sabato 21 novembre 2020

Una soluzione per la vita in un'Africa immaginata

Fonte: Wikipedia

[...] Quando come componente della giuria del premio di Pieve Santo Stefano (la città dei diari) ho letto quello di Giacomo Agnese vi ho trovato tre motivi di grande interesse: uno attiene alla storia privata, due a quella pubblica. Il primo è una significativa storia familiare nell'Italia fascista degli "anni del consenso", quelli della più fortunata tra le "guerre del duce", come le definisce lo storico inglese Dennis Mack Smith. Si tratta della guerra d'Etiopia 1935/36 per la quale l'A. parte volontario nella divisione camicie nere "28 ottobre" con un rapporto familiare contrassegnato alla disapprovazione del padre vecchio socialista, e dall'amore della moglie, testimoniato da una costante corrispondenza. La partecipazione a un'impresa verso la quale lo spingono la retorica patriottica e anche un certo spirito d'avventura dà luogo, al di là della vicenda familiare, a un diario che permette di cogliere, attraverso Agnese, due aspetti importanti della campagna d'Etiopia: la sua impostazione complessiva e uno degli scontri più duri, la battaglia di Passo Uarieu. Si è detto che la campagna ha costituito la più fortunata delle "guerre del duce", anche per la sua accurata preparazione logistica. Nonostante questo, l'esperienza di Agnese corregge in parte questa immagine, sovente accettata anche dalla storiografia post-fascista. In realtà, se la preparazione fu effettivamente accurata (Mussolini temeva lo spettro di Adua, 1896), gli inconvenienti furono rilevanti: i conquistatori dell'impero venivano riforniti con difficoltà, spesso saltavano il rancio e pasteggiavano usando l'olio lubrificante,sottratto al suo scopo naturale [...]  Giorgio Galli

A leggere queste pagine di diario mi è tornata di colpo viva davanti agli occhi l'immagine di Giacomo Agnese, quando nei primi anni trenta ad Oneglia faceva l'istruttore, credo, degli avanguardisti marinaretti. Era fascista, e a me visto da lontano non piaceva anche perché era il tempo in cui io cercavo di sfuggire agli obblighi e alle pratiche del servizio premilitare di allora, ed un anno, nel 1933 mi pare, venni persino rinviato ad ottobre in ginnastica, proprio per richiamarmi all'ordine, tra la sorpresa e lo sdegno contenuto di parecchi insegnanti delle magistrali, che fascisti lo erano poco, o per nulla affatto. Poi il caso o la fatalità ha intrecciato in qualche misura le vicende della sua vita con il fatto che per me è stato e resta il più doloroso della mia esistenza. Agnese era capitano di lungo corso. Aveva studiato all'istituto nautico di Porto Maurizio. Anche mio fratello Lucio, più giovane di lui di due anni, aveva seguito gli stessi studi, ma non si era diplomato. Non posso dire se fra loro vi fosse un particolare legame, ma certo esisteva un rapporto di amicizia, e Ferruccio Bettoni, di cui Agnese parla con molto affetto nel diario, era anche molto vicino a mio fratello. E soprattutto io ritengo che fossero entrambi, in quella realtà angusta e penosa dell'Italia degli anni trenta, in una eguale condizione di frustrazione e di incertezza. Agnese aveva navigato per qualche anno, mio fratello, dopo il servizio militare in marina, aveva girovagato un poco in Francia, tra Nizza e Marsiglia. Né l'uno né l'altro, però, avevano voluto decidersi per una scelta pur possibile, quella di vivere sul mare, nella marina mercantile o in quella militare. Ora, tornati nell'orizzonte ristretto di Oneglia, l'assillo era non già quello del campare, anche se Agnese aveva già messo su famiglia con la Lina, ma quello più arduo dell'avvenire, delle prospettive per dei giovani senza alcun dubbio dotati di intelligenza, di una forte carica vitale ed anche di qualche ambizione. Nel 1934-'35 il capitano Agnese, suppergiù come mio fratello ed altri della loro generazione, è alla ricerca di un varco che lo conduca fuori della mediocrità, del soffocante tran tran provinciale. Lui ha già fatto da qualche tempo una scelta politica netta, quella del fascismo e in contraddizione e contrasto con le idee socialiste del padre, che non capisce e non approva. Io non ricordo che mio fratello, Lucio, anche lui di una famiglia di tradizione socialista e comunista, se si vuole divisa tra Amedeo Bordiga e G.M. Serrati, avesse compiuto in quegli anni un cambiamento di rotta, una qualche conversione delle idee e delle posizioni. Eppure egli scelse con Agnese e con altri amici di scuola e d'avventura di andare in Africa a far la guerra, come volontario, come camicia nera. L'interrogativo stupefatto e sconcertante che mi ha tormentato per anni è rimasto, nel suo caso senza risposta perchè mio fratello cadde il 21 gennaio del '36 nella battaglia di Passo Uarieu, come Agnese ricorda. Ma forse questo diario e le sue lettere dalla lunga prigionia in India, tra il 1941 e il '46, una qualche spiegazione possono darla per entrambi. La scelta che determinò l'avventura breve e tragica di mio fratello e l'odissea lunga e penosa di Agnese non fu tanto l'ubriacatura del fascismo, il mito della guerra di conquista, quanto piuttosto l' Africa, il miraggio di un grande, aperto orizzonte, di una soluzione per la vita in un'Africa immaginata, penso, un po' come il Far West! Quando Agnese tornò in Italia dopo un travaglio acutissimo, perchè egli era una persona seria e onesta e fu autentico e limpido in ogni momento della sua vita, io non ebbi difficotà a capire la sua evoluzione egli fui schiettamente amico, quando decise di militare nel partito comunista, senza alcun residuo di diffidenze e di ruggini antiche. E perché mai del resto? Pensavo sempre quando ci incontravamo e lo trovavo così pieno di fervore nella lettura e nel dibattito delle idee, così pronto all'impegno, anche umile, e nello stesso tempo battagliero, che mio fratello se fosse sopravvissuto avrebbe avuto con ogni probabilità un itinerario analogo. Ora che ho letto questo diario, il diario dico prima e più delle lettere, mi è divenuto anche più chiaro che il cambiamento di Agnese non ha nulla di sorprendente,  di improvviso, non appare come il contraccolpo del crollo rovinoso del fascismo e dell'impero.Ciò che mi ha colpito e che ritengo colpirà quanti vorranno leggere queste note è che in esse non c'è nulla di ciò che si poteva pensare di trovare nel diario di un legionario, di un ufficiale delle camicie nere. Qui in questa cronaca asciutta, tesa, non c'è nessuna mitologia della guerra imperiale; non c'è nulla della infatuazione bellicista del fascismo; non ci sono squilli di eroismo. La guerra è vista nella sua realtà effettuale e giudicata per ciò che è, una cosa dura, dolorosa, al di là di ogni logica, come sanno quanti hanno avuto la ventura di dover combattere. La guerra è una marcia estenuante sulle ambe abissine, la guerra è disagio [...] Il padre, che è tornato ad essere un punto di riferimento, egli non lo rivedrà perché muore prima del suo rimpatrio e c'è una nota dolente e chiarificatrice nella lettera del 4 aprile 1946: "... avevo enorme desiderio di rivedere mio padre e parlargli, volevo sdebitarmi moralmente e dargli quelle  soddisfazioni che meritava...". E' passato, dalla partenza per la guerra d'Africa, più di un decennio, terribile per la storia del mondo, dell'Italia, e di intere generazioni. Agnese è un altro uomo, ed altro da ogni punto di vista sembra la nuova stagione che si apre. Ora che siamo nuovamente di fronte ad un passaggio che molti ritengono epocale io penso che sia giusto ricordare, anche attraverso una testimonianza scarna ed essenziale come questo diario. La morale da trarre dalla vicenda del capitano Agnese, non è affatto quella che la storia degli uomini è solo un seguito di errori, di inganni e disinganni. Certo cambiare il mondo è estremamente difficile. Ma non bisogna mai acquietarsi: non bisogna rinunciare mai, anche ricominciando da capo.
Alessandro Natta

[...] 22 settembre XIII
Partiamo all'una, e dopo pochi chilometri lasciamo la rotabile per prendere un sentiero sulla sinistra. All'alba raggiungiamo un valico da dove ci appare un panorama meraviglioso: una breve piana, erbosa e fiorita, è incassata fra alte montagne di roccia, frastagliate e di forma strana. In mezzo alla pianura sopra unagobba del terreno, ecco un paese indigeno, quasi tutto in pietra e alberato, che si chiama Senafé e che una roccia a tre punte sovrasta. Vediamo donne esili e ben fatte, spesso belle. Sulla punta più alta della roccia, denominata della Morte, vediamo una croce che ricorda il sacrificio d'un gruppo di nostri militari, assediati e uccisi lassù nella guerra del 1895. Attraversiamo il paese alle otto e vediamo soldati nostri, stabilimenti militari, cantieri operai, comando di tappa. Ci accampiamo poco distante, in una pianura vasta dove si costruisce un campo d'aviazione. Sulle colline che delimitano la pianura, verso il confine, si scorgono dei folti.
24 settembre XIII
Tutta la divisione si riunisce in questa zona: le legioni 114a e 116a a tre chilometri da noi, verso il confine, e la 180a vicino a noi. In mattinata mi mandano a Senafé, a rintracciare un milite della nostra compagnia, da più giorni mancante. E' A., fratello d'un tenente degli arditi col quale solevo giocare a poker nel caffè Papetto di Porto Maurizio. Giunto in paese, mi metto subito in moto per cercarlo, e intanto approfitto per guardarmi attorno e fare compere; alla fine lo trovo, l'A., lo porto al comando di tappa, lo carico sopra un camion e a mezzogiorno raggiungo il nostro accampamento. Il maggiore lo riceve con una scarica di pugni sulla faccia e poi lo mette al palo. E' giornata di decade, invio a Lina un vaglia di 300 lire e ricevo una sua lettera. La sera, con il collega Battinelli e i militi Zuccheddu e Magaglio, gioco a poker e vinco 20 lire [...]

Il soggiorno di Giacomo in Italia - quello di cui parla nelle ultime righe del suo diario - finirà presto. Ritornerà in Etiopia. E Lina, nel gennaio del '38, incinta, raggiungerà il marito ad Addis Abeba, rimanendovi quattro anni. Sopraggiungerà la seconda guerra mondiale [...] Giacomo sarà catturato durante la battaglia di Cheren, in Eritrea, e farà un lungo viaggio sino a Yol, tra le montagne dell'India, dove resterà in prigionia per cinque anni
[...]
                                                                                                                                                                                                             9 maggio 1945
Carissima,
ho saputo che Oneglia è stata liberata e che tu, la bambina e tutta la famiglia state bene, ma sono ansioso di ricevere presto tue notizie. Dammi anche notizia degli avvenimenti, che noi qui ascoltiamo solo radio Londra, e leggiamo qualche giornale pubblicato in India. Per il 1944, ho ricevuto una tua lettera del maggio e una seconda del 26 settembre, dove mi parli ancora della procura. lo ho provveduto a mandartela appena ricevuta la tua richiesta; fu inviata in Italia tramite le autorità spagnole e se non l'hai ricevuta dimmi se debbo inviartene un'altra. Io da anni faccio la solita vita, ma quanto le mie idee siano cambiate lo avrai capito. Ho passato visita medica internazionale, ma senza risultato. Ho chiesto il rimpatrio perché ho sei persone inabili a carico. So che la liberazione vi porterà nuovi guai economici, ma non importa: porta con mio padre fiori sul monumento ai caduti di Castelvecchio (8) che ricostruiremo.
Tanti baci
Jacques
8) Il monumento portava la scritta "Guerra ai signori della guerra"

[...]

Giacomo Agnese, Dall'Africa all'India (Diario di guerra e lettere: 1935-1946), ed. Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia, 1992

Giacomo Agnese nasce nel 1905 a Pontedassio. Figlio unico d'un minatore e d'una magliaia, in famiglia è chiamato Jacques perchè da bambino è vissuto in Francia, dove i suoi erano emigrati. Ottiene il diploma di capitano all'Istituto Nautico di Porto Maurizio e lavora per tre anni nella Marina Mercantile. Nel 1932 sposa Maria Mezzobusto, detta familiarmente Lina. Nel 1935, disoccupato, fascista già da qualche tempo, decide di partire volontario per la guerra d'Africa, malgrado la disapprovazione del padre socialista. Sulla nave, lungo le marce, dopo gli scontri a fuoco, prende appunti su un diario. Scrive, all'inizio, "gloria al Duce", annota episodi di rilievo e dettagli, inneggia alla "potenza imperiale di domani". Fatto prigioniero, portato in India, scriverà parole molto diverse anni dopo, nelle lettere alla moglie [...]