martedì 31 gennaio 2023

Incontri presso la Mediateca della Pigna a Sanremo (IM)


Il primo incontro, di sabato 4 febbraio 2023 alle ore 16.30, reca il titolo "Per Gastone: omaggio al Dottor Lombardi tra i cantautori e la Sanremo Liberty", con la partecipazione di Marco Innocenti, Freddy Colt e Filippo Ranalli

Presso la Mediateca della Pigna, Palazzo del Capitolo, Piazza Capitolo, 12, La Pigna, Sanremo

sabato 28 gennaio 2023

Vedevo spesso Calvino da Rabino

Sanremo (IM): Piazza Eroi Sanremesi, accesso di levante a Via Corradi

[...] Non mi pare di aver piú rivisto Calvino (tranne forse accanto a Gino [Luigi Napolitano] nei pressi del cimitero di Bajardo la domenica che scappai dalla mamma per raggiungere i partigiani) sin quando, dopo la Liberazione, cominciai a frequentare la sede del PCI, allora in Corso Matteotti [7], dove adesso c’è il fotografo Moreschi (figlio). I comunisti, fra di loro, si davano tutti del tu, e io cominciai a darlo non solo ai fratelli Calvino, a Mario Baggioli, a Ivar Oddone, ma anche a Buttafava e a Lantrua, molto piú anziani. Vedevo spesso Calvino da Rabino (in Via Corradi) dove ci recavamo a comprare libri d’occasione (io quasi tutti i giorni, lui, in genere, solo il sabato, perché abitava ormai a Torino e veniva a trovare i genitori in fin di settimana). La madre la conoscevo poco, il padre, invece, era molto comunicativo. Lo incrociavo qualche volta a Pian del Re, da dove passava per andare, chissà dove, in cerca di funghi o a caccia di tordi e pernici. Mi faceva sempre un mucchio di domande e si lamentava immancabilmente dei figli "dormiglioni" che non si alzavano mai abbastanza presto per accompagnarlo nelle sue spedizioni. Io venivo da Berzi e andavo a piedi a San Romolo [8] a prendere la funivia per San Remo e la mamma mi buttava giú dal letto alle cinque, affinché potessi partire alle sei e arrivare in tempo per la corsa delle otto. A Mario Calvino qualche volta consegnavo dei giornali anarchici che gli mandava Renato Guglielmi, ma questo avveniva a Villa Meridiana.
Dopo un breve "tirocinio", mi iscrissi alla cellula giovanile del PCI, anche se frequentavo già il gruppo anarchico. La strategia di Renato Guglielmi era quella della "penetrazione" nei partiti, per sapere quello che vi si tramava e anche per fare propaganda libertaria. Libereso Guglielmi assisteva alle riunioni della cellula di Baragallo e io quella del Centro. Secondo i bollini incollati sulla tessera da me custodita, la mia adesione ufficiale data dal settembre 1945, forse perché bisognava aver compiuto i 15 anni prima di essere ammesso. A quell’epoca era stata inaugurata la Scuola di Partito e le lezioni erano impartite da Mario Baggioli e Italo Calvino. Ponderosi ciclostilati [9] venivano distribuiti agli iscritti (io ero il piú giovane di tutti) e il libro di testo era la Storia del Partito Comunista (Bolscevico) dell’URSS. Si trattava di un vero "mattone" che, oltretutto, era una velenosa falsificazione storica. Avevo altre fonti disponibili, sugli stessi specifici avvenimenti, e non potevo perciò accettare la versione ufficiale che considerava i partigiani ucraini di Makhno come "anarcobanditi". La storiografia moderna ha ormai corretto gli errori politici commessi in Ucraina e a Kronstadt, ma a quei tempi, per rispettare la linea ufficiale del Partito, certi tasti non si potevano toccare. Contraddire due persone che stimavo e, inoltre, ben piú esperienti, colte e anziane di me, mi richiese uno sforzo enorme, ma ritenni che fosse ormai diventato per me un imperativo categorico quello di non lasciar passare sotto silenzio quelle affermazioni (e "deformazioni") astiose e ingiustificabili. Interrompere e contraddire Calvino, di fronte ad un pubblico ridotto ma assorto e convinto che il suo dire fosse vangelo, non fu opera da poco. Eppure accadde e, miracolosamente, quasi la metà della sala appoggiò me. La rottura era ormai segnata e la diserzione fu massiva. Mi pare fossimo in undici, quella sera, a lasciare la cellula, e mi si accusò di disgregazione [10]. La maggior parte dei miei sostenitori aderirono con me al gruppo "Alba dei Liberi" della Federazione Anarchica. Era il trionfo che Renato Guglielmi ci aveva aiutato a conquistare, con saggi consigli e letture ben scelte. Floriano Calvino, presente, l’indomani mi venne incontro ridendo, eravamo in via Marsaglia, e mi disse "Ti sei fatto suonare da mio fratello, ieri sera" e, dopo una breve pausa, soggiunse "ma avevi ragione".
[...] Dopo un breve periodo di tensione, i miei rapporti col PC si ammorbidirono, perché rimanevano molti terreni d’intesa e di collaborazione. Mario Baggioli formulò per me uno scherzoso insulto: quando passavo di fronte al suo negozio e lui era appoggiato (spesso assieme ai suoi fratelli) alla vetrina o al muro esterno, mi salutava "Ciao nullista!". La risposta che avevo escogitato e che divenne proverbiale, era "ciao, camaleonte!". Solo noi sapevamo quel che c’era dietro, gli altri astanti ammiccavano…
Poco dopo Calvino, che mi aveva tolto il saluto per qualche tempo, prese a trattarmi di "ciao, nullista!" anche lui e capii che c’era lo zampino di Mario. I comunisti non potevano ignorarci perché, anche grazie all’afflusso di militanti o simpatizzanti provenienti dalle loro file, la Federazione Anarchica Sanremese indiceva ogni tanto dei comizi che attiravano migliaia di ascoltatori. La nostra bacheca era stata danneggiata piú volte e la destra aveva addirittura fondato un "Centro studentesco antianarchico".
Italo Calvino era ghiotto delle caricature di Libereso (ne conservo tuttora alcune) di spunto antimilitarista, anticlericale e anticapitalista, che io andavo sovente a ritirare il sabato mattina a Villa Meridiana per affiggerle nella bacheca di Via Cavour, prima, spostata poi sotto il portico del Palazzo Comunale. Improvvisamente sbucava da dietro le aiuole, mentre noi eravamo nella serra, e diceva "Sempre complottando?". Si faceva delle gran risate. Quel che però non potevamo immaginare era che lui stesse scrivendo il bellissimo racconto ispiratogli dal giardiniere di suo padre, "Uno pomeriggio, Adamo" che descrive alcuni dei disegni di Libereso, tuttora in mio possesso.
Il sabato pomeriggio, quasi immancabilmente, incontravo Italo da Rabino. Un giorno mi consigliò di comperare 'L’agente segreto' di Joseph Conrad e borbottò "quando l’avrai letto capirai perché". Era un romanzo con personaggi anarchici (o pseudo tali) ma Calvino non mi confidò affatto di stare scrivendo una tesi di laurea su quello scrittore.
Venne il Premio Viareggio, la fama, nuovi libri, ormai Calvino era diventato una personalità di spicco. A San Remo lo si vedeva sempre meno. Poi fui io a partire… per il reclusorio militare di Gaeta. Il mio rifiuto di servizio militare venne presto imitato da Angelo Nurra (il quale, oltre ad essere un grand’amico, era stato uno degli elementi di primo piano che aveva rassegnato le dimissioni dal PC, assieme a me, nel gennaio del 1946). Mentre era imprigionato a Torino, in attesa del processo per obiezione di coscienza, Italo andava a trovarlo, e gli portava caramelle e libri. Aveva imparato a conoscerlo meglio perché Angelo stava sostituendo Libereso come giardiniere a Villa Meridiana, e il Prof. Mario Calvino lo aveva preso a benvolere. Il padre di Calvino non visse abbastanza a lungo per cogliere i frutti dell'insegnamento a lui prodigato, ma Angelo diventò esperto nel campo della floricoltura e cominciò a collaborare ai giornali specializzati lasciando una gran dovizie di articoli.
Nurra scontò la sua pena a Peschiera, mentre io ero a Gaeta. Vi ricevetti alcuni pacchi dono dell’Einaudi ma, il mittente non essendo personalizzato, non seppi mai se ci fosse stato un intervento di Calvino o se i libri provenissero da altre fonti (a Torino risiedevano allora sia il mio avvocato Bruno Segre, sia il futuro scrittore Guido Ceronetti, allora segretario della sezione italiana dell’Internazionale dei Resistenti alla Guerra). In una lettera dell’epoca, Renato Guglielmi mi scriveva che Baggioli gli aveva riferito che i giovani del PCI erano solidali con me e stavano facendo una sottoscrizione per le spese processuali. Per una serie di circostanze non rividi mai Italo dopo gli anni di Sanremo e i nostri contatti avvennero sempre tramite tre intermediari: sua madre, Angelo Nurra, Gino Napolitano [...]
[NOTE]
[7] Oggi Corso Matteotti, dopo essere stata ribattezzata Corso Ettore Muti, ma i sanremaschi della mia età continuano a chiamarla via Vittorio (anche se nessuno ricorda se fosse Vittorio Emanuele I, II o III.
[8] A Bajardo c’era la corriera, ma io la pativo. La funivia era il peggior male (perché soffrivo anche di vertigini). Parecchie volte tiravo dritto a piedi sino a Sanremo, via San Giacomo e Madonna della Costa.
[9] Alcuni se ne ricordano (copertina nera?) ma nessuno ha mai saputo dirmi dove trovarne copia. Tutto il materiale della nostra cellula dovrebbe trovarsi negli archivi provinciali, ceduti all’IsTituto Storico della Resistenza e dell’Età Contemporanea. Il Prof. Francesco Biga all’epoca della ricerca non era riuscito a trovarne uno, ma si riprometteva di insistere.
[10] Negli archivi del PCI di Sanremo sussistono molti documenti confidenziali sulle "mene" anarchiche in seno al Partito. Ne ho trovate alcune che si riferiscono a "Romeo", ossia Archimede Gioffredi, a "Pier delle Vigne", cioè Piero Sughi, e ad altri ancora, ma non ho rinvenuto nessun carteggio che alludesse alla cellula giovanile e al mio caso.
Pietro Ferrua, Incontri e scontri con Italo Calvino, Ra.forum, 25 aprile 2012

mercoledì 25 gennaio 2023

Giunto che sia in vicinanza del paese di Bordighera crede d’essere d’improvviso capitato in un paese della Palestina o della Tunisia

Bordighera (IM): Parco Winter

Si può interpretare la trasformazione della Riviera e dei laghi insubrici (forse anche di altre località come la costiera amalfitana o palermitana) tra Ottocento e Novecento come guidata da una più o meno consapevole immagine di cosmopolitismo - questi luoghi divennero infatti mete privilegiate di un’élite internazionale, che costruì ville e giardini che rispecchiavano i viaggi, le acquisizioni, l’apertura dei commerci e la varietà di riferimenti culturali; il paesaggio delle ville trasformò profondamente l’impronta vegetale dei luoghi. La presenza di questa élite indusse man mano alla crescita di stabilimenti e attrezzature di gusto eclettico (ad es. terme, casinò, eccetera), e ad un arredo urbano effervescente, che utilizzava la varietà e la novità, insomma l’esotismo, come attrattiva.
La trasformazione è perdurata per tutto il XX secolo; inutile dire che queste località hanno attratto il turismo di massa, le cui espressioni architettoniche e vegetali hanno imitato e perpetuato il riferimento eclettico. Il paesaggio delle seconde case, traboccante di esotismi, è in fondo una costruzione collettiva guidata da desiderio di trovare un’oasi lussureggiante.
Può essere interessante leggere i commenti dei contemporanei che colsero l’inizio di questo processo. Ad esempio Eduard André, nel suo 'Traité Général de la Composition des Parcs et Jardins' del 1879, dedica un paragrafo a “Les plantations dans le Midi”, citando ville celebri e parchi botanici, in cui trovano luogo piante di tutte le latitudini: “Sur l’étroit littoral qui s’etend d’Hyerès à Menton, en passant par Cannes, Antibes, Nice, Monaco, Bordighera, où la végétation subtropicale donne l’idée d’un primtemps perpétuel. C’est la region de l’oranger” (Ivi: 647). Più avanti cita alcuni giardini, ad es. villa Pallavicini a Pegli e la villa di Charles Garnier a Bordighera. Qui “Les arbres qui impriment à Bordighera et à San Remo un caractère oriental, les oliviers et les palmiers-dattiers, sont représentés par de forts exemplaires, et le tout est extremêle d’opuntias, de figuiers et d’agaves qui complètent l’aspect méridional de cette plantation.” (Ivi: 801).
[...] Le palme sono sicuramente l’elemento principe nella ricerca di una connotazione esotica e calda. Le coste settentrionali del Mediterraneo conoscevano la palma nana (Chamaerops humilis), indigena, e la palma da dattero (Phoenix dactilifera) introdotta dai Romani, ma presente in poche località. André coglie il momento in cui nasce la moda delle palme esotiche e si cerca di allargare la scelta: “Les palmiers, dans la région du Midi, fourniraient quelques espèces capable de former des plantations d’allignement. Le dattier (Phoenix dactylifera) est déjà représenté à Nice, et sourtout a Hyères, par de beaux exemplaires adultes. On en a planté plusieurs boulevards, qui seront d’une rare beauté avant peu d’années. Les chamérops de Chine (Chamaerops Fortunei), le corypha d’Australie (Corypha australis) et peut-être d’autres espèces prosperaient également" (Ivi: 630).
Per la verità l’introduzione delle palme nell’arredo cittadino suscitò anche perplessità, ed esse furono paragonate a “plumeau à poussière”, ma alla fine vinsero, e divennero l’emblema della Costa Azzurra (Stefulesco 1993: 59)
A Bordighera Ludwig Winter, già realizzatore del giardino Hanbury a Ventimiglia, impiantò nel 1875 un vivaio specializzato in palme che, grazie alla nuova ferrovia del Sempione, esportava in tutta Europa, presentandosi in tutte le esposizioni internazianali con i suoi cataloghi multilingue (Viacava 1996). In realtà egli scelse una località che aveva una tradizione nella coltivazione della palma: qui infatti Phoenix dactilifera era coltivata per le foglie, usate a sia nella Pasqua ebraica che in quella cristiana - la città aveva il privilegio perpetuo di inviarle a Roma per le festività. “(...) in ragione appunto di questa speciale coltura in una parte del nostro circondario, la costituzione della repubblica ligure del 2 dicembre 1797, nella intitolazione delle diciannove giurisdizioni in che si divideva il territorio, denominò quella di San Remo suo capoluogo ‘Giurisdizione delle Palme’” <10, secondo uno studioso ligure di temi agronomici, Antonio Zirio.
La presenza delle palme diventa fattore di orgoglio e identità dei luoghi - un’identità che si basa proprio su elementi di esoticità -, come testimoniato dalle parole dello studioso, che scrive nel 1870:
“Il viaggiatore, che per la prima volta percorre la strada nazionale della nostra riviera da Genova a Nizza, giunto che sia in vicinanza del paese di Bordighera crede d’essere d’improvviso capitato in un paese della Palestina o della Tunisia: tanta ivi si presenta al suo sguardo moltitudine di giganteschi alberi di palma, dei quali è coperso quell’ameno e ferace territorio”.
Tra la costituzione della “Giurisdizione delle Palme” e i tempi in cui scrive Zirio è scoppiata la moda delle palme esotiche, puramente decorative, dando origine quasi ad una gara tra località che dimostravano al turismo nascente la mitezza del proprio clima. Già André presenta anche immagini del lungomare di Nizza, che fu presto imitato da Bordighera, Sanremo e via via dagli altri centri che si attrezzarono per sottrarre al mare e ai pescatori una fascia di terra da adibire al passeggio pubblico.
[...] L’Italia conosceva principalmente la palma nana (autoctona, anche se non su tutte le coste) e la palma da dattero, introdotta già in epoca romana per i frutti, e presente nella Riviera francese e di ponente. In Liguria essa non aveva utilizzo alimentare, ma esisteva un commercio di foglie per le festività religiose: a Bordighera si fabbricavano i “palmorelli” per la Pasqua ebraica e la stessa città aveva il privilegio perpetuo di rifornire il Papato per la festività delle Palme; pare che per questo motivo nel 1797 la giurisdizione di San Remo venisse chiamata “Giurisdizione delle Palme” (Viacava 1996). Verso la fine dell’Ottocento, quando nasce la Riviera come attrazione, la presenza delle palme diventa fattore di orgoglio e identità dei luoghi - un’identità che si basa proprio su elementi di esoticità.
La denominazione di “Riviera delle Palme” è ora sfruttata dall’Azienda di Promozione Turistica. Nel 1999, in occasione di un convegno su Patrimoines du tourisme et du voyage organizzato dal Consiglio d’Europa, è nato un progetto di collaborazione tra località costiere mediterranee il cui ambiente è stato fortemente trasformato dal turismo e la ui immagine è particolarmente legata alla flora <40: il Servizio Beni Ambientali del Comune di Sanremo (già nota come “Città dei Fiori” - non certo per i fiori spontanei -) è tra i più attivi promotori, e non sarà un caso che la sua home-page si apra, anziché su di un’immagine di macchia mediterranea, su di un’immagine di palme, con il motto “palme, giardini, cultura e altro ancora...” <41. Insomma, si può dire che le palme sono parte dell’immagine dei luoghi non solo per i turisti, ma anche per la comunità locale.
[NOTE]
10 Zirio A., 1870, in La Liguria Agricola, Sanremo; cit. in Viacava 1996: 92.
40 Il progetto è denominato Progetto Plinio; cfr. Gatti 2000.
41 www.sanremonet.com/sanremo/beniambientali/index.htm, visitato 14.02.2002. Il Servizio Beni Ambientali del Comune di Sanremo organizza dal 1999 i Dies palmarum. Biennale europea delle palme (II ed. “Palme! patrimonio del paesaggio mediterraneo” 6-7 dicembre 2001).
Claudia Cassatella, La presenza esotica nel paesaggio. Vegetazione autoctona ed esotica come scelta progettuale, Università degli Studi di Firenze, Tesi di Dottorato, 2003

giovedì 19 gennaio 2023

Biamonti aveva vissuto personalmente, benché fosse ancora un bambino, l'esodo ebraico

San Biagio della Cima (IM): una vista sulla Val Nervia

[...] Botanica come forma di democrazia ideale. Frontiere fisiche e frontiere mentali, lingue che dividono e dialetti che uniscono, inglesi e russi, una storia piena di storie individuali, ebrei erranti, anche un certo Primo Levi che passa di qua. Tutto questo ce lo racconta Enzo Barnabà.
Enzo Barnabà, il siciliano di Grimaldi
Vive sul sentiero del “Passo della Morte”, il sentiero che da un centinaio di anni è meta di fuoriusciti in cerca di fortuna, di disperati, di sognatori di vita nova dopo tanta vita grama. Enzo Barnabà è uno storico, un letterato, un cittadino del mondo, un “citizen” impegnato e serio, ma anche un ragazzo della costa un po’ selvatico, che puoi trovare in inverno a fare il bagno in mare all’ora di pranzo. Così tra ricordi e storie, tra personaggi da “belle époque” e scrittori di successo, tra passi della morte e sentieri di speranza, Enzo ci svela una zona di frontiera che è un fazzoletto di rocce e terra intriso di inferno e di paradiso. Da centellinare. [...] Gli ebrei e il Passo della Morte, durante la guerra
“Una delle mussoliniane leggi razziali imponeva che gli ebrei stranieri lasciassero il territorio italiano entro il marzo del 1939. A Ventimiglia ce n’erano tanti: avevano lasciato i paesi che cadevano in mano ad Hitler nella speranza di salvarsi in Francia. Le analogie con la situazione odierna sono evidenti. Ricorso alla carità altrui, notti passate per strada, ostilità italiana, respingimenti francesi, ricorso ai “passeur”, morti e suicidi. Anche gli itinerari dei passaggi clandestini erano simili. La cartina che Robert Baruch disegnò e spedì alla propria comunità meranese, dopo essere arrivato a Nizza, potrebbe essere distribuita ai migranti d’oggi. Andrebbe solo tradotta ed attualizzata la toponomastica”.
[...] Uomo e poeta di frontiera su tutti è Francesco Biamonti
Francesco ha saputo raccontare più d’ogni altro questa frontiera, pensiamo a “Vento largo” (Einaudi Editore). Quasi assillato dal mito del “doppio”, era sollecitato a conoscere in profondità la Francia limitrofa. Memorabile, l’articolo scritto - in occasione dell’accordo di Schengen - osservando l’alba che illumina le rocce che delimitano il Passo della Morte: le frontiere si eclissano per noi, non per il “popolo della notte” che si sposta verso il confine, “quello verticale a picco sul mare”. I suoi “passeur” sono tuttavia dei personaggi letterari, lontani dai reali, che erano contadini che arrotondavano le entrate con piccoli traffici. Ventimiglia, quando il fascismo aveva trasformato le caratteristiche della frontiera (da respingimento a contenimento) rendendola difficilmente penetrabile, viveva largamente di questi traffici incentrati sul passaggio di merce, uomini e valute”. [...]
Eraldo Mussa, Storie di frontiera: Enzo Barnabà siciliano di Grimaldi, L'Incontro, 12 gennaio 2013 

E non è solo questa la sola anomalia presentata dall'affare degli ebrei stranieri. Basti rilevare che, per la prima ed unica volta, una professione illegale, quella del "passeur" fu, de facto, resa legale, per il tramite di uno specifico provvedimento, insolitamente diramato a mezzo telegramma, che si segnalava per brevità e vaghezza; conteneva infatti un unico articolo che recitava: «Facilitare al massimo l'esodo degli ebrei stranieri». Il provvedimento non aveva e non poteva evidentemente avere alcun fondamento giuridico ma si segnalava per la sua ambiguità e cercava una qualche forma di legittimazione sul campo nella riproposizione di un vecchio ma sempre efficace principio: il fine giustifica i mezzi.
Abbiamo visto come, all'arrivo di migranti sempre più numerosi e venuti da lontano, abbia corrisposto l'affermazione sulla scena della frontiera di organizzazioni prive di ogni scrupolo che agivano su vasta scala.
Saranno queste ad operare una concorrenza così spietata da provocare l'estinzione quasi completa della figura del "passeur" tradizionale: l'uomo legato alla sua terra, prudente, solitario, affidabile, profondo conoscitore ogni passo di frontiera. Una figura assai somigliante a quella di "Varì", il passeur del dopoguerra protagonista del romanzo di Francesco Biamonti "Vento Largo". "Varì" faceva il "passeur" da tempo, si muoveva con disinvoltura sui sentieri anche di notte, perché era abituato a camminare sulle scomode "fasce" della sua terra. Considerava il suo un mestiere nobile, di traghettatore di anime disperate che avrebbero, forse, trovato al di là della frontiera un barlume di speranza o anche soltanto un sorriso.
Amava portare gente in Francia, perché ricordava che intere generazioni di persone della sua terra erano andate "di là" a cercare fortuna.
E chi meglio di lui, che quella pericolosa concorrenza stava riviveendo, poteva raccontare i brutti risvolti di una convivenza sempre più difficile: «Continuava in fondo per la vecchia strada, cercando solo di evitare i tratti battuti da troppi avanzi di galera. Troppi passeur nuovi per le antiche vie del sale e dei pastori, gente senza pietà, gente crudele».<71
I romanzi di Biamonti hanno sempre una precisa collocazione geografica: il confine tra Italia e Francia, al confine tra terra e mare, tra monti aspri e piana mediterranea, sospeso tra mondo contadino e cultura cittadina, un modo, probabilmente, per ribadire la fedeltà alla sua terra <72. In "Vento largo" è il confine, l'invisibile ma concreta linea attraverso la quale i "passeur" di diverse etnie conducono clandestini di ogni provenienza ad essere protagonista assieme a "Varì".
Ma i passeur in camicia nera avrebbero trovato raramente negli ebrei le caratteristiche che presentavano alcuni suoi clienti:
"Giacche bisunte, caviglie nude, avevano l'aria di accalappiacani. Erano scalcagnati e si muovevano con destrezza, forse venivano dalle montagne dell'Atlante. Età in scala. Il più vecchio, sui sessanta, biascicava un po' di francese. Camminavano leggeri e scrutavano il sentiero nel quarto di luna. Interpretavano il suono dell'aria tra i rami. Si parlavano con un sussurro che si perdeva nel vento [...] Poi arrivarono dei turchi, dignitosi, tristi, come stoici antichi. All'incontro e al commiato, ringraziamenti e strette di mano, leggeri inchini." < 73
71 F. Biamonti, Vento largo, cit., p. 9
72 Su questi aspetti, e più in generale, sul rapporto tra lo scrittore e questi temi si veda G. Bertone, Confine o frontiera? La Liguria di Francesco Biamonti in Quaderns d’Italià, 2002, pp. 91-110
73 F. Biamonti, Vento largo, cit., p. 9

Paolo Veziano, Ombre al confine. L’espatrio clandestino degli Ebrei dalla Riviera dei Fiori alla Costa Azzurra 1938-1940, ed. Fusta, 2014, pp. 56,57

I romanzi biamontiani, che sono ambientati negli anni contemporanei o appena precedenti alla loro effettiva stesura, coprono un arco temporale di circa tre decenni, dagli anni Settanta agli anni Novanta. Ciononostante, attraverso le esperienze e la memoria dei personaggi Biamonti recupera anche la storia precedente dei movimenti clandestini, almeno a partire dagli anni Venti. Anzi, gli attraversamenti a cui i protagonisti dei libri assistono rievocano di continuo nella loro mente le vicende del passato.
È lo stesso Biamonti ad aver spiegato in un articolo del 1998 che i sentieri di confine erano per lui la via per entrare in «una marea di ricordi»: "Ripenso a quei sentieri tra le rocce, al passo della Morte, del Cornaio, del Cardellino, al passo dei Sette Cammini, ai ginepri, ai lentischi, agli spini, ai flussi di umanità che li hanno affrontati, varia secondo i tempi: socialisti liguri, anarchici di Carrara, antifascisti sulla via dell’esilio e poi gli ebrei nel trentanove e quaranta, e nel dopoguerra gli slavi che volevano raggiungere la Francia. Ricordo uomini svelti e donne flessuose, con scarpe che si dovevano togliere per superare gradini di pietra e canaloni incisi nel rocciume color cenere. Si passava in genere nelle notti di luna. Oggi, di Europei, per la montagna, non ne passano più. Per gli altri tutto continua come prima. Devono nascondersi, almeno per i primi chilometri adiacenti a quello che già fu un confine. Curdi, arabi e negri non si fidano. Percorrono le loro stesse vie i corrieri dell’eroina, un uomo armato in testa e un altro alle spalle. [...] Per me si entra in una marea di ricordi". <479
Innanzitutto, vale la pena notare che la storia clandestina del confine si incarna agli occhi di Biamonti in luoghi specifici, emblematici del passaggio e spesso della morte, i quali non sono altro che i passi di montagna attraverso cui i passeurs hanno sempre condotto i fuggiaschi e i migranti in Francia.
[...] Patrizia Audenino e Antonio Bachelloni scrivono che, soprattutto verso la Francia, «si svolse il flusso dei primi “esuli” antifascisti, in maggioranza comunisti, ma anche anarchici e socialisti, strettamente legati all’universo operaio». <485
Biamonti cita poi, procedendo cronologicamente, l’esilio degli «ebrei nel trentanove e quaranta». La fuga di queste persone, dettata dalle persecuzioni razziali, è ricordata anche nei romanzi, in particolare in PN [Francesco Biamonti, Le parole la notte]: «Cose di cui era meglio non parlare, cose che aveva stentato a credere: ebrei in fuga, derubati e buttati in mare da un barcaiolo nel '38 o nel '39, pastori sgozzati nei casolari da gente che transitava» (PN, 74).
Dimostrando di conoscere realmente la vicenda storica, qui lo scrittore fa riferimento al passaggio clandestino via mare, che in effetti caratterizzò in un primo momento la fuga degli ebrei. Sulla questione non si può che rimandare allo studio specifico "Ombre al confine" dello storico locale Paolo Veziano, che porta in esergo la citazione biamontiana e in cui si descrive nel dettaglio il fenomeno delle «agenzie di navigazione clandestina»:
"All’inizio di luglio [del 1939] le agenzie di navigazione clandestina si stavano avviando verso un elevato standard di efficienza, come testimonia il buon numero di trasporti organizzati, ma i pescatori si trovavano a fare i conti con il notevole potenziamento dell’apparato di sorveglianza francese". <486
Biamonti aveva vissuto personalmente, benché fosse ancora un bambino, l'esodo ebraico. Leggendo con attenzione le interviste dei primi anni Novanta si trova un ricordo personale molto importante, che trasforma il giovane Biamonti in un piccolo passeur:
"Quella mattina d’agosto Biamonti accompagnava il nonno che andava ad aspergere il solfato nel vigneto, su un’altura da cui si scorge il mare, distante cinque-sei chilometri dalla Francia. «Avvicinandoci abbiamo sentito dei brusii, e vedevamo levarsi, fra il bosco e la vigna, un filo di fumo. Lui ha detto: “Andiamo cauti, perché c’è qualcuno: forse dei ladri”. Invece, arrivati là, intorno a un fuoco quasi spento perché d’agosto le notti son fresche su quel colle, abbiamo trovato, accoccolate, una decina di persone: erano due famiglie ebraiche che, con molta educazione, hanno chiesto scusa di trovarsi in un podere altrui e se lì era il confine perché su quei sentieri impervi di notte non si avventuravano, avevano paura». Il confine era l’altro crinale, non quello che intendevano. «Allora mio nonno m’ha detto: “Accompagnali, fino a che non possano sbagliarsi”. Io li ho accompagnati. E dopo, prima di andar via, m’hanno baciato. La cosa mi ha molto commosso. Saremmo stati nel Trentotto-Trentanove, poco prima che scoppiasse la guerra con la Francia: avevo otto-nove anni. [...] Quella gente rannicchiata intorno a un falò che non bruciava quasi più [...] gli è rimasta sempre impressa. «E m’ha fatto prendere una simpatia enorme per tutti coloro che sono erratici nel mondo. Per questo ho scritto 'Vento largo' sul passaggio dei clandestini». <487
Dopo la cesura segnata dalla Seconda Guerra Mondiale, riprendono i movimenti clandestini verso la Francia, che non sono tanto quelli degli italiani che migrano, in maniera ormai per lo più definitiva per cercare lavoro, ma piuttosto quelli dei sovversivi politici e di coloro che provengono dall’Europa comunista.
[NOTE]
479 Bia. scr. (1998d: 130).
485 P. Audenino e A. Bachelloni, L’esilio politico fra Otto e Novecento, P. Corti e M. Sanfilippo (a curda di), Migrazioni, vol. 24 di Storia d’Italia, Einaudi, Torino 2009, p. 353: «Così, in Europa, l’emigrazione italiana, in quanto distinta dall’esilio politico, veniva accolta su scala significativa solo da Svizzera, in minor misura Belgio, e Francia. Fu dunque verso questi tre paesi, soprattutto l’ultimo, che si volse il flusso dei primi “esuli” antifascisti, in maggioranza comunisti, ma anche anarchici e socialisti, strettamente legati all’universo operaio. Questo intreccio, variamente declinato, di traiettorie migratorie e traiettorie dell’esilio, non è, come abbiamo visto, inedito, ma è particolarmente marcato, se non altro quantitativamente nel caso dell’esilio verso la Francia. Si calcola infatti che gli italiani politicizzati ammontassero al 10 per cento circa dell’intero contingente di emigrati in Francia tra le due guerre. Ne conseguì una migrazione politica che, per quanto minoritaria, si caratterizzò come un'“emigrazione politica di massa”»
.
486 P. Veziano, Ombre al confine. L’espatrio clandestino degli ebrei stranieri dalla Riviera dei Fiori alla Costa Azzurra 1938-1940, prefazione di A. Cavaglion, Fusta, Saluzzo 2014, p. 89. Cfr. anche, seppur in maniera più generale, P. Audenino e A. Bachelloni, L’esilio politico fra Otto e Novecento, cit., p. 364.
487 Bia. int. Vaccari (1994).

Matteo Grassano, Il territorio dell'esistenza. Francesco Biamonti (1928-2001), Tesi di laurea, 29 gennaio 2018, Université Nice Sophia Antipolis in cotutela internazionale con Università di Pavia

Con tutta evidenza Biamonti inclina e flette le sue coordinate verso Nizza (la Baie des Anges o la Baia degli Angeli, indifferentemente), verso Cannes e le due isole, Saint-Honorat e Sainte-Margherite; e verso i monti dell’una e dell’altra parte (Cima Marta). Cancella il litorale italiano come luogo della «speculazione edilizia» (ben sapendo che già l’aveva cancellato il «suo» Calvino: «Io ero della Riviera di Ponente; dal paesaggio della mia città - San Remo - cancellavo polemicamente tutto il litorale turistico - lungomare con palmizi, casinò, alberghi, ville - quasi vergognandomene», <13 con quel che segue di descrizione della risalita verso i monti all’inseguimento del suo paesaggio), del traffico maleodorante di auto, e dei traffici malavitosi; anche se, quanto a macrocriminalità (investimenti delle varie mafie non solo italiane) e microcriminalità nelle Passeggiate, sa bene che la Côte d’Azur non ha niente da invidiare alla Riviera. Làtitano dunque, censurati, i toponimi di quest’ultima, che saranno Bordighera o Ventimiglia. Se la più terribile, Sanremo, è nominata una tantum, sarà per bollarla per sempre:
"Cose di cui era meglio non parlare, cose che aveva stentato a credere: ebrei in fuga, derubati e buttati in mare da un barcaiolo nel '38 o nel '39, pastori sgozzati nei casolari da gente che transitava. - Sarebbe meglio non stare sui confini, - si limitò a dire. - O forse tutto il mondo è uguale".
13. Italo CALVINO, Prefazione 1964 [al Sentiero dei nidi di ragno], in ID., Romanzi e racconti, edizione diretta da Claudio MILANINI, a cura di Mario BARENGHI e Bruno FALCETTO, vol. I, Milano: Mondadori, 1991, p. 1188
Giorgio Bertone, Confine o frontiera? La Liguria di Francesco Biamonti, Quaderns d’Italià 7, 2002  

Francesco Biamonti fu dunque un testimone privilegiato, un profondo conoscitore di questo aspetto della memoria popolare e forse il suo più autorevole cantore.
Dopo la sua morte, ogni risvolto della sua opera letteraria, dalle influenze agli stilemi, è stato studiato a fondo; poco, o per nulla riconosciuto invece - forse perché dato troppo frettolosamente per scontato - è stato questo suo indiscutibile merito.
Nel suo libro forse più bello, "Vento largo", i passeur muovono i traffici caratteristici degli anni del dopoguerra. Anche il protagonista, Varì, è costretto quasi controvoglia a continuare il suo dignitoso lavoro in quegli anni difficili ma, per caratteristiche e per vissuto, questo personaggio sembra appartenere, più che al presente, alla non lontana stagione del passaggio degli ebrei.
Si può ritenere invece più verosimile la notizia del presunto arricchimento di un numero ristretto di addetti ai lavori, per effetto dei ripetuti furti di valigie. Più che di furto sarebbe forse più corretto parlare di mancata consegna; in qualche caso poteva effettivamente accadere che, a causa del sovraffollamento delle barche, i bagagli al seguito non potessero essere imbarcati. Si dice che in questi casi i passeggeri ricevessero la falsa rassicurazione che sarebbero stati caricati sul trasporto successivo e consegnati in un secondo momento. Per comprensibili ragioni di riservatezza questa voce non è stata confermata dagli spedizionieri e non ha trovato riscontri nelle carte francesi.
Sembra avere invece maggior credibilità la voce data per certa da più di uno spedizioniere secondo cui alcuni funzionari locali avrebbero regolarmente preteso sia da loro sia dai passeggeri una tangente sui trasporti. La denuncia orale dei concussi trova riscontro oggettivo in una lettera confidenziale scritta da una persona rimasta anonima ma che dimostrava di essere comunque bene informata. La missiva, ricca di particolari in qualche caso inesatti, denunciava l’esistenza di una vera e propria combriccola di speculatori della quale avrebbero fatto parte anche funzionari di polizia, milizia e finanza. Non è da escludere che la lettera possa essere frutto del risentimento di qualche funzionario rimasto escluso dalla spartizione delle tangenti.
Abbiamo visto come il rumore provocato da queste voci avesse costretto Achille Peruzzi ad aprire un’inchiesta. Sappiamo anche che questa si concluse con l’esito che a Roma qualcuno auspicava: le prove della colpevolezza dei concussori non furono trovate.
Paolo Veziano, Op. cit., pp. 204,205

mercoledì 18 gennaio 2023

In quelle tenebre: Mostra a Bordighera per il 'giorno della memoria'


 

Unione Culturale Democratica

A.N.P.I.

Via al Mercato n. 8

BORDIGHERA

21-31 Gennaio 2023

ore 17-19

 

Mostra

In quelle tenebre

pubblicazioni libri immagini audio video
per il

'giorno della memoria'

 

Ingresso libero

La S.V è invitata a visitare la Mostra aperta al pubblico tutti i giorni, festivi compresi, dalle ore 17 alle ore 19

            L'ingresso è libero nel rispetto delle norme sanitarie vigenti

 

Voi che vivete sicuri
Nelle vostre tiepide case,
Voi che trovate tornando a sera
Il cibo caldo e visi amici:
Considerate se questo è un uomo
Che lavora nel fango
Che non conosce pace
Che lotta per un pezzo di pane
Che muore per un sì o per un no.
Considerate se questa è una donna,
Senza capelli e senza un nome
Senza più forza di ricordare
Vuoti gli occhi e freddo il grembo
Come una rana d'inverno.
Meditate che questo è stato:
Vi comando queste parole.
Scolpitele nel vostro cuore
Stando in casa andando per via,
Coricandovi alzandovi;
Ripetetele ai vostri figli.
O vi si sfaccia la casa,
La malattia vi impedisca,
I vostri nati torcano il viso da voi.
( Primo Levi Se questo è un uomo )

Giorgio Loreti

Unione Culturale Democratica -  Sezione ANPI - Bordighera (IM) Tel. +39 348 706 7688 

 

sabato 14 gennaio 2023

Ci raccontarono diverse cose della loro vita

Bordighera (IM): Lungomare Argentina

[...] Se per la provincia di Savona siamo partiti da Est verso Ovest, esaminando la provincia di Imperia faremo il percorso inverso da Ovest verso Est. A Ventimiglia esiste un piccolo nucleo di "Ordine Nuovo" [O.N.] guidato da tale Romano Viale, mentre nella vicina Bordighera opera un certo Lucio Martelli.
Martelli, già appartenente a gruppi monarchici si sposta in O.N. Lucio si considera un cattolico "integralista" e "tradizionalista" (sulla scìa di autori quali CHARLES PEGUY, ATTILIO MORDINI e PRIMO SIENA, su cui si formerà anche il docente medioevalista fiorentino FRANCO CARDINI) e al contempo è anche un assiduo studioso di esoterismo e di magìa (materie questa sempre guardate con sospetto, quando non tassativamente proibite, dalla dottrina cattolica tradizionale). Inoltre per Lucio (come per René Guenon) la tradizione cattolica è solo il ramo di una più vasta Tradizione Unica (che si esprime, in forme diverse, e anche attraverso l'Induismo, il Taoismo di Lu Tsu e l'Islam Sufista).
Lucio, che da una parte è terziario francescano e dall'altra pare organizzi sedute spiritiche, è un accanito studioso di GUENON oltreché di JULIUS EVOLA, del quale però non ne condivide il "neo-paganesimo". Lucio Martelli è anche poeta (a 16 anni ha composto il volumetto di poesie "L'Altare della Parola", insieme al suo amico, giovane comunista Lorenzo Muratore), umorista (nel 1965 vince il Dattero d'Argento al Salone Internazionale dell'Umorismo di Bordighera ) e giornalista (collabora su testate locali e ha frequentato la Scuola di Giornalismo di Urbino).
La permanenza di Lucio Martelli in O.N. durerà poco. Dopo breve tempo anch'egli come CURCIO approderà a "Giovane Nazione", trasformatasi più tardi in "Giovane Europa", fino a diventarne uno dei più importanti dirigenti su scala nazionale.
In breve tempo a Bordighera e dintorni Giovane Europa raccoglierà diversi simpatizzanti (ma non tutti militanti), quali PAOLO MARTONI, ELENA FRANZONI, ANDREA SOMMARIVA, GABRIELLA MININI, GRAZIA SIFFREDI, Lorenzo Viale (da non confondere con Romano), il già citato MARKOS NIKIFOROS, FRANCESCO PAPALIA di Sanremo e naturalmente la moglie di Lucio, Cecilia Orrigo detta "Mimy".
A BEAUSOLEIL, in territorio francese vicino al Principato di Monaco, risiede un militante di "Jeune Europe" (che in Francia si chiama C.E.P.S.E., Centre Etudes Politiques et Social Europeenne), tale BERNARDI, di origine italiana.
A Sanremo Ordine Nuovo è guidato da tale FRANCO BONENTI, anch'egli grande studioso di esoterismo. Ma su di lui non sappiamo altro, come non sappiamo chi, oltre a lui, a Sanremo militasse in quel gruppo.
La vicinanza con la Francia nei primissimi anni '60 fece sì che diversi membri dell'O.A.S. (Organisation de l'Armé Sècrete) frequentassero spesso la zona. Alcuni erano fuggiti in Italia, altri "andavano e venivano". Tra i primi vi era lo scrittore di romanzi polizieschi JACQUES H. JULLIET (che possedeva anche la casa editrice "Europa Production" con sede a Bordighera), autore di romanzi su Fra Panurge (il monaco-investigatore). JULLIET pare fosse in stretto contatto con i servizi segreti israeliani (aveva una moglie di origine ebraica). Non dimentichiamo che gli ebrei algerini più benestanti si opponevano all'indipendenza del paese e appoggiavano e finanziavano l'O.A.S.
Nel 1962 a Bordighera vi era stato un attentato contro la sede dell'Unione Culturale Democratica (associazione di tendenza "social-azionista" ma aperta a tutti i democratici), fondata dal poeta, scrittore e pittore ex partigiano GUIDO HESS, detto "SEBORGA", e frequentato, tra gli altri, dagli allora giovani Giorgio Loreti, il già citato Lorenzo Muratore e Matteo Lanteri (futuro sindacalista della C.G.I.L.).
Un altro militante dell'O.A.S., residente però in Francia, era tale ARMAND BOTON, con un passato adolescenziale di resistente gollista, ufficiale dei Paracadutisti di Marina a Diem Bien Phu. Pur conoscendo le sue frequentazioni le autorità francesi non osavano arrestarlo in quanto veniva considerato tra i soldati più decorati di Francia. Boton veniva spesso nella zona in quanto era diventato insegnante di judo e si era creato una discreta clientela. Le sue simpatie golliste (si racconta che quando il generale parlava alla TV francese, egli interrompesse le lezioni di judo per ascoltare il discorso) si spensero quando DE GAULLE decise di concedere l'indipendenza all'Algeria del F.L.N. Forse nella sua mente si sentì "tradito" dal condottiero che aveva sempre idolatrato e nel 1965 preparò con altri un attentato contro l'uomo politico francese. L'attentato non riuscì. BOTON venne arrestato ma neppure questa volta, sempre in considerazione del suo passato di combattente, venne condannato e in breve tempo uscì di carcere.
Pare che sopra Sanremo, in Località Monte Bignone, l'O.A.S. avesse installato una stazione radio clandestina (6).
A Imperia, capoluogo di provincia, si sapeva che nei primi anni '60 il locale nucleo di "Ordine Nuovo" contava circa quattro persone di cui ci sfuggono i nomi, eccezione fatta per un certo CANE.
Nei primi mesi del 1965, il diciottenne Giovanni Donaudi, fino a quel momento nell'area missina, comincia a sentire parlare di gruppi della destra extraparlamentare e la cosa pare interessarlo. Gli viene detto che a Bordighera c'è un certo Martelli che sta più a destra del M.S.I. (e chi lo informa non sa nemmeno lui se Lucio sia ancora in Ordine Nuovo e in qualche altro gruppo). Donaudi contatta Martelli il quale gli dice che ormai è da diverso tempo in "Giovane Europa" e che non condivide più il nostalgismo di O.N., che in Giovane Europa ci sono anche degli ex partigiani, che in politica si guarda avanti e non indietro.
Donaudi inizia a frequentare spesso Martelli, ma per il momento non aderisce a "Giovane Europa", preferendo mantenersi in contatto con sparuti gruppi e testate dell'area neo-fascista sparsi per la penisola. Riceve regolarmente "Corrispondenza Europea", un'agenzia di stampa di O.N. diretta da Pino Rauti e Giulio Maceratini. Donaudi da le dimissioni dal M.S.I. e dalla "Giovane Italia" (diretta a Imperia da Bruno Santini), che non vengono però accettate e quindi risulta "espulso".
Donaudi continua ancora per un anno, cerca di stampare anch'egli dei bollettini, esteticamente impresentabili e pieni di errori di ortografia, qualche scritta sui muri dando del lavoro alla Squadra Politica della P.S., i cui agenti si  affannano, tra mille "madonne" a cancellarle e vendendo in Riviera i libri dell'editore GIOVANNI VOLPE, avuti tramite un suo amico di Genova, fino a che nella primavera del 1966 viene chiamato sotto le armi nella Marina Miitare, dove ne avrà per 24 mesi.
Sergio Donaudi è il fratello minore di Giovanni, ha solo 16 anni, ma sembra anch'egli intenzionato all'iniziativa, mantenendosi anch'egli in contatto con vari gruppi e testate della stessa area.
Nell'ottobre del 1967, frattanto, Lucio Martelli viene arrestato in territorio francese vicino al confine, sotto l'accusa di "traffico d'armi". Viene interrogato con metodi che Lucio definirà "ghestapisti"  e passa diversi mesi nelle carceri di Nizza. Ma al processo risulterà innocente e non solo verrà immediatamente scarcerato, ma la giustizia francese dovrà risarcirlo per le percosse subite.
Con il 1968 Lucio Martelli darà alla federazione locale di G.E. una caratteristica ancor più innovativa, rispetto alla stessa struttura "nazionalbolscevica", "giacobina" e "leninista" della direzione nazionale ed europea (in Francia alcuni quadri di G.E. provengono dal P.C.F.). La Giovane Europa del Ponente Ligure sembra essere diventata contestataria e persino "hyppieggiante". Si discute di Marcuse, di Willhem Reich e naturalmente del grande leader del momento MAO TSE TUNG, seguito da milioni di giovani. Si leggono contemporaneamente "ABC", "MEN", "PLAYMEN" e "LA CINA", rivista di propaganda del governo della Repubblica Popolare Cinese; si parla di "rivoluzione sessuale" (cosa assai rara nel d.n.a. della destra) e, contrariamente al M.S.I., si giudica positivamente il prossimo divorzio. Si gioca con i CHING. A Imperia a Giovane Europa aderisce anche tale Ivan Siragusa.
Alle elezioni politiche del maggio '68 Lucio Martelli dichiara di votare P.S.I.U.P. (Partito Socialista Italiano di Unità Proletaria), gruppo di sinistra molto meno legato all'U.R.S.S. rispetto al P.C.I. A IMPERIA da pochi anni si è costituito il P.C.d'I. (m.l.) (Partito Comunista d'Italia-marxista-leninista) di osservanza filo-cinese, diretto dall'ex partigiano ANGELO ZECCA (uscito dal P.C.I. nel 1956 dopo il XX° Congresso del P.C.U.S. dove vennero denunciati i crimini dello stalinismo). Giovane Europa prende subito contatto con il gruppo "m.l." attraverso i fratelli Donaudi (ormai iscritti nel gruppo "thiriartiano") e lo stesso Lucio Martelli. I due gruppi faranno insieme diverse iniziative in tutta la provincia.
A Imperia viene contestato il film imperialista "I Berretti Verdi". A Sanremo ci furono la contestazione dell'incontro di pugilato BENVENUTI- FULLER  all'Ariston di Sanremo e nel 1969 quella del Festival della Canzone, che allora si tiene ancora nel Salone del Casino.
Con gli scontri tra cinesi e sovietici sul fiume Ussuri, il P.C.d'I. di ZECCA firma un volantino con "Giovane Europa" che così si conclude: "700.000.000 di CINESI NON SONO SOLI - CON LORO HANNO 400.000.000 DI EUROPEI". Tale volantino diverrà famoso in tutta Italia e verrà spesso citato in articoli e libri editi successivamente, e da alcuni giudicato "provocatorio".
Anche l'invasione sovietica della Cecoslovacchia impegna Giovane Europa (che denuncia i patti di Yalta) e lo stesso P.C.d'I, che attraverso il suo organo "Nuova Unità" scrive: "ATTACCO DEI REVISIONISTI SOVIETICI ALL'INDIPENDENZA CECOSLOVACCA". Più tardi "La Nation Europeenne" di Bruxelles e la sua riduzione italiana "La Nazione Europea" pubblicano l'intervista che JUAN DOMINGO PERON (allora esule) concede a JEAN FRANCOIS THIRIART. L'ex presidente argentino si dichiara d'accordo con FIDEL CASTRO, con la Cina Maoista e definisce ERNESTO CHE GUEVARA "il simbolo della liberazione sudamericana".
Giovane Europa si scioglie nell'estate del 1970 al congresso di Napoli. Lucio Martelli resterà in fase "attendista" al contempo acquisendo sempre più una cultura libertaria, mentre Sergio Donaudi aderirà al gruppo di O.L.P.  (Organizzazione Lotta di Popolo), quel gruppo che i mass-media un po' esageratamente definirono "nazi-maoista", ma di cui ORESTE SCALZONE, in un lungo articolo su FRIGIDAIRE, dichiarò che i componenti erano più che altro gente con le idee confuse e non si potevano certo liquidare come "provocatori" o "infiltrati" nella Sinistra (7). Martelli cercherà di fondare un gruppo nel Ponente, al quale aderiranno un certo CALZAMIGLIA e altre 2 persone.
L'O.L.P. viene sopravalutata dalla sinistra extraparlamentare locale e viene definita "più pericolosa del M.S.I.", come se quattro, anzi tre gatti, potessero costituire un pericolo per la sinistra stessa.
Giovanni Donaudi è in giro per il mondo e pare avere accantonato la politica.
Anche Lotta di Popolo presto si scioglie e da quel momento non si può parlare più di destra radicale nel Ponente Ligure (ammesso che l'ultima "Giovane Europa", almeno in quella zona geografica, la si potesse considerare ancora "di destra".
Lucio Martelli prende contatto con "Il Manifesto" nella diffidenza di alcuni suoi membri locali, diventerà sempre più libertario fino a iscriversi al Partito Radicale, collaborerà più tardi anche con i nascenti Verdi e in seguito (deluso della politica filo-atlantista di Pannella & C.) a Rifondazione Comunista, partito che lo inserirà nel Direttivo provinciale. Dopo anni di indifferenza religiosa (lontani i tempi del "tradizionalismo" cattolico!) aderirà al Buddismo Tibetano. Morirà improvvisamente nel novembre del 2006.
Cecilia Orrigo "Mimy", compagna di Lucio, intensificherà le sue conoscenze esoteriche e frequenterà anche corsi di medicina naturale (o Naturopatia) e praticherà massaggi ayurvedici e altre terapie naturali, quali la Cristalloterapia.
BERNARDI si trasferirà a Parigi e aderirà al movimento gollista.
FRANCESCO PAPALIA aprirà una libreria con prevalente argomento esoterico e spiritualista.
Sergio Donaudi si iscriverà al Partito Socialista Italiano e in seguito al P.C.I.
Giovanni Donaudi, dopo diverso tempo di indifferenza politica, aderirà a un gruppo della Sinistra cristiana di Ventimiglia (dove sono presenti, tra gli altri, LUIGI COLLECCHIA, CLAUDIO BERLENGIERO, LUCIA CORNA), che stampa il piccolo mensile "La Goccia". Le sue simpatie andranno a "Il Manifesto" e nel 1979, nel frattempo trasferitosi a Torino, si iscriverà a Democrazia Proletaria e più tardi al P.C.I.
Romano Viale andrà a lavorare in Germania e finirà per iscriversi allo S.P.D. (socialdemocratici). Lorenzo Viale da diversi anni residente a Udine  diverrà comunista. Tornato  in provincia di Imperia, dopo lo scioglimento del P.C.I. aderirà anch' egli a Rifondazione dove ritroverà il suo vecchio amico Martelli.
Ivan Siragusa diventerà anni dopo un "Testimone di Geova".
MARKOS NIKIFOROS, sarà più tardi il portavoce greco-ortodosso del S.A.E. (Servizio di Attività Ecumenica), un gruppo religioso progressista di cui fanno parte cattolici, protestanti, greco-ortodossi, ebrei e membri di qualsiasi religione che ne facciano richiesta.
ANDREA SOMMARIVA morirà anni dopo per una brutta malattia della pelle.
Questo dunque quanto sappiamo. Giovane Europa fu l'unico gruppo in cui, dopo lo scioglimento del 1970, ben pochi dei suoi aderenti tornarono alla "casa madre" della destra. Gli ex di G.E. si divisero in tutti i gruppi possibili e immaginabili. La maggioranza di essi si spostò a Sinistra (qualcuno al Centro) e c'è da chiedersi se per caso così facendo non intendessero proseguire, da Sinistra, il loro antiamericanismo e antiimperialismo, cosa d'altra parte già  vista nel dopoguerra con personaggi quali UGO SPIRITO, STANIS RUINAS, ENRICO LANDOLFI, PIERO VIVARELLI, FIDIA GAMBINI, etc.
[NOTE]
6 Testimonianza di Moreno Marchi
7 Oreste Scalzone - LA MIA VITA CON AMORE - su un vecchio numero della rivista Frigidaire (mensile diretto da VINCENZO SPARAGNA) negli anni '80
Si ringraziano a distanza di anni tutti coloro che ci hanno aiutato nella ricerca. In particolar modo Lucio Martelli e Giovanni Donaudi (che ci raccontarono diverse cose della loro vita), ALDO GHIDETTI e ROMANO STRIZIOLI di Albenga, entrambi scomparsi. L'anch'egli scomparso MORENO MARCHI di Sanremo e altre persone che desiderano mantenere l'anonimato.
Giulio Aicardi, La Destra radicale nel ponente ligure (dalle origini agli anni '70), Appunti di storia e politica, 28 novembre 2019
 
Molte delle persone che si avventurano nell'esoterismo e dintorni, sono persone fragili, che cercano un supporto, una "stampella" senza avere le capacità di gestirlo; anche perché non è lì che il sostegno di cui hanno bisogno si trova. Da qui la possibile caduta nell'alcoolismo, o in altre droghe. Non so se, per questo, si guadagnino la qualifica - mortificante invero... - di "ecce-bombi"; ma ti dirò che la cosa non mi tange per nulla: sono vite che, ahimé, van lasciate cadere nella logica della selezione naturale. Con la tristezza per lo spreco che ne consegue, se vuoi; ma non dissimile dallo spreco che si ha quando si legge in giro di ragazzi che, impasticcati duri, si spiaccicano contro qualche platano.
Alberto Rizzi, commento a Giovanni Donaudi, Evola a Imperia in Mailing list di Gianni Donaudi, 13 luglio 2022

Non penso siano tutti fragili. Tutto dipende da come usano la materia. "Sofo" morì a 90 anni e non andò mai in crisi. I "giovani" nati tra il 1946 (come chi scrive) e il 1960, probabilmente stanchi di militanza politica all'interno dei vari gruppuscoli, pensarono di dedicarsi allo "spiritualismo" (viaggi in India, sedute spiritiche, alcuni al "satanismo", altri finirono in Comunione e Liberazione, Focolarini, Carismatici etc. e qualcuno persino nei Mormoni e nei Testimoni di Geova), e qualcuno cadde nell'alcolismo... I protagonisti erano in crisi per la politica, molti di questi citati erano in crisi per lo
"spiritualismo" che probabilmente non aveva dato a essi ciò che avevano sperato. Fine di un'epoca. Certo gli spiritualisti degli anni '20 e '30 furono molto più seri.
Giovanni Donaudi, risposta ad Alberto Rizzi in Mailing list di Gianni Donaudi, 13 luglio 2022

lunedì 9 gennaio 2023

Non sono bastate sette udienze in 16 mesi e più di cinquanta testimoni a fare chiarezza sulla morte della contessa Bragadin

Fonte: La Stampa. Archivio Storico dal 1867

Un cadavere in un modesto alloggio di via Arnaldo da Brescia 25. Un misero alloggio, quasi un tugurio, formato da cameretta, cucina e un salottino. Un alloggio misero e il cadavere di uoa donna dalla bellezza sfiorita. Aida Gontar, di origine russa, aveva 67 anni ed era la vedova del conte Alvise Bragadin. Nata a Odessa nel 1894, aveva cominciato come ballerina classica. Una carriera senza troppa fortuna nel suo paese, ma esplosa negli Stati Uniti. Alta, bionda, bellissima, Aida Gontar era capace di far perdere la testa a qualunque uomo. E per lei, fra i tanti che avevano perso la testa, c'era pure quello che sarebbe diventato suo marito: un ricchissimo patrizio veneto, impegnato in affari e più anziano di lei di 10 anni. Al momento del matrimonio qualcuno aveva avanzato qualche dubbio sulla legittimità del titolo nobiliare trasferito alla Gontar: il conte Bragadin era già sposato in prime nozze e non si era nemmeno sicuri che avesse divorziato. Ma questa è una storia che si era consumata lontano da Sanremo.
La loro prima residenza in Riviera era stata Alassio, dove erano conosciuti come il conte e la contessa Bragadin. Spendevano cifre da capogiro in serate mondane, giocate al casinò, lussi più sfrenati. Si erano trasferiti a Sanremo ai tempi della guerra d'Etiopia [...]
La contessa molto decaduta in Romano Lupi e Riccardo Mandelli, Sanremo tenebra. Cento anni di delitti e misteri nella città del Festival, philobiblon edizioni, 2015

Dal nostro corrispondente)
Sanremo, 1 dicembre.
Una nobildonna d'origine russa - la contessa Aida Gontar vedova Bragadin di 67 anni, nativa di Odessa e residente in Italia da una ventina d'anni - è stata strangolata, forse a scopo di rapina, nella sua modesta casa di via Arnaldo da Brescia 25 nella quale viveva completamente sola. A questo verdetto sul decesso della contessa sarebbe giunto nel tardo pomeriggio d'oggi il medico legale dott. Roverio che, nella camera mortuaria dell'ospedale della nostra città, ha concluso l'autopsia sul cadavere della donna, ordinata dalla Procura della Repubblica. Mercoledì scorso, verso le 15, alcuni vicini di casa della nobildonna venivano messi in allarme dal nauseabondo odore che esalava dall'abitazione della contessa. Aida Gontar, da alcuni giorni, non aveva dato più segno di vita: in un primo tempo gli inquilini dello stabile avevano pensato ch'ella fosse partita per un breve viaggio. Prolungandosi l'assenza i primi sospetti avevano cominciato a circolare. I carabinieri, non appena avvertiti, provvedevano ad abbattere la porta d'ingresso dell'alloggio. Il cadavere della nobildonna veniva ritrovato in avanzato stato di putrefazione. La contessa, completamente vestita, giaceva sul letto. La stanza era in perfetto ordine; non vi era alcuna traccia di lotta.
g.b., Rinvenuta strangolata nella sua casa una contessa d'origine russa a Sanremo, La Stampa, Sabato 2 Dicembre 1961

(Dal nostro inviato speciale)
Sanremo, 2 dicembre.
«E' un caso veramente difficile», ha detto stamane il dott. Clemente, Sostituto Procuratore della Repubblica, ai giornalisti ansiosi di ottenere notizie precise sulla morte della contessa Aida Gontar Bragadin, che sembrava dovuta a cause naturali e che risulta invece delittuosa. E ha soggiunto: «La matassa è alquanto intricata, ne stiamo cercando il bandolo». Non ha voluto aggiungere di più, per naturale riserbo di magistrato. Cerchiamo di cavarcela con i nostri mezzi. Il caso è «veramente difficile». Cominciamo con l'assicurare che sulla morte violenta della contessa non esistono dubbi. Lei è stata strangolata con le mani fino a schiacciare del tutto la trachea. Sul collo erano rimasti lividi vasti e profondi. Se lì per lì nessuno ci aveva badato, è perchè nulla tutto intorno faceva sospettare un delitto. Nessun segno apparente di lotta nella stanza e negli abiti della vittima, rinvenuta nel suo letto completamente vestita e adagiata lì con la naturalezza di chi si corica per qualche minuto di rilassamento. E nessun disordine di possibile ladreria. Ad avvalorare l'ipotesi di una morte naturale contribuiva la circostanza che la Bragadin da qualche tempo era giù di salute. Le sue splendide gambe di ex-ballerina classica, enormemente rigonfie alla caviglia, erano diventate due grosse colonne informi. Lamentava disturbi al cuore, alla testa, al fegato, dappertutto. Al «Bar Moderno» di Sanremo, suo ritrovo abituale, gli amici che non la vedevano da qualche giorno dicevano: «E così anche la povera Bragadin se n'è andata!». Nessun sospetto possibile che qualcuno invece, come dicono in gergo da bassifondi, l'avesse «spedita all'altro mondo». Aida Gontar, nata a Odessa il 16 marzo 1894, ha avuto una vita avventurosa, già accennata per sommi capi ma che è bene precisare negli elementi essenziali. E' ballerina classica negli Stati Uniti e celebre, almeno per quel tanto che basta ad interessare un giorno il conte Alvise Bragadin, che ha almeno dieci anni più di lei e che se la porta in Italia, prima ad Alassio, poi a Sanremo, dove essi prenderanno residenza stabile durante la guerra contro l'Etiopia. Si è affacciato il dubbio che fossero marito e moglie.
I documenti anagrafici parlano chiaramente di «Aida Gontar coniugata con Alvise Bragadin». Matrimonio in ordine, quindi. E' però un matrimonio d'amore? Se sì, indubbiamente assai tempestoso. Lei è bellissima, alta, bionda, allegra e civetta. Lui è una specie di orsacchiotto «vestito da cristiano», come ci hanno detto. Se è geloso, lo è in pura perdita. La donna fa il comodo suo. Lui è ricco. Quanto, non si sa. Né si conosce del tutto l'origine certa del suo denaro. I Bragadin sono nobili veneti di antica data e non rovinati dalle varie vicende storiche. Ma Alvise Bragadin è fascista, anzi, come si diceva allora, «fascistissimo», molto vicino alle più alte gerarchie del partito e allo stesso duce il che poteva portare a tante sorgenti di reddito. Il Bragadin giocava forti somme al casinò di Sanremo e a quello di di Montecarlo. Giocava pure lei? Un interrogativo importante. Pare che lei prima della morte di suo marito non avesse mai rischiato un gettone, anche di poco conto, al tappeto verde. Frequentava le case da gioco con una sua amica modista e giocatrice accanita, ma dando torto al proverbio secondo il quale «chi va con lo zoppo impara a zoppicare». Di certo, sembra anzi che fosse tirchia di natura, se non addirittura avara. Ne ho avuto conferma da parecchie parti, ma la testimonianza più diretta mi sembra quella di Lorenzo Pastorino, che aveva ospiti abituali i Bragadin nel suo notissimo ristorante. La coppia menava una vita indubbiamente «sfarzosa», lei era capricciosissima nell'ordinare questa o quell'altra specialità, ma al momento di pagare «si lamentava sempre del conto». Ciò, come vedremo, può anche essere essenziale. Durante la guerra mondiale Alvise Bragadin ha noie continue con i partigiani, come è inevitabile che sia. Egli sarà assolto dall'imputazione finale di collaborazionismo, ma attraverso parecchi rotti della cuffia, uno più costoso dell'altro. Ciò aveva dato luogo a una catena di ricatti? E' probabile. Indipendentemente dal collaborazionismo, molti lati oscuri dovevano turbare la vita dei due coniugi, se un giorno qualcuno - e l'ho udito dalla sua viva voce - assistette ad una disputa acre, dove lui rimproverava di avere dovuto «versare» un milione di lire per lei, e lei aveva ribattuto: «Ne dovresti versare di più se dicessi quello che so io!». Alvise Bragadin muore nel 1955. Quanto lascia a sua moglie? Non troppo, perché ci sono altri eredi (egli era al suo secondo matrimonio, ed il primo con figli), ma ne lascia parecchio. Improvvisamente, allora, la prende il demone del gioco e con una specie, si può dire, di furia arretrata. Un furbacchione la incanta con un sistema per vincere alla roulette e le inghiotte un mucchio di quattrini. Un siciliano si innamora di lei, se la porta a Palermo, la chiude in una casa come un tesoro da custodire gelosamente, ed anche ciò le costa assai caro. Non c'è altra salvezza che la roulette. E la Bragadin gioca disordinatamente, rumorosamente, si indebita, vende il vendibile, è la rovina. Una rovina anche morale perché, completamente dimentica della sua gloria passata di bella donna, va con chi capita, accetta magari un bicchiere di vino da un portabagagli, e da una villa come quella che aveva una volta, e che oggi può valere sui cento milioni di lire, finisce quell'orrido stambugio. Ma c'è da chiedersi: se la rovina morale di questa povera donna è indubbia, l'altra è certa, o non piuttosto finta? All'ultimo momento la Bragadin non è stata forse presa dalla sua antica tirchieria, prossima all'avarizia? Oppure continuava la serie dei ricatti, e tutto l'insieme la induceva a mostrarsi povera, mentre aveva tuttora un grosso gruzzolo in riserva? Colui che salì con lei le bruttissime scale di quella vecchia casa una decina di notti fa, sperava di fare un buon colpo? La polizia tende a credere che l'assassino, un esperto in materia, abbia frugato in ogni dove, poi, scovato quello che c'era da portare via, abbia rimesso a posto tutto quanto. Per confondere le idee avrebbe lasciato uu braccialetto d'oro al polso della vittima. C'è anche una seconda ipotesi. La Bragadin non giocava più a Sanremo, ma frequentava periodicamente Montecarlo. Là, parlando con qualcuno, si vantava forse del suo splendore passato, facendolo apparire come tuttora presente? Lei aveva sempre una sete disperata di uomini. Qualcuno ha giocato con lei la commedia dell'amore, l'ha seguita fino a Sanremo e, vista la realtà così lontana dal mito, l'ha strangolata in un impeto d'ira? Poi, con disprezzo, avrebbe lasciato quel braccialetto perché il gioco non valeva la candela.
Antonio Antonucci, Forse lo strangolatore della contessa credeva che la donna fosse molto ricca, La Stampa, Domenica 3 Dicembre 1961

Durante la prima permanenza a S. Remo, di un mese circa [agosto 1944], il soggetto ebbe occasione di fare da interprete solo nell'interrogatorio dei conti Bragadin di S. Remo.
La contessa, infatti, aveva denunciato il marito come sovvenzionatore dei partigiani ed appartenente al CLN.
Egli fu arrestato, ma in seguito si seppe che le accuse erano false, per cui fu rilasciato in libertà.
Per ritorsione, il conte denunciò la contessa come appartenente alla razza ebraica. Ella allora venne arrestata e fu poi accompagnata a Genova alla casa dello studente [luogo nazista di torture].
[...] Dopo un mese di permanenza a S. Remo, il soggetto fu trasferito a Genova nell'ufficio del tenente Michelsen. Egli fece il viaggio su di un camion partito appositamente da Genova per recarsi a S. Remo a prelevare una ventina di detenuti e trasportarli alla casa dello studente. Fra di essi vi era anche la contessa Bragadin.
Sintesi di un verbale di interrogatorio (Cas) a carico di Ernest Schifferegger (altoatesino, interprete, ex sergente SS, presente anche a Sanremo), verbale confluito in un rapporto del 2 giugno 1947 redatto dall’OSS statunitense

(Dal nostro corrispondente)
Sanremo, 7 agosto. Carabinieri della squadra investigativa hanno arrestato Agostino Carbone fu Angelo di anni 63 da Sanremo e qui residente in via Venti Settembre. Il Carbone è stato fermato mentre si recava in casa di una sorella dimorante in via Val del Ponte. La notizia e la motivazione dell'arresto hanno destato profonda impressione, data la notorietà di Agostino Carbone, che era ritenuto persona di assoluta fiducia e onestà, e fratello di un assessore comunale. A quanto ci risulta, sarebbero state accertate a suo carico gravi responsabilità, suffragate da numerose denunce per truffa, querele per appropriazione indebita e istanze di fallimento per un ammontare di oltre venti milioni di lire. L'azione dei carabinieri ha avuto inizio da un esposto sottoscritto da una ventina di cittadini nel quale si diceva che il Carbone, titolare di una agenzia di affari è riuscito a provocare molti dissesti facendosi consegnare del denaro non più restituito e assumendosi per altri l'incarico non assolto di versamenti in conto corrente facendo firmare effetti bancari a suo favore con promessa di pagarli alla scadenza, cosa non fatta, incassando per altri e non versando. A conferma dell'esposto, in data 30 giugno ultimo scorso il Tribunale di Sanremo dichiarò poi il fallimento del Carbone esercente un'agenzia di affari nominando giudice delegato il dottor Gisiano e curatore il dottor Bartalini e i carabinieri intensificarono allora le indagini, procedendo all'interrogatorio di numerosi fra i presunti truffati. L'inchiesta si è conclusa oggi con l'arresto del disonesto affarista. Fra coloro che hanno avanzato richieste di credito nel confronti dell'arrestato, il quale operava in prevalenza nell'ambiente del mercato dei fiori, sono: l'ing. Giulio Costa per due milioni e mezzo, Antonio Ventimiglia per un milione, Agostino Moreno per oltre tre milioni, Giuseppe Aloe per oltre due milioni. La signora Brigida Semeria ha poi denunciato ai carabinieri che il Carbone si sarebbe appropriato d una somma di sua pertinenza di lire 7.800.000. La contessa Bragadin ha dichiarato di avere perduto nel fallimento un milione, mentre l'avv. Ernesto Pirro e il signor Luigi Zucco si sono insinuati nel fallimento stesso rispettivamente per lire 400.000 e 200.000. Altri creditori ancora infine avrebbero intenzione di avanzare all'autorità i loro diritti entro i termini di legge che scadranno l'11 corrente. Contro la sentenza del Tribunale, che ha dichiarato il fallimento, il Carbone ha interposto ricorso, chiedendo la revoca della sentenza stessa. Contemporaneamente, i familiari del Carbone hanno intentato nei suoi confronti, per interdirlo, una causa che è pendente davanti al Tribunale di Sanremo. Il Carbone non sarebbe alla sua prima avventura del genere. Per un fatto analogo lo avrebbe già condannato molti anni orsono un tribunale parigino.
g.b., Un noto affarista di Sanremo arrestato dopo il fallimento, La Stampa, domenica 8 agosto 1954

Sanremo, lunedì mattina.
Siamo finalmente all'epilogo del processo per l'uccisione della contessa Aida Gontar Bragadin, imputata ad Antonio Toesca, manovale, sia pure senza avere la minima intenzione di ucciderla. Strani protagonisti. Lei, di origine russa e figlia di un calzolaio, riesce a farsi notare come ballerina classica a Broadway (Stati Uniti) magari, più che per la sua arte, per la sua bellezza di slava. E' questa che seduce l'italiano Alvise Bragadin, non ancora conte (lo diventerà in seguito per meriti fascisti). Egli è sposato, lei pure, ma lei lo segue in Italia. Forse è l'amore, forse no. Di certo lei lo tradisce abbondantemente anche se una cronaca romanzata della sua vita ce la presenta «come la donna di un sol uomo, che faceva pagare assai caro il privilegio di baciare l'estremità delle sue dita, divertendosi a giocare con il desiderio degli uomini senza concedere, a promettersi tutta per gustare meglio il piacere del rifiuto» (La Presse, Parigi, 25-12-1961). Il castello dell'amore è problematico. Quello della ricchezza materiale sembra di un formato gigantesco e, forse, lo sarebbe in permanenza senza il crollo del fascismo, durante il quale s'incrina e, alla fine, si spappola. Nel 1953, la contessa è a Sanremo, il conte a Roma, praticamente divisi. Forse, possiede ancor più lei di lui. Sennonché, a 59 anni, lei non rinuncia all'amore né al fasto. Con l'amore, pagandolo, sperpera gran parte della sua fortuna. Allora tenta di rifarsi al gioco, ed è la catastrofe, Il marito muore nel 1955, e non si sa quel che le lascia. Si parla di tesori nascosti, ma fatto si è che, invece di metterli alla luce per gustarseli in fase di tramonto, lei butta allo sbaraglio gli ultimi miseri brandelli del suo fascino slavo, inserendosi nella prostituzione più squallida. Dopo la sua morte, avvenuta per strozzamento nella notte dal 22 al 23 novembre 1961, con la mano sinistra di persona ignota, la giustizia si trova di fronte al dilemma: il bandolo della matassa va cercato nella prima parte o nella seconda parte della vita di lei? L'inchiesta che ne deriva è complessa e confusa. Si arriva al processo con un corteo di fantasmi accanto all'imputazione ufficiale che rinvia a giudizio Antonio Toesca. Costui è un gigantone ad accentuato ritardo mentale. Ma è un buon uomo, tanto da far nascere la leggenda che l'essere chiamato «Santin» sia un derivato della sua supposta santità mentre si tratta soltanto del suo secondo nome di battesimo. E' mai verosimile che egli, per un irresistibile impulso di maschio, abbia potuto uccidere una donna? Dirà il presidente della Corte dr. Garavagno: «Noi andiamo alla ricerca della verità e ci troviamo di fronte al possibilismo». Con pazienza da filatelico, egli lo staccia liberandolo da tutta la crusca per ridurlo ai minimi termini. L'assassino si trova nella seconda parte della vita avventurosa della contessa. Messi via per già avvenuta assoluzione in istruttoria Ausonio Cicognini e Ivana Giudici vicini di pianerottolo tutt'e due e lei rivale in «mestiere», non restano di sospetti che Antonio Toesca e un certo «Pippo». A quest'ultimo, che la Bragadin avrebbe temuto in sommo grado per via di certe lettere in possesso di lei, non si riesce a dare una consistenza che permetta di reperirlo; anche delle lettere nessuna traccia, nemmeno, di disordine per cercarle e sottrarle. Non resta che il Toesca, veduto più o meno concretamente in compagnia della contessa la notte del delitto, e che confessa il suo reato, tentando persino di uccidersi. Poi ritratta. Con quella pazienza che dicevamo, il presidente dr. Garavagno sfronda i due fatti (confessione e smentita) dalle chiacchiere e dalle interpretazioni di parte, per stabilire fino a quale punto è verosimile la confessione e fino a quale altro la ritrattazione è soltanto una manovra difensiva, più o meno suggerita dall'esterno. Fino a questo punto, due pilastri a favore del Toesca sembrano crollati, e cioè il supposto «tartassamento» degli interrogatori e l'essergli state messe in bocca le risposte da dare per accusarsi, approfittando del suo stato di «frenastenia», ossia di stupidità congenita (egli impiegò otto anni per le cinque classi elementari). Arrestato il 12 dicembre, egli confessava a metà il giorno 13 e tutto quanto il 14. Manca il tempo utile per il «tartassamento», poiché egli dichiara di non essere stato picchiato. Quanto agli interrogatori, i testimoni sono troppi e tutti concordi nell'affermare che il Toesca fu spontaneo nel confessare. Contro l'imputato sta poi una circostanza già ampliamento riferita dalla cronaca. Dopo aver negato la paternità di uno schizzo raffigurante la stanza della morta, facendo così balenare il sospetto di una fosca manovra ordita per perderlo, in sede di udienza egli ha confessato che lo schizzo era suo, senza nessun «tartassamento» se non quello della logica. E' prevedibile che il p.m. dr. Sanzo sosterrà la colpevolezza dell'imputato. Questi è sorretto da due difensori di prim'ordine, gli avvocati Nino Bobba e Silvio Dian, che assommano passione per la giustizia, sottigliezza di analisi, humour, forza polemica e perorativa, raggiungendo un grado di alta efficacia. Ma se essi non hanno in serbo sorprese clamorose, saranno forse costretti a puntare soltanto sulla minorata forza intellettiva del Toesca, chiedendo la tramutazione dell'accusa da omicidio preterintenzionale a omicidio colposo. Ciò, unitamente alle attenuanti e ai condoni, si risolverebbe in una pena così esigua da dare all'avventura desolante di uno squallido ambiente una soluzione socialmente e cristianamente benigna.
Antonio Antonucci, Il Toesca può sperare soltanto nella condanna per omicidio colposo, Stampa Sera, Martedì 30 Aprile 1963

Il processo si chiude con l'assoluzione per insufficienza di prove di Santin Toesca. Decisive le sue condizioni mentali. In una persona normale una confessione come quella rilasciata avrebbe portato a una condanna sicura, ma trattandosi di un vero e proprio deficiente, la ritrattazione ha insinuato nella corte qualche legittimo dubbio. All'assoluzione contribuisce la mite richiesta avanzata dal procuratore generale, dottor Sanzo, che per Toesca invoca una condanna per omicidio involontario a quattro anni, cinque mesi e dieci giorni. Sanzo, rivolgendosi alla corte, dice anche: «Ho la certezza giuridica che il Toesca sia colpevole di omicidio involontario... Se voi avete dei dubbi, assolvetelo pure».
Nessun ricorso in appello e vicenda archiviata. Non sono bastate sette udienze in 16 mesi e più di cinquanta testimoni a fare chiarezza sulla morte della contessa Bragadin.
Romano Lupi e Riccardo Mandelli, Op. cit.

Io vidi in Corte d’Assise a Sanremo (nella villetta all’entrata di Villa Ormond) il processo per l’uccisione della Contessa Bragadin, magistralmente vinto dai difensori dell’imputato Santin Toesca, avvocati Nino Bobba e Silvio Dian junior.
Gabriele Boscetto, Presentazione, AA.VV., Atti dell’Accademia della Pigna, nel Decennale di Fondazione, 2007-2017, Lo Studiolo, 2016

Un altro celebre processo che avrebbe visto l’avvocato Dian tra i suoi grandi protagonisti, fu quello al manovale sanremese Antonio Toesca, accusato di aver assassinato, la notte del 23 novembre 1961, nel suo appartamento di via Arnaldo da Brescia, Aida Gontar, vedova del conte veneziano Alvise Bragadin. Al processo, apertosi presso il tribunale matuziano nell’aprile del 1963, l’avvocato Dian, unitamente al suo collega Nino Bobba, sostenne fortemente l’innocenza di Toesca, che aveva già trascorso parecchio tempo in carcere. Dopo sedici mesi di udienze, il muratore sanremese fu assolto per insufficienza di prove.
(fonte: tratto dal testo di Andrea Gandolfo)
Redazione, Silvio Dian, Sanremo. Storia e Tradizioni

lunedì 2 gennaio 2023

Il tentativo di un razzo posta da Sanremo a Camporosso, previsto per il 10 dicembre 1950, fu poi annullato

Camporosso (IM): l'attuale campo di atletica leggera occupa una parte dei terreni su cui un tempo insisteva il campo di aviazione delle Braie

Dai primi anni del 1900 e sino agli anni 60, in Europa e in altri Stati nel mondo vi fu un susseguirsi sempre più intenso di lanci di razzi, da parte principalmente di Associazioni private ma anche di qualche Amministrazione Postale.
Tali lanci avevano lo scopo di propagandare l'invio della corrispondenza con questo mezzo innovativo di trasporto.
Naturalmente la cosa non ebbe seguito per ovvi motivi legati a problemi tecnici e organizzativi che l'utilizzo di questo mezzo comportava.
[...]
In questo contesto si inserisce il mancato lancio da San Remo di cui voglio parlare.
 

Fonte: Antonio A. Piga, art.cit. infra

Il lancio doveva avvenire il giorno 10 dicembre del 1950 alle ore 11 dal campo Golf di San Remo con destinazione il campo di aviazione in Val Nervia (Bordighera) [n.d.r.: il campo di aviazione, di proprietà del Comune di Bordighera (IM), era situato in zona Braie di Camporosso], per una distanza di Km. 10,750 e doveva superare un dislivello di metri 800 circa. (Fig. 1)
Il razzo, in alluminio, lungo 2 mt. e con un diametro di 30 cm., che poteva raggiungere la velocità massima di 2.500 Km. orari, era di produzione olandese e avrebbe dovuto trasportare 2.000 aerogrammi.
Il lancio, organizzato in occasione della V^ Mostra Filatelica Internazionale dalla Società Filatelica "Costa d'Oro" in collaborazione con l'Azienda di Soggiorno di San Remo, aveva ottenuto l'autorizzazione della Direzione Provinciale delle Poste e dei Telegrafi di Imperia, che aveva anche predisposto un Ufficio Postale Provvisorio al campo Golf.
 

Fonte: Antonio A. Piga, art. cit. infra

La stessa Direzione aveva concesso sia il bollo dell'Ufficio Postale Provvisorio (con cui dovevano essere obliterati i francobolli) sia il timbro lineare "Esperimento volo a razzo San Remo - Bordighera". (Fig. 2) Per comodità di lettura trascrivo l'intero testo dell'autorizzazione:
"Amministrazione delle Poste e dei Telegrafi Dir. Prov. di Imperia Ufficio 1° Reparto"
Imperia addì 5/12/1950
Ufficio Principale P.T. Sanremo - p.c. Azienda Autonoma di Soggiorno San Remo
OGGETTO: V° Mostra Filatelica a San Remo - trasporto corrisp. filat. a mezzo Razzo.
Facendo seguito alle intese verbali, informasi che è stato disposto per l'invio a codesto Ufficio di N. 3 cassette d'impostazione, una delle quali da utilizzare dal Servizio postale provvisorio della Mostra e le altre due destinate alla raccolta delle corrispondenze da avviarsi col volo a razzo.
Si prega di far subito provvedere alla loro riverniciatura in colore cenerino, anticipando la relativa spesa, che verrà rimborsata dalla scrivente.
A manifestazione ultimata le tre cassette dovranno essere restituite a questo Economato.
Pregasi, inoltre, di curare che sulle due destinate alle corrispondenze - razzo venga apposta a vernice o con apposito avviso, particolare indicazione, precisando che gli speciali aerogrammi filatelici, forniti dalla Società organizzatrice, dovranno essere muniti oltrechè della normale affrancatura, anche di regolare sopratassa di trasporto aereo e che, trattandosi di un esperimento di cui non sono prevedibili i risultati, l'Amministrazione non assume nessuna responsabilità per tale eccezionale trasporto.
Come già fatto presente, tali corrispondenze dovranno essere obliterate in partenza col bollo concesso all'Ufficio Provvisorio nonchè recare l'applicazione di apposito timbro lineare:
"Esperimento volo a razzo San Remo - Bordighera" già ordinato da questa Direzione e che sarà inviato entro domani.
Anche questo timbro che, ripetesi, non dovrà essere usato per obliterare i francobolli, sarà quindi restituito a manifestazione conclusa, per l'inoltro al Museo P.T. in Roma.
Si conferma l'autorizzazione di trasferire il servizio provvisorio domenica prossima dalle ore 10 alle 11,30 sul campo Golf, da dove avverrà il lancio del ripetuto razzo.
Se non ancora provveduto, pregasi invitare la Società Filatelica "Costa d'Oro" a versare al Gestore Provinciale la somma di L. 6.000 per quota di surrogazione, ai sensi della legge 28/7/1950, N° 689.
Favorisca cenno di assicurazione.
IL DIRETTORE PROVINCIALE"

Tutto quindi era stato predisposto: organizzazione logistica, autorizzazione delle Autorità Postali, mancava solo il razzo.
Partito da Amsterdam e diretto a San Remo via Francia, era stato trattenuto nei pressi della frontiera con l'Italia, precisamente a Nizza.
La vera ragione di questo intoppo non è mai stata chiarita: alcune voci dissero che sia stata una banale svista che aveva relegato il collo contenente il razzo in un punto dimenticato dell'ufficio bagagli di Nizza Ferrovia.
Altre voci dissero invece che ciò fosse un pretesto delle Autorità Militari che volevano vedere con più chiarezza di cosa realmente si trattasse.
 

Fonte: Silvia Vaccari

Fatto sta che il lancio non si fece: dei 2.000 aerogrammi preparati per il lancio solo una cinquantina vennero annullati e inoltrati via terra dall'Ufficio Postale Provvisorio.
La rimanenza degli aerogrammi nuovi e i 24.000 chiudilettera triangolari preparati per ricordare l'avvenimento in 3.000 foglietti di 8 chiudilettera ciascuno vennero, nel tempo, assorbiti dal mercato filatelico.
Oggi raramente questo materiale di indubbio interesse appare sul mercato, e quando appare realizza delle interessanti quotazioni.
Antonio A. Piga, Posta razzo. La storia del lancio mancato San Remo - Bordighera, Storia postale e filatelia
 

Italia - 1950 - A. de Bruijn - primo esperimento di posta razzo Sanremo-Bordighera - blocco foglietto. Fonte: Silvia Vaccari

Italia - 1950 - A. de Bruijn - primo esperimento di posta razzo Sanremo-Bordighera - blocco foglietto completo da 6 erinnofili triangolari, con fondo rosso (e non azzurro) e scritte rosse - il lancio doveva avvenire il 10.12.1950 da Sanremo in Val Nervia (Bordighera), per una distanza di quasi 11 km, in occasione della V Mostra Filatelica Internazionale di Sanremo. Nonostante fosse tutto predisposto, il razzo (di produzione olandese), partito da Amsterdam e diretto a Sanremo via Francia, fu bloccato a Nizza, portando all'annullamento dell'esperimento che prevedeva l'invio di 2.000 razzogrammi. Si conoscono pochissimi esemplari del foglio completo in questa versione - ottima qualità.
Silvia Vaccari, Blocco foglietto completo da 6 erinnofili triangolari, Posta aerea e Spazio

Camporosso (IM): al di là del torrente Nervia, un'altra area delle Braie una volta in parte occupata dal campo di aviazione

La "Posta per Razzo" è oggetto di collezionismo specializzato nell'ambito dell'Astrofilatelia, classe filatelica internazionale a se stante, esistente dal 1980. Le lettere trasportate con i razzi postali non sono molte ma sono distribuite su circa 1000 voli tra il 1928 ed il 1965 effettuati da alcune nazioni con qualche tipo di riconoscimento postale. Le nazioni rilevanti per questo genere di posta sono l'Austria, l'Australia, l'India, la Germania, l'Olanda e Cuba, ma molte altre nazioni, compresa l'Italia, hanno effettuato esperimenti e lanci ripetuti con alterno successo. La posta degli anni 1928/45 è rara e ben valutata, quella successiva non solo è quantitativamente maggiore ma è anche stata in molti casi prodotta a scopo e per il mercato filatelico. La posta per razzo in qualsiasi caso precorre la posta spaziale e cosmica che potrebbe avere un futuro molto grandioso se l'interesse postale si sposterà dalla terra alle stazioni orbitanti nello spazio e ai pianeti del nostro sismena solare.
Giovanni Riggi di Numana, Lessico filatelico italiano, il postalista

Fonte: Luigi Bussolino, op. cit. infra, pubblicata in Federazione fra le Società Filateliche Italiane

Luigi Bussolino (ho messo qui sopra copia della prima pagina del suo documento da cui traggo le seguenti informazioni), collezionista di astrofilatelia,  scrive di un esperimento di posta razzo fatto dal costruttore olandese A.J. De Bruijn dello Studio N.R.S. a Sanremo già il 16 marzo 1947: nell'occasione furono spedite una ventina di buste e 47 cartoline di Sanremo ed il razzo volò con successo per circa tre chilometri. Aggiunge altri particolari tecnici - cartoline con il tricolore italiano ed un erinnofilo da 5 guilders con scritto "Nederland 1947", con il nome del razzo, "Peace", e una sovrastampa "Italia"; annullo del 17 marzo 1947 della Seconda Mostra Internazionale Filatelica di Sanremo  - ma non indica il tragitto preciso del mezzo. Bussolino attribuisce al signor A.J. De Bruijn anche il tentativo del dicembre 1950: «il razzo non arrivò mai, trattenuto dalle dogane francesi sul loro territorio. Sulle buste comunque annullate venne apposto il timbro nero "Esperimento di posta razzo - Annullato". Maggio 1951. Sanremo. Altro tentativo del costruttore olandese A.J. De Bruijn. Questa volta furono preparati degli erinnofili triangolari rosso marrone con la stessa dicitura di quello precedente ma di colore marrone con annullo circolare nero "Esperimento di posta razzo maggio 1951" ed un cachet ovale in rosso "Razzo Italiac" e la data del 6 maggio 1951. E delle bustine di piccolo formato con la scritta "Primo volo sperimentale posta per razzo Sanremo-Bordighera" ed a lato "Trasportato con il razzo postale Italiac". L'esperimento ebbe esito positivo: il razzo volò per circa 10 km e furono trasportate 72 buste e 6 cartoline che furono distribuite tramite posta: sul retro appare la scritta "Razzo postale  - 6-5-1951. Arrivo.». Il sig. Bussolino afferma, dunque, che nel 1947 e nel 1951 due tentativi di razzo posta, con partenza da Sanremo e sempre sotto l'egida del sig. A.J. De Bruijn, andarono a segno. Rimane da capire se in entrambi i casi la destinazione - non specificata dall'autore -  era stata - come una certa logica imporrebbe - il campo di aviazione delle Braie di Camporosso: non ho trovato altre fonti in proposito. Aggiungo, in ogni caso, qui di seguito immagini - mutuate dal lavoro di Bussolino - di carattere filatelico, riferite alle riuscite esperienze del 1947 e del 1951.
Adriano Maini 
 
1947. Fonte: Luigi Bussolino, op. cit.

1947. Fonte: Luigi Bussolino, op. cit.

1951. Fonte: Luigi Bussolino, op. cit.

1951. Fonte: Luigi Bussolino, op. cit.