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Sanremo (IM): Via Mameli
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Se c’è un elemento tipico di questo estremo ovest della
Liguria, un qualcosa che in qualche modo possa contrassegnare il carattere
nazionale delle genti che abitano il Ponente, non sarà difficile - osservando
non solo viaggiatori, letterati, pittori e scienziati ma anche le così dette
persone comuni, che poi comuni non sono - individuare questo elemento nella
follia. Una peculiarità come può essere
quella che - diceva Ruggero Orlando a proposito dei siciliani - è la capacità
di spaccare il capello in quattro, e quindi da lì viene fuori Pirandello, o per
gli irlandesi è il gioco di parole, lo scherzo, il paradosso, e così abbiano i
Wilde e gli Shaw e i Joyce.
Bene, se c’è un
elemento così nel Ponente, una sorta di genius
loci, e questo è la follia, non è allora
una grande follia, intendiamoci, nulla di patologico, nella maggior parte dei
casi. Ma una eccentricità particolare, questo sì, che si aggiunge alla normale
stravaganza, se ci è concesso l’ossimoro, di cui è ammantata la figura
dell’artista o dello studioso, di colui insomma che, ragionando con il proprio
cervello, finisce con l’esulare dalle consuetudini e dalle convenzioni e ad apparire,
come si suol dire, un poco strano. Un’estraneità che appartiene appunto al fare
arte, all’essere in qualche modo in anticipo sui tempi (perché in tal modo li
si sta inventando, i tempi futuri) e a disegnare nuove forme e praticare nuovi
comportamenti. Perché, e la buttiamo lì quasi come una definizione di massima,
l’artista è colui che rifiuta di adagiarsi negli stereotipi e nel già detto e
in qualche modo, col suo cammino, apre nuovi sentieri: adopera il suo ingegno
per scoprire le cose del mondo o trovare le idee nuove.
Ma, abbiamo appena
dichiarato, nel Ponente sembra esserci, come aggravante, un pizzico di deragliamento
in più. Giorgio Bottini, fra l’altro grande conoscitore di musica jazz, parlava
di acetum ligusticum. Non perdiamoci
in lunghi elenchi, ora, ma da Edward Lear a Tommaso Landolfi, da Guido Seborga
a Giacomo Natta, non si può negare che in questa terra nascano, o trovino
ospitalità e rifugio, figure animate da vivaci bizzarrie e spesso anche da un
certo spirito nonsense. Sarà un caso?
Può darsi. Ma anche un Mario Calvino che si mette le bisce e le rane in tasca (va
bene, voleva porsi alla pari coi contadini che incontrava), un Piero
Simondo e una Elena Verrone che festeggiano le loro nozze con qualche giorno di
libagioni in compagnia di alcuni amici, come Guy Debord e Asger Jorn, e già che
ci sono fondano l’Internazionale Situazionista, un Giuseppe Varaldo che scrive
poesie costruendosi delle incredibili gabbie (tipo usare solo una vocale, usare
solo monosillabi e così via), be’, diciamocelo, non sono cose e persone tanto
normali.
Qualcuno potrà obiettare che forme di follia di questo tipo
si trovano un po’ dappertutto, e meno male se le cose stanno così, e che ora
del Ponente ligure vogliamo privilegiare e sottolineare certi aspetti che ci
stanno a cuore. Possiamo anche concederlo, ma ci venga riconosciuto che abbiamo
i nostri buoni motivi per elaborare certe tesi, e fomentarne magari futuri
sviluppi. E chiamiamo qui come testimoni, dunque, due figure sul cui carattere
eccentrico e scanzonato nessuno potrà opporre, pensiamo, dubbi e riserve. Un
sanremese di nascita e uno di adozione: Antonio Rubino e Farfa.
Li accomuna l’umorismo, il gioco, lo spirito infantile. Che
sono cose difficili da praticare, specie in un paese serioso come l’Italia. Se
fai ridere o sei parodico o vai sopra le righe, per ben che ti vada sarai
valutato aprioristicamente un autore minore. “È considerazione corrente -
scrive Sandro Bajini - che gli spettatori, e con essi i critici, siano più
disposti a tollerare una brutta opera seria che una brutta opera comica”.
Ma Farfa e Rubino
hanno altre cose in comune. L’eclettismo, tanto per cominciare, la capacità di
essere poliedrici. Farfa è pittore, poeta, costumista, fotografo, ceramista,
cartellonista, inventore di ricette gastronomiche. Antonio Rubino in un suo
biglietto da visita si definisce giornalista e poeta-pittore ed elenca poi ciò
che può fare: libri, albi, opuscoli, giornali, quadri, illustrazioni, pannelli
decorativi, cartelloni, inserzioni, etichette, marchi di fabbrica, grafici
statistici e dimostrativi, sigle, storielle umoristiche, figurini, scenografie,
stands, per esposizioni, decorazioni
di ambienti, mobili e oggetti decorativi, sagome, progetti di pubblicità. Che è
un elenco incompleto, ovviamente, e noi sappiamo che Rubino ha fatto tante
altre cose, dalle ricette culinarie (anche lui! collaborando per la Cirio e coinvolgendo la
moglie Angiola nella stesura) agli ex-libris, dai disegni per le feste baiocche
a quelli di giochi da tavolo, dalle poesie alle composizioni musicali.
Già, la musica,
altro elemento che appassiona sia Farfa che Rubino. Quest’ultimo è autore di
uno spartito, Il soldato focillato,
su testo scritto quasi sicuramente da Gandolìn. Canzone poi rimaneggiata,
fraintesa, variamente attribuita, ma oggi finalmente restituita in una versione
corretta, che ce ne lascia gustare tutto il sapore di rovesciamento parodico
dei pezzi da cantastorie e il carattere assurdo e vagamente illogico che la
anima (scaturito dall’illogicità di quell’immensa tragedia che fu il primo
conflitto mondiale). Ma - al di là di questo caso - la musica restò sempre un
grande interesse per Rubino (scrisse con Rinaldo Boscetto anche un’operetta, È
arrivato il bello): e
ne troviamo indizi anche nella sua opera figurativa (ad esempio, nel catalogo
visivo di anomali strumenti musicali che compare nella rappresentazione del ciaravuju).
Quando nel 1940
Rubino sottopone al Ministero della Cultura Popolare un Progetto per produzione di cartoni animati italiani allo scopo di
dare un impulso al cinema di animazione, “arte assolutamente nuova” sta
pensando a un’arte filmica fantasiosa, vivace, che si riallacci al clima
fiabesco e colorato delle disneyane Silly
Simphonies. Katia Pizzi (in Mondo
Fanciullo, catalogo della mostra, 2005) racconta qualcosa sullo sviluppo
delle idee di Rubino: “La sua maggior preoccupazione, scrive, è la musica, e, a
tale scopo, si ingegna di inventare una tecnica capace di incorporare,
integrare la musica con le immagini, finendo per inventare una ingegnosa
‘macchina da presa sinalloscopica’ la cui funzione principale, come si evince
dal brevetto, è precisamente quella di integrare, di intessere fra di loro e
senza strappi, colore, musica ed immagini, un marchingegno ch’egli impiega estesamente
nella produzione del suo ultimo film, L’arco
dei sette colori”.
Farfa, da parte sua, oltre all’ipotesi di rifare le
orchestre e di dotarle di nuovi strumenti (Impotenza
istrumentale, su “Savona”, 29 maggio
1951), usa nelle sue poesie stilemi e trovate di chiara derivazione jazz:
in ritmi screpolanti
di jazz jazz jazz jazz
baaaaand
Scriveva Giorgio Rimondi (proprio qui sul “Mellophonium”
nell’aprile 2004) che Farfa, pur amando il melodramma ottocentesco e in
particolare Puccini, aveva “un vivo interesse per la musica sincopata, ancorché
non sistematico e probabilmente dovuto alla percezione di quella forza vitale
che il jazz rappresentava agli occhi dei suoi primi estimatori”. Perché
Il pungolo del candore
singulta nel ritmo del saxofono
e ci dà quella vitalità magari negata da quei
tubi
d’istrumenti musicali
picchianti col fiato
sui timpani degli orecchi
motivi stravecchi
Farfa e Rubino furono due grandi sognatori, che qualcuno
talvolta oggi colloca nel clima culturale del Futurismo. E futurista Farfa lo
fu senz’altro, anche se di quell’ala pacifista, giocherellona, vagamente dada
(alla Palazzeschi, per intenderci) che lo porterà non solo a polemizzare con
Marinetti (“Marcire e non marciare / per non subire le delusioni amare”) ma
infine a essere “recuperato” da surrealisti come Enrico Baj e Arturo Schwarz e
ad entrare nel Collegio di Patafisica. Rubino non fu futurista ma se ne è
notata la vicinanza con alcuni futuristi “fantasiosi”, in particolare con
Fortunato Depero. Ma sono piuttosto imparentabili, Farfa e Rubino, proprio per
il loro fare - diciamolo con un bel bisticcio di parole - indisciplinato e
pluridisciplinare.
E quindi, per
tornare al tema della leggiadra follia degli indigeni, rechiamoci allora in un
luogo per molti aspetti tipico riguardo tale questione. Eccoci all’angolo fra
corso Matteotti e via Mameli, in un locale che si chiama Bar Venezuela. Siamo
negli anni del secondo dopoguerra, anche se questo posto esiste da molto tempo.
Entrate pure, vi facciamo strada. È frequentato da mezzo mondo: impiegati,
croupier, sportivi… C’è il biliardo, e ci sono i separè, dove si va a giocare a
carte (si usano persino i tarocchi) e si fuma tantissimo, tanto che da ogni
separè, come vedete, si leva una colonna di fumo, e allora per la salubrità
dell’aria sono stati battezzati “pinete”. Ecco, siamo già arrivati al dunque:
qui non c’è un modo di parlare “serio” ma c’è l’uso di un linguaggio
metaforico, a tratti grottesco, e le evocazioni strampalate, gli accostamenti
di parole, le battute stralunate. Qui puoi incontrare Floriano Calvino e
Antonio Rubino, Duilio Cossu e Aligi Laura (due personaggi dei racconti che
scrive il fratello di Floriano), Carlo Dapporto, Pippo Barzizza. Non è un
cenacolo culturale ma è molto di più.
La si pensi come si vuole ma ci sono nessi, legami,
influenze, fra tutte queste esperienze: e Farfa che declama le sue poesie scoppiando
a ridere quando recita quella del treno (e siamo proprio qui, c’è il paesaggio
sanremese che si intravede sullo sfondo) lo poniamo come suggello di questo nostro
omaggio all’estrosità e allo spirito ludico di una Liguria che sa essere così
amabilmente anarchica, quando vuole esserlo…
Marco Innocenti, Follia, affinità musicali e suoni futuristi, The Mellophonium
[ altri scritti di Marco Innocenti: articoli in IL REGESTO, Bollettino bibliografico dell’Accademia della Pigna - Piccola Biblioteca di Piazza del Capitolo, Sanremo (IM); Verdi prati erbosi, lepómene editore, 2021; Libro degli Haikai inadeguati, lepómene editore, 2020; Elogio del Sgt. Tibbs, Edizioni del Rondolino, 2020; Flugblätter (#3. 54 pezzi dispersi e dispersivi), Lo Studiolo, Sanremo (IM), 2019; articoli in Sanremo e l'Europa. L'immagine
della città tra Otto e Novecento. Catalogo della mostra (Sanremo, 19
luglio-9 settembre 2018), Scalpendi, 2018; Flugblätter (#2. 39 pezzi più
o meno d'occasione), Lo Studiolo, Sanremo (IM), 2018; Sandro Bajini,
Andare alla ventura (con prefazione di Marco Innocenti e con una nota di
Maurizio Meschia), Lo Studiolo, Sanremo, 2017; La lotta di classe nei
comic books, i quaderni del pesce luna, 2017; Sanguineti didatta e
conversatore, Lo Studiolo, Sanremo (IM), 2016; articolo in I
raccomandati/Los recomendados/Les récommendés/Highly recommended N. 10 -
11/2013; Sandro Bajini, Libera
Uscita epigrammi e altro (postfazione di Fabio Barricalla, con
supervisione editoriale di Marco Innocenti e progetto grafico di Freddy
Colt), Lo Studiolo, Sanremo, marzo 2015; Enzo Maiolino, Non sono un
pittore che urla. Conversazioni con Marco Innocenti, Ventimiglia, Philobiblon,
2014; Sull'arte retorica di Silvio Berlusconi (con uno scritto di
Sandro Bajini), Editore Casabianca, Sanremo (IM), 2010; Pensierini, Lepomene, Sanremo, 2010; Sgié me suvièn, Lepomene, Sanremo, 2010; Prosopografie, lepómene editore, 2009; Flugblätter (#1. 49
pezzi facili), lepómene editore, 2008; C’è un libro su Marcel Duchamp,
lepómene editore, Sanremo 2008; con Loretta Marchi e Stefano Verdino,
Marinaresca la mia favola. Renzo Laurano e Sanremo dagli anni Venti al
Club Tenco. Saggi, documenti, immagini, De Ferrari, 2006 ]
Sanremo
Laggiù a levante profilate ombre
come d’ancorato naviglio vario
in groviglio all’orizzonte-molo.
E laggiù anche aerei treni
di nubi grigiobianche svolazzanti
salutanti fazzoletti orlati in rosa.
Mirabiglietà dell’alba scialba
eppoi ristaglia l’aurora
in chiara vestaglia mattutina.
Quand’ecco l’arroventata faccia
la spaccata anguria solare sorge
in furia delle più arrubinate gradazioni
mentre in tutte le direzioni lancia
il gran tesoro dei suoi spilli d’oro
per imbastire il tessuto della vita
non più avvilita, se gabbiani remiganti
nei tre mari: verde, azzurro, floreale,
su tanto incanto frullano il sussurro.
E là a nord la collina in riverbero estremo
nella vermiglia luce del tramonto
nell’atmosfera-fiaba-sogno di Sanremo.
Farfa