sconfitto non sul piano del valore artistico, ma solo dalla concorrenza sleale. Era considerato il nemico da battere, il concorrente più pericoloso, e perciò dice che c’è stata una coalizione contro di lui da parte di tutti i canzonieri ammessi al Festival. Una parte notevole del giardino d’inverno era occupata dalle varie claques organizzate da ciascun concorrente, e se ciascuna di esse aveva l'incarico di battere freneticamente le niani alla canzone di chi l’aveva pagata, tutte avevano poi avuto l’ordine di zittire gli applausi favorevoli alla canzone di Totò. E dice Totò: «Io ero arrivato a San Remo innocente e ingenuo come un colombo. Chi poteva mai immaginare tutte le brutte cose che ho visto con gli occhi miei? Ma l'ingenuità si paga. Me ne parto spennato come un pollo».
N. A., Totò al Festival di Sanremo: affari e sentimento, «L'Europeo», anno X, n.6, 7 febbraio 1954, articolo qui ripreso da Totò...

Nizza, 11 febbraio
Il famoso clown svizzero «Grock», che da qualche tempo si era ritirato nella sua villa di Imperia, ha annunciato che riprenderà fra qualche mese la sua attività seguendo un circo francese viaggiante. «Grock» aveva iniziato la carriera nel 1896. Egli ora ha 75 anni [n.d.r.: la maggior parte delle fonti indica, però, nel 1880 l'anno di nascita di Grock, per cui risulterebbe che l'articolista avesse invecchiato di un anno il noto personaggio in questione].
Redazione, «Grock» a 75 anni torna a fare il «clown», «La Nuova Stampa», Venerdì 12 Febbraio 1954

(Dal nostro inviato speciale)
Alassio, 16 febbraio
Visto Magni; parlato con Magni. Visto intorno a mezzogiorno mentre con Minardi, Albani, Scudellaro e altri alassini della Legnano era di ritorno da una lunga gita d'allenamento oltre il confine con la Francia. L'incontro è avvenuto all'uscita di Bordighera [n.d.r.: di sicuro questa intervista si sarà svolta nella città delle palme, ma è da notare una certa approssimazione nel considerare la geografia, dato che la frontiera con la Francia è in territorio di Ventimiglia], e, come ai corridori rimaneva ancora un'ora e mezzo di strada avanti di sedersi a tavola, la sosta fu breve.
Vittorio Varale, Magni vuole vincere la "Sanremo, e sta temprando le forze in Riviera. Come si svolge la sua preparazione - Parteciperà alla Settimana Sarda e forse alla Parigi-Roubaix - Dubbia la presenza sua e della sua squadra nella Milano-Torino, «La Nuova Stampa», Mercoledì 17 Febbraio 1954

(Dal nostro inviato speciale)
Triora, febbraio
Triora è un comune a 786 metri sul livello del mare. Amena posizione, a 38 chilometri da Sanremo e a 45 da Porto Maurizio, dovette già essere un centro di notevole importanza se, nel 1285, Genova gli impose un contributo di 200 balestrieri per aiutarla a combattere contro Pisa e se, nel 1399, il fisco lo tassava ufficialmente per lire genovesi 3490 contro 3210 di Ventimiglia, 2918 di Albenga e 2189 di Sanremo (una lira genovese valeva press'a poco come 25 lire nostre del 1914). Di certo sul finire del secolo scorso, Triora, con le sue undici frazioni, aveva superato i cinquemila abitanti; adesso, sempre con le frazioni, è poco al di sopra dei mille. La differenza è dovuta a un deflusso costante verso l'estero o verso il mare vicino. Il caso di Triora non è solo. Tutti i centri montani e vallivi della provincia d'Imperia lamentano la stessa emorragia di abitanti [...] Ma le strade basterebbero a combattere il male? No. Sarebbero appena un sollievo, l'inizio di una cura, la cui lunghezza rischierebbe di vederla perfezionata ad ammalato morto. Che cosa si può fare di meglio? Torniamo a Triora. I testi dicono che la zona produce grano, vino, legumi, fieno, castagne e ottimo miele. Per il miele, niente da osservare: le api volano, quindi si trovano alla pari (o circa) con quelle della pianura: le castagne son del genere umile e, non potendo ambire ad entrare nella famiglia dei «marrons glacés», finiscono come mangime per i suini (specialmente in Svizzera) ma in concorrenza con altri mangimi di minore prezzo sui quali deve allinearsi per lo smercio (la castagna secca sarebbe ottima con il latte ma non è più di moda, e addio!); il fieno basta appena a tirar su vacche magre e per il grano, il vino, i legumi bisogna fare i conti con il lavoro che esigono. Fatiche di secoli tagliarono i costoni della montagna in brevi terrazzi di pianura artificiale, sorretta da muri a secco. Di un'aratura meccanica nemmeno parlarne, tutto vanga e zappa. Altrove la terra può avere la benzina come forza motrice che la feconda, qui c'è soltanto il braccio. La disparità dei due mezzi è catastrofica nel confronto dei risultati produttivi da portar sul mercato, dove vige la legge della domanda e dell'offerta. Lo scoraggiamento che ne deriva è implicito. Ma non basta. Qui non esistono ricchi che «sfruttino», come dicono i politici, il lavoro altrui: qui son tutti piccoli proprietari che «sfruttano» soltanto se stessi. Sudore dall'alba al tramonto, e può derivarne quel tanto che basti per non morire di fame. Ma è difficile morire di fame. E' molto più facile essere aggrediti da una malattia.. In questa circostanza, il piccolo proprietario non ha difesa: niente margini di risparmio (o minimi), nessuna assistenza attraverso mutue od altri organi sociali. Contemporaneamente egli sente dire che, al piano e nelle città, i diritti dell'uomo garantiscono al lavoro non soltanto il pane ma un determinato numero di calorie e di vitamine. Istintivamente, egli sente nascere in lui la tentazione di emigrare verso le vitamine e le calorie. Magari non sarà lui ad emigrare ma suo figlio, perchè, ecco, il padre muore, lo lascia erede di quelle fasce da coltivare, arriva il fisco e gli domanda qualche cosa come tassa di successione. Il fisco è una macchina che va a leggi, son le leggi che bisogna rivedere. Può succedere ad esempio che taluni parenti, accortisi del pericolo di uno spezzettamento eccessivo della proprietà terriera nei confronti della coltivazione, vogliano riunire in un corpo unico i vari frammenti: arriva il fisco e considera il fatto alla stregua di una compravendita. Non parliamo poi delle abitazioni. A Triora, in via Madonna di Lourdes, abita, sola, Giovanna Oddo. Ella non sa quanti anni abbia: sa soltanto di essere nata nel 1881. I suoi antenati tagliarono una scala nella roccia, a questa scala appiccicarono una specie di muri e ne venne fuori, qualche cosa di abitabile, ma sempre meno abitabile col passare del tempo. Su questa miseria, la signorina Giovanna Oddo paga tasse (quanto, non ha importanza). Via, allora, a rivoletti verso le vitamine e le calorie (reali o supposte). Per rimediare, dicevamo che le strade si mettono a correre verso i luoghi abbandonati: scopo principale creare correnti turistiche. Sulle prime case di Triora, una lapide dice: «Chi qui soggiorna acquista quel che perde», si sottintende che acquista in salute ciò che perde in denaro. Una altra lapide ricorda con un poeta latino che «la casa umile regala sonni tranquilli». Benissimo, ma il turismo moderno tende poco al «soggiorno», è di passaggio, bisogna attirarlo con qualche cosa di più suggestivo del sonno tranquillo. Potrebbe aiutare la cucina. Triora esporta a Ventimiglia Bordighera e Sanremo una trentina di sacchi di pane al giorno, ricercatissimo perché non bianco e perché cotto al forno con l'antichissimo uso dela legna leggera (fascine). Ecco un minimo eventuale di attrattiva turistica per un pranzo o una cena. Verso un paesetto della valle Roja c'é una processione di turisti attratti dalle trote vive, ossia presentate vive all'appetito di passaggio. Presso Ventimiglia, un ristorante si è specializzato in antipasti. Tutto ciò è la maniera più gentile di prendere il prossimo per la gola. Ma tutto ciò domanda pure del tempo per propaganda ed organizzazione [...] In attesa dei miracoli futuri si dovrebbe cominciare col non sottrarre quel poco che c'è: si limitino le tasse o scompaiano addirittura. Il privilegio di non pagar tasse fu sempre concesso dal principi per attirare gente nelle loro terre e fermarcela. « Il denaro  - ha scritto un poeta russo - non fa la felicità ma il non averne fa piangere»: tanto più quando a breve distanza, un sipario di fiori da Ventimiglia ad Oneglia, canta le lodi della vita facile (anche se non sempre è tale)
a.a., Dietro il sipario dei fiori la dura lotta dei contadini liguri, «La Nuova Stampa», Mercoledì 17 Febbraio 1954

Nizza, febbraio
Dopo i tre tradizionali colpi di cannone, S.M. Carnevale, LXX della serie intitolato quest'anno «Re dei Giocattoli», è entrato festosamente nella sua «buona città di Nizza» giovedì sera, preceduto da musiche ed araldi impennacchiati, seguito da un corteo di sedici enormi carri con gli umoristici personaggi di cartapesta dipinti - gloria e vanto di uno stuolo di specialisti carnevalieri che vi lavorano per sei mesi dell'anno - intercalati da tante cavalcate, da 40 gruppi a piedi, da maschere e testoni isolati, tutti interpretanti il soggetto dell'anno: i giocattoli.
Battaglie cortesi
E' sempre uno spettacolo straordinario; l'ampia piazza Massena, la lunga avenue de la Victoire sono trasformate da imponenti decorazioni in legno intagliato dipinto, da archi, trionfi, creati con arte e legati fra loro dal filo di un'autentica trama: il Re Carnevale prende in prestito da Papà Natale la sua bisaccia e versa fiumi di balocchi sui bimbi del mondo.
[...]  Re Carnevale ha ripetuto due volte il percorso fra piogge di coriandoli e battimani e canti gioiosi. Le musiche hanno suonato tutte le arie care ai nizzardi e soprattutto la canzone che ogni anno si compone appositamente per la circostanza, gli altoparlanti hanno amplificato a distanza il festoso frastuono assordante. D'ora in poi, fino al martedì grasso quando verrà solennemente incenerito sullo spiazzo di Rauba Capeu, Carnevale impazzerà con sfilate di carri e testoni, battaglia di fiori e di «confetti» di giorno e di sera, culminanti con la pazza Notte di Nizza, gran veglione mascherato al Casinò, grande rallegrata notturna del buon popolo della città e dei dintorni che in questa occasione, per antica tradizione, si riversa nelle strade e nei pubblici locali, canta, mangia, beve, fino alle ore piccolissime. Tra i numerosi spettatori della prima serata carnevalesca erano José Ferrer e la moglie che sono ospiti per una breve vacanza a Beaulieu.
Circo senza animali
Se giovedì entrava solennemente in Nizza il Re del Carnevale, venerdì tornava all'applauso entusiastico della città che per la prima, nel lontano 1904, lo aveva consacrato artista - accanto al nostro Fregoli - il re del circo, Grock. A 74 anni questo meraviglioso clown, il più grande che sia mai esistito, si esibisce durante un'ora sulla pista girevole dei suo circo e affascina - questa è la parola - grandi e piccini rifacendo, molto più perfezionati, tutti i «trucchi» del suo mestiere, quelli che hanno entusiasmato il mondo intero e fatto ridere gente di ogni paese e razza [n.d.r.: non si praticava certo ancora l'attuale "politicamente corretto"!]. Il Circo Grock ha innalzato il suo tendone a cupola sulla piazza Risso, alla periferia di Nizza; è capace di quattromila posti ed è l'unico in Europa a possedere una pista girevole (azionata da sei motori). Dopo la lunga pausa lontano, dalle scene, Grock è tornato tre anni fa al mondo della sua passione. Messo su con Amar questo Circo di varietà (senza animali, salvo un numero bellissimo di cani ammaestrati) ha percorso per due anni tutta la Germania e l'anno scorso si è trasferito in Svizzera dove è rimasto fino all'autunno. Poi è venuto con la sua troupe in Italia, svernando a Vercelli con l'intenzione di esordire a Milano in gennaio. Ma da Roma non è giunta l'autorizzazione, lungamente chiesta, sempre promessa e rinviata. E così Grock, amareggiato, se ne è partito per la Francia, dove un contratto lo lega al carnevale nizzardo. E' qui con tutto il suo mondo, gli antichi compagni, il suo personale di un tempo. Un certo gruppo di fidati numeri di Amar, il quale gli è amico e presentatore. Le roulottes che costituiscono un intero villaggio sono 68, dipinte in giallo e rosso e spiccano allegre sulla grande piazza. I numeri di varietà sono tutti eccezionali: due di essi sono italiani, Floridas, acrobati e Gay und Gay, comici. Grock ha anche comprato i Chaloudls, i famosi acrobati su cicli di Ringling North, che abbiamo ammirato ne «Il più grande spettacolo del mondo».
Grock e Charlot.
Grock entra in scena nella seconda parte dello spettacolo e vi rimane un'ora intera di seguito: canta, suona, fa acrobazie, è giocoliere con le palline, clown dalla rosa calvizie del cranio alla punta delle famose ciabatte. Rifà il gioco del pianoforte, trae dal piccolissimo violino suoni deliziosi; a 74 anni si esibisce nel salto della sedia come cinquantanni fa. Anzi, se il pubblico lo richiede concede il bis su questo clownesco salto che nessuno è riuscito a rubargli. A Losanna, dove ha dato molti spettacoli, Grock ha incontrato Charlie Chaplin, che conduceva al circo le sue bimbe. I due grandissimi comici si sono stretti la mano commossi. L'anima di Charlot e quella di Grock - al secolo Adriano Wettach - si sono trovate vicine. Gli uomini, entrambi alla fine della loro eccezionale carriera, entrambi «unici» nel loro genere ed insuperati, si sono guardati sorridendosi. Nei loro occhi sono affiorate lievi, dolcissime, lagrime di emozione.
m.r., Grock il vecchio clown a Nizza con gli acrobati, «Stampa Sera» Martedì 23 - Mercoledì 24 Febbraio 1954

Di ben altra portata e rilievo è invece una rassegna che i compositori leggeri italiani si accingono ad affrontare: il Festival della canzone italiana a Parigi, che si svolgerà il 26, 27 e 28 marzo. Già l'anno scorso la manifestazione si svolse, e con grande successo. In Italia non ebbe quasi eco, poiché la R.A.I. non ritenne opportuno interessarsene e trasmetterla al pubblico italiano. Anche quest'anno i nostri microfoni non saranno installati nella sala Pleyel, per la seconda edizione. E, davvero, non se ne capisce il motivo. Negli ambienti radiofonici si sostiene che la manifestazione parigina ha caratteri un po' troppo mercantili e editoriali. Ma anche a Sanremo, in definitiva, sono gli editori che presentano i pezzi e non direttamente gli autori. Sarebbe forse meglio far buon viso anche a questo gioco parigino, per non vedersi poi costretti a intervenire alla terza o quarta edizione, tardivamente e di mala grazia. E i motivi per questo intervento, sia pure marginale, delle radioaudizioni italiane, non mancano: ben sessanta canzoni sono presentate al secondo Festival italiano di Parigi (quasi tutti i gruppi editoriali e gli autori di un certo nome vi partecipano); S. E. Quaroni, nostro ambasciatore, ha assunto la presidenza effettiva della manifestazione; il Sottosegretario alle Belle Arti francese, Cornu, fa parte del comitato insieme a grossi nomi dell'arte, della critica, del teatro e del varietà. Segurini (ché anche qui, il noto maestro dirigerà l'orchestra) ha formato un grande complesso, adatto a tutti i generi, e scelto una schiera di cantanti di primissimo ordine (le voci più popolari della Radio italiana: Nilla Pizzi, Katyna Ranieri, Jula de Palma, Alma Danieli, Luciano Tajoli, Teddy Reno, Giacomo Rondinella, Franco Ricci). Le canzoni presentate nelle tre giornate sono divise in quattro categorie: chansons de charme, canzoni realiste, canzoni di fantasia e canzoni à voix (per le quali, cioè, sono richiesti più solidi mezzi vocali). La giuria assegnerà un unico gran premio, consistente in una coppa e 300 mila franchi, nonché quattro premi di categoria, dotati ciascuno di una medaglia e 50 mila franchi. Ventitré nazioni, meno l'Italia, saranno «collegate» per radio con la Sala Pleyel per il secondo Festival della canzone italiana. Quali i pezzi prescelti? Sessanta in tutto, inviati dagli editori, dietro pagamento di una quota fissa abbastanza sostanziosa (è questo il punto che non piace alla Rai e che, senza dubbio, è molto discutibile).
Angelo Nizza, Orgia di canzoni, «Stampa Sera» Mercoledì 24 - Giovedì 25 Febbraio 1954