Imperia: uno scorcio dell'ormai dismessa stazione ferrovaria di Oneglia in occasione della sosta di un treno d'epoca |
I nostri affezionati lettori dimostrano di avere gradito la pubblicazione della “lettera aperta” indirizzata dal Commendator Luigi Ivo Bensa, non dimenticato Presidente del Comitato Provinciale del C.O.N.I, con cui questo eminente concittadino ha richiesto l’intitolazione di una via o piazza di Imperia a Monsignor Mario Jsmaele Castellano.
Qualora egli riuscisse nel suo lodevole intento, finiremmo per condividere la sorte del nostro amico Giovanni Donaudi, che reca il nome di una via di Porto Maurizio, in realtà intestata all’omonimo bisnonno, insigne storico locale.
Dicono che dopo l’inoltro della missiva, il Commendator Bensa si sia rinchiuso prudentemente in casa: forse il noto dirigente sportivo tema di avere contrariato il suo ex Vice Presidente Carlo Brioglio, fedelissimo del Sindaco Scajola, nonché lo stesso Primo Cittadino, l’uno e l’altro presi di contropiede da una iniziativa ritenuta “eversiva” (?!).
Lasciamo comunque il nostro amico alla sua volontaria reclusione, per dedicarci piuttosto a rievocare - a gentile richiesta - i legami che univano Monsignor Mario Jsmaele Castellano con la Patria di origine.
Su quelli stabiliti con Siena, sua Città di adozione, sono state scritte intere biblioteche.
La biografia dell’Arcivescovo assomiglia dunque a quella di Garibaldi, in cui non mancano periodi oscuri.
Le reliquie di Monsignor Castellano custodite ad Oneglia sono collocate in due luoghi distinti. Uno di essi - l’unico accessibile al pubblico - religioso per eccellenza, cioè la sacrestia della Chiesa della Santissima Annunziata, già officiata dai Padri Minimi di San Francesco da Paola, della cui presenza nella nostra Città il Presule domenicano fu attento storiografo; l’altro è invece tipicamente profano, ed anzi riconducibile al Vizio Capitale della Gola, cioè il noto Ristorante “Chez Braccioforte”, gestito dal nostro amico Osvaldo Martini Tiragallo.
Si tratta in entrambi i casi di autografi, il secondo dei quali dal contenuto decisamente poco attinente con le cose dell’anima, nel quale Monsignor Castellano testimonia per iscritto, nell’album degli ospiti illustri, il proprio apprezzamento per l’ottima cucina del locale.
Trovandoci in visita ad Aversa, abbiamo potuto vedere di meglio (o di peggio, a seconda dei punti di vista): campeggiava in un ristorante del luogo un ritratto con dedica dell’Ordinario locale, esposto alla venerazione dei fedeli e dei buongustai: pare che il Vescovo fosse un assiduo frequentatore di questo tempio della cucina.
Nel bar antistante l’ingresso al Santuario di Pompei, fanno invece bella mostra di sé le maglie autografate di Maradona, Careca ed altri illustri giocatori del Napoli, racchiusi in apposite teche di cristallo ed oggetto di una venerazione feticistica.
Non si capisce se la Madonna estenda la sua protezione alla squadra, o se invece i pedatori vengano considerati alla stregua di Compatroni.
La presenza di un autografo di Monsignor Castellano nel Ristorante “Chez Braccioforte”, che sta alla cucina ligure come il Santuario di Pompei sta alla devozione partenopea, ha origini storiche ben precise.
Nei primi Anni Sessanta, l’allora giovanissimo Osvaldo Martini si accingeva all’ingrato lavoro di marinaio “alla busca”: con tale ispanismo si designano i marittimi in cerca di imbarchi occasionali, essendo privi di un contratto con un armatore.
A questo punto, però, accadde un miracolo.
Il padre di Osvaldo Martini si rivolse ad un nostro concittadino, tale Nino Ardissone, noto in Città con il volgarissimo soprannome di “Cagasso”, legato da fraterna amicizia con Monsignor Castellano.
In un breve volgere di tempo, il ragazzo vene assunto dalle Linee Costa di Genova, in cerca di dipendenti dalle credenziali religiose inappuntabili.
Quelle di Martini vennero spudoratamente falsificate, appartenendo a una famiglia di socialisti notoriamente atei ed anticlericali.
Perfino la sua età anagrafica venne occultata: il nostro amico non aveva infatti ancora maturato quella minima richiesta per il rilascio del Libretto di Navigazione.
L’evento, ritenuto subito miracoloso dalla “vox populi”, fece sì che Monsignor Castellano fosse in breve circondata dalla fama di una sorta di taumaturgo dei raccomandati.
Si diffuse perfino la credenza che egli fosse in grado di fare entrare in Banca i Ragionieri, il che all’epoca costituiva - in questo campo - l’equivalente della scalata dell’Everest.
I pellegrinaggi dei postulanti, tutti debitamente muniti di regali, dapprima a Roma, e poi a Siena si moltiplicarono, con grande beneficio per la Mensa Vescovile e per il turismo all’ombra della Torre del Mangia.
Perfino la squadra di calcio dell’Imperia, in trasferta nella Città del Palio, si recò ad impetrare la protezione dell’Ordinario, che però non servì a nulla: i “Nerazzurri” persero infatti disastrosamente contro i “Bianconeri” del Siena.
I nostri colori locali erano però già stati abbondantemente beneficiati da Monsignor Castellano quando la nostra squadra era stata squalificata per un grave illecito sportivo: attraverso una sorta di “Catena di Sant’Antonio che passava per Giulio Andreotti e per il Presidente del C.O.N.I. Onesti, il Vescovo riuscì ad ottenere l’indulto.
Tale capolavoro innalzò al rango di raccomandati con “esito positivo” (questa è la denominazione in uso nel linguaggio delle Segreterie Particolari) tutti quanti i concittadini.
I nostri antenati, al tempo della Repubblica di Genova, erano riusciti ad ottenere dalla “Dominante” l’inserimento di Oneglia nel sistema portuale che univa l’intero Antico Stato.
L’ultimo Doge, Claudio Burlando, perpetrando a nostro danno una efferata nemesi storica, ha convertito tutti gli scali nei famigerati “porticcioli turistici”, concludendo così ingloriosamente la traiettoria millenaria della Liguria.
Al tempo della Restaurazione, quando la nostra Regione venne annessa al Regno di Piemonte, fu rivendicato un nuovo tracciato della Via Aurelia: quello precedente era rimasto praticamente invariato dal tempo dell’antica Roma.
Gli abitanti si diedero ad organizzare dei sabotaggi della viabilità e dei blocchi stradali, fino a quando il Re Carlo Felice decise di accontentarli.
L’Unità d’Italia portò a sua volta alla realizzazione delle ferrovia da Genova a Ventimiglia.
Dopo la guerra, si cominciò a richiedere l’inserimento del Ponente nella rete autostradale europea.
La situazione si fece minacciosa per l’ordine pubblico, e Monsignor Castellano impiegò tutta la propria influenza affinché la richiesta dei concittadini di origine fosse accolta.
I suoi incontri con il leggendario Ingegner Bruni, che per conto della Società Autostrade doveva realizzare la nuova opera, avvenivano paradossalmente a bordo dei treni, su cui entrambi si imbarcavano a Pisa, viaggiando insieme fino a Genova.
In tal modo risparmiavano del tempo prezioso e si sottraevano agli occhi indiscreti.
Un altro personaggio con cui Monsignor Castellano intratteneva un rapporto semi clandestino era il Direttore Generale del Banco d’Imperia, tale Dottor Orengo, che egli incontrava nel suo ufficio sempre in ora antelucana.
Con il Parroco, Monsignor Orazio Boeri, le conversazioni avvenivano invece pubblicamente nella sacrestia della nostra Collegiata Insigne di San Giovanni Battista.
Sporadici e freddi furono invece sempre i rapporti coi diversi Sindaci di Imperia: al Vescovo, sempre sospettoso nei riguardi dello Stato Unitario - Monsignor Castellano avversò sempre il Cattolicesimo liberale - interessava soltanto il potere economico, quello finanziario e - naturalmente - quello religioso.
Il potere politico era visto da lui come estraneo.Il successo ottenuto con la costruzione della “autostrada dei Fiori” venne ottenuto passando sopra alla classe dirigente ligure, anche quella di estrazione cattolica.
Quando Paolo Emilio Taviani lo fece nominare Commendatore dell’Ordine al Merito della Repubblica, Monsignor Castellano rifiutò di ringraziarlo.
Soltanto nei suoi ultimi anni, egli venne ricevuto ufficialmente in Municipio, in occasione della commemorazione di Don Giuseppe Abbo, detto “il Santo”, confidente della sua vocazione religiosa e caduto eroicamente nel bombardamento del Carcere Penale di Oneglia, che egli - in qualità di Cappellano - non aveva voluto abbandonare.
Il periodo senile di Monsignor Castellano fu contrassegnato da un “descensus Averni” fatto di pranzi elettorali in onore della nipote.
Con la famiglia dell’Onorevole Alessandro Natta eravamo legati da una lontana parentela.
I due illustri concittadini non si erano però mai incrociati.
Fino a quando Natta, in qualità di Segretario del Partito, visitando Siena venne informato dai compagni locali della pesante situazione debitoria in cui versava l’Arcidiocesi nei riguardi del Monte dei Paschi.
A questo evento, Monsignor Castellano dovette la sua digestione normale.
Nel senso letterale del termine, dato che il Direttore Generale dell’Istituto di Credito - non sappiamo se per comodità o per perfidia - gli telefonava regolarmente all’ora di pranzo, intimandogli di “rientrare” per somme di cui il povero Arcivescovo non disponeva.
Natta ordinò tassativamente che l’intero debito venisse condonato, e che anzi venissero aperte nuove linee di credito in favore del concittadino.
Indi, si recò di persona a dargliene il lieto annunzio.
In cambio, veniva richiesta una particolare benevolenza per la nipote.
Passati entrambi gli zii a miglior vita, la sua carriera politica finì in breve tempo.
Tanto alla nostra Città, quanto alla nostra famiglia ben si attagliano i versi di Padre Dante: “Se tu riguardi Luni ed Urbisaglia come son ite, e come se ne vanno di dietro a loro Chiusi e Senigallia, udir come le schiatte si disfanno, non ti parrà nuova cosa né forte che le cittadi termine hanno”.
Occorre ricordare come in realtà l’eredità spirituale raccolta da Monsignor Castellano - benché da lui indubbiamente accresciuta - fosse già cospicua.
La nonna, Bianca Perasso - rimasta vedova molto giovane con il peso di due figli, Carlo, eroe della Grande Guerra, e Giuseppe, padre di Monsignore - era una Perasso di Genova, appartenente ad una illustre famiglia di impresari teatrali, ed asseriva figurasse tra i suoi antenati quel Giovanni Battista Perasso, detto “Balilla”, che aveva scagliato il sasso a Portoria gridando “Che l’inse?” e dando inizio alla rivolta contro gli Austriaci del 1746.
Giuseppe Castellano, padre di Jsmaele, entrato nell’Ordine dei Predicatori con il nome di “Padre Mario”, in gioventù era stato un libero pensatore, un libertino, un gaudente, tutto fuorché uno spirito religioso.
Le crisi mistiche dell’andropausa furono tutt’altro che disinteressate, essendosi deciso di mettere a beneficio della famiglia la carriera ecclesiastica del figlio.
Giuseppe Castellano, ancora giovanissimo, fu tra i primi collaboratori di Paolo Agnesi, protagonista della Rivoluzione Industriale ad Oneglia fin da quando aveva trasformato il molino artigianale della famiglia (situato in origine a Pontedassio) in una grande fabbrica di pasta.
Poco dopo, però, essendosi sposato a soli diciannove anni con una donna di diciotto, Rosalinda Martino, nostro nonno decise di mettersi in proprio.
L’impresa, essendo del tutto privo di un capitale iniziale, sembrava disperata, ma il giovane imprenditore non si perse d’animo.
Andò dunque fino in Sicilia, nella zona cerealicola di Pachino, dove un grande proprietario terriero, avendo ricevuto quale unica garanzia la tradizionale condivisione del pane e del sale - decise di fargi credito.
Da allora, le derrate destinate alla ditta di famiglia presero ad arrivare nello scalo merci di Oneglia portate da treni interi.
Giuseppe Castellano divenne proprietario di una delle tre vetture private che circolavano in città prima della guerra, ed essendo rimasto per tutta la vita privo di patente assunse un autista.
Dimenticavamo di dire che aveva soltanto la Licenza Elementare: essendo però autodidatta, aveva acquisito una notevole cultura letteraria recitando per nelle filodrammatiche.
Questo rimase il suo unico “hobby”, che gli permise però di conoscere i grandi attori del tempo, quando venivano in città per recitare nel Teatro “Umberto I”, di proprietà dei cugini Perasso.
Suo figlio ebbe la sventurata idea di imitarlo negli affari, ma per fortuna si era fatto frate.
Nelle questioni finanziarie, Monsignor Castellano combinò soltanto dei disastri.
L’altra sua fortuna fu l’incontro provvidenziale avvenuto a Siena con il cugino Alessandro Natta.
Le vie del Signore sono veramente infinite.
Mario Castellano, L’arcivescovo Castellano e i suoi inattesi parenti, Alessandro Natta compreso, FarodiRoma, 17 marzo 2019
Qualora egli riuscisse nel suo lodevole intento, finiremmo per condividere la sorte del nostro amico Giovanni Donaudi, che reca il nome di una via di Porto Maurizio, in realtà intestata all’omonimo bisnonno, insigne storico locale.
Dicono che dopo l’inoltro della missiva, il Commendator Bensa si sia rinchiuso prudentemente in casa: forse il noto dirigente sportivo tema di avere contrariato il suo ex Vice Presidente Carlo Brioglio, fedelissimo del Sindaco Scajola, nonché lo stesso Primo Cittadino, l’uno e l’altro presi di contropiede da una iniziativa ritenuta “eversiva” (?!).
Lasciamo comunque il nostro amico alla sua volontaria reclusione, per dedicarci piuttosto a rievocare - a gentile richiesta - i legami che univano Monsignor Mario Jsmaele Castellano con la Patria di origine.
Su quelli stabiliti con Siena, sua Città di adozione, sono state scritte intere biblioteche.
La biografia dell’Arcivescovo assomiglia dunque a quella di Garibaldi, in cui non mancano periodi oscuri.
Le reliquie di Monsignor Castellano custodite ad Oneglia sono collocate in due luoghi distinti. Uno di essi - l’unico accessibile al pubblico - religioso per eccellenza, cioè la sacrestia della Chiesa della Santissima Annunziata, già officiata dai Padri Minimi di San Francesco da Paola, della cui presenza nella nostra Città il Presule domenicano fu attento storiografo; l’altro è invece tipicamente profano, ed anzi riconducibile al Vizio Capitale della Gola, cioè il noto Ristorante “Chez Braccioforte”, gestito dal nostro amico Osvaldo Martini Tiragallo.
Si tratta in entrambi i casi di autografi, il secondo dei quali dal contenuto decisamente poco attinente con le cose dell’anima, nel quale Monsignor Castellano testimonia per iscritto, nell’album degli ospiti illustri, il proprio apprezzamento per l’ottima cucina del locale.
Trovandoci in visita ad Aversa, abbiamo potuto vedere di meglio (o di peggio, a seconda dei punti di vista): campeggiava in un ristorante del luogo un ritratto con dedica dell’Ordinario locale, esposto alla venerazione dei fedeli e dei buongustai: pare che il Vescovo fosse un assiduo frequentatore di questo tempio della cucina.
Nel bar antistante l’ingresso al Santuario di Pompei, fanno invece bella mostra di sé le maglie autografate di Maradona, Careca ed altri illustri giocatori del Napoli, racchiusi in apposite teche di cristallo ed oggetto di una venerazione feticistica.
Non si capisce se la Madonna estenda la sua protezione alla squadra, o se invece i pedatori vengano considerati alla stregua di Compatroni.
La presenza di un autografo di Monsignor Castellano nel Ristorante “Chez Braccioforte”, che sta alla cucina ligure come il Santuario di Pompei sta alla devozione partenopea, ha origini storiche ben precise.
Nei primi Anni Sessanta, l’allora giovanissimo Osvaldo Martini si accingeva all’ingrato lavoro di marinaio “alla busca”: con tale ispanismo si designano i marittimi in cerca di imbarchi occasionali, essendo privi di un contratto con un armatore.
A questo punto, però, accadde un miracolo.
Il padre di Osvaldo Martini si rivolse ad un nostro concittadino, tale Nino Ardissone, noto in Città con il volgarissimo soprannome di “Cagasso”, legato da fraterna amicizia con Monsignor Castellano.
In un breve volgere di tempo, il ragazzo vene assunto dalle Linee Costa di Genova, in cerca di dipendenti dalle credenziali religiose inappuntabili.
Quelle di Martini vennero spudoratamente falsificate, appartenendo a una famiglia di socialisti notoriamente atei ed anticlericali.
Perfino la sua età anagrafica venne occultata: il nostro amico non aveva infatti ancora maturato quella minima richiesta per il rilascio del Libretto di Navigazione.
L’evento, ritenuto subito miracoloso dalla “vox populi”, fece sì che Monsignor Castellano fosse in breve circondata dalla fama di una sorta di taumaturgo dei raccomandati.
Si diffuse perfino la credenza che egli fosse in grado di fare entrare in Banca i Ragionieri, il che all’epoca costituiva - in questo campo - l’equivalente della scalata dell’Everest.
I pellegrinaggi dei postulanti, tutti debitamente muniti di regali, dapprima a Roma, e poi a Siena si moltiplicarono, con grande beneficio per la Mensa Vescovile e per il turismo all’ombra della Torre del Mangia.
Perfino la squadra di calcio dell’Imperia, in trasferta nella Città del Palio, si recò ad impetrare la protezione dell’Ordinario, che però non servì a nulla: i “Nerazzurri” persero infatti disastrosamente contro i “Bianconeri” del Siena.
I nostri colori locali erano però già stati abbondantemente beneficiati da Monsignor Castellano quando la nostra squadra era stata squalificata per un grave illecito sportivo: attraverso una sorta di “Catena di Sant’Antonio che passava per Giulio Andreotti e per il Presidente del C.O.N.I. Onesti, il Vescovo riuscì ad ottenere l’indulto.
Tale capolavoro innalzò al rango di raccomandati con “esito positivo” (questa è la denominazione in uso nel linguaggio delle Segreterie Particolari) tutti quanti i concittadini.
I nostri antenati, al tempo della Repubblica di Genova, erano riusciti ad ottenere dalla “Dominante” l’inserimento di Oneglia nel sistema portuale che univa l’intero Antico Stato.
L’ultimo Doge, Claudio Burlando, perpetrando a nostro danno una efferata nemesi storica, ha convertito tutti gli scali nei famigerati “porticcioli turistici”, concludendo così ingloriosamente la traiettoria millenaria della Liguria.
Al tempo della Restaurazione, quando la nostra Regione venne annessa al Regno di Piemonte, fu rivendicato un nuovo tracciato della Via Aurelia: quello precedente era rimasto praticamente invariato dal tempo dell’antica Roma.
Gli abitanti si diedero ad organizzare dei sabotaggi della viabilità e dei blocchi stradali, fino a quando il Re Carlo Felice decise di accontentarli.
L’Unità d’Italia portò a sua volta alla realizzazione delle ferrovia da Genova a Ventimiglia.
Dopo la guerra, si cominciò a richiedere l’inserimento del Ponente nella rete autostradale europea.
La situazione si fece minacciosa per l’ordine pubblico, e Monsignor Castellano impiegò tutta la propria influenza affinché la richiesta dei concittadini di origine fosse accolta.
I suoi incontri con il leggendario Ingegner Bruni, che per conto della Società Autostrade doveva realizzare la nuova opera, avvenivano paradossalmente a bordo dei treni, su cui entrambi si imbarcavano a Pisa, viaggiando insieme fino a Genova.
In tal modo risparmiavano del tempo prezioso e si sottraevano agli occhi indiscreti.
Un altro personaggio con cui Monsignor Castellano intratteneva un rapporto semi clandestino era il Direttore Generale del Banco d’Imperia, tale Dottor Orengo, che egli incontrava nel suo ufficio sempre in ora antelucana.
Con il Parroco, Monsignor Orazio Boeri, le conversazioni avvenivano invece pubblicamente nella sacrestia della nostra Collegiata Insigne di San Giovanni Battista.
Sporadici e freddi furono invece sempre i rapporti coi diversi Sindaci di Imperia: al Vescovo, sempre sospettoso nei riguardi dello Stato Unitario - Monsignor Castellano avversò sempre il Cattolicesimo liberale - interessava soltanto il potere economico, quello finanziario e - naturalmente - quello religioso.
Il potere politico era visto da lui come estraneo.Il successo ottenuto con la costruzione della “autostrada dei Fiori” venne ottenuto passando sopra alla classe dirigente ligure, anche quella di estrazione cattolica.
Quando Paolo Emilio Taviani lo fece nominare Commendatore dell’Ordine al Merito della Repubblica, Monsignor Castellano rifiutò di ringraziarlo.
Soltanto nei suoi ultimi anni, egli venne ricevuto ufficialmente in Municipio, in occasione della commemorazione di Don Giuseppe Abbo, detto “il Santo”, confidente della sua vocazione religiosa e caduto eroicamente nel bombardamento del Carcere Penale di Oneglia, che egli - in qualità di Cappellano - non aveva voluto abbandonare.
Il periodo senile di Monsignor Castellano fu contrassegnato da un “descensus Averni” fatto di pranzi elettorali in onore della nipote.
Con la famiglia dell’Onorevole Alessandro Natta eravamo legati da una lontana parentela.
I due illustri concittadini non si erano però mai incrociati.
Fino a quando Natta, in qualità di Segretario del Partito, visitando Siena venne informato dai compagni locali della pesante situazione debitoria in cui versava l’Arcidiocesi nei riguardi del Monte dei Paschi.
A questo evento, Monsignor Castellano dovette la sua digestione normale.
Nel senso letterale del termine, dato che il Direttore Generale dell’Istituto di Credito - non sappiamo se per comodità o per perfidia - gli telefonava regolarmente all’ora di pranzo, intimandogli di “rientrare” per somme di cui il povero Arcivescovo non disponeva.
Natta ordinò tassativamente che l’intero debito venisse condonato, e che anzi venissero aperte nuove linee di credito in favore del concittadino.
Indi, si recò di persona a dargliene il lieto annunzio.
In cambio, veniva richiesta una particolare benevolenza per la nipote.
Passati entrambi gli zii a miglior vita, la sua carriera politica finì in breve tempo.
Tanto alla nostra Città, quanto alla nostra famiglia ben si attagliano i versi di Padre Dante: “Se tu riguardi Luni ed Urbisaglia come son ite, e come se ne vanno di dietro a loro Chiusi e Senigallia, udir come le schiatte si disfanno, non ti parrà nuova cosa né forte che le cittadi termine hanno”.
Occorre ricordare come in realtà l’eredità spirituale raccolta da Monsignor Castellano - benché da lui indubbiamente accresciuta - fosse già cospicua.
La nonna, Bianca Perasso - rimasta vedova molto giovane con il peso di due figli, Carlo, eroe della Grande Guerra, e Giuseppe, padre di Monsignore - era una Perasso di Genova, appartenente ad una illustre famiglia di impresari teatrali, ed asseriva figurasse tra i suoi antenati quel Giovanni Battista Perasso, detto “Balilla”, che aveva scagliato il sasso a Portoria gridando “Che l’inse?” e dando inizio alla rivolta contro gli Austriaci del 1746.
Giuseppe Castellano, padre di Jsmaele, entrato nell’Ordine dei Predicatori con il nome di “Padre Mario”, in gioventù era stato un libero pensatore, un libertino, un gaudente, tutto fuorché uno spirito religioso.
Le crisi mistiche dell’andropausa furono tutt’altro che disinteressate, essendosi deciso di mettere a beneficio della famiglia la carriera ecclesiastica del figlio.
Giuseppe Castellano, ancora giovanissimo, fu tra i primi collaboratori di Paolo Agnesi, protagonista della Rivoluzione Industriale ad Oneglia fin da quando aveva trasformato il molino artigianale della famiglia (situato in origine a Pontedassio) in una grande fabbrica di pasta.
Poco dopo, però, essendosi sposato a soli diciannove anni con una donna di diciotto, Rosalinda Martino, nostro nonno decise di mettersi in proprio.
L’impresa, essendo del tutto privo di un capitale iniziale, sembrava disperata, ma il giovane imprenditore non si perse d’animo.
Andò dunque fino in Sicilia, nella zona cerealicola di Pachino, dove un grande proprietario terriero, avendo ricevuto quale unica garanzia la tradizionale condivisione del pane e del sale - decise di fargi credito.
Da allora, le derrate destinate alla ditta di famiglia presero ad arrivare nello scalo merci di Oneglia portate da treni interi.
Giuseppe Castellano divenne proprietario di una delle tre vetture private che circolavano in città prima della guerra, ed essendo rimasto per tutta la vita privo di patente assunse un autista.
Dimenticavamo di dire che aveva soltanto la Licenza Elementare: essendo però autodidatta, aveva acquisito una notevole cultura letteraria recitando per nelle filodrammatiche.
Questo rimase il suo unico “hobby”, che gli permise però di conoscere i grandi attori del tempo, quando venivano in città per recitare nel Teatro “Umberto I”, di proprietà dei cugini Perasso.
Suo figlio ebbe la sventurata idea di imitarlo negli affari, ma per fortuna si era fatto frate.
Nelle questioni finanziarie, Monsignor Castellano combinò soltanto dei disastri.
L’altra sua fortuna fu l’incontro provvidenziale avvenuto a Siena con il cugino Alessandro Natta.
Le vie del Signore sono veramente infinite.
Mario Castellano, L’arcivescovo Castellano e i suoi inattesi parenti, Alessandro Natta compreso, FarodiRoma, 17 marzo 2019