mercoledì 8 luglio 2020

Imperia: un’emigrazione di gente comune in Costa Azzurra tra le due guerre mondiali

Nizza: il torrente Paillon
 
L’esilio antifascista si connota per il suo legame con l’emigrazione di massa in Francia tra le due guerre, assumendone e rielaborandone caratteristiche, percorsi, modalità di installazione. Tale fenomeno ha radici nell’emigrazione politica della fine degli anni Dieci, conseguente alla repressione delle lotte operaie del biennio rosso. La sorveglianza sempre più sistematica degli oppositori da parte del regime fascista alimentò gli espatri oltralpe dai primi anni Venti fino alla Seconda guerra mondiale, seppure con ritmi e fasi differenti. I primi a fuggire dall’Italia furono sindacalisti, militanti di base, piccoli quadri di partito che si erano compromessi nelle battaglie sociali del primo dopoguerra. Questa ondata popolare fu seguita dall’espatrio dei veri e propri leader politici. Dal 1926 infatti, con l’emanazione delle leggi eccezionali, i partiti soppressi dal fascismo ricostituirono all’estero gli organi dirigenti, privilegiando come sede d’esilio la capitale parigina.
Riformando la Direzione generale di pubblica sicurezza, l’apparato di repressione del regime si potenziò ed estese oltre i confini italiani, per sorvegliare l’attività dei fuoriusciti e delle comunità emigrate.
Accanto alle figure di spicco dell’Aventino, che ebbero un ruolo simbolico e reale nell’esilio antifascista, espatriavano masse di persone comuni: gli antifascisti erano coinvolti insieme alle loro famiglie, con dinamiche strettamente connesse all’emigrazione economica.[...]

In tal senso la Liguria si rivela un caso interessante in quanto regione di confine, dove la mobilità transalpina è una tradizione locale. Il contesto ligure-francese consente infatti di mettere a fuoco continuità e simmetrie con l’emigrazione di prossimità, e di valutare l’influenza delle nuove reti politiche nell’incanalarne o deviarne le direttrici.
All’indomani della Grande guerra, la Francia divenne il principale bacino di accoglienza dell’emigrazione italiana, economica e politica. [...]

Il caso imperiese si presenta molto più omogeneo rispetto alle altre province liguri. Si tratta in generale di un’emigrazione protesa verso la confinante Costa Azzurra, nutrita da contadini, giardinieri, piccoli commercianti agricoli, domestiche che si muovevano secondo le dinamiche dell’emigrazione di lavoro. Se si eccettua infatti il caso di un leader di fama nazionale come Giuseppe Amoretti, il fuoriuscitismo imperiese fu un fenomeno largamente popolare e contadino, legato al transnazionalismo locale. Qui non si verificarono veri e propri eventi separatori che segnarono l’inizio dei flussi in Francia. Espatri e rimpatri nel vicino Nizzardo erano stati costanti nelle vicissitudini delle famiglie coinvolte, dove gli elementi più anziani avevano già fatto esperienza di emigrazione oltralpe all’inizio del secolo, rimanendovi anche in modo definitiv. Si muovevano cioè su un territorio a loro familiare, sapevano valutare le opportunità offerte e godevano di conoscenze che agevolavano l’impiego, la socializzazione, l’inserimento e l’uso della lingua.
Furono soprattutto Sanremo, Ventimiglia e l’entroterra a ridosso del confine ad alimentare l’emigrazione antifascista in Francia. Le destinazioni furono spesso di tutta prossimità, Monaco, Mentone, Beausoleil, Nizza, indice della tipica pratica della frontiera. In queste cittadine a vocazione rurale i partiti comunista e socialista avevano destato consensi tra la popolazione, per l’influenza dei poli di Oneglia e Porto Maurizio . Vi fu anche ad Imperia una minoranza di anarchici e socialisti che scelse le rotte americane, solitamente abbandonando il paese prima dell’avvento del fascismo, e che sarebbe perlopiù rimasta definitivamente oltreoceano, realizzando discrete fortune.
Chi si spostava in Francia già nei primi anni del secolo finì in maggioranza con lo stabilizzarvisi con la famiglia. Sono molti i casi di antifascisti imperiesi che chiesero la naturalizzazione divenendo a tutti gli effetti cittadini francesi, seguendo il classico percorso di assimilazione promosso dalla politica francese. In effetti questi migranti crebbero fin da giovinetti in terra francese, apprendendone lingua e costumi, inserendosi nella comunità immigrata imperiese. A differenza degli altri casi regionali, per gli imperiesi il consapevole attivismo politico non fermò il processo di assimilazione: ci si integrò nel movimento sindacale francese, ci si arruolò volontari nell’Armée e nelle brigate internazionali a fianco dei francesi. Erano anche le conseguenze della radicata xenofobia anti-italiana della regione nizzarda che spingevano a francesizzarsi rapidamente. I migranti imperiesi degli anni Trenta tesero invece a rientrare in Italia con l’inizio del conflitto e alcuni di essi parteciparono alla lotta di liberazione. Forse il fatto di aver compiuto la propria formazione civica sotto il regime influì sulle scelte che si presentarono agli esuli con l’avvento della guerra; e ciò tanto più nella zona di confine e di occupazione, dove l’insofferenza per l’italianizzazione forzata di Mentone rendeva la permanenza italiana assai difficile.
Merita ricordare singolarmente il caso di Giuseppe Amoretti per la portata nazionale della sua esperienza. Sanremese, si formò a Torino dove condusse gli studi universitari e si inserì negli ambienti della sinistra comunista. A Milano giunse ai vertici del partito negli anni della clandestinità, collaborando alla direzione accanto a Palmiro Togliatti e Camilla Ravera e poi nel Centro interno. Scoperto e incarcerato, fu liberato nel 1934, quando espatriò clandestinamente a Marsiglia e poi in Unione sovietica lavorando per l’Internazionale.

Emanuela Miniati, Antifascisti liguri in Francia. Caratteristiche e percorsi del fuoriuscitismo regionale, in «Percorsi Storici», 1 (2013)