Ventimiglia (IM): il fiume Roia |
[...] E così quando ho incontrato un paio di quelli nati nel venti, che hanno aspettato una vita che qualcuno li facesse raccontare, mi sono messo ad ascoltare, curiosare, domandare.
Uno, Pierin, è abituato a farsi vedere appena dopo il mezzogiorno al Paris [n.d.r.: in pieno centro urbano di Ventimiglia (IM)], a prendere l’Aperol, con un po’ d’acqua fresca, senza zucchero sul bordo del bicchiere; il secondo, Elio, è da sempre propenso alla clandestinità, al rifugio, alla riservatezza ed ho dovuto pasturarlo per un po’ prima che abboccasse.
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Il Bar Paris di Ventimiglia (IM) ai nostri giorni |
Uno, Pierin, è abituato a farsi vedere appena dopo il mezzogiorno al Paris [n.d.r.: in pieno centro urbano di Ventimiglia (IM)], a prendere l’Aperol, con un po’ d’acqua fresca, senza zucchero sul bordo del bicchiere; il secondo, Elio, è da sempre propenso alla clandestinità, al rifugio, alla riservatezza ed ho dovuto pasturarlo per un po’ prima che abboccasse.
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Una vista su Perinaldo (IM) e, dietro, Baiardo. |
In corriera Tumeta ed Elio stanno salendo a Perinaldo.
Nessuno dei due ha mai avuto la macchina.
Il parroco, don Cassini, detto Tumeta, è di ritorno dal mercato dove ha seguito il suo manente per controllarne meglio gli incassi.
Me lo ricordo magro, piccolo, con la lunga veste da prete e la fila di trentatre bottoni come si usava allora, fare il gesto di rigirarsi il dito nel colletto.
Ma c’è chi assicura che si vestisse anche in borghese e che avesse sempre un cambio d’abiti in un bar del centro, prima di ogni scorribanda francese.
E ancora adesso sono in tanti a raccontare che un tale di un paesino in val Bevera sia suo figlio.
Nessuno dei due ha mai avuto la macchina.
Il parroco, don Cassini, detto Tumeta, è di ritorno dal mercato dove ha seguito il suo manente per controllarne meglio gli incassi.
Me lo ricordo magro, piccolo, con la lunga veste da prete e la fila di trentatre bottoni come si usava allora, fare il gesto di rigirarsi il dito nel colletto.
Ma c’è chi assicura che si vestisse anche in borghese e che avesse sempre un cambio d’abiti in un bar del centro, prima di ogni scorribanda francese.
E ancora adesso sono in tanti a raccontare che un tale di un paesino in val Bevera sia suo figlio.
Il pittore Ampelio Lorenzo Garini |
Ma era un uomo più complesso che giocava a carte all’osteria col dottor Gibelli e quando era canonico primicerio aveva la casa piena di quadri di Garini [Ampelio Lorenzo Garini] ma brontolava che poi il pittore col prezzo dei quadri si inciuccasse ed andasse a donne.
Quella volta in corriera sta leggendo il breviario.
Elio nel sedile dietro legge i suoi libri.
Leggi un po’ questo gli dice con aria di sfida e gli passa il Nuovo Vespro di Paolo Schicchi.
Il parroco sfoglia curioso e poi restituisce con un gesto in punta di dita che Elio ancora ripete, come di chi non vuole sporcarsi le mani.
Se Elio racconta di Tumeta vuol dire che un po’ in fondo gli piaceva.
Come quando lo aveva sentito dire, dovreste apprezzare la fatica che faccio a farvi credere in ciò che io stesso non credo.
Ma tante altre cose non è mai riuscito a mandarle giù.
Elio parla più volentieri di quella bollata [n.d.r.: bollata (nota messa dall'autore in fondo alla pagina) termine con il quale si indica il cerchio sull’acqua prodotto dal pesce che mangia gli insetti in superficie. Si usa per indicare cerchia, gruppo, giro di persone] di ragazzi che andavano da lui nella casa di Begliun per mangiare, bere, discutere e leggere qualche giornale o libro, quasi fosse una scuola di formazione civica e politica.
E c’era chi non gradiva e la chiamava la casa dei Monsoni e chi con maggior sensibilità aveva detto non ho mai visto case così aperte.
Quella volta in corriera sta leggendo il breviario.
Elio nel sedile dietro legge i suoi libri.
Leggi un po’ questo gli dice con aria di sfida e gli passa il Nuovo Vespro di Paolo Schicchi.
Il parroco sfoglia curioso e poi restituisce con un gesto in punta di dita che Elio ancora ripete, come di chi non vuole sporcarsi le mani.
Se Elio racconta di Tumeta vuol dire che un po’ in fondo gli piaceva.
Come quando lo aveva sentito dire, dovreste apprezzare la fatica che faccio a farvi credere in ciò che io stesso non credo.
Ma tante altre cose non è mai riuscito a mandarle giù.
Elio parla più volentieri di quella bollata [n.d.r.: bollata (nota messa dall'autore in fondo alla pagina) termine con il quale si indica il cerchio sull’acqua prodotto dal pesce che mangia gli insetti in superficie. Si usa per indicare cerchia, gruppo, giro di persone] di ragazzi che andavano da lui nella casa di Begliun per mangiare, bere, discutere e leggere qualche giornale o libro, quasi fosse una scuola di formazione civica e politica.
E c’era chi non gradiva e la chiamava la casa dei Monsoni e chi con maggior sensibilità aveva detto non ho mai visto case così aperte.
La Chiesa Parrocchiale di San Nicola a Perinaldo |
E una volta il sindaco Milio [Emilio Croesi, 1912-1986], per imbragarlo, stufo di questa autonomia, gli aveva addirittura offerto il posto da segretario del PCI del paese.
Allora non hai capito, pensa Elio, ma non glielo dice subito.
Maria, la moglie del sindaco, ha fatto lo stoccafisso ed in casa hanno sempre del vino buono: così Elio accetta l’invito a cena ma alla fine rifiuta l’incarico.
Allora per evitare che nel paese soprannominato Stalingrado crescessero idee fuori dal coro, il sindaco aveva chiesto aiuto giù a Ventimiglia se si potesse togliergli d’intorno quel rompiscatole.
Il compagno incaricato della missione trova Elio che lavora di cazzuola e pennello al negozio della Nanda Tessitore, lo invita al caffè e subito gli spiattella tutto - cosa hai fatto a Perinaldo? - gli chiede.
Non farmi perdere tempo che sto lavorando e dobbiamo finire, risponde Elio.
E si ricordò di Cesarino che gli aveva riportato una frase che nemmeno lui aveva capito - bisognerebbe che ci togliessimo dai piedi il pittore maledetto -.
Allora non hai capito, pensa Elio, ma non glielo dice subito.
Maria, la moglie del sindaco, ha fatto lo stoccafisso ed in casa hanno sempre del vino buono: così Elio accetta l’invito a cena ma alla fine rifiuta l’incarico.
Allora per evitare che nel paese soprannominato Stalingrado crescessero idee fuori dal coro, il sindaco aveva chiesto aiuto giù a Ventimiglia se si potesse togliergli d’intorno quel rompiscatole.
Il compagno incaricato della missione trova Elio che lavora di cazzuola e pennello al negozio della Nanda Tessitore, lo invita al caffè e subito gli spiattella tutto - cosa hai fatto a Perinaldo? - gli chiede.
Non farmi perdere tempo che sto lavorando e dobbiamo finire, risponde Elio.
E si ricordò di Cesarino che gli aveva riportato una frase che nemmeno lui aveva capito - bisognerebbe che ci togliessimo dai piedi il pittore maledetto -.
Ma Elio mi confessa un rimpianto. Quando Fiore dei Murin era ricoverato al San Martino a Genova e lui andava a trovarlo, al piano di sopra c’era il sindaco Milio [Emilio Croesi, 1912-1986] che era tosto alla fine; tutte le volte pensava di passare a salutarlo ma non è mai riuscito a salire quelle due rampe di scale. E mi sembra una delle poche cose della sua vita, tra quelle che ha deciso lui, che avrebbe voluto andassero diversamente.
Arturo Viale, ViteParallele, ed. in pr., 2009
Arturo Viale, ViteParallele, ed. in pr., 2009
[ n.d.r.: altri scritti di Arturo Viale: Oltrepassare. Storie di passaggi tra Ponente Ligure e Provenza,
Edizioni Zem, 2019; L'ombra di mio padre, 2017; Quaranta e mezzo; Viaggi; Mezz'agosto; Storie&fandonie ]