martedì 30 luglio 2024

Angelo Oliva si vide invece attribuire il primo premio

Bordighera (IM): la sede attuale dell'Unione Culturale Democratica (Via al Mercato, 8)

Angelo Oliva, premio Cinque Bettole 1961
Enzo Maiolino e Giorgio Loreti - queste pagine non possono che iniziare dai loro nomi - hanno svolto per decenni un'opera di raccolta e salvaguardia delle memorie culturali del Ponente ligure e specialmente delle stagioni più intense di iniziative che ebbero come centro Bordighera nel cuore del secoloscorso e a cui hanno loro stessi contribuito. Negli archivi che Maiolino e Loreti hanno radunato e preservato si possono infatti ritrovare, rispettivamente, tutte le iniziative organizzate nell'ambito dei Premi Cinque Bettole, la cui parabola va dalla fine degli anni Quaranta ai primi anni Sessanta, e le numerose attività del circolo creato alla fine degli anni Cinquanta e denominato a partire dal 1960 Unione Culturale Democratica.
Il presente fascicolo e la riscoperta dell'esordio letterario di Angelo Oliva ci riportano precisamente all'incrocio tra queste due traiettorie, la manifestazione delle Cinque Bettole e il dinamismo dei giovani aderenti all'UCD, all'inizio di un decennio che si era aperto già in modo turbolento con il governo Tambroni e la contestazione antifascista al congresso nazionale del Movimento Sociale Italiano indetto a Genova, città medaglia d'oro della Resistenza. Con l'edizione 1961 dei Premi, dopo la "gara estemporanea" organizzata nel 1958, lo svolgimento in una sola giornata di un concorso di pittura nel 1959 e la sospensione nel 1960, si tentò di rifondare quella che era stata per diversi anni la rassegna di punta delle estati bordigotte proprio coinvolgendovi nuove generazioni.
[...] Angelo Oliva si vide invece attribuire il primo premio per il racconto Una grossa porcheria che si può infine rileggere in questo volume nella versione edita, come previsto a compimento della manifestazione, sulle pagine de "L'Eco della Riviera".
[...] A distanza di più di sessant'anni è comunque difficile dire quanto possa avere influito nelle determinazioni della giuria il fatto che Oliva fosse già conosciuto come uno dei fondatori dell'UCD e tra i principali animatori del "giornale dell'Unione Culturale Democratica", dove i suoi articoli erano regolarmente affiancati da quelli firmati dagli stessi Seborga e Biamonti. La pubblicazione, realizzata in ciclostile dai giovani democratici, nacque, si sviluppò e fu poi interrotta proprio tra il 1960 e il 1961. L'ultimo numero, doppio, uscì a ridosso di quell'estate con in prima pagina uno scritto di Biamonti in morte di Maurice Merleau-Ponty e uno di Oliva su Fidel Castro, in terza pagina una poesia inedita di Seborga che presentava più oltre alcuni versi del poeta cubano José Luis Galbe (che fu uno dei suoi traduttori). La ricchezza dei contributi raccolti nei fascicoli di questo giornale corrispondeva alla varietà di interessi dei giovani fondatori del circolo in virtù dei quali la cessazione delle pubibblicazioni, a metà del 1961, non coincise con una flessione delle attività del gruppo: nel giro di pochi mesi, presso il locale denominato "la Buca" perché seminterrato al n. 171 (l'attuale 187) di via Vittorio Emanuele di Bordighera, l'UCD organizzò infatti mostre personali di Enzo Maiolino, Mario Raimondo e Sergio Gagliolo, conferenze di Seborga sulla poesia civile in lingua spagnola o del maestro Raffaello Monti su Musorgskij, per poi festeggiare a ottobre l'anniversario della sua sede "rinnovata" con esposti alle alle pareti "quadri di pittori di Bordighera fra i quali: Maiolino, Truzzi, Gagliolo, Raimondo, Ciacio, Porcheddu e della pittrice Eny <9 e con una conferenza di Biamonti sulla poesia francese contemporanea, a proseguire una serie avviata all'inizio a proseguire una serie avviata all'inizio dell'anno di cui già Oliva stesso aveva dato conto sul giornale <10 del circolo.
Non pare quindi improprio leggere la vittoria del ventunenne Oliva al Cinque Bettole come un incoraggiamento a una generazione intera di giovani ponentini per i quali la cultura e l'arte erano strumenti d'emancipazione, intellettuale e sociale, volti a incrementare lo sviluppo democratico e l'auspicata ma difficoltosa defascistizzazione del paese. L'opportunità che ci offre questo Quaderno è però anche quella di farsi un'opinione autonoma sul testo premiato, Una grossa porcheria, rimasto a lungo irreperibile, mentre l'affermazione personale dell'autore nelle fila del PCI lo allontanava sempre più dalle velleità letterarie.
[NOTE]
9 Così in un invito datato 27 ottobre 1961 conservato nell'archivio dell'UCD.
10 Angelo Oliva, «L'avventura della poesia francese», in "il giornale dell'Unione Culturale Democrafica" II, 5, gennaio [ma febbraio] 1961, p. 5.
Claudio Panella (Univ. di Torino)
(a cura di) Giorgio Loreti e Silvio Maiano, Angelo Oliva, Una grossa porcheria, Unione Culturale Democratica Bordighera, 2023, pp. 7,8 - 16,17,18

lunedì 22 luglio 2024

Franco Carli si era anche impegnato in un repertorio che comprendeva il cabaret satirico e intellettuale di Sandro Bajni

Franco Carli. Fonte: Sergio Bagnoli, art. cit. infra

Franco Carli, attore, autore e regista, mancato nella sera di mercoledì scorso all'età di 73 anni a Imperia, ha svolto un ruolo importante  nel panorama culturale  del Ponente Ligure.
Nella sua città ha promosso varie iniziative, realizzato spettacoli e diretto per alcuni anni il Teatro Comunale Cavour.
La sua carriera di attore ha assunto tratti diversi a seconda dei periodi. A più riprese ha lavorato al Teatro Stabile di Genova, prima con Luigi Squarzina negli anni sessanta e settanta,  poi con Marco Sciaccaluga e Peter Stein, interpretando testi di Pirandello, Sartre, Goldoni  Brecht, Koltès e Shakespeare. Si è legato per un certo tempo alla Tosse, sui cui palcoscenici ha recitato come protagonista  de Il re in bicicletta di Mario Bagnara con regia di Tonino Conte e I Corvi di Becque sotto la direzione di Aldo Trionfo.
Carli ha seguito anche percorsi artistici più eccentrici. Il suo esordio è avvenuto sotto un segno marcatamente anticonformista, prendendo parte al Dottor Jekyll e Signor Hyde, messo in scena da Carmelo Bene alla Borsa di Arlecchino di Genova nel 1961. Successivamente ha collaborato col Teatro Durini a Milano, impegnandosi in un  repertorio che comprendeva il cabaret satirico e intellettuale di Sandro Bajni, la riscoperta di testi polemici e scomodi di Majakovskij, lo sberleffo critico di Dario Fo.  E nel '72, insieme con Gianni Fenzi, Antonello Pischedda e un giovanissimo Marco Sciaccaluga, ha dato vita alla cooperativa Teatro Aperto, per la quale ha interpretato Don Chisciotte.
Rientrato a Imperia,  anche per gravi ragioni che lo hanno visto coinvolto con la moglie Gianna in uno strenuo impegno famigliare, con regolarità ha allestito come autore, regista e protagonista spettacoli tratti da storie del Ponente Ligure. Ha evitato tuttavia di rinchiudersi nel colore locale, proiettando in una dimensione fantastica e di grande  affabulazione figure e  vicende, secondo la lezione di Calvino.
La sua recitazione aveva la dote di una epicità non sussiegosa,  caratterizzata insieme dall'affettuosa simpatia umana verso i personaggi  e dall'ironico distacco del narratore. Ha spesso scavalcato i confini del teatro, proponendo letture penetranti di autori del Ponente Ligure come Boine, Mario Novaro, Cesare Vivaldi, Giuseppe Conte. Dalla fondazione del DAMS ha tenuto laboratori per gli studenti del Corso di laurea di Imperia, sfociati ogni anno in rappresentazioni seguitissime. L'ultima prova in questo senso è stato Nel bosco immaginario, a maggio, nella Sala Eutropia del Polo Universitario di Imperia.
Vivace, umanamente affabile, molto attento alle tradizioni popolari e musicali della sua terra, ricercatore curioso di forme della cultura orale del Ponente, ha valorizzato una parte di mondo che conosceva bene e  che ha regalato con generosità agli altri.
Eugenio Bonaccorsi, Addio Franco Carli protagonista della prosa, la Repubblica, 4 giugno 2011

Un lavoro approfondito sui suoni e sul linguaggio impostato insieme agli studenti universitari dei locali corsi del Dams, facente parte della facoltà di lettere dell'Università di Genova. Oltre che regista Carli recitò pure, al fianco di cinque studenti, nel “Bosco Immaginario”. L'allestimento teatrale al Cavour, due repliche fuori abbinamento, fu l'ultimo suo gesto d'amore per la cara Imperia che intendeva contribuire a sprovincializzare dopo l'apertura da più di un lustro, entro i suoi confini urbani, del Dipartimento delle Discipline dell'arte, musica e spettacolo. Carli veniva da una solida esperienza teatrale alle spalle: dopo l'esordio del 1961 con Carmelo Bene passò infatti allo Stabile di Genova, uno dei maggiori teatri di prosa pubblici d'Europa, per approdare nel 1964 a Milano al Teatro Durini. Qui entrò in contatto con il Premio Nobel per la letteratura Dario Fo e recitò accanto a gente come Bogdan Jerkovic e Giovanni Poli. Tornato poi allo stabile di Genova vi imbastì un profondo sodalizio con il famoso regista Luigi Squarzina ma contemporaneamente non disdegnò neppure di lavorare per il piccolo schermo televisivo al fianco di Giorgio Gaber nel programma “Le nostre serate”. Lavorò pure per la direzione ligure della radio, allora ancora un mezzo mediatico ascoltato pure nei suoi programmi culturali, insieme all'attrice genovese Lea Landi. Fortemente attaccato alla propria terra, pur evitando allo stesso tempo di venirne sopraffatto in modo da rifuggere il vizio del provincialismo e mantenere larghezza di vedute verso un vasto orizzonte culturale, Carli lascia oggi un grande vuoto forse incolmabile non solo ad Imperia ma in tutto il mondo del teatro italiano.
Sergio Bagnoli, Imperia ed il teatro italiano piangono la scomparsa di Franco Carli, Agora Vox, 4 giugno 2011

Matteo Lupi del direttivo della provincia di Imperia dell'Arci si è unito ai tanti imperiesi che hanno avuto il piacere di conoscere Franco Carli. Il noto artista del capoluogo si è spento  la scorsa notte e Lupi lo ha voluto ricordare così: "Franco è stato Presidente Provinciale del comitato Arci di Imperia dal novembre del 2000 sino al 29 maggio del 2004. Con lui ed Alfea Possavino Delucis ci lasciano due dei massimi dirigenti della nostra associazione e due figure di alto profilo del mondo culturale imperiese.Franco ha lavorato dagli anni'60 in avanti con i più grandi interpreti del teatro di prosa italiano, ma contemporaneamente ha saputo promuovere decine di iniziative tese alla valorizzazione delle tradizioni popolari nel nostro entroterra.
A Ceriana, tutti i cori ricordano con affetto le assidue visite di Franco in occasione delle serate estive e dei concerti: la sua collaborazione con Edward Neil ha consentito di “stanare” finalmente la tradizione popolare cerianasca da quel ghetto in cui era stata relegata nel dopoguerra. Nel 1997 Franco Carli ha fondato, insieme ad altre famiglie, l'associazione di promozione sociale Agenzia "H", un circolo arci sorto per sostenere politiche a favore dei diversamente abili e sensibilizzare la popolazione alle tematiche dell'handicap. Franco nella sua infatcabile attività al servizio degli altri e della comunità tutta, ha contribuito alla nascita di reti associative, progetti sociali e formativi, con il prezioso supporto di Luca Salvo, coordinatore provinciale dell'Arci negli anni della sua presidenza, Franco ha sostenuto la fondazione di Arci Servizio Civile Imperia, il Festival “MET” di San Bartolomeo al mare e le prime importanti inziative pubbliche sul tema dell'antirazzismo e della multicultura.
Ecco perché oggi anche le associazioni si sentono più sole... Sotto la sua guida, attenta e autorevole, l'Arci di Imperia ha vissuto un periodo di significativo rinnovamento, caratterizzato dall'investimento su quei dirigenti che ancora oggi rappresentano la spina dorsale del comitato in provincia: Feli, Elisa, Donatella, Giuseppe e il sottoscritto che a nome di tutto il Direttivo intende rivolgere alla moglie di Franco ed ai suoi figli le più sentite condoglianze".
Stefano Michero, Imperia: Matteo lupi (Arci) ricorda l'artista Franco Carli, Sanremo News.it, 3 giugno 2011

“È un tentativo di raccogliere alcuni segni che mio padre ha lasciato, forse nella speranza che qualcuno li cogliesse”: il figlio Antonio presenta così “Amanuense. Il mondo di Franco Carli”, che va in scena in “prima assoluta” oggi (martedì 14 marzo) alle 21 allo spazio Italo Calvino di Imperia, con replica domani sera al teatro “Salvini” di Pieve di Teco. Lo spettacolo è proposto nell’ambito delle due stagioni “gemellate” a cura del direttore artistico Eugenio Ripepi, con la consulenza del professor Eugenio Buonaccorsi, già presidente del Dams.
Scritto, diretto e interpretato da Antonio Carli, “Amanuense” è un commosso omaggio a Franco, personaggio centrale della cultura imperiese nei decenni scorsi, che il poeta e scrittore Giuseppe Conte ricorda così: “C’era la poesia, nel suo cuore. L’ho sempre pensato… Lui, paziente come un monaco o un artigiano medievale, appassionato come un uomo del proprio tempo, ha salvato nella poesia ciò che rende umano l’uomo, ha trascritto i frammenti di una grande biblioteca dell’universo che rappresentano il meglio di ciò che l’uomo ha concepito nel suo passaggio breve, nella sua effimere avventura sul pianeta che chiamiamo Terra…”.
Premiato a 17 anni da Alberto Moravia e dal presidente la Repubblica Gronchi come vincitore di un concorso nazionale per una raccolta di poesie, Franco Carli comincia a Genova la carriera: assistente alla regia di Luigi Squarzina e attore allo Stabile. Diventa poi direttore artistico del Cavour, crea laboratori nelle scuole, fonda rassegne e instilla in molti giovani la passione per la cultura e il teatro. E partecipa alla costruzione del Dams al Polo universitario imperiese: “Fino a pochi giorni prima di lasciarci, è stato impegnato nello sviluppo di progetti ad esso collegati”, ricorda Antonio.
Stefano Delfino, Con “Amanuense” Antonio Carli ricorda papà Franco nella stagione dello Spazio Calvino, La Stampa, 14 marzo 2017

Un critico, Dario G. Martini, su “Il giornale” di quello stesso giorno, pur mostrando molte perplessità per “la tetraggine” delle scene e dei costumi della Manari e per lo spettacolo che fonde, a suo parere, in maniera poco convincente elementi disparati: fumetti, fantascienza e televisione, è ammirato in particolare dall’interpretazione di Enrico Bonavera e di Carli, rispettivamente impegnati nei ruoli di Truffaldino e Cigolotti-Durandarte.
[...] Del maggio ’91 è poi la messa in scena al Duse di Re cervo di Carlo Gozzi con Franco Carli affiancato da alcuni giovani diretti con abilità da Sciaccaluga. Della Manari sono questa volta sia le scene e sia i costumi.
Roberto Trovato, Valeria Manari: l’architetto dei sogni, Revista Internacional de Culturas & Literaturas, 2016

domenica 14 luglio 2024

Tra le case gentilizie di Latte ricorda quella di Cabagni, usando il solo cognome Baccini

Latte, Frazione del comune di Ventimiglia (IM): la zona più interessata dal racconto che qui segue

La mia curiosità ha inizio da due righe di Wikipedia che informano che il maresciallo Antonio Carcasola di Gallarate introdusse a Latte, frazione di Ventimiglia, la coltivazione industriale dei fiori, producendo rose e garofani.
Poi nella "Cronaca ventimigliese 1859-1913" di Girolamo Rossi trovo la seguente notizia: "1903 - Dicembre - Oggidì, che Ventimiglia è nota pel traffico e la coltura dei fiori, occorre segnalare che nel 1881 il maresciallo dei carabinieri Antonio Carcasola di Gallarate fu il primo ad introdurre in Latte, nella villa Cabagni, la coltura dei fiori: in essa fecero ormai fortuna i Riva, i Saini, i Notari, ed i Martini". 
Ma questa iniziativa ebbe un epilogo complicato. Il contratto tra Carcasola e Cabagni era una locazione sui generis, quasi un'enfiteusi, con canone basso ma con obbligo di effettuare miglioramenti al fondo nel corso del contratto. La morte della moglie di Carcasola, cointestataria del contratto di affitto, complica le cose e alcune clausole li portano ad un litigio davanti al giudice.
Il notaio Mauro con atto del 19 aprile 1880 prevedeva che al termine del contratto tutti i miglioramenti apportati dal Carcasola e gli arredamenti stessi presenti nella casa, andassero a Cabagni senza nessuna indennità. Purtroppo, non era previsto che uno dei coniugi Carcasola morisse e interrompesse il contratto in anticipo in modo naturale. Su questo si apre una causa che arriva a sentenza in Corte di appello a Genova a fine del 1893.
Lo scopo di questo racconto non è far rivivere la sentenza che stabilisce per l'avv. Cabagni l'obbligo di risarcire il Carcasola nel momento in cui abbandona la campagna che aveva coltivato in locazione, ma piuttosto di individuare i luoghi ed i ricordi e ricostruire gli inizi della floricoltura.
Dell'avvocato Giovanni Cabagni trovo che nel 1875 chiedeva l'aggiunta del cognome Baccini. Da altri documenti successivi emerge che lo stesso era sposato a Bordighera con Manuel Gismondi Anna fu Luigi e che fu sindaco dal 1895 al 1901.
Anche il frate Luigi Ricca già nel 1865 nel suo viaggio verso Nizza, tra le case gentilizie di Latte ricorda quella di Cabagni, usando il solo cognome Baccini.
L'ultima traccia che trovo informa che nella villa Cabagni di Latte nell'ottobre del 1903 si installò la Congregazione dei Padri di San Pietro in Vincoli, provenienti da Marsiglia per dedicarsi all'educazione dei "discoli e dei carcerati". Rimasero fino al 1915.
L'annuario d'Italia  per l'esportazione e l'importazione del 1911 include in comune di Ventimiglia Ballini Pompeo, Diana, Lercari, Martini, Notari, Palmero, Riva, Saini, Squarciafichi, Viale.
Ballini Pompeo coltivava ed esportava rose a Mortola ed era un pioniere della floricoltura. Nei giardini Hanbury in un piccolo fabbricato chiamato "casa Ballini" è ubicata una banca dei semi per la conservazione della diversità vegetale e sono disponibili circa trecento tipi di semi per scambi con altri Orti Botanici. In passato la villetta era utilizzata come casa colonica per i giardinieri.
Già nel 1901 Carlo Riva aveva partecipato al congresso degli agricoltori e orticoltori italiani a Firenze, unico floricoltore.
Siamo rimasti in pochi a chiamare "da Riva" una campagna tra l'Aurelia ed il mare vicino alla casa del Vescovo e a villa Botti ormai diventata un po' condominio e un po' roveto.
Arturo Viale, Punti Cardinali. Da capo Mortola a capo Sant'Ampelio, Edizioni Zem, 2022

[altre pubblicazioni di Arturo Viale: I sette mari. Storie e scie di navi e di naviganti e qualche isola, Book Sprint Edizioni, 2024; La Merica...non c'era ancora, Edizioni Zem, 2020; Oltrepassare. Storie di passaggi tra Ponente Ligure e Provenza, Edizioni Zem, 2019; L'ombra di mio padre, 2017; ViteParallele, 2009; Quaranta e mezzo; Viaggi; Storie&fandonie; Ho radici e ali; Mezz'agosto, 1994; Viaggi, 1993]

Sulle complesse vicende e sull'intricata genealogia dei Cabagni e dei Baccini si trovano notizie interessanti nel racconto "Casa Eugenia dei Manuel Gismondi" di Giuseppe E. Bessone che appare in "Racconti di Bordighera - 3" (a cura di Pier Rossi, Alzani Editore, 2021): "Verso la fine degli anni '20 del 1800 i tre maschi della nobile famiglia Baccini di Castelvittorio, già Castelfranco, decidono di maritarsi e di scendere al mare. Pier Paolo rimane scapolo, e poi sacerdote, e costruisce una villa a Latte di Ventimiglia, ora Zanelli: Francesco, avvocato, scende a Sanremo ove costruisce una casa ancora esistente su Via Nuova; Giovanni, il più giovane ha ereditato i terreni assai vasti di Bordighera dei Muraglia [...] e vi costruisce nel 1830 una casa, l'attuale Casa Eugenia [...] Con la morte di Giovanni finisce la famiglia Cabagni Baccini in linea diretta e la proprietà dei vasti terreni a monte e la Villa passano prima alla moglie e, successivamente, ai nipoti Manuel Gismondi [...]".
Ponendo termine alla citazione, si vuole aggiungere che in ordine al cognome Manuel Gismondi si potrebbero aprire diverse altre pagine di storia locale, soprattutto relative a Sanremo.
Adriano Maini

domenica 7 luglio 2024

Lo scultore Igor Grigoletto espone a Badalucco

Fonte: art. cit. infra

Badalucco: mostra “L’essenziale” dell’artista Igor Grigoletto
L’esposizione si intitola “L’essenziale” e sarà aperta sino al 27 luglio, dal giovedì alla domenica dalle 16 alle 20.
L’artista è noto sia per opere in metallo di grande formato collocate in diversi spazi pubblici della Riviera, sia per le sue caratteristiche realizzazioni geometriche su vetro. Una serie di queste ultime sarà presentata con un allestimento decisamente inusuale e, inoltre, Grigoletto ha realizzato un’opera site specifica, che inviterà i visitatori ad addentrarsi in un percorso di autoriflessione.
La storica dell’arte Claudia Andreotta presenterà l’evento illustrando come l’essenzialità dell’artista, che si esprime attraverso colori netti e forme rigorose, si colleghi alla tradizione aniconica del Novecento interpretandola in modo del tutto personale.
Lontano da un asettico astrattismo, Grigoletto riesce a narrare attraverso gli elementi costitutivi del linguaggio pittorico e con l’utilizzo del segno grafico. Recentemente vincitore del Gran Premio San Babila a Milano, l’artista con questa nuova personale mette in luce un percorso artistico sempre in evoluzione.
Redazione, Alla Upart Gallery di Badalucco la mostra dello scultore Igor Grigoletto, ImperiaPost.it, 6 luglio 2024

venerdì 5 luglio 2024

Da ragazzi abitavamo in Liguria, a Ventimiglia

Ventimiglia (IM): un angolo della Città Vecchia, nella quale Pietro Tartamella abitava al tempo del diploma

“C’è un poeta su un albero”: scriveva “La Stampa” il 10 dicembre 1973. “In Piazza Carlo Felice il giovane voleva dormire su un’amaca e raccogliere fondi per una rivista letteraria” continua la cronaca. “Alla fine è stato convinto a scendere. Erano le 2,30. Lo hanno accompagnato in Questura e identificato per Pietro Tartamella, 25 anni, Via Madama Cristina 6, due volte laureato. È stato visitato dalla guardia medica e giudicato sano di mente”.
Da quella gelida notte torinese sono trascorsi molti anni, ma Pietro Tartamella ha conservato il coraggio delle scelte difficili seppur “creative”.
Se così non fosse, non si spiegherebbe, per esempio, la magica invenzione di Cascina Macondo, un esperimento originale e forse unico dove uomini, donne, bambini, anziani, stranieri, s’incontrano in un clima di amicizia, studiano, imparano, ricercano: dalla lettura creativa ad alta voce, alla dizione, alla danza, al teatro, alla scrittura creativa, alla manipolazione dell’argilla, alla musica.
Tutto questo avviene in un vecchio cascinale nella placida campagna di Riva presso Chieri. Da quasi trent’anni. Ma prima, Pietro Tartamella, classe 1948, da Camporeale (Palermo), uomo dalle doti affabulatorie non comuni, era stato tante altre cose.
“La passione per la lettura e per i racconti di storie nasce da bambino. Mia madre e mio fratello erano dei bravi affabulatori. Soprattutto mio fratello Giuseppe, che mi raccontava sempre i film che andava a vedere con gli amici. Era un narratore così bravo che ancora adesso non so se quei film li ho visti per davvero o se è lui che me li ha raccontati. Questo mi ha fatto capire la potenza della parola. Da lì è nato il piacere di raccontare, di scrivere e di usare la voce per creare i racconti”.
Come si lavora sulla voce?
“Quando sentivo una voce che mi colpiva, mi allenavo a tentare di riprodurne le intonazioni. Una che adoravo era quella del doppiatore di Perry Mason. Lo studio ha senz’altro modificato la mia voce; infatti non ricordo più com’era prima!”
Arrivato a Torino nel ‘70, dopo un’infanzia trascorsa a Ventimiglia, Pietro Tartamella frequenta la facoltà di Lettere e Filosofia, ma per protesta contro il mondo accademico e “la concezione utilitaristica che la nostra società ha della cultura” rinuncia deliberatamente al conseguimento della laurea a soli quattro esami dal suo raggiungimento. Fonda una rivista di poesia e letteratura, “La Tenda”. Per mantenersi fa mille lavori, durati una stagione, uno o due anni: manovale, cameriere, sceneggiatore di fumetti, correttore di bozze, edicolante, traduttore, aiutante restauratore di affreschi.
“Ho fatto anche politica attiva, con la Sinistra Indipendente, quando avevo l’edicola a Torino, in via Vanchiglia. Sono stato eletto consigliere in Circoscrizione e poi sono stato candidato in Parlamento con i radicali, ma lì è andata male. Proprio nel mio quartiere realizzavo e distribuivo gratuitamente in diecimila copie un giornale molto letto: ma ai miei colleghi consiglieri non piaceva che avessi tutta questa visibilità, così mi boicottarono. Questa e altre circostanze per me negative furono decisive nell’allontanarmi definitivamente dalla politica”.
[...]
Com’è nata l’idea di creare Cascina Macondo?
“Erano tanti anni che mia moglie Anna, bravissima ceramista, voleva trasferirsi in campagna. Dopo la nausea della politica anche in me è cominciata a farsi strada l’idea di mollare il rumore, l’insensatezza della metropoli. Anni prima mi ero imbattutto in Cent’anni di Solitudine, il capolavoro di Garcia Marquez. È destino di chi legge incontrare almeno un libro che diventa davvero importante per la tua vita. Per me è stato quello. Un libro che mi ha aperto delle porte. Nel ‘93 fondiamo, con altri artisiti, l’associazione Cascina Macondo, un laboratorio di ceramica, poesia e musica, dove si impara a parlare in pubblico ed a trasformare il suono della voce in immagini. Non solo: Cascina Macondo ha proposto negli anni percorsi didattici riabilitativi anche per i carcerati e i disabili”.
Nel '94, dopo aver lasciato l’edicola, Tartamella viaggia in camper per l’Italia con un grande tepee, la tipica casa a forma di cono degli indiani d’America, ospitando gruppi di bambini e di adulti a cui Il “Raccontastorie della tenda indiana” narra le leggende e le storie della tradizione popolare indiana.
“Il tepee era un luogo ideale e raccolto per raccontare. L’avevo fatta costruire da un amico con un telo leggero di lino, era di 6 metri di diametro, poteva ospitare anche 50 bambini. Ci volevano tre ore per montarla e quasi altrettante per smontarla. La tenda era arredata con manufatti realizzati da mia moglie, e con altri oggetti che ricordavano il mondo indiano. Regalavamo ai bambini copricapi indiani in cartoncino con le piume di carta colorata. Terminati gli spettacoli, passavamo la notte a confezionare i copricapi per il giorno dopo”.
Come si svolgeva il vostro spettacolo?
“Lo spettacolo durava tre quarti d’ora, in una giornata facevamo anche 3-4 repliche. Finita la storia, regalavamo una pallina d’argilla con un buco in mezzo, che, spiegavo ai bambini, ha il potere di ascoltare tutte le parole che sente e di restituirle ai bambini che sanno davvero ascoltare con attenzione. Era una cosa che li colpiva. L’atmosfera della tenda era davvero magica. Credo che in quel periodo abbiamo fatto della grande cultura. È stata un’importante occasione per dare informazioni positive sulla vita degli indiani, in modo che il concetto di selvaggio fosse definitivamente rimosso”.
[...]
Qual è il fascino dell’haiku?
“L’essenzialità. Cimentarsi con gli haiku significa osservare il mondo con occhio attento. Costringe a liberarsi delle sovrastrutture, delle parole inutili e superflue, di tutti i concetti che contemporaneamente si affollano attorno ad un evento, ad una esperienza, ad una sensazione. Ci spinge a guardare e soprattutto a cogliere l'essenza di un accadimento di cui siamo testimoni, la sostanza di una esperienza, il centro di una emozione”.
Chissà se Pietro Tartamella ha mai provato a scrivere un haiku che racchiuda il senso e la missione sociale della sua vita di artista con la A maiuscola?
Se così non fosse, lo invitiamo cordialmente a farlo.
Nico Ivaldi, Pietro Tartamella e la sua Cascina Macondo, Piemontemese.it, giugno 2011  

Eravamo molto amici io e Piero. Da ragazzi abitavamo in Liguria, a Ventimiglia.
Avevo conosciuto Pietro Tartamella, per me semplicemente Piero, in una festa che aveva organizzato a casa sua in una sera d’estate del 1968. Festeggiava il diploma da geometra che aveva appena conseguito.
Era nato in una modesta famiglia, il minore di cinque figli (tre fratelli e due sorelle). Amava dire: “Siamo quel che siamo… non ci si può illudere di avere origini o radici diverse…Quello è il nostro punto di partenza. Inequivocabile. Il resto è cammino”.
Eravamo tutti e due squattrinati e accettai di fare con lui un viaggio in autostop per l’Europa.
Era l’anno del movimento studentesco, Piero si era lasciato crescere i capelli, da contestatore. Il parroco della chiesa notava che tagliare i capelli non serve…quando questi sono lunghi nell’anima!
Diventammo amici.
Avevamo caratteri diversi, ma ci capivamo al volo.
Mi affascinava il suo modo di riflettere. Era molto attento alla comunicazione e ai messaggi, a quelli volontari ma soprattutto a quelli involontari, che intercorrono tra gli individui. Li indagava, traeva conclusioni, era un pensatore.
Ci siamo ritrovati a Torino, iscritti all’università: lui in Ingegneria, io in Medicina. Nessuno dei due continuò quella strada.
Piero ad un certo punto decise: né geometra né ingegnere. Studiare sì, ma letteratura, linguistica. Soprattutto gli interessava la poesia.
Avrebbe lavorato per mantenersi, non però alle dipendenze di qualcuno. Fece la scommessa con stesso di perseguire tenacemente le proprie idee affidandosi esclusivamente alle proprie forze, al proprio ingegno. Gli sarebbe costato dei sacrifici, specie quando in seguito avrebbe messo su famiglia.  Ma era riuscito a dare un significato all’esistenza.
Di carattere meditativo, dotato di una profonda calma, che a me risultava sorprendente e quasi misteriosa, possedeva una voce attraente, che definiva il miglior organo sessuale secondario!  “Io scrivo con la voce!”.  Manifestava una personalità magnetica.
Ricordo la sua contagiosa risata, quando reclinava il capo e si accarezzava la barba.
Era contro l’autoritarismo e la prepotenza.  Lo definisco un socievole eremita.
Negli anni ’70 a Torino aveva pubblicato i primi libretti di poesie (“Sentimenti” e “Stalattiti di speranze ammutolite”) e poi la bella e lunga lirica de “Il poeta sull’albero”. Elaborava in quegli anni la teoria della poesia gestazionale: il poeta è anche attore che si mostra in pubblico con azioni spettacolari, la scrittura ne delucida il senso.
 Una sera di dicembre nel 1973, compì la prima di queste azioni: si era arrampicato su un albero di fronte alla stazione di Porta Nuova a Torino.
Lassù, tra ventri di freddo e dita biforcate, confermava a se stesso e agli altri la scelta di farsi poeta “con l’abbraccio della vita e della lotta... scrissi / tante volte /a tutte le lune / dell’universo / inviando doni / e mi risposero…”
In quegli anni io mi ero trasferito a Como. Piero si era sposato con Anna, e hanno avuto due bimbe: Nagy e Ajdi.  
Mi incontravo ancora con lui e rivederlo era un piacere: sempre nuove idee, proposte, socialità e cultura.
Non saprei enumerare tutte le sue innumerevoli iniziative: la rivista La Tenda, i concorsi di poesia, i corsi di dizione, i racconti esposti nella Poeticola ’ l’edicola che gestiva in via Vanchiglia.  E poi gli hajku giapponesi, la scrittura ortoèpica, la danza-teatro, le domeniche aperte ed il lavoro con i detenuti del carcere di Saluzzo, a cui teneva tanto.
Assieme ad Anna aveva creato la bella realtà di Cascina Macondo.
Per un lungo periodo non lo rividi più, finché nella primavera 2018 ci incontrammo a Torino, in occasione del suo settantesimo compleanno.. Mi confidò di voler pubblicare trentatré racconti, autobiografici, che avrebbero spaziato per l’intero l’arco della sua vita. Mi chiese di scriverne una prefazione. L’ho fatto ed ho riprovato lo stesso piacere di quando, cinquant’anni anni, prima gli avevo scritto la prefazione al “Poeta sull’albero”.
E se 50 anni prima, a Torino un grande albero lo aveva accolto tra i rami con la profezia di una feconda vita d’artista, dopo mezzo secolo un altro grande albero dialoga, questa volta con il protagonista del suo ultimo racconto, “Senza compianto per il luogo natio”, ma questa volta per chiudere l’esistenza.
Nella sua vita Piero ha avuto un cruccio. Quello di partorire continuamente tante idee e progetti, più di quanto il tempo e la salute concessogli dal creatore potevano permettere di realizzare.
È comunque riuscito a mostrare una possibilità, una via, una visione del mondo. Una concezione della cultura che ricorda le parole di Giorgio Strehler: la cultura è un esserci, un essere insieme. Ascoltare insieme, pensare insieme. Lasciando vivere la curiosità e vincendo la pigrizia.
Meglio svelare, diceva Piero, meglio condividere idee e progetti, metterli a disposizione di tutti in un patrimonio comune piuttosto che lasciarli al buio chiusi per sempre in un cassetto.  
È forse stata la sua un’ispirazione analoga a quella che ha spinto Paolo Godani, un filosofo contemporaneo, a scrivere:
“Noi, abitanti non pacificati delle società contemporanee, manchiamo di qualcosa di fondamentale: di un piacere che ha a che fare con la fruizione gioiosa dell’esistenza…
Di un vivere assieme che non contempla più alcuna concorrenza e dunque in questo senso è l’espressione più alta dell’amicizia…”
Recuperare questo piacere costitutivo è stata propriamente la vocazione profonda di Piero nel suo continuo pellegrinaggio e ricerca: Come se Dio avesse mescolato una manciata di uomini in mezzo agli altri uomini, dando ad essi il compito di trovarsi ("I poeti de La Tenda", 1975).
Negli ultimi anni, Piero ha affrontato la lunga malattia con saggezza ed umiltà, con sempre accanto Annamaria, nella Cascina Macondo, dove si è spento alle prime luci dell’alba del 25 febbraio.
Un mese prima, quando il male avanzava, gli avevo chiesto: “Scrivi ancora?”, mi aveva risposto “No, sono stanco. Sto quasi sempre a letto. Nonostante ciò i giorni corrono veloci. Cerco di cucire delle frasi...mi manca il lavorare. Ho il rammarico di non essere riuscito a pubblicare i miei racconti”.
Ora, Piero, sei nelle grandi praterie´. Forse sei su un albero o forse all’interno di un tepee azzurro. Forse abbozzi passi di danza o forse scolpisci nuvole di fumo a colpi di frusta.
Ti ho voluto bene! Ti vogliamo bene!    
Il tuo amico Bruno Veri, Un ricordo, Facebook, 27 febbraio 2022

Voglio ricordarlo, Pietro, con uno dei primi libri che mi aveva mandato, testimonianza del suo grande impegno anche nelle carceri: “La stretta di mano e il cioccolatino”, in qualche modo resoconto di un progetto che ha coinvolto, fra Belgio, Italia, Polonia, Serbia, Grecia, dodici prigioni con circa 200 detenuti, impegnati in percorsi didattici, laboratori creativi e tante altre iniziative. E’ stato come un fiume lo scorrere di queste pagine, un’antologia di diari, riflessioni, racconti, poesie, haiku. Il racconto dei mille giorni di un progetto nato per portare scrittura ed arti nelle carceri. Ma soprattutto per portarne fuori, dalle carceri, scrittura e arti.
Francesca de Carolis, Il grande cuore di Pietro Tartamella, Ultima Voce, 27 febbraio 2022

lunedì 1 luglio 2024

Mario Bardelli espone a Ceriana (IM)


Mario Bardelli espone a Ceriana (IM), Palazzo Roverizio, da sabato 29 giugno 2024 a lunedì 29 luglio 2024. Vernissage: sabato 20 luglio 2024 dalle ore 16.