Francesco Biamonti |
Uscito dalla stazione, gli appare lo specchio verde azzurro del mare in fondo ai platani, oltre le palme simili a verdi girasoli impazziti di luce. Lo stordisce un riflesso acuto d’acqua e di cielo, l’accecante luminosità gli dà un senso penoso di fastidio, troppo balzandone viva la sua cupa tristezza derivantegli da una ipersensibilità che lo fa piangere quando appassiscono le rose. Il suo animo aderisce ad ogni sfumatura di tristezza, ma rimane totalmente chiuso ad ogni espressione di gioia. Forse è il senso inconscio della caducità della vita, del fatale trascorrere degli anni. Cosciente del suo male, in Ventimiglia è andato a cercare la pace. Ritorna nella città dov’era stato fanciullo e di cui ricorda i giardini penduli sul delirio del mare e il fiume claustrato di roveri. Ha accolto l’invito di suoi lontani parenti per la “Battaglia dei fiori”, pur odiando le folle festose. Egli spera che il corso fiorito che ha visto fanciullo, gli ridia l’equilibrio perduto. A sera, passeggia lungo il mare, rasente i giardini, dove fioriscono come un miracolo bianco le margherite sotto le fronde dei pini, delle palme e degli abeti. Pende la pace dal cielo ove brillano bianche le prime stelle. Rapita da un magato stupore, l’anima indugia in onda mutevole di ricordi remoti, ricordi di una piccola bimba compagna di giochi infantili, svoltisi lì in quel muto giardino com’ora olezzante di fiori. Da molto tempo aveva dimenticato la cugina, maggiore a lui di parecchi anni. Ma ora l'immagine si disseppellisce dal suo cuore: gli appaiono una chioma bionda, un vestitino rosa, risente il suono di un vecchio organino, e il tocco lieve della mano di lei sulla sua fronte già sin d'allora pensosa [...] Nel pomeriggio, fitte nuvole nere passano sulla città. Enzo e Mara prendono posto sulle tribune del corso. Il grigiore del cielo dà a quella profusione inaudita di fiori un effetto strano, come di una primavera dissepolta. Ma Enzo estraneo alla gioia, gode che il cielo sia nero, da attutire i colori. Mara se ne avvede e prova un materno dolore. Giungono loro le note di una musica allegra, che precede la sfilata dei carri avanzati come una allegoria colorata fra una pioggia di petali. E l’espressione della vita e del mondo fantastico trasmutato unicamente in aspetto gioioso, in modo unicamente floreale. Ad Enzo si ricompone nella mente l’immagine triste di quel cespuglio di rose tutte in fiore che una folata di vento ha improvvisamente lasciato nudo, dipingendo nell’aria un momentaneo pensiero di luce rosa. E la solita tristezza. Camminando sui petali, a “battaglia” conclusa, s’avviano sulla riva del mare. E quasi notte ormai: Venere appare una scheggia di quarzo incastonata in una grande volta di cristallo. Enzo sente il corpo esile della donna che reclina sulla sua spalla il capo stanco; è colpito dall’affettuosità materna di lei, da quel gesto che nulla ha di sensuale. Lentamente scende in lui una dolcezza mai provata. Lentamente le immagini del giorno trascorso si ricompongono in nuova luce. Rivede la sfilata dei carri e i tenaci sorrisi delle ragazze bionde e brune. Il suo cuore accoglie finalmente l’armonia dei fiori del corso. In lui piange e canta mortale il coro eterno della vita. E un coro che gli sembra provenire dagli astri, cenere o polvere degli astri, di tutti i mondi che ruotano intorno agli infuocati soli.
Francesco Biamonti, Serenità tra i fiori, in "La Battaglia dei fiori", numero unico, 20 Maggio 1951, qui ripreso da Terra Ligure
Nel 1951 Biamonti pubblicò su un foglio locale il primo racconto, Serenità tra i fiori, che racconta la “battaglia dei fiori” di Ventimiglia vista dagli occhi di un uomo, Enzo, ritornato in città, dopo anni di assenza, su invito di lontani parenti. A Ventimiglia, «dove è andato a cercare la pace», l’uomo indugia prima nei ricordi della propria giovinezza e decide poi di andare a trovare una cugina. Con lei andrà a vedere la “battaglia dei fiori”. Solo la sera, in un gesto materno della cugina, riuscirà a scoprire la dolcezza e la pace cercata e a ricomporre in un’armonia interiore i festivi frastuoni del giorno. Anni più tardi Biamonti definì il testo «ingenuamente pascoliano». Panella ha messo opportunamente in evidenza come il racconto presenti già alcuni dei motivi tipici dall’opera biamontiana e come sia percepibile l’influenza della tradizione poetica ligure, dell’ermetismo e del simbolismo francese. D’altronde, la formazione intellettuale dello scrittore «fu favorita nel secondo dopoguerra dalla vivacità culturale del Ponente ligure, in costante osmosi con la vicina Francia».
Matteo Grassano, Il territorio dell'esistenza. Francesco Biamonti (1928-2001), Tesi di laurea, 29 gennaio 2018, Université Nice Sophia Antipolis in cotutela internazionale con Università di Pavia
L’attività di Biamonti scrittore prende il via con il suo primo racconto, Serenità tra i fiori <21, apparso sul numero unico “La battaglia dei fiori” nel 1951, quando l’autore, nato nel 1928, aveva ventitré anni.
La “battaglia” è un rito che si ripete ogni anno nella città di Ventimiglia, quasi a celebrare il risveglio della natura, attraverso una processione di carri ricoperti con mosaici di fiori.
Al di là delle tematiche che lo stesso Biamonti definì “ingenuamente pascoliane” <22, in realtà il testo ha echi pavesiani e autobiografici nell’“ipersensibilità” che viene attribuita al protagonista (Enzo, come il fratello dell’autore) e che è chiave di lettura di tutta la vita e l’opera dello scrittore.
I pensieri reali di Biamonti emergono qua e là (“Le gioie o sono semplici, puramente individuali, o non sono. Le feste acuiscono la tristezza”,…), mentre la pacificazione finale dell’animo del protagonista è influenzata dall’occasione di pubblicazione dello scritto, che doveva pur celebrare in qualche modo la manifestazione della “battaglia dei fiori.”
Se si può tranquillamente dire che il racconto non regge il confronto (sia sul piano poetico che su quello della composizione) con le opere successive dell’autore, la sua importanza consiste oggi nell’attenzione concessa all’analisi delle percezioni del protagonista, tecnica che caratterizzerà tutti i successivi personaggi di Biamonti, e nella possibilità di evidenziare alcuni suoi riferimenti forti.
La prosa sembra senz’altro più stentata, faticosa, con frasi più lunghe e articolate, rispetto alla brevità caratteristica delle opere future, dove Biamonti privilegerà una struttura spezzata da cui emergono solo frammenti. Manca quindi l’equilibrio eccezionale dei romanzi, ma il lavoro dell’autore su lingua e struttura era già cominciato ed evidente.
Dal punto di vista del linguaggio risulta piuttosto esplicita una costellazione precisa di riferimenti, di reminescenze o citazioni letterali di determinati autori, sulla cui tecnica Biamonti formò il proprio stile, nel corso degli anni.
Il primo periodo del racconto è il seguente: “Uscito dalla stazione, gli appare lo specchio verde azzurro del mare in fondo ai platani, oltre le palme, simili a verdi girasoli, impazziti di luce”. Già la prima parte evoca immagini del Montale di Ossi di seppia, come quella del mare che s’intravede tra i rami degli alberi <23, ma nella seconda la citazione è ancora più esplicita, dalla poesia Portami il girasole ch'io lo trapianti <24:
Portami il girasole ch'io lo trapianti
nel mio terreno bruciato dal salino,
e mostri tutto il giorno agli azzurri specchianti
del cielo l'ansietà del suo volto giallino.
Tendono alla chiarità le cose oscure,
si esauriscono i corpi in un fluire
di tinte: queste in musiche. Svanire
é dunque la ventura delle venture.
Portami tu la pianta che conduce
dove sorgono bionde trasparenze
e vapora la vita quale essenza;
portami il girasole impazzito di luce. <24
All’ottava riga di Serenità tra i fiori, si fa notare un’altra eco poetica, più riuscita perché non esplicita come la precedente, nella figura retorica “claustrata di roveri”, probabilmente ispirata dalla “Balaustrata di brezza / per appoggiare stasera / la mia malinconia” della poesia Stasera di Giuseppe Ungaretti <25.
L’omaggio a Montale in apertura è ripetuto quasi ciclicamente nell’ultima riga del racconto, dove la citazione è ancora estremamente scoperta, dalla poesia Arsenio <26:
… e ancora
tutto che ti riprende, strada portico
mura specchi ti figge in una sola
ghiacciata moltitudine di morti,
e se un gesto ti sfiora, una parola
ti cade accanto, quello è forse, Arsenio,
nell'ora che si scioglie, il cenno d'una
vita strozzata per te sorta, e il vento
la porta con la cenere degli astri.
Si sono così già individuati in Montale e Ungaretti due sicuri modelli di tutta l’opera di Biamonti, il cui principale elemento vitale sarà quella luminosità che acceca e disorienta i suoi personaggi. In Serenità tra i fiori, si dice del protagonista che “lo stordisce un riflesso acuto d’acqua e di cielo, l’accecante luminosità”, la quale “gli dà un senso penoso di fastidio troppo balzandone viva la sua cupa tristezza derivantegli da una ipersensibilità che lo fa piangere quando appassiscono le rose”. In questa sensibilità dello scrittore alla natura e ai suoi cangiamenti, si trovano le vere radici della sua poetica, speculare a quella di Valéry che scriveva “all’onda, presto, per balzarne vivi!” <27, preferendo il mare come forza vitale (anche se gli evocava l’immagine del cimitero).
Come si dirà diffusamente per il suo primo romanzo, è da notare la centralità, anche nel primo racconto di Biamonti, del rapporto tra natura e memoria. In Serenità tra i fiori questo aspetto è corredato da alcuni caratteri del fanciullino pascoliano (il vestitino rosa, il suono di un vecchio organino…) e addirittura semi-religiosi (“Pende la pace dal cielo”, come la croce nella liturgia cristiana) ma comunque riconducibili alla poetica successiva di Biamonti e al suo interesse per la percezione umana.
Il protagonista “spera che il corso fiorito che ha visto fanciullo, gli ridia l’equilibrio perduto”, nella medesima ricerca di risposte su sé e il mondo che caratterizza tutti i personaggi delle opere di Biamonti, anche se con toni altrove ben più cupi. Quel mondo di piccole cose con cui Pascoli riusciva a mettersi in comunione ha certo avuto un peso nella formazione di Biamonti, insieme ai testi dei Crepuscolari che teorizzarono la malattia come condizione privilegiata dell’uomo nel suo rapporto con le cose. È il caso di Enzo.
Nel racconto si avverte anche l’influenza dell’uso delle corrispondenze che fece Baudelaire (e dopo di lui il Surrealismo), in alcune immagini che sembrano scaturite direttamente dal sogno. Enzo è prima “colpito dalla vivezza di un cespuglio di selvatiche rose rosse” e poco dopo gli “si ricompone nella mente l’immagine triste di quel cespuglio di rose tutte in fiore”. Pur con un ruolo meno centrale affidato al paesaggio, si è già di fronte alla tecnica dei romanzi, dove ogni battito che c’è suona come ieri e richiama il passato. Biamonti analizza tutte le impressioni dei suoi personaggi, ma non vi è mai in alcuna sua opera un puro flusso di immagini, quanto piuttosto una certa nitidezza e secchezza nell’uso delle metafore, nelle quali scompaiono i confini tra le osservazioni oggettive, la realtà naturale della luce, e le impressioni del “senziente”.
In questo senso Biamonti intenderà sempre la sua scrittura non come modello, immagine della realtà, ma come Controimmagine risultante dal dialogo con il tempo e le voci del passato. Come nella pittura, nelle opere dello scrittore c’è l’incontro continuo di un’Immagine dell’oggetto descritto e di una Controimmagine derivata da colui che lo descrive <28. In altre terminologie si usa l’opposizione di materia e antimateria del racconto.
La perizia di usare e affinare tali strumenti s’acquista solo col tempo, e così sarà per Biamonti.
[NOTE]
21 F. Biamonti Serenità tra i fiori in “La battaglia dei fiori”, numero unico, Ventimiglia del 20 maggio 1951. (Il testo è riportato in Appendice, p. 105).
22 Intervista di P. Mallone in Il paesaggio è una compensazione - Itinerario a Biamonti, cit., p. 59
23 “Osservare tra frondi il palpitare / lontano di scaglie di mare”, sono i primi due versi di Meriggio in Ossi di seppia, Einaudi, Torino 1977.
24 E. Montale, Portami il girasole ch'io lo trapianti in Ossi di seppia, Einaudi, Torino 1977.
25 Scritta a Versa il 22 maggio 1916, contenuta nella raccolta L'allegria - Il porto sepolto poi in Vita d'un uomo: Tutte le poesie, Mondadori, Milano 1969. (Rievocato anche da Montale in Sul lago d'Orta: “Le Muse stanno appollaiate / sulla balaustrata / appena un filo di brezza sull'acqua”, del 1975)
26 E. Montale, Arsenio in Ossi di seppia, Einaudi, Torino 1977.
27 P. Valéry, Il cimitero marino, trad. di M. T. Giaveri, il Saggiatore, Milano, 1984, p. 67.
28 Il termine scritto “contro immagine” si trova in F. Biamonti in Morlotti pastelli e disegni 1954-1978, Bordighera 1979, a proposito dell’opera del pittore, in opposizione a “materia”.
Claudio Panella, Francesco Biamonti: la preistoria e l'esordio (1951-1983), Tesi di Laurea, Università degli Studi di Torino, Anno Accademico 2001/2002
La “battaglia” è un rito che si ripete ogni anno nella città di Ventimiglia, quasi a celebrare il risveglio della natura, attraverso una processione di carri ricoperti con mosaici di fiori.
Al di là delle tematiche che lo stesso Biamonti definì “ingenuamente pascoliane” <22, in realtà il testo ha echi pavesiani e autobiografici nell’“ipersensibilità” che viene attribuita al protagonista (Enzo, come il fratello dell’autore) e che è chiave di lettura di tutta la vita e l’opera dello scrittore.
I pensieri reali di Biamonti emergono qua e là (“Le gioie o sono semplici, puramente individuali, o non sono. Le feste acuiscono la tristezza”,…), mentre la pacificazione finale dell’animo del protagonista è influenzata dall’occasione di pubblicazione dello scritto, che doveva pur celebrare in qualche modo la manifestazione della “battaglia dei fiori.”
Se si può tranquillamente dire che il racconto non regge il confronto (sia sul piano poetico che su quello della composizione) con le opere successive dell’autore, la sua importanza consiste oggi nell’attenzione concessa all’analisi delle percezioni del protagonista, tecnica che caratterizzerà tutti i successivi personaggi di Biamonti, e nella possibilità di evidenziare alcuni suoi riferimenti forti.
La prosa sembra senz’altro più stentata, faticosa, con frasi più lunghe e articolate, rispetto alla brevità caratteristica delle opere future, dove Biamonti privilegerà una struttura spezzata da cui emergono solo frammenti. Manca quindi l’equilibrio eccezionale dei romanzi, ma il lavoro dell’autore su lingua e struttura era già cominciato ed evidente.
Dal punto di vista del linguaggio risulta piuttosto esplicita una costellazione precisa di riferimenti, di reminescenze o citazioni letterali di determinati autori, sulla cui tecnica Biamonti formò il proprio stile, nel corso degli anni.
Il primo periodo del racconto è il seguente: “Uscito dalla stazione, gli appare lo specchio verde azzurro del mare in fondo ai platani, oltre le palme, simili a verdi girasoli, impazziti di luce”. Già la prima parte evoca immagini del Montale di Ossi di seppia, come quella del mare che s’intravede tra i rami degli alberi <23, ma nella seconda la citazione è ancora più esplicita, dalla poesia Portami il girasole ch'io lo trapianti <24:
Portami il girasole ch'io lo trapianti
nel mio terreno bruciato dal salino,
e mostri tutto il giorno agli azzurri specchianti
del cielo l'ansietà del suo volto giallino.
Tendono alla chiarità le cose oscure,
si esauriscono i corpi in un fluire
di tinte: queste in musiche. Svanire
é dunque la ventura delle venture.
Portami tu la pianta che conduce
dove sorgono bionde trasparenze
e vapora la vita quale essenza;
portami il girasole impazzito di luce. <24
All’ottava riga di Serenità tra i fiori, si fa notare un’altra eco poetica, più riuscita perché non esplicita come la precedente, nella figura retorica “claustrata di roveri”, probabilmente ispirata dalla “Balaustrata di brezza / per appoggiare stasera / la mia malinconia” della poesia Stasera di Giuseppe Ungaretti <25.
L’omaggio a Montale in apertura è ripetuto quasi ciclicamente nell’ultima riga del racconto, dove la citazione è ancora estremamente scoperta, dalla poesia Arsenio <26:
… e ancora
tutto che ti riprende, strada portico
mura specchi ti figge in una sola
ghiacciata moltitudine di morti,
e se un gesto ti sfiora, una parola
ti cade accanto, quello è forse, Arsenio,
nell'ora che si scioglie, il cenno d'una
vita strozzata per te sorta, e il vento
la porta con la cenere degli astri.
Si sono così già individuati in Montale e Ungaretti due sicuri modelli di tutta l’opera di Biamonti, il cui principale elemento vitale sarà quella luminosità che acceca e disorienta i suoi personaggi. In Serenità tra i fiori, si dice del protagonista che “lo stordisce un riflesso acuto d’acqua e di cielo, l’accecante luminosità”, la quale “gli dà un senso penoso di fastidio troppo balzandone viva la sua cupa tristezza derivantegli da una ipersensibilità che lo fa piangere quando appassiscono le rose”. In questa sensibilità dello scrittore alla natura e ai suoi cangiamenti, si trovano le vere radici della sua poetica, speculare a quella di Valéry che scriveva “all’onda, presto, per balzarne vivi!” <27, preferendo il mare come forza vitale (anche se gli evocava l’immagine del cimitero).
Come si dirà diffusamente per il suo primo romanzo, è da notare la centralità, anche nel primo racconto di Biamonti, del rapporto tra natura e memoria. In Serenità tra i fiori questo aspetto è corredato da alcuni caratteri del fanciullino pascoliano (il vestitino rosa, il suono di un vecchio organino…) e addirittura semi-religiosi (“Pende la pace dal cielo”, come la croce nella liturgia cristiana) ma comunque riconducibili alla poetica successiva di Biamonti e al suo interesse per la percezione umana.
Il protagonista “spera che il corso fiorito che ha visto fanciullo, gli ridia l’equilibrio perduto”, nella medesima ricerca di risposte su sé e il mondo che caratterizza tutti i personaggi delle opere di Biamonti, anche se con toni altrove ben più cupi. Quel mondo di piccole cose con cui Pascoli riusciva a mettersi in comunione ha certo avuto un peso nella formazione di Biamonti, insieme ai testi dei Crepuscolari che teorizzarono la malattia come condizione privilegiata dell’uomo nel suo rapporto con le cose. È il caso di Enzo.
Nel racconto si avverte anche l’influenza dell’uso delle corrispondenze che fece Baudelaire (e dopo di lui il Surrealismo), in alcune immagini che sembrano scaturite direttamente dal sogno. Enzo è prima “colpito dalla vivezza di un cespuglio di selvatiche rose rosse” e poco dopo gli “si ricompone nella mente l’immagine triste di quel cespuglio di rose tutte in fiore”. Pur con un ruolo meno centrale affidato al paesaggio, si è già di fronte alla tecnica dei romanzi, dove ogni battito che c’è suona come ieri e richiama il passato. Biamonti analizza tutte le impressioni dei suoi personaggi, ma non vi è mai in alcuna sua opera un puro flusso di immagini, quanto piuttosto una certa nitidezza e secchezza nell’uso delle metafore, nelle quali scompaiono i confini tra le osservazioni oggettive, la realtà naturale della luce, e le impressioni del “senziente”.
In questo senso Biamonti intenderà sempre la sua scrittura non come modello, immagine della realtà, ma come Controimmagine risultante dal dialogo con il tempo e le voci del passato. Come nella pittura, nelle opere dello scrittore c’è l’incontro continuo di un’Immagine dell’oggetto descritto e di una Controimmagine derivata da colui che lo descrive <28. In altre terminologie si usa l’opposizione di materia e antimateria del racconto.
La perizia di usare e affinare tali strumenti s’acquista solo col tempo, e così sarà per Biamonti.
[NOTE]
21 F. Biamonti Serenità tra i fiori in “La battaglia dei fiori”, numero unico, Ventimiglia del 20 maggio 1951. (Il testo è riportato in Appendice, p. 105).
22 Intervista di P. Mallone in Il paesaggio è una compensazione - Itinerario a Biamonti, cit., p. 59
23 “Osservare tra frondi il palpitare / lontano di scaglie di mare”, sono i primi due versi di Meriggio in Ossi di seppia, Einaudi, Torino 1977.
24 E. Montale, Portami il girasole ch'io lo trapianti in Ossi di seppia, Einaudi, Torino 1977.
25 Scritta a Versa il 22 maggio 1916, contenuta nella raccolta L'allegria - Il porto sepolto poi in Vita d'un uomo: Tutte le poesie, Mondadori, Milano 1969. (Rievocato anche da Montale in Sul lago d'Orta: “Le Muse stanno appollaiate / sulla balaustrata / appena un filo di brezza sull'acqua”, del 1975)
26 E. Montale, Arsenio in Ossi di seppia, Einaudi, Torino 1977.
27 P. Valéry, Il cimitero marino, trad. di M. T. Giaveri, il Saggiatore, Milano, 1984, p. 67.
28 Il termine scritto “contro immagine” si trova in F. Biamonti in Morlotti pastelli e disegni 1954-1978, Bordighera 1979, a proposito dell’opera del pittore, in opposizione a “materia”.
Claudio Panella, Francesco Biamonti: la preistoria e l'esordio (1951-1983), Tesi di Laurea, Università degli Studi di Torino, Anno Accademico 2001/2002