martedì 31 agosto 2021

Mostra di Massimo Faccini a Bordighera

Un'opera di Massimo Faccini


Giovedì 2 settembre 2021 - Giovedì 16 settembre 2021   ore 17 - 19

Unione Culturale Democratica -  Sezione ANPI - Bordighera (IM), Via al Mercato, 8

Mostra

MASSIMO FACCINI

acrilici


Ingresso libero

I visitatori sono ammessi nel rigoroso rispetto delle vigenti norme sanitarie anti Covid

 

"Con il padre Luigi, collezionista d'arte, Massimo Faccini frequenta fin dalla sua prima infanzia studi di importanti artisti italiani e stranieri contemporanei.
Alla pittura approda giovanissimo.
Il suo stile si ispira al realismo visionario e apocalittico di Edward Hopper e di David Hockney.
Solo di recente, al seguito di nuovi progetti con artisti milanesi come Manfredo Fanti, Faccini rivisita il suo espressionismo con una inedita lirica, ulteriore metonimia della umana esistenza ed espressione del divenire universale".
Aky Vetere

Massimo Faccini nasce nel 1961 a Milano, dove vive e lavora

Giorgio Loreti
Unione Culturale DemocraticaSezione ANPI - Bordighera (IM), Via al Mercato, 8 [ Tel. +39 348 706 7688 - Email: nemo_nemo@hotmail.com ]

sabato 28 agosto 2021

Durante il periodo bellico si afferma l’italofobia, soprattutto nel sud della Francia e a Nizza

Nizza: Piazza Max Barel

Nel febbraio del 1941 Mazzetti evase e riprese i contatti con la direzione estera del partito e riorganizzò i gruppi di lingua italiani del PCF nel sud della Francia (Marsiglia, Tolone, Nizza, Grenoble). “La ripresa di un'attività politica, organizzativa e militare seria, con varie ramificazioni e stretti collegamenti, avviene nei primi mesi del 1941. - afferma lui stesso - Lungo tutto quell'anno avvenne la riorganizzazione in tutte le principali zone della Francia dove si concentravano gli emigrati italiani. Il giornale 'la Parola degli italiani' inizia ad uscire regolarmente sia al nord che al sud.
Nel 1942 sorgono i Comitati di unità d'azione che poi diventeranno Comitati Italiani di Liberazione Nazionale”. <319
Giunto a Parigi, si occupò come suddetto dell'organizzazione del gruppo armato dei FTP italiani, il III distaccamento, per poi diventare l'anno successivo il responsabile dei Gruppi di lingua MOI della zona Nord della Francia, e poi l'aggiunto di Kaminski nel triangolo della Direzione centrale della MOI dal 1943 al 1944. Per la sua attività venne decorato dalle FFI col grado di Capitano, come testimonia un documento sulla sua attività di resistenza rilasciato nel 1947 dalle FFI. <320
319 M. Mazzetti, in R. Maddalozzo, Carlo Fabro: emigrante, antifascista, resistente, sindacalista, Pubblicazione Tricesimo : A.N.P.P.I.A, 1987 , op. cit. pp. 61-71.
320 Attestato dell'Associazione Nazionale degli ex Franchi Tiratori Partigiani Francesi rilasciatogli il 2 gennaio 1947 e sottoscritto dal tenente colonnello F. Vigne, dove si certifica che egli “E' entrato nella resistenza dopo la sua evasione dal campo di concentramento di Argelès sur Mer, il 2 febbraio 1941. La sua attività anti-tedesca si esercita in più dipartimenti; Rhone, Var, Loire e Alpi marittime. Nel mese di maggio 1942 egli lasciò le Alpi marittime e si arruola volontariamente nei ranghi dei FTPF, parte integrante delle FFI nella zona Nord, nel mese di aprile 1943, con funzione corrispondente al grado di Capitano F.F.I. Capo organizzatore eccezionale si è speso a lungo per la liberazione del nostro territorio”. Documento presente in A. Tonussi, op. cit., pagina senza numero.

Eva Pavone, Gli emigrati antifascisti italiani a Parigi, tra lotta di Liberazione e memoria della Resistenza, Tesi di Dottorato, Università degli Studi di Firenze, 2013
 
Il notevole contributo italiano alla Resistenza nizzarda non fugò, tuttavia, i sentimenti antitaliani maturati nel corso del Ventennio in un dipartimento di frontiera, continuamente minacciato dalle velleità espansionistiche e dalle arroganze irredentiste del regime. Opinioni xenofobe avevano da sempre attraversato questo territorio di immigrazione, tradizionalmente conservatore e ostile ai transalpini, sui quali pesavano antichi pregiudizi di malcostume. Pertanto all’indomani della liberazione, l’opinione pubblica domandò un’immediata epurazione, che fu attuata senza esitazioni, al punto che il Comitato di liberazione locale dovette rivolgersi al governo Bonomi per domandare l’invio di emissari a tutelare la colonia italiana delle Alpi Marittime. Le campagne xenofobe continuarono ad essere appoggiate dalla stampa locale e furono rinfocolate dalle questioni di Briga e Tenda, che rimanevano ancora nelle mani del governo italiano. E mentre i politici antifascisti si battevano per difendere i diritti di chi aveva saputo scegliere e schierarsi, dall’altra parte la massa dei transalpini si mostrava indifferente, impegnata a mantenere una posizione giuridica regolare e a garantirsi il soggiorno in Francia, facendo propria l’ottica assimilazionista dello Stato francese <95.
95. Cfr. Tombaccini, «Gli antifascisti nelle Alpes-Maritimes» cit., p. 294.
Emanuela Miniati, La Migrazione Antifascista dalla Liguria alla Francia tra le due guerre. Famiglie e soggettività attraverso le fonti private, Tesi di Laurea, Università degli Studi di Genova in cotutela con Université Paris X Ouest Nanterre-La Défense, Anno accademico 2014-2015
 
Chiaramente, alla fine del conflitto, da parte francese c’era un forte risentimento nei confronti dell’Italia. Fino al 1947 la volontà principale della classe politica e del popolo francese è quella di farla pagare agli italiani. Da questo punto di vista gli articoli di «Nice Matin» <5, quotidiano Nizzardo moderato, rispecchiano bene questa situazione.
[...] Certo, nel biennio tra il ’45 e il ’47 non sono mancati anche segni di riavvicinamento, come rimarca sempre il giornale Nizzardo, sensibile verso gli argomenti relativi al rapporto coi transalpini (la frontiera dista da Nizza poco più di 30 km…); l’8 gennaio 1946 riprendono le relazioni ferroviarie tra Francia e Italia <8, il 2 febbraio si effettua il primo collegamento postbellico tra Ventimiglia e Nizza <9, in marzo vengono siglati degli accordi commerciali <10. Ma via via che si avvicina il momento della rettifica dei confini e della stipulazione del trattato di pace, il gelo tra i due paesi si fa sempre più forte. Inoltre, da parte francese, non si ha fiducia nella nuova Italia che si va formando. Ogni indizio è buono per pensare che, di lì a poco, il paese tornerà ad essere governato da una dittatura e precipiterà ancora nel caos. «Nice Matin» è ancora un buon riferimento in questo senso. Molti sono gli articoli come questo, pubblicato il 30 aprile 1947: Violentes manifestations néofascistes en Italie <11.
Le relazioni tra le due nazioni riprenderanno solo dopo la firma del Trattato di Pace <12, che sanzionerà il passaggio di Tenda e La Briga alla Francia. A inizio giugno infatti verrà stipulato un accordo per avviare dei lavori idro-elettrici lungo la frontiera <13.
A questo punto l’atteggiamento dei due governi si modifica: l’Italia ha bisogno di essere riaccolta in ambito internazionale, e l’aiuto della Francia può risultare utile <14. La Francia, da parte sua, ha la possibilità di instaurare una sorta di “protettorato” sul paese vicino, sul quale potrebbe far valere la sua influenza. Inoltre, economicamente parlando, il riavvicinamento potrebbe essere favorevole per entrambe. Infine, gli Stati Uniti fanno pressione sulla Francia affinché, nel nuovo scenario di guerra fredda, i paesi europei del blocco occidentale collaborino tra di loro per far fronte alla minaccia sovietica.
I vecchi rancori dunque dovrebbero essere messi da parte <15.
[...] Seguono, dal 1948 in poi, tutt’una serie di trattati: nel marzo del ’48 agli italiani residenti in Francia viene accordata una protezione sociale uguale a quella dei francesi, nel gennaio ’49 il governo italiano acquista materiale francese per rammodernare la linea telefonica, tra 1949 e 1950 vengono firmati diversi accordi doganali, mentre nel 1952 vengono organizzate cerimonie comuni per commemorare la campagna militare del 1859 e la guerra del ’15-’18, combattuta insieme <16. Infine, dal punto di vista internazionale, Francia e Italia percorrono la stessa strada all’interno del blocco occidentale e della futura Comunità Europea: nell’aprile 1949 l’Italia sigla il Patto Atlantico e nel ’55 entra nell’ONU.
[...] L’epurazione postbellica colpisce fortemente gli stranieri: a Nizza il 26% dei condannati sono italiani <20. Nonostante una certa diffidenza per lo straniero la Francia ha bisogno dell’immigrazione: il 3 marzo 1945 De Gaulle dice che bisogna, grazie all’immigrazione, “introdurre nel corso dei prossimi anni, con metodo e intelligenza, dei buoni elementi nella società francese” <21.
[...] Oltre a questa immigrazione legale e pianificata vi è quella clandestina. Migliaia sono gli italiani che, nel secondo dopoguerra, varcano le Alpi a piedi, nella speranza di trovare un futuro migliore in Francia. In un servizio del dicembre 1946 il settimanale «Tempo» descrive l’odissea di queste persone <25. La maggior parte viaggia in treno fino a Torino. Qui, in stazione, i migranti vengono riconosciuti e avvicinati da guide i quali li accompagnano lungo le valli fino a valicare il confine. Alla fine del 1946 il prezzo per essere accompagnati in Francia da queste persone si aggira sulle due mila lire a testa. Nella maggior parte dei casi i migranti vengono abbandonati appena arrivati in territorio francese. “Altri andranno in paesi più lontani; panche di terza classe o stive di piroscafi. È il vecchio triste problema di questa povera Italia dove non c’è pane per tutti”, chiude l’articolo.
[...] Per quello che riguarda l’epoca presa in considerazione vi sono diverse fasi da analizzare. Durante il periodo bellico si afferma l’italofobia, soprattutto nel sud della Francia e a Nizza, che subì l’occupazione italiana.
La volontà di farla pagare agli italiani per il “coup de poignard dans le dos” continua almeno fino al febbraio del ’47. Da questo momento (cioè dopo che si è decisa la rettifica dei confini franco-italiani) prevarrebbe, in entrambi i paesi, la volontà di riavvicinarsi e riappacificarsi.
[...] Al cambiare dell’atteggiamento del governo francese si modifica anche l’immagine degli italiani. Già nel 1946 con “Roma città aperta” Rossellini vince la palma d’oro a Cannes e mostra ai francesi le sofferenze della guerra italiana. Alla fine degli anni ’40 la sinistra riabilita l’Italia, che avrebbe già pagato a caro prezzo la sua adesione al fascismo. Nel 1948 Bartali vince il Tour de France, dando lustro al nome italiano nella più importante competizione sportiva francese. Lo sport però testimonia anche che, tra le due popolazioni, i risentimenti non sono ancora finiti: nel ’50 la squadra italiana deve abbandonare il Tour, a causa di incidenti verificatisi a ridosso della frontiera <32.
Una frase di Eric Vial testimonia bene la visione francese degli italiani: “Poco dopo la guerra, vista dalla Francia, l’Italia è il paese di don Camillo e di Gina Lollobrigida, del calcio e del turismo: poco serio ma simpatico” <33. In generale per i francesi l’Italia resta un paese-museo, dai bei paesaggi, e dai molti luoghi storico-artistici, con abitanti ospitali e dal carattere amabile, ma è comunque un paese del sud, anche dopo il boom economico, visto come più povero e arretrato <34.
[...] Il 28 agosto 1944 Nizza fu liberata dal movimento di Resistenza. In città la CGT aveva lanciato lo sciopero generale già dal 20 agosto. Il 19 settembre 1944 Virgile Barel è designato come presidente della Delegazione speciale che dovrà guidare la città fino alle nuove elezioni. Barel era stato eletto deputato nel 1936.
Il 13 maggio 1945 vincerà le elezioni la lista Républicaine, socialiste et de la Résistance, con 46.000 voti, contro i 33.000 della lista del PCF. A capo della città si trova l’avvocato Cotta, messosi in luce nelle file della Resistenza. Resterà in carica fino al 1947.
Da notare che, a Nizza, la rottura tra MRP, PCF e SFIO è stata decisamente anteriore a quella avvenuta nel governo francese.
Dal 1946 al 1951 la città conosce un lento spostamento dell’elettorato da sinistra verso destra. Le elezioni municipali dell’ottobre 1947 vengono così vinte da Jean Médecin (già maire di Nizza prima della guerra), sostenuto dai partiti di centro-destra, che manterrà la poltrona di “sindaco” fino al 1966, anno della sua morte. La sua politica e la sua linea di pensiero avranno un’influenza importante sull’immigrazione italiana post-bellica a Nizza <41.
Dalla fine del conflitto diversi sono stati i fattori che hanno caratterizzato la ripresa nizzarda, segnando la crescita della città fino ad oggi.
[...] Per quanto riguarda le attività economiche è importante sottolineare che tra il 1948 e il 1970, in tutto il dipartimento, furono costruiti 142.764 edifici. L’edilizia si pone così, insieme al turismo, come il principale motore dell’economia locale. Infatti, se nel 1954 i lavoratori in questo settore sono 21.852, nel 1972 saranno 43.000, moltissimi dei quali italiani.
A spiegare questa “febbre da costruzione” non sono sufficienti, da soli, la necessità di ricostruire gli edifici distrutti dalla guerra e il boom demografico. La costruzione è infatti mossa, in gran parte, dalla necessità di creare case per i turisti. I dati sono chiari: nel 1948, a Nizza, si hanno 300.000 turisti, che diventano 531.000 nel 1962. Fino a questa data i principali visitatori sono gli statunitensi, seguiti da inglesi e belgi, oltre chiaramente ai francesi, che rappresentano il 60% dei vacanzieri <42.
A modificare ulteriormente l’aspetto geografico della regione è l’abbandono progressivo dell’attività agricola: gli addetti a questo settore, tra 1954 e 1968 passano da 30.350 a 19.320. Ciò comporta un progressivo spopolamento dei villaggi dell’entroterra; i terreni, prima coltivati, vengono ora venduti.
Come nota P. Racine in un suo studio <43, i nuovi acquirenti, in generale, hanno come obiettivo non quello di rilanciare l’agricoltura, ma di avere una seconda casa per le vacanze. Anche questo fenomeno interessa da vicino gli immigrati italiani; in tanti infatti, nelle Alpi Marittime, praticavano l’agricoltura.
[...]
Per capire la situazione di Nizza nel dopoguerra è importante aprire una parentesi su un personaggio importante della sua storia contemporanea: Jean Médecin, maire della città tra il 1928 e il ’35, tra il 1940 e il ’43 e, ininterrottamente, dal 1947 al 1966, anno della sua morte. L’influenza della sua famiglia sulla città diventa ancora più evidente se si pensa che suo figlio, Jacques Médecin, sarà maire di Nizza dal 1966 al 1990, quando darà le sue dimissioni.
Per quello che riguarda il periodo prebellico Jean Medécin rappresenta la figura principale del centro-destra in tutto il dipartimento. Viene eletto maire di Nizza nel 1928, deputato nel 1932 e senatore nel 1938. Dopo l’occupazione del giugno 1940 il titolo di maire fu affidato dal nuovo governo di Vichy ancora a Médecin. Questi restò in carica fino a luglio ’43, quando il governo fascista lo costringe alle dimissioni a causa della sua assoluta opposizione alla causa di Nizza italiana. Nel giugno del ’44 le milizie naziste lo imprigionano a Belfort, da dove sarà liberato a fine guerra. Entrato nelle file della Resistenza e divenuto commissario della Repubblica a Montpellier viene dichiarato nuovamente eleggibile dalla risorta Repubblica francese. Comunque, nelle elezioni tenutesi a Nizza nel ’45 non si presenterà, e la sinistra, sfruttando il ruolo avuto nella Resistenza, otterrà un larghissimo successo.
Il ritorno di Jean Médecin sulla scena politica fa slittare l’elettorato verso destra. Il blocco moderato vincerà infatti le elezioni dell’ottobre 1947 e Médecin riprenderà la poltrona di maire. Diventerà anche presidente del Consiglio Generale delle Alpi Marittime dal 1951 al 1961 e segretario di stato nel 1955.
A succedergli sarà suo figlio, Jacques Médecin, eletto consigliere municipale di Nizza nel gennaio 1966 e maire un mese dopo.
La sua carriera sarà ancora più sfolgorante di quella del padre: nel 1973 diviene presidente del Consiglio Generale, deputato dal 1967 al 1988 e ministro del turismo dal 1976 al 1978.
A sostenere la posizione moderata dei Médecin vi sarà sempre «Nice Matin». Al paragrafo 1.7 si trovano esempi chiari della politica seguita da questi sindaci e sostenuta dal giornale.
[...] Nel 1911 il 26% degli abitanti della città sono stranieri, e tra questi il 93% sono italiani. Durante il fascismo l’immigrazione è soprattutto politica, e porta tanti italiani nella periferia e nella vecchia Nizza, che diventa sovrappopolata. Gli arrivi sono numerosi soprattutto dal Piemonte <44.
Durante la guerra, come già detto, molte famiglie decidono di tornare in patria. A questo fenomeno si aggiunge la cacciata di molti anti-fascisti italiani sotto il governo di Vichy. Alla fine della guerra molti italiani cacciati sotto la repubblica di Vichy vogliono tornare <45, altri sono costretti ad andarsene a causa dell’epurazione fascista. Nel frattempo la colonia italiana nella regione si ritrova dimezzata.
Per controllare il flusso di migranti in entrata il ministro del Lavoro (all’epoca del PCF) crea l’ONI. Inoltre il ministro degli Interni, per tutelarsi dai vecchi invasori, stabilisce che: le Alpi Marittime, l’Haut Rhin e la Mosella sono riservate agli aventi permesso di soggiorno rilasciato dalla Prefettura <46.
Si tende dunque a porre leggi sempre più restrittive sull’entrata nelle Alpi Marittime.
Diventa interessante ora osservare come avviene il rientro degli italiani nelle Alpi Marittime. Secondo uno studio di Claude Vincent <47, se nel 1926-31 Nizza raggruppava circa un terzo di tutti gli immigrati nelle Alpi Marittime, nel 1946 questo tasso si porta a circa il 48%. Gli italiani, dopo la guerra, tornano molto più velocemente a Nizza che nel resto del dipartimento.
In questo periodo la sinistra guida la città con Barel; l’obiettivo principale è quello di riavviare l’economia evitando le tensioni sociali, dunque tutelando i lavoratori francesi e naturalizzando persone il più possibile compatibili con l’economia locale. Permane ovviamente lo spirito antifascista anche nel reclutamento degli immigrati <48.
La posizione del nuovo maire di Nizza, Jean Médecin, conservatore, si fa ancora più dura nei confronti degli italiani.
[NOTE]
5 Vedi paragrafo 1.7.
8 «Nice Matin», Reprise des relations ferroviaires France-Italie, 8 gennaio 1946.
9 «Nice Matin», Dans Ventimille détruite l’abondance est revenue. Le résultat a été obtenu par le génie militaire anglais, la main d’oeuvre italienne et aux cheminots françaises, 2 febbraio 1946.
10 «Nice Matin», in Les relations commerciales franco-italiennes: Les deux pays viennent de signer des accords pouvant accélérer leur rétablissement économique, 14 marzo 1946.
11 Vedi ancora, a tal proposito, i paragrafi 1.7.2.2 e 1.7.2.3
12 «Nice Matin», L’Assemblée Nationale ratifie le Traité de Paix avec l’Italie, 14 giugno 1947.
13 «Nice Matin», in Négociations franco-italiennes: De grands travaux hydroelectriques seront entrepris le long de la frontière des Alpes, 8 giugno 1947.
14 «Nice Matin», (parla il Ministro Sforza) Même au prix de quelques sacrifices, l’Italie doit tout tenter pour s’entendre avec la France, 17 giugno 1948.
15 Vedi Bruna Bagnato, Regards croisés au lendemain de la Seconde Guerre mondiale, in Images et imaginaire dans les relations internationales depuis 1938, «Les cahiers de l’Insitut d’histoire du temps présent» (cahier n.28), sotto la direzione di R. Frank, giugno 1994, pagg. 61-70.
16 Ralph Schor, L’image de l’Italie dans la presse niçoise (1948-1953), in Jean Baptiste Duroselle, Enrico Serra (a cura di), Italia e Francia (1946-1954), Franco Angeli, Milano, 1988, p. 255.
20 Eric Vial, La fine di un’immigrazione, in Piero Bevilacqua, Andreina de Clementi, Emilio Franzina (a cura di), Storia dell’emigrazione italiana. 2. Arrivi, Donzelli, Roma, 2001, pp. 141-46.
21 Ralph Schor, Histoire de l’immigration en France de la fin du XIXe siècle à nos jours, A. Colin, Paris, 1996. Vedi capitolo 7, La reprise de l’immigration: 1945-1974.
25 Paolo Rossigni, Un fiume di miseria valica le Alpi, «Tempo», n. 49, 21-28 dicembre 1946.
32 Vedi cap. 4.
33 Eric Vial, La fine di un’immigrazione, cit.
34 Cfr. Attilio Brilli, Un paese di romantici briganti: gli italiani nell’immaginario del Grand Tour, Il Mulino, Bologna, 2003. Cfr. Loredana Sciolla, Italiani. Stereotipi di casa nostra, Il Mulino, Bologna, 1997
41 Vedi paragrafo 1.7
42 André Nouschi, La guerre de 1939-1945 e Nice et son pays aujourd’hui (depuis 1946), cit., p. 437.
44 Vedi, per informazioni, Paul Caramagna, Les italiens à Nice dans l’entre deux guerres, mémoire de Maîtrise, Nice, 1974. In più si veda la tesi di Antonio Cavaciuti, relativa al periodo tra le due guerre.
45 Vedi Faidutti Rudolph, L’immigration italienne dans le Sud-Est de la France, Gap, 1964, pp. 9-10.
46 Journal Officiel del 19 marzo 1946.
47 C. Vincent, Les travailleurs étrangers à Nice de 1945 à 1974, mémoire de Maîtrise, Nice, 1975. Sugli italiani vedi capitolo 1: Les italiens, pp. 14-61.
48 C. Vincent, Les travailleurs étrangers à Nice de 1945 à 1974, cit., pp. 26-27.
Alessandro Dall'Aglio, Emigrazione italiana e sport a Nizza nel secondo dopoguerra (1945-1960), Tesi di Laurea, Università degli Studi di Parma, Anno Accademico 2002/2003

sabato 21 agosto 2021

Sulle mostre di pittori americani a Bordighera

Fonte: Giuseppe Balbo cit.

Un momento dell’allestimento della Mostra del 1952: al centro, seduto Gian Antonio; di spalle, Giuseppe Balbo - Fonte: Giuseppe Balbo cit.

Nel 1952 Giuseppe Balbo è il regista di una sorprendente iniziativa artistica che pone Bordighera (IM) al centro dell’attenzione internazionale, al pari di altre più importanti città italiane tradizionalmente note come centri promotori di cultura. La “I^ Mostra dei Pittori Americani in Europa” s’inserisce in un clima di intensi rapporti del nostro paese con gli Stati Uniti.
Scrive Walter Shaw nell’opuscolo di presentazione: "Nel prendere sotto i propri auspici questa prima esposizione dei pittori americani in Europa, la città di Bordighera raggiunge il più alto ideale di buona volontà e di fratellanza. Tale è il senso di questo reciproco gesto verso il popolo americano quale lo fu il Piano Marshall nei riguardi del popolo italiano. Tutti i pittori americani che lavorano in Europa sono stati invitati a presentare le loro opere davanti ad una giuria composta da pittori-artisti francesi, americani e italiani. Questa esposizione quindi può ben definirsi internazionale in scopi e sentimento. E’ un panorama che dimostra gli effetti che le diverse concezioni culturali europee passate e presenti hanno avuto nell’animo degli artisti americani".
Balbo e con lui gli operatori culturali e gli enti pubblici che promuovono la manifestazione, investono sul binomio cultura-turismo che aveva qualificato la storia di Bordighera già nel tardo Ottocento. Credono che sia ancora attuale per far ripartire un’economia svilita dal recente conflitto mondiale e che possa fondare le future sorti della città.
"E’ difficile trovare uno stile, un carattere che possa classificare la Mostra e potremmo meglio definirla un riflesso delle più disparate esperienze artistiche e d’avanguardia; riassunto che d’altronde è il risultato più logico delle fonti ispirative cui fa capo questa pittura. Fonti che vanno dalle tendenze impressionistiche e postCezanne a quelle fauviste e picassiane, da un astrattismo piuttosto formale ad un realismo con carattere intimista e talvolta anche primitivamente ingenuo e personalistico. Non siamo dinanzi ad arte americana nè di tradizione americana è il caso di parlare … Ognuno di questi pittori si è rivolto al maestro, per non dire all’esemplare…" G.C. Ghiglione, 5 giugno 1952, Il Secolo XIX.
Nonostante la tiepida reazione dei critici va considerata una importante caratteristica di questa esposizione: l’istituzione di premi d’acquisto da assegnare mediante una giuria. Il Comune di Bordighera ha quindi la possibilità di  acquistare le migliori opere esposte iniziando così la costituzione di una Galleria d’Arte Contemporanea, primo passo per un Centro internazionale d’arte e di cultura.
Redazione, Giuseppe Balbo e la “I^ Mostra dei Pittori Americani in Europa” di Bordighera (IM), Giuseppe Balbo 
 
[...] all'inizio di febbraio la Rebay riceve una lettera di George G. Fox, Cultural Attache dell'Ambasciata americana a Roma, che ha visitato la mostra della collezione e chiede la disponibilità di alcune opere per la seconda edizione dell'International Exhibition of American Painting a Bordighera dal 1 al 31 marzo 1953, dopo che l'ambasciata è stata coinvolta dall'Azienda Autonoma di Soggiorno e Turismo di Bordighera per un supporto organizzativo <138.
In una missiva del 15 febbraio a Clinton Hunt della Fondazione Guggenheim, Hilla Rebay suggerisce caldamente di aiutare l'Attache che in un'occasione precedente è stato di grande aiuto <139. Il 13 marzo una lettera di Dorazio conferma che 10 opere sono state spedite a Bordighera, mentre la dogana non ha concesso l'invio delle due tele della Rebay ad Amburgo perché sono sotto lo stesso permesso di importazione temporanea delle altre opere; inoltre si rende necessario un documento in cui si dichiari la donazione dell'opera della Rebay per la GNAM da inoltrare agli uffici doganali <140.
[NOTE]
138 Lettera dattiloscritta di George G. Fox a Hilla von Rebay, American Embassy, Rome, February 5th, 1953 (fronte, 1 foglio), Box 691742, Folder Rebay, Hilla 1/2, 1952-1957, James Johnson Sweeney Records. A0001. Solomon R. Guggenheim Archives, New York, NY.
139 Lettera dattiloscritta di Hilla von Rebay a Clinton Hunt, February 15th, 1953 (fronte, 1 foglio), Box 691742, Folder Rebay, Hilla 1/2, 1952-1957, James Johnson Sweeney Records. A0001. Solomon R. Guggenheim Archives, New York, NY.
140 Lettera dattiloscritta di Piero Dorazio a Hilla von Rebay, Rome, March 13th 1953 (fronte, 1 foglio; timbro Origine; firma manoscritta), Box 96, Folder 27, Hilla von Rebay Foundation Archive. M0007. Solomon R. Guggenheim Archives, New York, NY

Davide Colombo, “Arti Visive”, una rivista 'tra': astrattismi, interdisciplinarietà, internazionalismo, Tesi di dottorato, Università degli Studi di Milano, 2010
 

 

Peggy Guggenheim e Jean Cocteau a Bordighera (IM) - Fonte: Giuseppe Balbo cit.

Bordighera, grazie alla II^ Mostra Internazionale di Pittura Americana, organizzata da Balbo, Shaw, Guerin e Gian Antonio Porcheddu con l’appoggio di Angelo Giribaldi Laurenti, presidente dell’Azienda Autonoma del Turismo, ha il privilegio di ammirare in anteprima la New American Painting, al pari di importanti istituzioni come la Biennale di Venezia. Numerosi giornali dell’epoca riservano all’avvenimento ampio spazio, assicurando alla cittadina ligure un importante ritorno d’immagine.
[...] Nella sala dedicata alla collezione della mecenate americana sono esposte opere di Jackson Pollock, Robert Motherwell, Clyfford Still, William Baziotes, Mark Rothko. Sono rappresentati anche altri esponenti, meno noti, dell’espressionismo astratto che con Pollock hanno formato il gruppo degli Irascibili della Scuola di New York, movimento che ha liberato l’arte americana dalla sudditanza verso quella europea.
Redazione, 1953, Peggy Guggenheim e Jean Cocteau a Bordighera (IM) per la Seconda Mostra di pittura americana, Giuseppe Balbo

Mark Rothko, Sacrifice, 1946 - Fonte: Giuseppe Balbo cit.

La cosiddetta "letteratura grigia", quella vasta area di documenti non diffusi attraverso i normali canali di pubblicazione commerciale e quindi difficilmente individuabili e accessibili, si conferma una ricca miniera di informazioni e di spunti per studi e ricerche. Il volume Jean Cocteau, Peggy Guggenheim e le mostre di pittura americana a Bordighera 1952-1957 (De Ferrari Editore, 128 pp. con Cd-Rom allegato) nasce infatti da un fortuito "reperimento" tra i cospicui fondi dell'AdAC, l'Archivio d'Arte Contemporanea dell'Università di Genova che da oltre vent'anni persegue lo scopo di conservare, catalogare e studiare proprio i materiali più facilmente soggetti alla dispersione relativi alle vicende artistiche dal dopoguerra ad oggi. Leo Lecci, storico dell' arte da diversi anni attivo collaboratore dell' archivio, si è imbattuto in un paio di piccoli cataloghi dei primi anni Cinquanta che documentavano lo svolgimento di alcune mostre d'arte americana a Bordighera. Incuriosito, Lecci ha subito spostato la sua indagine nella cittadina ligure dove fondamentale si è rivelato l'incontro con l'artista Enzo Maiolino, allievo negli anni Cinquanta del pittore Giuseppe Balbo, ideatore e regista della rassegna. Maiolino ha messo a disposizione dello studioso non solo i suoi ricordi di affascinato testimone di quegli eventi - raccolti in un prezioso contributo pubblicato nel libro - ma anche lettere, articoli, fotografie e, soprattutto, la serie completa dei quattro cataloghi, oggi pressoché irreperibili e riprodotti digitalmente in versione integrale nel Cd-rom realizzato dalla Ares Multimedia. Sono così emersi nomi di spicco del panorama artistico internazionale, da quelli, appunto, di Cocteau e della Guggenheim, a quelli di artisti del calibro di Pollock, Still, Rothko, Gorky, Motherwell, Man Ray. Le loro opere di proprietà della ereditiera americana furono esposte, accanto a quelle provenienti dal Museum of Non-Objective Painting di New York (primo nucleo di quello che sarebbe diventato il Solomon R. Guggenheim Museum), nella seconda mostra - quella del 1953 - dopo una prima edizione (1952) dal taglio più specificamente "ricognitivo" sugli artisti americani operanti in Europa. Anche la terza esposizione (1955) vide importanti presenze, tra cui quelle di Hopper, Shahn e Feininger, mentre la quarta (1957) dovette, per sopraggiunte difficoltà economiche e organizzative, limitarsi ad una selezione di opere grafiche. Fu quello l'ultimo capitolo di un evento destinato ad un lungo oblio. Il Comune di Bordighera ha prontamente appoggiato la proposta dell'Università di dedicare uno studio alla ricostruzione di un momento così importante nella storia culturale della città: la collaborazione si è concretizzata nella realizzazione del volume, pubblicato nella collana «Ritratti di Bordighera» e ufficialmente presentato lo scorso 21 ottobre presso la ex Chiesa Anglicana. Nel libro Lecci ripercorre cronologicamente e con dovizia di particolari l'intera vicenda, delineando anche le reazioni del pubblico di fronte ai capolavori della Scuola di New York che la città ligure ebbe il privilegio di mostrare quasi in anteprima europea, seconda solo a Venezia e Firenze. Sulla portata di un tale evento nel panorama dell'arte italiana riflette Franco Sborgi, professore di storia dell'arte contemporanea dell'ateneo genovese, nella sua introduzione al volume, mentre Philip Rylands, direttore della Peggy Guggenheim Collection di Venezia, delinea nel suo saggio un fresco ritratto della mecenate americana. Completa il volume, edito in italiano e inglese, un ricco apparato bio-bibliografico dedicato a tutti gli artisti che parteciparono alla rassegna.
Paola Valenti, Peggy Guggenheim, Jean Cocteau & C.: l'arte made in Usa, la Repubblica, 3 novembre 2004

La vita culturale della Bordighera degli anni Cinquanta è animata, in particolare, dalle iniziative e dalle doti organizzative di Giuseppe Balbo a cui si devono, oltre al contributo alla creazione del “Salone Internazionale dell’Umorismo”, due eventi di grande rilievo: la “Mostra dei pittori americani” e il premio “5 Bettole”. In proposito è doveroso ricordare il significativo ruolo, ormai caduto nell’oblio, di Angelo Giribaldi Laurenti il quale, nella veste di presidente dell’Azienda Autonoma di Soggiorno e Turismo, riesce a imprimere alle suddette iniziative un’impronta di rilievo internazionale grazie alle sue conoscenze e relazioni personali, nonché alla grande sensibilità verso la musica e le arti in genere. La “Mostra dei pittori americani”, nata sotto gli auspici di Giuseppe Balbo, Jean Cocteau e Walter Shaw, si svolge in quattro edizioni e propone, dapprima, una selezione di pittori statunitensi provenienti dalla celebre collezione di Peggy Guggenheim, poi le opere figurative di Hopper, Feininger e Shahn, per terminare con alcuni giovani artisti di talento divenuti successivamente noti in campo internazionale, fra i quali Virduzzo, Hadzi, Zajac e Pepper.
Mara Pardini, La cultura nel ponente ligure ai tempi di Francesco Biamonti: un accenno, Terra ligure 

Jackson Pollock, Senza titolo - Fonte: Giuseppe Balbo cit.

Le mostre di pittura americana, tra il 1952 e il 1957, furono possibili innanzitutto grazie al vigore organizzativo del pittore Giuseppe Balbo, che già sul finire degli anni Quaranta aveva dato vita con i propri allievi a una serie di esposizioni, e videro coinvolti personaggi del calibro di Jean Cocteau e Peggy Guggenheim. Dalle prime esposizioni curate da Balbo nacquero anche, all’inizio degli anni Cinquanta, i Premi delle “Cinque Bettole”, inizialmente destinati ai soli pittori e poi a narratori e poeti. Nel corso del decennio l’iniziativa, cui succedette, dopo l’edizione ibrida del 1962, il “Premio Bordighera” nel 1963 e 1964, ebbe un successo sempre crescente.
Matteo Grassano, Il territorio dell’esistenza. Francesco Biamonti (1928-2001), Tesi di dottorato in cotutela internazionale, Université Nice Sophia Antipolis, Università degli Studi di Pavia, 29 gennaio 2018 

Il museo Guggenheim di Venezia celebra quest’anno il quarantesimo anniversario della scomparsa della sua fondatrice, Peggy Guggenheim, con una mostra omaggio che racconta i trent’anni, dal ’49 al ’79, della sua avventura veneziana. Parte della sua collezione fu esposta a Bordighera alla II Mostra Internazionale di Pittura Americana, come ricordava la stessa Peggy Guggenheim nella sua autobiografia: “Nel 1953 Walter Shaw e Jean Guerin, due miei vecchi amici che vivevano a Bordighera, mi chiesero in prestito dei quadri perchè volevano organizzare un’esposizione di pittori americani che sarebbe stata patrocinata dal Comune, e perciò piuttosto ufficiale. Cocteau scrisse l’introduzione al catalogo ed io accettai di prestare i quadri e andai a Bordighera con Laurence Vail… Il pranzo che Walter e Jean offrirono in onore nostre e di Cocteau fu molto divertente… Con mia grande sorpresa scoprii che eravamo tutti e tre ospiti della città di Bordighera e ci furono offerte tre splendide stanze in un albergo”.
Nella sala dedicata alla collezione della mecenate americana furono esposte opere di importanti artisti americani, tra cui Jackson Pollock, Robert Motherwell, Mark Rothko. Sono rappresentati anche altri esponenti, meno noti, dell’espressionismo astratto che con Pollock hanno formato il gruppo degli”Irascibili” della Scuola di New York. La mostra , dal 1 al 31 marzo, ha richiamato più di 22.000 visitatori e tra questi note personalità della politica, dell’arte e della cultura in genere.
Alcune opere di pittori americani vennero acquistate dalla città di Bordighera, come nucleo di una costituenda galleria di arte contemporanea, purtroppo non ancora realizzata.
Oltre al grande successo di pubblico le mostre di pittura americana furono fonte di grande ispirazione per gli (allora) giovani artisti della zona, come Enzo Maiolino, Sergio Biancheri, Joffre Truzzi, Sergio Gagliolo, Mario Raimondo, per ricordarne alcuni, che poi a loro volta formarono le nuove generazioni, che poi a loro volta...
Marco Balbo, Peggy Guggenheim,  © Archivio Balbo, 23 ottobre 2019

martedì 17 agosto 2021

La stagione 1936 dei Lunedì Letterari del Casinò di Sanremo non avrà mai luogo


Oltre che poeta, Francesco Pastonchi è attivo critico letterario e saggista fin dagli anni Novanta del XIX secolo sulle pagine di giornali e riviste. Collaboratore costante, dal 1901 fino alla morte, del “Corriere della Sera”, è anche fondatore di periodici di arte e letteratura quali “Il Piemonte” (1903) e “Il Campo” (1904-1905). Per il suo impegno di giornalista e scrittore trascorre quasi tutta l’esistenza negli ambienti intellettuali di Torino e Milano, ama talora allontanarsi dalla città per riposare in località meno mondane o nei piccoli paesi della nativa Riviera.
[...] È proprio nell’amata Liguria che il poeta ha contatti con la folta colonia russa, avendo modo di frequentare la famiglia del cugino, il deputato sanremese Paolo Manuel-Gismondi, che sposa nel 1927 la pittrice Anna Svedomskaja.
Nei dintorni di Antibes incontra il granduca Dmitrij Pavlovič Romanov (1891-1942), complice nell’omicidio di Rasputin del principe Feliks Jusupov (1887-1967), e Sergej Djagilev (1872-1929) durante le tournées dei Ballets Russes a Monte Carlo, nella villa del noto medico Sergej Voronov. Gli amici russi insistono spesso perché il poeta parli loro di Gabriele d’Annunzio, avendo avuto la fortuna di conoscerlo di persona. [...] Marinetti inaugura due volte, nel 1931 e nel 1935 (con una conferenza dal titolo Storia dell’ardimento futurista), i Lunedì Letterari del Casinò di Sanremo e i suoi rapporti con Pastonchi continuano almeno fino agli anni Quaranta. <48
Il Casinò di Sanremo viene riaperto dalle autorità nel 1928 e la direzione è affidata all’impresario napoletano Luigi De Santis (1875-1934), coadiuvato da altre personalità, tra cui il noto antroposofo Marco Spaini (1887-1969). <49
Nel 1931 il direttore decide di dare vita ad un evento culturale degno della frequentata cittadina turistica, chiamando Marinetti a tenere una conferenza che riscuote un enorme successo. Dopo questo inizio “estemporaneo” De Santis affida l’organizzazione di una vera e propria rassegna letteraria a Pastonchi, <50 che per realizzarla si avvale del legame che dal 1930 stava cercando di instaurare con il regime fascista. <51
A capo di un Comitato d’arte, per quattro anni (1932-1935) Pastonchi apre la rassegna a gennaio, a volte alla presenza di un’alta autorità dello stato, <52 e la chiude tra marzo e aprile per un totale di cinquantadue incontri letterari.
Contemporaneamente il teatro del Casinò vede la rappresentazione di importanti prime teatrali di opere di Pirandello, dei fratelli Eduardo e Peppino De Filippo, di Sem Benelli (1877-1949) e molti altri. Pastonchi ha così occasione di conoscere e intrattenere rapporti amichevoli con i grandi nomi del teatro nazionale e internazionale dell’epoca, fra cui Tat’jana Pavlova, <53 ricordata dal poeta nel diario del 1935 insieme all’attore Alberto Capozzi (1886-1945) e all’impresario della compagnia, avvocato Jakov L’vov. <54
I conferenzieri che si succedono nel Salone concerti, nel teatro o nel giardino d’inverno del Casinò municipale di Sanremo sono importanti uomini di scienza per la maggior parte membri dell’Accademia d’Italia. Tra i vari nomi spiccano, oltre a Marinetti, Luigi Pirandello, Giovanni Gentile, Ugo Ojetti, Paul Valéry, Massimo Bontempelli. <55 Pastonchi stesso anima questi incontri commentando la poetica e declamando i versi degli amati Dante, Carducci e Pascoli. La partecipazione di membri del clero, come il cardinale Celso Costantini (1876-1958) e di uomini politici italiani, quali Augusto Turati (1888-1955), Romeo Gallenga Stuart (1878-1938) e Gennaro Marciano (1863-1944) o stranieri, come l’ambasciatore tedesco Ulrich Von Hassel (1881-1944), dimostra quanto il programma della rassegna fosse influenzato dal regime, <56 anche se i personaggi politici trattarono solo argomenti letterari.
L’ultimo incontro, avvenuto il 26 marzo 1935, vede ospiti gli onorevoli Giuseppe Tallarico e Giuseppe Tassinari; quest’ultimo esprime a Pastonchi la speranza che il programma dei futuri Lunedì Letterari comprenda anche temi di politica ed economia “secondo le direttive del duce”. <57
La stagione del 1936, tuttavia, probabilmente per le ragioni di cui si sta per raccontare, non avrà mai luogo.
È grazie all’interazione tra Pastonchi e le autorità italiane durante le rassegne letterarie di Sanremo che il poeta riesce ad ottenere la fiducia di Mussolini in quella che sarà la sua più ardita e disastrosa impresa, ovvero la messa in scena della tragedia Simma nel 1936.
L’ambizione di Pastonchi era sempre stata, fin dalla giovinezza, quella di sostituirsi al Vate: in un certo momento della sua vita, si era persino convinto di essere il più grande poeta italiano, dopo d’Annunzio. <58
L’occasione di diventare poeta di regime si presenta a Pastonchi quando il 28 aprile 1933 Mussolini pronuncia un famoso discorso agli scrittori italiani, soffermandosi in particolar modo sul problema della crisi del teatro e della mancanza, oltre che di spazi adeguati a contenere un “teatro delle masse”, anche di un’opera teatrale “di largo respiro” che sappia “agitare le grandi passioni collettive, essere ispirata ad un senso di viva e profonda umanità, portare sulla scena quel che veramente conta nella vita dello spirito e nelle ricerche degli uomini”. <59
Il discorso di Mussolini viene pubblicato nel maggio dello stesso anno su “Nuova Antologia”, proprio nei giorni in cui Pastonchi assiste, seduto accanto a Pirandello, alla sacra rappresentazione del Mistero di Santa Uliva nel Chiostro di Santa Croce a Firenze: là il poeta “avvertì come fosse possibile comunicare con la folla attraverso l’incanto di uno spirito religioso”. <60
Pastonchi decide perciò di riprendere il progetto abbandonato tempo addietro di una trilogia drammatica intitolata Il Tempio, di cui realizza tuttavia solo la prima parte Simma, che presentata a Mussolini nel dicembre 1934 incontra, nonostante qualche perplessità, l’approvazione e il sostegno materiale del duce alla messa in scena. <61 Questa, che avrebbe dovuto avere luogo nel giugno 1935 sul Palatino a Roma, ovvero in uno di quei grandi spazi pensati per le masse del teatro di propaganda fascista, <62 viene rimandata alla stagione 1935/36 per problemi tecnici. Per la rappresentazione viene creata addirittura la Compagnia dei Grandi Spettacoli d’Arte, guidata dal regista Guido Salvini (1893-1965) con Marta Abba (1900-1988) come prima attrice. <63 La circostanza attira non poche invidie degli altri autori, tra cui Massimo Bontempelli, che vedono le loro opere rifiutate dalla nuova compagnia in favore di Simma, tanto da far sorgere il sospetto che “faranno di tutto per farla precipitare”: 'Pastonchi non gode le simpatie perché non è venduto come lo sono loro, è un signore e predilige intrattenersi con Luigi Pirandello e con Marta Abba'. <64
Nonostante il giudizio di Pirandello su Simma, dal punto di vista strettamente artistico, sia senza riserve negativo, <65 il drammaturgo spera di sbagliarsi prevedendone l’insuccesso, e ciò non solo per il bene di Salvini, Marta Abba e della Compagnia dei Grandi Spettacoli, 'ma anche per il buon Pastonchi, che è stato sempre nostro amico, qualunque siano le riposte intenzioni del suo lavoro. Le sue velleità sono purtroppo tanto più pericolose, quanto più ambiziose. E la sua ambizione è tanta, e le sue forze sono troppo inadeguate a sostenerla. Dio lo guardi dal precipizio!' <66
L’opera, rappresentata il 27 gennaio 1936 al Lirico di Milano, non avrà repliche. Ciononostante, la stesura di questo testo e la fiducia di Mussolini prima della disfatta, valgono a Pastonchi la nomina “per chiara fama” a professore di Letteratura italiana a Torino nel 1935, in quell’università che l’aveva visto studente e poeta alle prime armi. <67
Il fiasco di Simma determina un periodo di “freddezza” da parte del regime fascista e Pastonchi non si vede più concedere udienze da Mussolini: 'Dopo Simma, non ebbi più il bene di essere da Voi ricevuto. Quando mi accorderete nuovamente questo onore, Vi dirò di quell’esito cose curiose. Che non Vi scrissi allora, per umiltà, e solo mortificato di non aver corrisposto alle Vostre benevole speranze; benché Voi, nella Vostra mirabile lettera, già aveste, presago, intraveduto i pericoli di una realizzazione scenica. Io ho tuttavia proseguito in silenzio la mia concezione tragica, la quale nasceva da quel contrasto di razze oggi impostosi a l’Occidente'. <68
Verosimilmente non si conosceranno mai le “cose curiose” che Pastonchi avrebbe voluto rendere note a Mussolini, per spiegare il risultato di una messa in scena rivelatasi più tragica della tragedia stessa. Forse un complotto di colleghi invidiosi. Resta il fatto che la disgrazia in cui il poeta sembra essere caduto davanti al capo del governo non è totale, dal momento che nel 1939, grazie al lavoro di traduzione delle Odi di Orazio e alla sua fama di “dicitore di Dante”, Pastonchi viene nominato Accademico d’Italia, ottenendo così il massimo riconoscimento che un intellettuale potesse aspettarsi in quell’epoca. <69
Poco c’è da raccontare sulle sorti del poeta dopo la caduta del fascismo.
Anziché subire un processo di epurazione, come altri letterati vicini al potere e come avrebbero voluto gli studenti torinesi, tra cui Italo Calvino, che chiedevano il suo allontanamento dalla cattedra, <70 nel 1947 Pastonchi viene collocato fuori ruolo e nel 1950 diventa professore onorario; continua a pubblicare articoli autobiografici sul “Corriere della Sera”. Muore tre anni dopo nella sua casa di Torino.
[note]
48 Nel fondo F. T. Marinetti della Yale University Library si conservano quattro lettere di Pastonchi, di cui una reca la data 1937 (Cf. YUL, Filippo Tommaso Marinetti Papers. Series III. Letters to and about Filippo Tommaso Marinetti, box 14, folder 860, Pastonchi, Francesco to F.T. Marinetti). Nella biblioteca di Pastonchi, conservata dall’erede Vincenzo Manuel-Gismondi, si conservano due libri di Marinetti donati a Pastonchi con dedica autografa: F. T. Marinetti, Aeropoeti aeropittori di guerra. Gruppo futurista Savarè: 8a mostra di aeropitture di guerra, Padova XIX, Stediv, [1940-41]; F. T. Marinetti, Il poema non umano dei tecnicismi, Milano, Mondadori, 1940 (“Al caro e grande Francesco Pastonchi l’aeropoeta futurista F. T. Marinetti”).
49 B. Monticone, Il mito-De Santis, in Sanremo: cent’anni di Casinò, Genova, De Ferrari, 2005, pp. 47-48.
50 B. Monticone-I. Ruscigni, La cultura attorno al Casinò di Sanremo. Letteratura, in Sanremo: cent’anni di Casinò, cit., pp. 62-63.
51 Pastonchi riteneva comunque la rassegna culturale frutto del suo impegno personale: “[i Lunedì Letterari] non sono che la mia ostinata fatica (contro incomprensioni anche ufficiali) ma sorretta dalla benevolenza che lo scorso anno si è degnata per essi accordarmi la Eccellenza Vostra” (Archivio Centrale dello Stato, Segreteria Particolare del Duce, Carteggio Ordinario, ACS SPD CO, f. 509.498. Lettera di F. Pastonchi ad Alessandro Chiavolini del 12 marzo 1933). Il voluminoso fascicolo personale di Francesco Pastonchi contiene una serie di lettere del poeta a Mussolini e ai suoi segretari particolari (Alessandro Chiavolini dal 1922 al 1934 e Osvaldo Sebastiani dal 1934 al 1941), copie di telegrammi inviati dalla segreteria a Pastonchi e altri documenti relativi ai suoi rapporti con il governo tra il 1930 e il 1941.
52 Nel 1934 è Arrigo Solmi, all’epoca sottosegretario all’Educazione Nazionale, ad aprire il ciclo di conferenze; nel 1935 avrebbe dovuto essere Galeazzo Ciano, sottosegretario alla Stampa e alla Cultura, costretto a rinunciare per altri impegni e sostituito da Solmi (Cf. ACS SPD CO, f. 509.498. Telegramma di F. Pastonchi a O. Sebastiani del 3 gennaio 1935).
53 Tat’jana Pavlova Zeitman (1890-1975), attrice e regista teatrale e cinematografica russa, trasferitasi in Italia fin dal 1919. Debutta a Roma al Teatro Valle nel 1923 alla guida di attori italiani, per poi esibirsi nelle maggiori città italiane. Nonostante le sue innovazioni nella regia degli spettacoli attirino severe critiche da parte di personaggi come Luigi Pirandello, le tournées della sua compagnia riscuotono notevoli successi tra gli anni ’20 e ’30. Nel 1935 fonda con Silvio D’Amico l’Accademia d’Arte Drammatica di Roma. Sposa Nino D’Aroma, giornalista e biografo di Mussolini. In seguito alla fine della seconda guerra mondiale lavora per la televisione e cura alla Scala gli allestimenti di alcune opere liriche. Su di lei si veda D. Ruocco, Tatiana Pavlova Diva Intelligente, Roma, Bulzoni Editore, 2000.
54 Jakov L’vovič L’vov (1886-1939), avvocato e impresario russo emigrato in Italia nel 1922. Risiede prima a Milano e dal 1932 a Roma. Dal 1931 è cittadino italiano e dall’anno seguente iscritto al partito nazionale fascista. Nel suo diario 1935, conservato nell’archivio privato di Vincenzo Manuel-Gismondi a Bordighera, Pastonchi scrive che è stato lui a lanciare Tat’jana Pavlova e l’attrice italiana Kiki Palmer (1907-1949). Su di lui cf. la nota biografica nel sito www.russinitalia.it.
55 Gli incontri vengono annunciati e commentati sul giornale locale “L’eco della riviera”; i resoconti di molte relazioni sono spesso pubblicati, forse per iniziativa di Pastonchi, il martedì sulle pagine di cultura e spettacoli del “Corriere della Sera”.
56 ACS SPD CO, f. 509.498. Lettera di F. Pastonchi ad A. Chiavolini del 12 ottobre 1933: “sul punto di definire il programma dei Lunedì Letterari di S. Remo, non so risolvere da me prima in qual misura si debbano ammettere stranieri (si sono offerti anche alcuni uomini politici) e quali i nomi più grati”.
57 “Corriere della Sera”, 26 marzo 1935.
58 Cf. O. Vergani, Misure del tempo: diario 1950-1959, a cura di N. Naldini, Milano, Baldini&Castoldi, 2003, p. 189.
59 R. Forges Davanzati, Mussolini parla agli scrittori, “Nuova Antologia”, fasc. 1468, 16 maggio 1933, p. 191.
60 La preparazione del “Simma” di Pastonchi al Lirico, “Corriere della Sera”, 18 gennaio 1936.
61 Cf. ACS SPD CO, f. 509.498. Copia dattiloscritta di lettera di B. Mussolini a F. Pastonchi del 27 dicembre 1934. La lettera è riportata integralmente in R. De Felice, Mussolini il duce. I. Gli anni del consenso (1929-1936), Torino, Einaudi, 2006, pp. 28-29. La bozza autografa di Mussolini, leggermente differente dalla versione dattiloscritta, si conserva in ACS, Autografi del duce, Carte della Cassetta di Zinco, scatola 10, f. 12.2.6. Sulla storia della messa
in scena di Simma e sullo scambio epistolare tra Pastonchi e Mussolini relativo allo spettacolo cf. M. L. Alteri, Il regime e il poeta. Documenti sul fascismo di Francesco Pastonchi (1934-1941), “Levia Gravia. Quaderno annuale di letteratura italiana”, III (2001), pp.305-328.
62 Sull’organizzazione teatrale in Italia negli anni Trenta e sulle specificità del teatro di propaganda fascista cf. E. Scarpellini, Organizzazione teatrale e politica del teatro nell’Italia fascista, Firenze, La Nuova Italia, 1989 (in particolare il capitolo Teatro di massa e drammaturgia fascista); G. Pedullà, Il teatro italiano nel tempo del fascismo, Bologna, Il Mulino, 1994 (in particolare il capitolo La scena degli anni Trenta); P. Cavallo, Immaginario e rappresentazione. Il teatro fascista di propaganda, Roma, Bonacci, 1990.
63 L’opera doveva far parte del repertorio della Compagnia dei Grandi Spettacoli insieme a La figlia di Jorio di d’Annunzio, Questa sera si recita a soggetto di Pirandello e Santa Giovanna di Shaw. La tournée per l’Italia della compagnia vide così replicare solo queste ultime tre opere. Cf. M. Abba, Caro Maestro...: lettere a Luigi Pirandello (1926-1936), a cura di P. Frassica, Milano, Mursia, 1994, pp. 290, 299.
64 Ivi, pp. 315-316 (lettera di M. Abba a L. Pirandello del 23 ottobre 1935).
65 Pirandello, nonostante la stima e l’amicizia per Pastonchi, condanna duramente la qualità di Simma, definendola “enfasi a vuoto” e “vacua esaltazione”. Cf. L. Pirandello, Lettere a Marta Abba, a cura di B. Ortolani, Milano, Mondadori, 1995, pp. 1208-1210 (lettera di L. Pirandello a M. Abba del 6 maggio 1935); la lettera è riportata integralmente in F. Contorbia, Immagini di Pastonchi nel Novecento, in Ricordo di Francesco Pastonchi (1874-1953) (Atti del Convegno, S. Maria Maggiore, 13 settembre 1997; con un'antologia di testimonianze, una bibliografia, una sezione iconografica e una nota di B. Mazzi), Novara, Interlinea: Centro novarese di studi letterari, 1997, pp. 45-46.
66 L. Pirandello, Lettere a Marta Abba, cit., p. 1278 (lettera di L. Pirandello a M. Abba del 14 gennaio 1936).
67 Pastonchi viene preferito dal ministro Cesare Maria De Vecchi al critico Carlo Calcaterra (1884-1952), la vicenda provoca forti ripercussioni nell’ambiente universitario torinese. Il prefetto della città comunica a Sebastiani che è in atto una campagna da parte del mondo accademico, che cerca di dissuadere gli studenti dall’assistere alla prolusione di Pastonchi (ACS SPD CO, f. 509.498. Telegramma del Prefetto di Torino a O. Sebastiani del 5 dicembre 1935). Sui motivi della nomina e le relative polemiche cf. M. Guglielminetti, Francesco Pastonchi poeta, cit., p. 35.
68 ACS SPD CO, f. 509.498. Lettera di F. Pastonchi a B. Mussolini del 25 gennaio 1939.
69 Su Pastonchi “Linceo” si veda M. L. Alteri, Il regime e il poeta. Documenti sul fascismo di Francesco Pastonchi (1934-1941), cit., pp. 305-308.
70 M. Guglielminetti, Francesco Pastonchi poeta, cit., p. 36.
Giuseppina Giuliano, Il Sole, “signore del limite”. Lettere di Francesco Pastonchi a Vjačeslav Ivanov in Archivio Russo-Italiano VIII - Russko-ital’janskij Archiv VIII, Pag.105-139, Salerno, Europa Orientalis, 2011

venerdì 13 agosto 2021

Di qui gli ho mandato un cesto di mandarini, freschi come la mattina sul mare, dice lui

Sanremo (IM)

Non so dove i gabbiani abbiano il nido,
ove trovino pace.
Io son come loro,
in perpetuo volo.
La vita la sfioro
com’essi l’acqua ad acciuffare il cibo.
E come forse anch’essi amo la quiete,
la gran quiete marina,
ma il mio destino è vivere
balenando in burrasca.
(V. Cardarelli, Gabbiani)
[...]
1. La dimensione epistolare tra letteratura e vita.
«Io spero che i posteri non si fonderanno sui miei documenti epistolari, aborritissimo genere». <1
Con una suggestiva dialettica metaletteraria tra forma e contenuto, nell’aprile 1923 Cardarelli nega in una missiva a Riccardo Bacchelli il valore della propria scrittura epistolare, genere che sarà invece considerato da Clelia Martignoni uno dei suoi luoghi «privilegiati d’espressione: dove la sua prevalente inclinazione etico-ragionativa si manifesta al meglio». <2 Tuttavia, come notò Oreste Macrì, l’excusatio non petita con cui egli si definisce un pessimo scrittore di lettere non è altro che una fictio letteraria che tradisce un «intento artistico» <3 di cui Cardarelli era ben consapevole, come dimostrò del resto con l’ossimorica pubblicazione nel 1946 delle Lettere non spedite. <4 Le potenzialità della scrittura privata cardarelliana, in cui anche Gianfranco Contini ravvisò l’espressione piena della «profondità della vocazione letteraria» <5 del fondatore della «Ronda», si rinnovano e si consolidano in questo nuovo epistolario rimasto fin’ora inedito tra le carte del suo destinatario, Riccardo Bacchelli
[...]
La raccolta epistolare è rimasta inedita <11 per molto tempo per volontà dello stesso Riccardo Bacchelli, restio alla pubblicazione delle lettere cardarelliane in suo possesso a causa del carattere molto schietto di alcune affermazioni del poeta su fatti e persone a loro vicini e, in alcuni casi, ancora viventi nel periodo in cui Bruno Blasi stava lavorando alla raccolta delle lettere dello zio.
1 Vedi lett. 195.
2 V. CARDARELLI, Assediato dal silenzio: lettere a Giuseppe Raimondi, a c. di C. Martignoni, Montebelluna, Amadeus, 1990, p. 7.
3 EPISTOLARIO I, p. VI.
4 V. CARDARELLI, Lettere non spedite, Roma, Astrolabio, 1946.
5 G. CONTINI, Lettera da non spedire a Vincenzo Cardarelli, in Altri esercizi (1942-1971), Einaudi, Torino, 1972, p. 10.
11 È da precisare tuttavia che alcune lettere sono state parzialmente citate da Elisabetta Graziosi che ha potuto accedere al fondo alla fine degli anni ’80, durante la fase di ordinamento e catalogazione. I passi editi sono stati puntualmente segnalati nella descrizione in calce alle singole missive.

[...]
[80]
San Remo, Via Roma, 14 presso Bertolone
[6. 1. 16]
Caro Bacchelli, vorrei essere per te una distrazione epistolare più frequente e più interessante, ma purtroppo per una ragione e per l’altra il tempo che io posso dedicare (e sai che tempo per me vuol dire salute, forza) a queste conversazioni si fa sempre più scarso. Ti prego dunque di scusami se non ti scrivo a lungo come mostri di desiderare e come io stesso vorrei. Tu sei in guerra e anche io in un certo senso. [...]
Certo che oggi sento d’avere più polpa, più gesto, più humanitas. Ma non più quella divinità di armonia, quella tenerezza d’accenti vergini, sicuri. Che cosa significa progredire!- Basta, spero di arrivare prima che tu abbia preso[…]. Sei sempre al sicuro?
Io desidero essere informato soprattutto di questo. E se verrai qui, come ti prego di fare, sarà un bel rivederci. Io mi modello sempre più sui miei ozii. Tuo Cardarelli
Cecchi vuole che si vada anche ad Alessandria. Di qui gli ho mandato un cesto di mandarini, freschi come la mattina sul mare, dice lui.
[80] Cartolina postale italiana, indirizzata: «Sottotenente/ Riccardo Bacchelli/ 8° Artiglieria Fortezza/ Comando Raggruppamento artiglieria medio e grosso calibro/ IV Corpo d’Armata/ Zona di Guerra»; la data, non indicata dall’autore è ricavabile dai timbri postali di partenza SAN REMO ARRIVI E PARTENZE 6.1.16.
[81]
San remo, via Roma 14 presso Bartolotto
[16. 1. 16]
Caro Bacchelli, scusami se ti rispondo con un giorno di distanza: ho mandato via poco fa il mio libro – questo ti dice tutto. Sono sfinito e sconsolato. Ci sono tre ultime righe che mi stanno sulla coscienza e che non ho potuto sostituire da giorni e giorni che ci stavo sopra. In questi casi io arriverei alla pazzia. Pensavo a quel che mi scrivevi tu mentre stavi licenziando il tuo. Che cosa disgraziata! Non ne parliamo! Ora dovrei rispondere qualche cosa al tuo invito. Pensa, io non ho ancora i biglietti giornalistici e la spesa da qui a Alessandria non è lieve. Ho in tasca qualche cosa come 450 lire e contavo di andarci avanti fin quasi alla fine di Marzo. Se faccio questo viaggio dò una bel taglio. Inoltre lo strapazzo (io sto male, credilo) eppoi l’emolliente compagnia di Cecchi! Per rimettermi in equilibrio virile mi ci vuole dopo un altro mese. Ma se a te fa piacere, senza ipocrisia e senza complimenti, io faccio quel che tu vuoi.
Quest’anno i biglietti personali li ho potuti avere soltanto su le garanzie di Quilici che mi ha fatto passare per un redattore del Carlino. Cosicché è probabile che questi biglietti siano in giacenza all’amministrazione del Carlino. Vuoi informartene da Lucarini? <1 Lui saprà chi si occupa di queste cose. L’impiegato di Roma assicurò Saffi che me li avrebbe mandati al Carlino. Se ci sono non hai che da farteli dare e spedirmeli subito per espresso. Allora la cosa sarebbe molto facilitata. Ma è una faccenda da sbrigarsi con Lucarini – non con altri. E Mario è con te? Salutamelo, salutamelo tanto. Immagino che cosa la guerra avrà fatto della sua già temibile virilità. E il fastoso Giorgio? Saluti a tutti. Ricordati che in tutti i casi a me farebbe comodo partire di qui il 19. Tuo aff.mo Cardarelli
L’indirizzo di Cecchi è: Via Torino, 17 Alessandria
[81] Cartolina postale italiana, indirizzata: «Riccardo Bacchelli/ Arienti, 40/ Bologna»; la data, non indicata dall’autore, è ricavabile dai timbri postali di partenza SAN REMO ARRIVI E PARTENZE 16.1.16.
1 Ostilio Lucarini, poeta e in quel periodo cronista del «Resto del Carlino».

[82]
San Remo, [22. 1. 16]
Caro Bacchelli,
dimenticai ieri di tornare a raccomandarti quella faccenda dei biglietti. Davvero ora che tu sei a Bologna sarebbe provvidenziale se te ne occupassi, altrimenti dispero di giungerne in possesso. Basta informarsi con Lucarini e, in ogni caso, lasciare incaricato lui per quando arrivino, potresti dargli il mio indirizzo.
Grazie per adesso e spero che vorrai farmi sapere qualcosa.
Sta bene
Tuo
V. Cardarelli
[82] Cartolina postale italiana «Riccardo Bacchelli/ Arienti, 40/ Bologna»; la data, non indicata dall’autore, è ricavabile dai timbri postali di partenza SAN REMO ARRIVI E PARTENZE 22.1.16.
[83]
[San Remo, 31. 1. 16]
Mio caro Bacchelli,
ancora poche righe. Ho ricevuto il tuo manoscritto <1 e lo passerò a Cecchi per farlo subito pubblicare. M’è parso però che alcune correzioni andassero bene, altre al solito piuttosto male. Soprattutto l’idea di togliere gli spari. Io credo che tu non ti sia ancora definitivamente convinto della necessità, anche profonda, di certi amminicoli architettonici.
[...] Per quel che riguarda me va male, molto male. Salute: senilismo precoce. Cose pratiche: processo in cassazione dentro questo mese. Nessuna speranza di salvezza. Poca anche nella grazia. Non ho persone che mi possano garantire un aiuto abbastanza intimo e sicuro.
Tra due mesi sarà spiccato mandato di cattura contro di me. Vivo in queste condizioni. Tu capisci che farò tutto, credessi anche di dovermi, per dire una parola, ammazzare, pur di non andar dentro. È troppo che giuoco con la mia sensibilità.
Di qui andrò via il giorno del processo (23 febbraio). Non so dove andrò. Certo non bisognerà spendere. Avrò in tasca per quel tempo poco più di 150 lire. Se tu vorrai mandarmi qualche cosa io ne avrò bisogno. Pensa che molto probabilmente dovrò cercar di scappare. Non aggiungo altro. Ormai c’è poco più di spiegare della mia vista. Sta bene e speriamo bene.
Tuo affmo
V. Cardarelli
Via Roma, 14 presso Bertoloni
S. Remo
(scrivimi in busta)
[83] Un bifolio, scritte le pp. 1-3; busta indirizzata: «Sottotenente/ Riccardo Bacchelli/ 8° artiglieria da fortezza/ Comando Raggruppamento/ Artiglierie medio e grosso calibro/ IV Corpo d’Armata/ Zona di Guerra»; la data, non indicata dall’autore, è ricavabile dai timbri postali di partenza SAN REMO ARRIVI E PARTENZE 31.1.16.
1 Si tratta della prosa Memorie. Vedi lett. 75-76.

Silvia Morgani, L’epistolario Cardarelli - Bacchelli (1910-1925). L’archivio privato di un’amicizia poetica, Tesi di dottorato, Università degli Studi Roma Tre, 2012

 

giovedì 5 agosto 2021

Io decisi di proseguire per Savona, con due altri di Imperia

Cipressa (IM): uno scorcio di borgata Poggio

Dopo alcuni giorni venimmo a sapere che il solito colonnello Buonincontro aveva chiesto l'invio dell'Autoparco in zona di operazione e allora io decisi di sfruttare la botta presa sul naso durante la ritirata di Russia: marcai visita e venni inviato all'ospedale. La notte del mio arrivo in ospedale lo stesso fu danneggiato durante un bombardamento aereo e il giorno dopo assieme a molti altri militari raggiunsi Asti, dove fui ricoverato in un asilo per poi proseguire per Casale Monferrato all'ospedale  Santo Spirito, dove venni operato e inviato a casa [Cipressa (IM)] in licenza di convalescenza.
L'8 settembre a sera, quando si seppe dell'armistizio, ero in compagnia di una ragazza mia amica, che dovevo accompagnare a casa sulle Langhe. Armistizio o no, l'accompagnai a casa [...]
Il giorno 10 ebbi chiara e netta la sensazione dello sfacelo del regio esercito italiano. I militari del paese, che erano di stanza nelle vicinanze, cominciarono a tornare a casa raccontando le incredibili decisioni dei Comandi. Nessuno aveva il coraggio di interpretare un ordine e di comportarsi conformemente allo stesso.
[...] Decisi di tornare a casa il 10 settembre, alla sera; dopo un breve viaggio in corriera, salii su un treno diretto a Savona, pieno zeppo di giovani vestiti con abiti che volevano sembrare borghesi, ma che, guardandoli meglio, si comprendeva benissimo che non erano stati confezionati per la corporatura di chi li indossava.
 

Ceva (CN) - Fonte: Mapio.net

[...] Avevo incontrato alcuni soldati della provincia di Imperia, i quali pensavano di scendere a Ceva per non essere costretti a transitare per Savona. Colà, infatti, era necessario attendere l'arrivo del Genova-Ventimiglia, rimanendo facile preda dei tedeschi che, a quanto diceva un passeggero di mezza età, vestito decorosamente, dal mattino ormai controllavano già la stazione di Savona in numero consistente. Mi ero deciso a scendere con loro a Ceva per proseguire a piedi per Ormea e, attraverso il Colle di Nava, raggiungere casa mia, così stupidamente lasciata il giorno dell'armistizio. Intervenne nella discussione un passeggero anziano che, con accento savonese, si rivolse al signore distinto che ci aveva appena informati sulla stazione di Savona, dicendogli: «Io sono partito da Savona questa mattina alle sette e, in stazione, non c'era neppure un tedesco: non so voi con quale treno siete partito, certamente non col mio. Il primo treno per Torino, dopo questo, parte quasi alle dieci da Savona e, siccome quando sono entrato in questo scompartimento a Cavallermaggiore, voi eravate già seduto dove sedete adesso, non capisco quanto tempo vi sia rimasto fra un treno e l'altro». E rivolto a noi, ci disse: «Faccio il pedone» (che vuol dire piccolo commerciante dei prodotti dalla campagna alla città e viceversa; allora però quel traffico si chiamava semplicemente «Borsa nera», ma forse il galantuomo si vergognava a dirlo) e dati i tempi che corrono, prima di partire da Cavallermaggiore, ho chiamato il Bar della stazione di Savona per sapere le novità, e mi è stato risposto che tutto era come quando ero partito».
Io decisi, dunque, di proseguire per Savona, con due altri di Imperia; altri invece decisero di scendere a Ceva. Il signore distinto non aprì più bocca. Uscito nel corridoio, feci parte dei miei sospetti ad altri militari: il signore distinto poteva essere una spia. «Lo immobilizziamo e controlliamo i suoi documenti; se è armato è una spia e lo buttiamo giù dal treno, se dai documenti non risulta niente ed è disarmato, gli facciamo tante scuse». Nessuno mi volle aiutare, e da solo pensai che fosse meglio lasciar perdere. Arrivammo a Ceva dove scesero la maggior parte dei militari e anche la presunta spia. Vidi allontanarsi nel buio i viaggiatori, quando echeggiarono i primi ordini tedeschi, seguiti da brevi raffiche di Mascin Pistola. Tra i fischi dei ferrovieri ed un rapido sbattere di porte, il treno si avviò. Ci sedemmo nello scompartimento, dove il vecchio pedone era rimasto immobile e impassibile. Ci disse: «Era una spia, ne sono certo, e ho cercato di farvelo capire». «Lo credo anch'io» gli dissi «ma nessuno ha voluto aiutarmi a perquisirlo; speriamo che nell'oscurità siano riusciti a fuggire».
 

Uno scorcio della zona di Albenga (SV)

Arrivammo a Savona: di tedeschi neanche l'ombra. Attendemmo l'ultimo treno in arrivo da Genova per Albenga: non proseguiva oltre, per cui si doveva aspettare lì il primo treno del mattino per Ventimiglia, oppure proseguire per Albenga, ed attendere colà. Scelsi quest'ultima soluzione. Giunti al nostro capolinea, scorsi alcuni militari tedeschi; non sembrava avessero cattive intenzioni nei nostri confronti, ma decisi lo stesso di uscire dalla stazione, a scanso di eventuali ripensamenti. Ci inoltrammo nel sottopassaggio. L'uscita era però bloccata da sentinelle tedesche; ritornammo indietro, con la speranza di riuscire ad allontanarci dalla parte del fiume. Non c'era niente da fare, c'era adesso una sentinella anche dalla parte della stazione. Mi ero fatto fregare come uno stupido; potevo scendere a Finale o a Pietra Ligure: avevo voluto avvicinarmi a casa il più possibile e adesso ero bloccato in un sottopassaggio ferroviario. Avevo un vantaggio sui miei compagni di sventura: non c'era nessuno che mi incolpasse di aver scelto Albenga anzichè aspettare a Savona, come avevo sentito fare nei vari gruppi che si erano formati. Non riuscivo a capire perchè avessero fermato nel sottopassaggio anche le donne e gli uomini che, per la loro età, non potevano essere certamente dei militari. Decisi di avvicinarmi ai due tedeschi di guardia in cima alla scalinata. Appena gli fui a tiro, mi ordinarono, come a tutti quelli che avevano provato prima di me, di tornare indietro. Risposi loro in quel linguaggio ibrido col quale riuscivano a capirsi i soldati sui vari fronti: che non resistevo più, che mi mancava l'aria, di lasciarmi respirare qualche minuto; mi avvicinai ancora di più. Ero vestito sì diversamente dai soliti soldati, che avevano racimolato un paio di pantaloni e una maglietta o camicia di fortuna; ma la mia risposta al loro ordine ormai mi aveva fatto identificare, senza possibilità di dubbio; e quando gli arrivai davanti, uno di loro mi disse: «Sei un soldato». Lo guardai e vidi che aveva il distintivo che potevano portare solo i combattenti del primo inverno sul fronte russo. Gli dissi: «Io non sono stato fortunato come te, sono tornato dal fronte russo con i polmoni a pezzi; non si decidono a riformarmi, continuano a darmi licenze una dopo l'altra e niente paga. Questa è la riconoscenza per quanto abbiamo fatto a Stalino contro i carri armati russi».
Avevo bluffato: non ero stato a Stalino in quel periodo, quando il generale Messe aveva rifiutato l'aiuto dei carri armati tedeschi, con la frase che avevo sentito ripetere tante volte dai protagonisti sopravvissuti: «Tre dei miei bersaglieri fanno più di un carro armato tedesco». E lo avevano dimostrato. Il tedesco conosceva la frase e quel fatto d'armi. Mi chiese ancora alcuni particolari che conoscevo, per averli sentiti raccontare tante volte, e così conquistai la sua stima e considerazione. Rimasi a parlare con lui in attesa del mio treno, lo invitai a bere al bar della stazione quando aprì; egli accettò di buon grado. Mi raccontò della campagna di Francia e della Russia e mi disse: «Nella tua disgrazia sei fortunato, per te la guerra è finita, ti invidio». Mi parlò della sua famiglia, dei suoi due bambini, mi fece vedere le fotografie, quello che ogni soldato si porta sempre appresso, per averne conforto, e da esse trarre la volontà di continuare quando invece viene voglia di abbandonarsi o di farla finita. Mi confidò che, quando aveva saputo dell'armistizio, firmato dall'Italia, aveva sperato che la guerra per lui, come per tutti i tedeschi che erano nel nostro paese, fosse finita. Erano preparati alla resa e soltanto il nostro assurdo comportamento faceva succedere il contrario. Io non potei fare a meno di parlargli di quei brodacci dei nostri ufficiali superiori, incluso Messe: gli dissi che, per pavoneggiarsi di fronte a loro, costui aveva sacrificato numerose esistenze, per dimostrare quanto eravamo bravi con le molotof, ora, che era il tempo di dimostrare quanto valevamo sulla loro pelle, abbandonavamo la partita (non sapevo di Cefalonia e di qualche altro raro caso). Gli chiesi che sorte sarebbe toccata ai rimasti nel sottopassaggio, mi disse: «Siamo in pochi e, per far rispettare il coprifuoco che abbiamo ordinato, il miglior sistema era quello di bloccare il sottopassaggio con tutti i passeggeri». Il treno per Ventimiglia era in arrivo e lui mi accompagnò al vagone, rimasi a parlare con lui vicino allo sportello di salita. I passeggeri del treno, come tutti i treni in quei giorni, erano quasi tutti dei militari mimetizzati che certamente erano preoccupati per la presenza del tedesco. Arrivarono gli occupanti del sottopassaggio e anch'io salii sul treno, dopo aver salutato calorosamente il mio amico-nemico. Durante la guerra partigiana feci poi dei prigionieri tedeschi, dovetti sparare anche sui soldati tedeschi, ma in quegli istanti mi auguravo, speravo, che fra loro non ci fosse lui, il tedesco al quale avevo raccontato quello che avevo sentito raccontare dai tedeschi per carpire la sua fiducia. Salii sul treno e, poco tempo dopo ero a casa. Era l'11 settembre del 1943.
Giuseppe Garibaldi (Fra Diavolo), Dalla Russia all'Arroscia. Ricordi del tempo di guerra, ed. Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia, 1994

lunedì 2 agosto 2021

A Bordighera oggi commemorazione della strage della stazione di Bologna

 A. N. P. I.  - Via Al Mercato n. 8   B O R D I G H E R A

1° agosto 2021

Domani ricorre il 41° anno della bomba alla stazione di Bologna che il 2 Agosto 1980, alle ore 10.25, provocò la morte di 85 persone e oltre 200 feriti. Una orribile strage che si "carica di una valenza emotiva e simbolica enorme, come anche le stragi di Piazza Fontana, di Gioia Tauro, di Peteano, della Questura di Milano, di Piazza della Loggia, di San Benedetto Val di Sambro. del rapido 904 e di Ustica, ma allo stesso tempo come se le raccogliesse tutte, con tutti i loro meccanismi umani, criminali, politici ed emotivi così scanditi, così fermi o così evidenti" come ha scritto Carlo Lucarelli.
Perché non si dimentichi, domani Lunedì 2 Agosto dalle ore 17 sino alle ore 19 nella sede di Bordighera in Via Al Mercato n.8, l'ANPI rinnova il ricordo dell'avvenimento con chi vorrà intervenire alla visione (su schermo computer) del film di Matteo Pasi "UN SOLO ERRORE. Bologna, 2 Agosto 1980",  Cineteca Bologna.
Nella sede ANPI-UCD è ancora in corso la mostra 'Costituzione Sospesa: un filo nero dal G8 di Genova alle carceri di Santa Maria Capua Vetere' aperta al pubblico sino all'8 Agosto 2021.
L'ingresso libero è ammesso nel rigoroso rispetto delle norme sanitarie vigenti.  

Cari saluti.
Giorgio Loreti

Sezione ANPI - Bordighera (IM), Via al Mercato, 8 [ Tel. +39 348 706 7688 - Email: nemo_nemo@hotmail.com ]