mercoledì 22 luglio 2020

Il rosmarino, simbolo del ponente ligure

Foto Moreschi
Nel 13° secolo e nelle epoche successive, si era diffusa in tutta l’Europa la fama di uno straordinario liquore composto con il Rosmarino dalla Regina Elisabetta d'Ungheria, una bizzarra settantaduenne, notoriamente gottosa e tormentata dai reumatismi.

La stessa autrice della bevanda, si vantava di aver ricevuto la ricetta direttamente da un angelo, ma per la storia l'ispiratore era un semplice eremita del luogo. 

Grazie ad abbondanti bevute del distillato l'augusta anziana riacquistò un aspetto talmente giovanile che il Re di Polonia se ne innamorò manifestando l’intenzione di sposarla immediatamente.

In seguito al romantico episodio, l’"Acqua della regina d'Ungheria" abbondava talmente nei castelli dell’alto Medioevo, quanto nei fastosi palazzi del Rinascimento, anche per la sua facilità di realizzazione: 2 parti di fiori di Rosmarino distillati con 3 parti di spirito di vino. 

Il Rosmarinus officinalis, del resto, era già molto popolare fra Greci e Romani che lo bruciavano come l’incenso e ne costruivano corone ed ornamenti da portare nelle pubbliche festività o nelle cerimonie religiose dedicate al culto di Afrodite; infatti era una delle piante dedicate esclusivamente alla Dea dell’Amore finché non venne affiancato dal Mirto.

Forse per l'alto patrocinio è sempre stato circondato da un alone fantasioso, creduto in possesso di poteri magici o afrodisiaci ed inserito nei più svariati filtri d'amore: dallo speciale olio aromatico inventato per primi dagli Etruschi, all’"Acqua celeste" di Caterina Sforza, una pozione alla quale si attribuiva, la facoltà di ringiovanire, di aiutare la memoria e, chissà perché, propiziare la fedeltà nuziale...

La formula, piuttosto complicata, è giunta sino ai nostri tempi ed è questa: "Aqua celeste che fa regiovanire la persona, et de morto fa vivo. Pilglia garofani, noce moscata, zenzero, pepe lungo, pepe rotondo, grani di ginepro, scorza di cetrangoli, foglie di salvia, di basilico, di rosmarino, di maggiorana fine et di menta, fior di samnbuco, rose bianche et rosse (e altri 20 ingredienti, compresi fichi secchi uva passa e miele) Che ogni cosa sia ben polverizzata o pezzi metti in aqua vite (anche l’acquavite o grappa è spesso consigliata nelle ricette di Caterina). Metti in una bottiglia ben chiusa et lasciala doi giorni poi metti nel fornello coti alambicco et distilla cinque Volte, con fuoco lento, uscirà un’aqua rarissinma e preziosa".

Nei matrimoni tutti i convitati portavano rametti tra le mani; ma anche negli addii estremi dei funerali il Rosmarino, deposto nella bara, aiutava a serbare un perenne ricordo del defunto secondo antichi rituali egiziani.  Il  Rosmarino) In lingua gaelica: “rbs Mhuire”. Fra le tribù celtiche era il simbolo di fedeltà fra gli innamorati ed era l’addobbo più diffuso in occasione dei  matrimoni. Nel Galles si usa ancora distribuirlo ai funerali fra gli amici presenti, che lo gettano poi sulla bara per rinnovare il legame fraterno.

In molti paesi europei si raccontava che i bambini nascessero da cespugli di Rosmarino; un'ipotesi senza dubbio più profumata e gentile della banale teoria dei cavoli, molto meno macchinosa e pericolosa di quella per via aerea con il concorso delle cicogne. Si metteva anche tra le fasce dei neonati, certi di accendere una polizza contro le malattie; se si stendevano i panni dei malati posti ad asciugare su cespugli di Rosmarino li avrebbero aiutati a guarire in fretta; i cucchiai fabbricati con legno di Rosmarino servivano a rendere più facile la digestione di ogni cibo, "fosse pur esso greve o guasto". Persino una mistura di pane e miele di Rosmarino veniva pubblicizzata come antidoto contro ogni contagio, peste compresa.

A questo proposito è citato in molti libri un episodio accaduto a Tolosa nel 1630, durante una furiosa epidemia, quando alcuni ladri furono sorpresi a saccheggiare le case abbandonate dagli appestati. Poiché si dimostravano in ottima salute furono interrogati sul perché non avessero contratto la malattia; alla fine confessarono di ricorrere abitualmente ad un famoso balsamo immunizzante, distillato in esclusiva dalla malavita e chiamato "Aceto dei quattro ladri" a base di Rosmarino.   

Foto Moreschi
La nostra pianta, quindi, compare nell'uso comune con il duplice, contemporaneo, apporto del delicato aroma e della presunta facoltà di allontanare la malasorte, gli spiriti del male, i fulmini, simboleggiando inoltre la fedeltà coniugale e l'immortalità.  Ancora oggi il Rosmarino è uno dei più diffusi rimedi popolari contro molti disturbi legati al malfunzionamento del  fegato anche i più complicati; si somministra in infuso o tisana, oppure un pizzico di nel primo cucchiaio di minestra.

"Si troverà raramente una pianta che scacci dal corpo , gli umori in una maniera più dolce e più sicura" - scriveva l'Abate Kneipp. "Non so a quante persone l'ho ordinato e ne ho ottenuto sempre buonissimi risultati. Il vino di Rosmarino fa tornare l'appetito e caccia l'acqua dal corpo; di più agisce fortemente sul fegato. La medicina moderna ha cacciato il Rosmarino dalle farmacie; ma i vecchi lo conoscono e lo stimano sempre. Vorrei raccomandarvi questa pianta come le altre e pregarvi di darle un piccolo posto nella vostra casa; almeno raccoglietene un mazzo nella prima fioritura, mettetelo nel vino e conservatelo con cura. Questo vino si conserva a  lungo senza guastarsi. L’estratto si prepara, come quello dell'assenzio e della genziana. Si taglia il rosmarino secco, si mettono i pezzi in una bottiglia che si riempie di alcool e si lascia il tutto riposare. Se l'alcool è buono, l'estratto può conservarsi per anni.  Il Rosmarino espelle dal petto e dal ventre gli elementi superflui che potrebbero svilupparsi e produrre anche  l'epilessia. Quanti tesori in questa pianta!"

Pensando al paesaggio costiero della Liguria riesce veramente difficile concepire la gariga su calcare o gariga a Labiate specificatamente designata con il nome di Rosmarino-erion, senza la presenza e l’odore vivificante di quell'umile ed elegante arbusto che a ragione può simboleggiare il nostro territorio.

In special modo l’estremo lembo occidentale dove letteralmente ricopre le pendici delle montagne affacciate sul mare: quel Rosmarino che i poeti ed i romanzieri hanno cantato attraverso i secoli e che gli insetti prediligono come nessun'altra pianta. 

Dai nostri litorali mediterranei, il Rosmarinus officinalis passò nei giardini e nelle giare dei conventi del tardo Medio Evo, in quegli hortuli nei quali si coltivavano immancabilmente le 16 piante officinali. Un lotto di vegetali che ha costituito la dotazione terapeutica dell'Occidente negli anni fra il 1000 ed il 1600: 16 essenze fra le quali primeggiavano l'Assenzio, il Crescione, il Finocchio, la Malva, il Fieno greco, il Giglio, il Ligustico, la Lunaria selvatica, il Melone, la Menta dalle foglie rotonde, il Puleggio, la Ruta, la Salvia, il Tanaceto e la Santoreggia, tutte erbe partecipanti alla nostra flora spontanea. 

Gli esperti erboristi individuarono nel Rosmarinus officinalis molteplici proprietà terapeutiche, grazie soprattutto alle esperienze condotte dai medici arabi, i quali lo utilizzarono frequentemente, ben coscienti, però, che ad alte dosi può provocare spasmi, vertigini ed altri inconvenienti. Ancora alla fine dell’800 i suoi impieghi terapeutici potevano così essere condensati: “Il Rosmarino è carico di un olio essenziale aromatico acre e canforato; è un eccellente rimedio stimolante nelle malattie dei nervi, nell'isterismo e nell’amenorrea. La decozione è valida nei tumori scrofolosi e l’infuso vinoso nelle diarree croniche. L’erba cotta nel vino, applicata in forma di fomento, resiste alla cancrena e si pratica nel prolasso del retto e della vagina. Un olio volatile può surrogarsi alla canfora e si usa nella paralisi della lingua”.

Siamo di fronte ad un’imponente serie di applicazioni mediche basata sull’apporto del Rosmarinus officinalis, preziose in epoche ancora prive di moderne ed efficaci terapie; portentose, se egiziani, greci, romani, arabi ed europei non hanno mai rinunciato a servirsene tanto che in tutti i vecchi libri, in tutte le ricette del passato, quando si parla sempre dell'antbos, ossia del fiore per eccellenza, si allude al Rosmarino.

Nei testi universitari del Cinquecento si raccomandava all’allievo medico:”Prendi fiori di Rosmarino, legali in un panno venti minuti a macero; colane l’infuso; e farlo bere, a sorsate, durante la giornata, nella quasi certezza che la tisana mette in fuga i gas eccessivi e fa si che lo stomaco si rimetta a lavorare in pieno”.

Prosegue tuttora incontrastato il successo del Rosmarino nella cucina, dove assieme alla Salvia, al Timo, all'Alloro, fornisce da molti secoli il più tipico degli aromi a piatti di carne, pesce e selvaggina.

Risulta decisamente arduo elencare tutte le ricette che ne prevedono l’uso: le sue foglie triturate servono per profumare i prosciutti cotti e gli insaccati, mescolate assieme al riso nei barattoli lo preparano per cucinare risotti dal gusto inconfondibile, sminuzzandolo finemente e pestandolo assieme al sale, costituisce un ottimo, insaporente per insalate crude; permette di produrre  focacce e pani aromatici straordinari.

Questa notazione può apparire persino superflua, tanto diffuso, e conosciuto è lo, sfruttamento culinario di questo arbusto che ha trovato ampia rispondenza nei dialetti locali della Liguria. Sono infatti tutti battesimi chiaramente derivati dal termine latino rosmarinus, una denominazione nata con l’intento di descrivere la delicata tinta bluastra dei fiori, paragonandola all’increspatura delle onde marine: "ros" (rugiada), "marinus" (del mare)...

di Alfredo Moreschi