lunedì 24 ottobre 2022

Nei corridoi del sindacato domina un continuo andirivieni

Imperia: il "Palazzaccio" di Oneglia, citato nell'articolo, ormai ristrutturato da tanti anni

Nello stesso tempo la musica della discoteca sul lungomare [n.d.r.: di Imperia], aperta a ridosso di una malconcia torre saracena, invece di attenuarsi, cresce di volume.
Per prendere veramente sonno, appena lo consentono i potenti amplificatori, occorre sorbirsi le ultime sgommate del mattino alla chiusura della discoteca ed attendere che si allontanino dal quartiere gli ultimi barcollanti bevitori.
Sembra che ubriacarsi sia diventata una moda molto in voga tra i giovani che non disdegnano di entrare nei locali in ore impossibili dopo aver già condiviso pizze e birre.
Rocco ripercorre nei vaganti pensieri notturni il suo ingresso alla Confederazione sindacale: ora, archiviati i suoi tentennamenti iniziali, si impegna a testa bassa, contento di stare al fianco dei lavoratori, entrare nelle fabbriche, comprendere direttamente sul campo l'andamento dell'economia e scoprire il pensiero di quella classe operaia di cui molto aveva letto sui libri anche se l'ultimo scritto che lo aveva colpito era quello di Don Milani sui ragazzi di Barbiana.
I locali del sindacato si trovano ancora in piazza San Francesco nel "Palazzaccio", una fortezza abitativa dimenticata da molti anni ad Oneglia, in centro città.
Forse in Municipio qualcuno aveva preferito assegnare maggiore priorità a nuove costruzioni in collina piuttosto che ristrutturare l'esistente o forse, più presumibilmente, erano mancati i finanziamenti necessari. Chissà.
In quei locali, però, avevano potuto trovare rifugio molte associazioni.
Tra queste, figurava l'Anpi (Associazione dei Partigiani) in un piccolo ufficio del piano terra, l'Alleanza Contadini, la prima Cna degli artigiani ed il Sunia ultimo arrivato, che disponeva di un proprio uffficio dedicato ad inquilini e assegnatari.
Più tardi arriverà anche la Etlim, agenzia di viaggi e turismo del sindacato. Rocco conosceva già tutti: Menicco Amoretti, Mario Gennari, Maria Gonella, Ugo Caneto ed altri.
Nei corridoi del sindacato domina un continuo andirivieni: la struttura maggiormente gettonata è il patronato Inca che si occupa di pensioni e assistenza sociale.
A suo fianco si affaccia l'Ufficio vertenze che affronta i problemi sorti sui luoghi di lavoro per il mancato rispetto dei contratti collettivi e nel poco spazio antistante sostano in continuazione gruppi di persone in attesa del proprio turno.
Nel corridoio sono allineati i locali delle varie strutture sindacali quali il settore edile, il commercio, i chimici, i metalmeccanici, il comparto pubblico e le categorie dei trasporti che verranno assegnate proprio a Rocco.
Renato Erasmo, Il silenzio di Rocco, Etabeta, 2022


[ n.d.r.: il libro "Il silenzio di Rocco" di Renato Erasmo viene presentato nel corso di un pubblico incontro venerdì 28 ottobre p.v., alle ore 17, in Sanremo, nella Sala della Federazione Operaia Sanremese di Via Corradi, 47, a cura del Sindacato Pensionati (SPI) della CGIL; presente l'autore, sono previsti gli interventi di Marco Cerasti, professore di storia e di filosofia, e di Fulvio Fellegara, Segretario Provinciale CGIL ] 


giovedì 13 ottobre 2022

I due illustri concittadini imperiesi non si erano però mai incrociati

Imperia: uno scorcio dell'ormai dismessa stazione ferrovaria di Oneglia in occasione della sosta di un treno d'epoca

I nostri affezionati lettori dimostrano di avere gradito la pubblicazione della “lettera aperta” indirizzata dal Commendator Luigi Ivo Bensa, non dimenticato Presidente del Comitato Provinciale del C.O.N.I, con cui questo eminente concittadino ha richiesto l’intitolazione di una via o piazza di Imperia a Monsignor Mario Jsmaele Castellano.
Qualora egli riuscisse nel suo lodevole intento, finiremmo per condividere la sorte del nostro amico Giovanni Donaudi, che reca il nome di una via di Porto Maurizio, in realtà intestata all’omonimo bisnonno, insigne storico locale.
Dicono che dopo l’inoltro della missiva, il Commendator Bensa si sia rinchiuso prudentemente in casa: forse il noto dirigente sportivo tema di avere contrariato il suo ex Vice Presidente Carlo Brioglio, fedelissimo del Sindaco Scajola, nonché lo stesso Primo Cittadino, l’uno e l’altro presi di contropiede da una iniziativa ritenuta “eversiva” (?!).
Lasciamo comunque il nostro amico alla sua volontaria reclusione, per dedicarci piuttosto a rievocare - a gentile richiesta - i legami che univano Monsignor Mario Jsmaele Castellano con la Patria di origine.
Su quelli stabiliti con Siena, sua Città di adozione, sono state scritte intere biblioteche.
La biografia dell’Arcivescovo assomiglia dunque a quella di Garibaldi, in cui non mancano periodi oscuri.
Le reliquie di Monsignor Castellano custodite ad Oneglia sono collocate in due luoghi distinti. Uno di essi - l’unico accessibile al pubblico - religioso per eccellenza, cioè la sacrestia della Chiesa della Santissima Annunziata, già officiata dai Padri Minimi di San Francesco da Paola, della cui presenza nella nostra Città il Presule domenicano fu attento storiografo; l’altro è invece tipicamente profano, ed anzi riconducibile al Vizio Capitale della Gola, cioè il noto Ristorante “Chez Braccioforte”, gestito dal nostro amico Osvaldo Martini Tiragallo.
Si tratta in entrambi i casi di autografi, il secondo dei quali dal contenuto decisamente poco attinente con le cose dell’anima, nel quale Monsignor Castellano testimonia per iscritto, nell’album degli ospiti illustri, il proprio apprezzamento per l’ottima cucina del locale.
Trovandoci in visita ad Aversa, abbiamo potuto vedere di meglio (o di peggio, a seconda dei punti di vista): campeggiava in un ristorante del luogo un ritratto con dedica dell’Ordinario locale, esposto alla venerazione dei fedeli e dei buongustai: pare che il Vescovo fosse un assiduo frequentatore di questo tempio della cucina.
Nel bar antistante l’ingresso al Santuario di Pompei, fanno invece bella mostra di sé le maglie autografate di Maradona, Careca ed altri illustri giocatori del Napoli, racchiusi in apposite teche di cristallo ed oggetto di una venerazione feticistica.
Non si capisce se la Madonna estenda la sua protezione alla squadra, o se invece i pedatori vengano considerati alla stregua di Compatroni.
La presenza di un autografo di Monsignor Castellano nel Ristorante “Chez Braccioforte”, che sta alla cucina ligure come il Santuario di Pompei sta alla devozione partenopea, ha origini storiche ben precise.
Nei primi Anni Sessanta, l’allora giovanissimo Osvaldo Martini si accingeva all’ingrato lavoro di marinaio “alla busca”: con tale ispanismo si designano i marittimi in cerca di imbarchi occasionali, essendo privi di un contratto con un armatore.
A questo punto, però, accadde un miracolo.
Il padre di Osvaldo Martini si rivolse ad un nostro concittadino, tale Nino Ardissone, noto in Città con il volgarissimo soprannome di “Cagasso”, legato da fraterna amicizia con Monsignor Castellano.
In un breve volgere di tempo, il ragazzo vene assunto dalle Linee Costa di Genova, in cerca di dipendenti dalle credenziali religiose inappuntabili.
Quelle di Martini vennero spudoratamente falsificate, appartenendo a una famiglia di socialisti notoriamente atei ed anticlericali.
Perfino la sua età anagrafica venne occultata: il nostro amico non aveva infatti ancora maturato quella minima richiesta per il rilascio del Libretto di Navigazione.
L’evento, ritenuto subito miracoloso dalla “vox populi”, fece sì che Monsignor Castellano fosse in breve circondata dalla fama di una sorta di taumaturgo dei raccomandati.
Si diffuse perfino la credenza che egli fosse in grado di fare entrare in Banca i Ragionieri, il che all’epoca costituiva - in questo campo - l’equivalente della scalata dell’Everest.
I pellegrinaggi dei postulanti, tutti debitamente muniti di regali, dapprima a Roma, e poi a Siena si moltiplicarono, con grande beneficio per la Mensa Vescovile e per il turismo all’ombra della Torre del Mangia.
Perfino la squadra di calcio dell’Imperia, in trasferta nella Città del Palio, si recò ad impetrare la protezione dell’Ordinario, che però non servì a nulla: i “Nerazzurri” persero infatti disastrosamente contro i “Bianconeri” del Siena.
I nostri colori locali erano però già stati abbondantemente beneficiati da Monsignor Castellano quando la nostra squadra era stata squalificata per un grave illecito sportivo: attraverso una sorta di “Catena di Sant’Antonio che passava per Giulio Andreotti e per il Presidente del C.O.N.I. Onesti, il Vescovo riuscì ad ottenere l’indulto.
Tale capolavoro innalzò al rango di raccomandati con “esito positivo” (questa è la denominazione in uso nel linguaggio delle Segreterie Particolari) tutti quanti i concittadini.
I nostri antenati, al tempo della Repubblica di Genova, erano riusciti ad ottenere dalla “Dominante” l’inserimento di Oneglia nel sistema portuale che univa l’intero Antico Stato.
L’ultimo Doge, Claudio Burlando, perpetrando a nostro danno una efferata nemesi storica, ha convertito tutti gli scali nei famigerati “porticcioli turistici”, concludendo così ingloriosamente la traiettoria millenaria della Liguria.
Al tempo della Restaurazione, quando la nostra Regione venne annessa al Regno di Piemonte, fu rivendicato un nuovo tracciato della Via Aurelia: quello precedente era rimasto praticamente invariato dal tempo dell’antica Roma.
Gli abitanti si diedero ad organizzare dei sabotaggi della viabilità e dei blocchi stradali, fino a quando il Re Carlo Felice decise di accontentarli.
L’Unità d’Italia portò a sua volta alla realizzazione delle ferrovia da Genova a Ventimiglia.
Dopo la guerra, si cominciò a richiedere l’inserimento del Ponente nella rete autostradale europea.
La situazione si fece minacciosa per l’ordine pubblico, e Monsignor Castellano impiegò tutta la propria influenza affinché la richiesta dei concittadini di origine fosse accolta.
I suoi incontri con il leggendario Ingegner Bruni, che per conto della Società Autostrade doveva realizzare la nuova opera, avvenivano paradossalmente a bordo dei treni, su cui entrambi si imbarcavano a Pisa, viaggiando insieme fino a Genova.
In tal modo risparmiavano del tempo prezioso e si sottraevano agli occhi indiscreti.
Un altro personaggio con cui Monsignor Castellano intratteneva un rapporto semi clandestino era il Direttore Generale del Banco d’Imperia, tale Dottor Orengo, che egli incontrava nel suo ufficio sempre in ora antelucana.
Con il Parroco, Monsignor Orazio Boeri, le conversazioni avvenivano invece pubblicamente nella sacrestia della nostra Collegiata Insigne di San Giovanni Battista.
Sporadici e freddi furono invece sempre i rapporti coi diversi Sindaci di Imperia: al Vescovo, sempre sospettoso nei riguardi dello Stato Unitario - Monsignor Castellano avversò sempre il Cattolicesimo liberale - interessava soltanto il potere economico, quello finanziario e - naturalmente - quello religioso.
Il potere politico era visto da lui come estraneo.Il successo ottenuto con la costruzione della “autostrada dei Fiori” venne ottenuto passando sopra alla classe dirigente ligure, anche quella di estrazione cattolica.
Quando Paolo Emilio Taviani lo fece nominare Commendatore dell’Ordine al Merito della Repubblica, Monsignor Castellano rifiutò di ringraziarlo.
Soltanto nei suoi ultimi anni, egli venne ricevuto ufficialmente in Municipio, in occasione della commemorazione di Don Giuseppe Abbo, detto “il Santo”, confidente della sua vocazione religiosa e caduto eroicamente nel bombardamento del Carcere Penale di Oneglia, che egli - in qualità di Cappellano - non aveva voluto abbandonare.
Il periodo senile di Monsignor Castellano fu contrassegnato da un “descensus Averni” fatto di pranzi elettorali in onore della nipote.
Con la famiglia dell’Onorevole Alessandro Natta eravamo legati da una lontana parentela.
I due illustri concittadini non si erano però mai incrociati.
Fino a quando Natta, in qualità di Segretario del Partito, visitando Siena venne informato dai compagni locali della pesante situazione debitoria in cui versava l’Arcidiocesi nei riguardi del Monte dei Paschi.
A questo evento, Monsignor Castellano dovette la sua digestione normale.
Nel senso letterale del termine, dato che il Direttore Generale dell’Istituto di Credito - non sappiamo se per comodità o per perfidia - gli telefonava regolarmente all’ora di pranzo, intimandogli di “rientrare” per somme di cui il povero Arcivescovo non disponeva.
Natta ordinò tassativamente che l’intero debito venisse condonato, e che anzi venissero aperte nuove linee di credito in favore del concittadino.
Indi, si recò di persona a dargliene il lieto annunzio.
In cambio, veniva richiesta una particolare benevolenza per la nipote.
Passati entrambi gli zii a miglior vita, la sua carriera politica finì in breve tempo.
Tanto alla nostra Città, quanto alla nostra famiglia ben si attagliano i versi di Padre Dante: “Se tu riguardi Luni ed Urbisaglia come son ite, e come se ne vanno di dietro a loro Chiusi e Senigallia, udir come le schiatte si disfanno, non ti parrà nuova cosa né forte che le cittadi termine hanno”.
Occorre ricordare come in realtà l’eredità spirituale raccolta da Monsignor Castellano - benché da lui indubbiamente accresciuta - fosse già cospicua.
La nonna, Bianca Perasso - rimasta vedova molto giovane con il peso di due figli, Carlo, eroe della Grande Guerra, e Giuseppe, padre di Monsignore - era una Perasso di Genova, appartenente ad una illustre famiglia di impresari teatrali, ed asseriva figurasse tra i suoi antenati quel Giovanni Battista Perasso, detto “Balilla”, che aveva scagliato il sasso a Portoria gridando “Che l’inse?” e dando inizio alla rivolta contro gli Austriaci del 1746.
Giuseppe Castellano, padre di Jsmaele, entrato nell’Ordine dei Predicatori con il nome di “Padre Mario”, in gioventù era stato un libero pensatore, un libertino, un gaudente, tutto fuorché uno spirito religioso.
Le crisi mistiche dell’andropausa furono tutt’altro che disinteressate, essendosi deciso di mettere a beneficio della famiglia la carriera ecclesiastica del figlio.
Giuseppe Castellano, ancora giovanissimo, fu tra i primi collaboratori di Paolo Agnesi, protagonista della Rivoluzione Industriale ad Oneglia fin da quando aveva trasformato il molino artigianale della famiglia (situato in origine a Pontedassio) in una grande fabbrica di pasta.
Poco dopo, però, essendosi sposato a soli diciannove anni con una donna di diciotto, Rosalinda Martino, nostro nonno decise di mettersi in proprio.
L’impresa, essendo del tutto privo di un capitale iniziale, sembrava disperata, ma il giovane imprenditore non si perse d’animo.
Andò dunque fino in Sicilia, nella zona cerealicola di Pachino, dove un grande proprietario terriero, avendo ricevuto quale unica garanzia la tradizionale condivisione del pane e del sale - decise di fargi credito.
Da allora, le derrate destinate alla ditta di famiglia presero ad arrivare nello scalo merci di Oneglia portate da treni interi.
Giuseppe Castellano divenne proprietario di una delle tre vetture private che circolavano in città prima della guerra, ed essendo rimasto per tutta la vita privo di patente assunse un autista.
Dimenticavamo di dire che aveva soltanto la Licenza Elementare: essendo però autodidatta, aveva acquisito una notevole cultura letteraria recitando per nelle filodrammatiche.
Questo rimase il suo unico “hobby”, che gli permise però di conoscere i grandi attori del tempo, quando venivano in città per recitare nel Teatro “Umberto I”, di proprietà dei cugini Perasso.
Suo figlio ebbe la sventurata idea di imitarlo negli affari, ma per fortuna si era fatto frate.
Nelle questioni finanziarie, Monsignor Castellano combinò soltanto dei disastri.
L’altra sua fortuna fu l’incontro provvidenziale avvenuto a Siena con il cugino Alessandro Natta.
Le vie del Signore sono veramente infinite.
Mario Castellano, L’arcivescovo Castellano e i suoi inattesi parenti, Alessandro Natta compreso, FarodiRoma, 17 marzo 2019

venerdì 7 ottobre 2022

Ai primi bombardamenti della città, papà e mamma ci avevano mandati dai nonni, a Sanremo

Sanremo (IM): il Porto Vecchio ed il Morgana

Pippo Barzizza nacque a Genova il 15 maggio del 1902. Da giovanissimo imparò a suonare il violino.
Studente di ingegneria, trascurò gli studi per esibirsi nei locali della sua città: la musica era la sua vera vocazione.
Strumentista inquieto e curioso, dal violino passerà al pianoforte, alla fisarmonica, al sax e alla batteria, fino ad approdare ai ‘nuovi lidi’ della composizione e dell’orchestrazione.
Dopo aver lavorato come strumentista nelle formazioni orchestrali dirette dai Fratelli Di Piramo, iniziò a dar vita a formazioni di cui fu arrangiatore e direttore. Ricordiamo a tal proposito la leggendaria "Blue Star", con la quale debuttò a Milano nel 1925.
Il successo non tardò ad arrivare: il suo stile alla ‘americana’ - con molto swing, e sezione fiati in evidenza - era innovativo e colpiva.
Nel 1936 diviene direttore stabile dell'"Orchestra Cetra" con la quale trasmetteva dalla Radio Nazionale (EIAR).
[...] Sposato felicemente, Barzizza ha avuto due figli: Isa, destinata a diventare una famosa soubrette nonché attrice per il cinema, la tv e il teatro, e Renzo, attivo sul fronte della comunicazione e della pubblicità.
Negli ultimi anni della sua vita si ritirò a vivere a Sanremo, dove continuò l'attività di musicista e compositore scrivendo alcuni brani dialettali per la Famija Sanremasca e fornendo la sua collaborazione alla "Compagnia Stabile Città di Sanremo".
Negli anni sanremesi la sua abitazione era diventata una scuola di musica e di canto.
Morì a Sanremo il 4 aprile 1994. Fu nominato cittadino onorario di Sanremo [...]
(testo basato su note di A. Gandolfo)
Redazione, Pippo BarzizzaSanremo. Storia e Tradizioni 

Torino, giugno 1940. Ai primi bombardamenti della città, papà e mamma ci avevano mandati dai nonni, a Sanremo, dove la vita trascorreva pacificamente, almeno per noi bambini; e la guerra arrivava a noi come un'eco, lontana e sfocata. Una vita tutto sommato normale, la mattina a scuola al Cassini, poi i compiti a casa, e poi i giochi in via Peirogallo, dove Isa era alla testa di una temibile banda di ragazzini, “Il cerchio Rosso”. Tutto questo fino all’otto settembre del 1943. All’annuncio dell’armistizio, tanta gente per strada, «La guerra è finita! È finita!» gridavano i grandi, e noi bambini dietro, urlanti e felici per quella festa imprevista di cui capivamo poco, ma comunque era una grande festa. Durò poco. Arrivarono i tedeschi, facevano paura con quei loro elmetti, e le armi, e i pesanti stivali.
Arrivarono anche i bombardamenti, dal cielo, pochi e terrorizzanti, e dal mare, ogni giorno, e in alcuni casi più volte al giorno. Fine della scuola, solo poche lezioni con il maestro Laura; ancora i giochi, non più in via Peirogallo ma a San Pietro, nell’entroterra ligure, sulle colline, dove eravamo sfollati per sfuggire alle bombe.
Un bambino tutto sommato felice, sempre affamato, ma felice di quella vita randagia, sempre piena di sorprese, un giorno a far legna, o raccogliere le castagne, o al pozzo giù a San Pietro, o alla sorgente, a caccia di frutta selvatica, a prendere il latte di capra o un po’ di frutta dal “cumpà”, un contadino che faceva “laborsanera”, parola misteriosa che usavano i nonni. Una volta il “cumpà”, che era a tavola con la sua gente, mi aveva dato da assaggiare un pezzetto di coniglio alla ligure, ma così buono, così buono... Un bambino felice e ignorante.
[...] Torino, maggio 2015. L’appuntamento è davanti all’Auditorium «A. Toscanini», con Freddy Colt e Filippo Arri; lo scopo, una visita, sapientemente guidata, all’Archivio O.S.N. dove sono conservati circa 50.000 documenti, alcuni rarissimi; e tanti, tanti manoscritti, partiture preziose, molte delle quali firmate da Pippo Barzizza, cioè dal mio grande e amato papà, riscoperto ed apprezzato da nuove generazioni di musicisti, colti, competenti e soprattutto appassionati.
[...] Sanremo, inverno 1944. «Renzo, va’ a vedere chi è». Ora insolita per una visita. Noi eravamo a tavola nella grande cucina della casa dei nonni. Luce fioca, un piatto di riso condito con l’estratto di carne Liebig, di cui la nonna aveva fatto la scorta alla vigilia della guerra. Liebig e un filo, ma proprio un filo, di olio. Il campanello continuava a gracchiare, un vecchio campanello manuale, come si usava allora. Apro la porta, un attimo di incertezza… «Nonna, è lo zio Mario! Lo zio Mario è tornato!». François, Annunziata, Romeo, Renata e Mario: i fratelli Salesi, legatissimi l’uno agli altri. Mario, il più giovane, era stato preso durante un rastrellamento dei tedeschi e dei fascisti con altri ragazzi della sua età e mandato in un campo di concentramento a Marsiglia; con la brutta prospettiva di essere arruolati a forza nelle truppe di Salò oppure spedito in Germania. Brutta prospettiva, appunto: così Mario, con alcuni suoi compagni di prigionia, era evaso dal campo in modo rocambolesco, proprio come in un film d’azione, ed era tornato in Italia a piedi, correndo grandissimi rischi, lui e i suoi amici sanremaschi. Erano entrati in città con il buio, e poi si erano separati per tornare alle loro case. Mario era magrissimo, sporco, ed affamato. Gli cedemmo gran parte della nostra cena e lo ascoltavamo, affascinati. Il giorno dopo il nonno fece venire il dottor Ruggero, un gran medico che aveva fatto nascere tutt’e cinque i fratelli Salesi. Gli trovò una pleurite piuttosto grave e lo ficcò a letto, con noi bambini sempre intorno per farci raccontare le sue avventure. Lo zio Mario non era ancora guarito del tutto, quando fu individuato dai fascisti, arruolato a forza nelle truppe di Salò, e trasferito sotto scorta all’Ospedale Militare di Vercelli, dove avrebbe dovuto finire la sua convalescenza. Ma il fratello maggiore, François, già stava già preparando la sua seconda evasione.
[...] Poi da Vercelli a Torino, eludendo tutti i controlli, per arrivare in piazza Cavour ed affidare Mario ad Annunziata, cioè a Tatina, l’affascinante e bellissima moglie di Pippo. E Pippo e Tatina non ebbero il minimo dubbio, accettarono l’incarico e si organizzarono. In quei tempi bui ospitare un disertore ed essere scoperti, magari per una delazione, significava Auschwitz o un altro campo di sterminio in Germania, sempre che non ti fucilassero immediatamente. Mario visse nascosto per più di un anno nei mezzanini di Palazzo Biscaretti; con anche il problema dei bombardamenti, durante i quali Mario entrava per ultimo nel rifugio, cappello calcato sugli occhi, bavero rialzato, come una persona sorpresa lontana dal suo quartiere.
Insomma, una famiglia unita, solidale e coraggiosa. In quei due ultimi anni di occupazione e di guerra, Pippo Barzizza incontrava spesso anche membri del Partito d’Azione; colleghi ed amici, ma certamente oppositori convinti del regime fascista; un’altra iniziativa estremamente pericolosa. Di questo so poco, e ho solo il rimpianto di non aver chiesto di più. Scrive Malvano: «… un sottile lavoro di dissidenza da parte di un artista coraggioso». Sì, un artista coraggioso, in tutti i sensi; sia nel quotidiano che nello svolgimento della sua attività di musicista, di teorico e di innovatore. Talento, tempra, passione; ma anche grande generosità e altruismo.
Mi piace chiudere questa prefazione ringraziando Andrea Malvano e la sua squadra di ricercatori, e la Rai che ha sostenuto con forza questa iniziativa.
Renzo Barzizza, Prefazione a Andrea Malvano, L'arte di arrangiar(si). Trascrizioni e adattamenti storici dell'Archivio Musicale Rai, Libreria Musicale Italiana RAI Eri, 2015

Ma il 1960 sarà per Pippo un anno durissimo: il 21 dicembre del 1959 muore il suo amatissimo "papalone" Luigi e il 3 giugno del 1960 muore in un incidente il marito di Isa, Carlo Alberto Chiesa. Provato dal dolore e dalla fatica, è colpito da un infarto che interrompe e conclude una eccezionale e fortunata carriera.
Gli anni dal 1960 al 1994 Pippo li trascorrerà a Sanremo con la sua adorata Tatina. I primi tempi sono piuttosto difficili: l'incertezza sulla sua ripresa fisica, la paura di dover vivere come un invalido e la lontananza dal quel suo mondo così competitivo, ma anche così affascinante. Ma Pippo ha una salute di ferro e il recupero ha del miracoloso; si distrae dipingendo tutti gli infissi della sua casa e diventa un "provetto pittore"; gioca con i suoi cani; legge molto, cura il suo giardino. Poi la voglia di far musica prevale e ritorna alla sua vita di sempre, ma a Sanremo, nella sua villa, dedicando il suo tempo, le sue capacità ed esperienza non più a platee esigenti, ma ad un gran numero di allievi giovani e meno giovani. Così il suo studio si trasforma in una vera sala di registrazione; arriverà ad avere cinque registratori multitraccia (Teac, Revox, Akai, Philips, stereo e mono; 8 tastiere, batteria elettronica e un ottimo campionatore; il tutto progettato, cablato e gestito da lui, Pippo, il mancato ingegnere. Sono anni felici, «...i più felici della mia vita», come spesso diceva. Non componeva quasi più: le sole cose di quegli anni sono un inedito, Pagine d'Album e La Messa della Mercede, donata ai Frati Francescani e composta su sollecitazione di un simpatico frate, amico suo. È aggiornatissimo come sempre: riconosce il talento dei grandi artisti di quegli anni molto prima del loro meritato successo. Ha una vera passione per i Beatles: «sono grandissimi, entreranno nella storia della musica». E poi suona a memoria Puccini, Verdi, Wagner, Bizet, Mozart, Grieg.. Appare in televisione nel 1982 con Mike Bongiorno (Flash); nel 1984 con Renzo Arbore (Cari amici vicini e lontani) dove dirige due suoi brani per orchestra sola; infine, sempre nel 1984 e in occasione dei sessant'anni della RAI, alla presenza di Sandro Pertini e di Nilde Iotti, dirige per l'ultima volta una grande orchestra proponendo Il Boscaiolo e Sera, due tra le sue più famose e amate composizioni, ri-arrangiate proprio per quella occasione. Non ha invidie o rimpianti. «Ho avuto una bellissima carriera, grandi successi, riconoscimenti; ho viaggiato su macchine potenti, mi sono divertito con le moto, con il cinema e la fotografia. Ho una moglie bellissima, Tatina e due figli in gamba, Isa e Renzo. Ho avuto tutto e ora posso divertirmi con la mia musica. La musica - diceva spesso - è un dono di Dio.». Così, la vita di Pippo trascorre intensa e serena in compagnia della sua adorata Tatina: ben sessantasei anni di felice matrimonio. Si spegne a 92 anni, nella sua amata casa, il 4 aprile del 1994.
In suo onore, il "Centro Studi Stan Kenton" di Sanremo ha istituito un premio per arrangiatori (fermo dal 2004) la cui giuria è stata presieduta da Ennio Morricone.
Redazione, Pippo Barzizza, Radio Swiss Classic  

Ma fantastica è soprattutto lei, Isa Barzizza. L’eleganza prestata alla fabbrica dei sogni di celluloide. La musa-attrice della nobile ditta comica di Macario e poi del principe della risata, Totò, l’abbiamo scovata nel suo buen retiro in Sardegna («vivo qui da cinque anni»), dove sta per dare inizio alla sua «grande festa» di compleanno. «Sono 90, oggi, 22 novembre, e ho chiamato a raccolta tutti gli amici più cari: vengono da Milano, da Bari, da Roma, e dei parenti da Sanremo, la città dove sono nata e in cui sono sfollata durante la guerra... Scappammo da quella Torino bombardata, con la camicia da notte sotto il cappotto e la paura nel cuore. Poi a Sanremo ci sono tornata per delle fantastiche gite in mare, in motoscafo assieme a giovani amici tra cui Italo Calvino».
Cartoline da Sanremo, che è anche la città che aveva adottato suo padre, il genovese maestro Pippo Barzizza, il primo Pippo “nazionalpopolare”.
Diciamo che ai tempi, gli anni ’30-’40, quanto a popolarità non è stato da meno di Pippo Baudo. Papà era un uomo abitato dalla musica. Ebbe un enorme successo con la sua orchestra Blue Star, un sestetto che girava il mondo suonando 36 strumenti, e poi con l’Orchestra Cetra. Pippo Barzizza è stato tante cose, ma soprattutto un pioniere del jazz in Italia.
Massimiliano Castellani, I 90 anni di Isa Barzizza, eleganza senza tempo, Avvenire.it, 22 novembre 2019  

La carriera di Pippo Barzizza, ora raccontata da un documentato e piacevole libro di Freddy Colt, inizia nel capoluogo ligure, dove dopo studi classici il dotato violinista si butta anima e corpo a suonare quel jazz che arriva in città sulle navi che fanno la spola tra il porto cittadino e quelli d’Oltreoceano, e che in termini orchestrali egli ha iniziato ad apprezzare anche seguendo il modello del “re del jazz” americano, Paul Whiteman.
E’ a Milano, dove poi si trasferisce, città pullulante di attività dal vivo ed editoriali, che Pippo  fonda il suo primo complesso, i Blue Star, che a un certo punto include anche Cinico Angelini.
E sulla scorta dei primi successi discografici ed editoriali (per la Fonit, la Carisch, la Suvini e Zerboni e altri marchi ancora celebri) Barzizza approda quindi alla radio pubblica, sostituendo un direttore inglese nominato e licenziato-per ragioni politiche-nel giro di pochi mesi, Claude Bampton.
L’Eiar gli offre un posto sicuro e non molto remunerato, ma che nel tempo gli darà fama e guadagni collaterali, facendone un piccolo “re del jazz” in formato nazionale, e soprattutto una celebrità in termini mediatici.
[...] Il gruppo, che nel tempo farà squadra con un altro musicista italiano di questo periodo molto legato anche al jazz, Gorni Kramer, tra il 1942 e il 1949 (quando nella formazione entra Lucia Mannucci), deve molto della sua ascesa alla notorietà al rapporto con Barzizza, col quale incide brani quali Oggi ho visto un leon e l’americano Route 66.
Come mette in luce il riuscito libro di Colt, nome d’arte di un musicista e pubblicista ligure, la lunga carriera di Barzizza non si conclude con l’esperienza radiofonica, per indirizzarsi, a Roma, al cinema e alla relativa attività di compositore di colonne sonore, firmando le musiche di quasi trenta film di Mario Mattoli (tra cui Fifa e arena, con Totò), Vittorio Metz, Carlo Ludovico Bragaglia e Camillo Mastrocinque.
E’ l’epilogo di una lunga vita, gli ultimi anni della quale Barzizza ha trascorso serenamente, con la famiglia, a Sanremo.
Luca Cerchiari, Freddy Colt, L’astro di Pippo Barzizza. Vita e opere del “re del jazz” italiano, Carocci, IFANEWS.it, 30 aprile 2021

mercoledì 5 ottobre 2022

Bordighera: mostra personale di Franco Biga


Unione Culturale Democratica -  Sezione ANPI 

Bordighera (IM), Via al Mercato, 8

 

Sabato 8 ottobre 2022 - Domenica 23 ottobre 2022  - ore 17-19 (festivi compresi)

      


Rifrazioni di luce

Mostra personale di Franco Biga

 

Ingresso libero

I visitatori sono ammessi nel rigoroso rispetto delle vigenti norme sanitarie anti Covid

 


Franco Biga nasce a Sanremo nel '34.

Fin da giovane dimostra una grande passione per la musica e la pittura, segue quindi dei corsi e le due arti lo accompagnano ancora oggi.

Se nella musica il suo talento si è appagato soprattutto nella divulgazione, nella pittura la sua ricerca si è sviluppata in maniera più intima.

Il grande amore per gli impressionisti l'hanno spinto sempre più ad abbandonare la forma per cercare la luce, da qui il titolo della mostra.

I soggetti trattati sono banali gesti quotidiani: una persona seduta su una panchina, qualcuno che osserva lo schermo di un telefono o di un computer etc.

Tutto è un pretesto per studiare e reinterpretare le rifrazione della luce.

Buona visita.




Bordighera (IM): l'ingresso della sede UCD-ANPI, fotografato il 27 settembre 2018

Giorgio Loreti

Unione Culturale Democratica -  Sezione ANPI - Bordighera (IM),  Tel. +39 348 706 7688