martedì 25 aprile 2023

Che mi fanno raccontare storie partigiane / Che avevo dimenticato e pensavo

Bordighera (IM): una vista dagli scogli di Sant'Ampelio sino ad Ospedaletti ed a Sanremo

... nel ‘39 si formò a Bordighera un gruppo orientato verso i partiti della classe operaia e in particolare verso il partito socialista guidato da Guido Seborga, coadiuvato da Renato Brunati, Lina Meiffret e Beppe Porcheddu. Gli aderenti stabilirono contatti a Torino con il gruppo di Alba Galleano, Giorgio Diena, Vincenzo Ciaffi. Tra gli altri [Domenico] Zucaro, Raf Vallone, Luigi Spazzapan, Umberto Mastroianni, Carlo Mussa Pietro Secchia, Enzo Nizza, Enciclopedia dell’Antifascismo e della Resistenza, Milano, La Pietra, 1968

Verso la fine del '42 alcuni antifascisti di Bordighera, o ivi residenti, che precedentemente svolgevano un'attività contro il fascismo non coordinata, si riuniscono, e formano un gruppo organizzato. Fra questi antifascisti Tommaso Frontero allaccia il gruppo al PCI di Sanremo e prende contatto con i comunisti sanremesi Luigi Nuvoloni, Umberto Farina, Alfredo Rovelli. Ai primi del '43 si crea in Bordighera il comitato comunista di settore, con a capo Tommaso Frontero, Ettore Renacci e Angelo Schiva. In seguito a queste persone si aggiunsero altre, fra cui Charles Alborno, Siffredo Alborno, Pippo Alborno, l'architetto Mario Alborno (che prese poi il nome di battaglia Cecof), Renzo Rossi. Dopo il 25 luglio 1943 il gruppo entra in contatto con altri antifascisti di Bordighera, fra i quali Renato Brunati, indipendente. Al gruppo si aggregano nuovi elementi...  Giovanni Strato, Storia della Resistenza Imperiese (I^ zona Liguria) - Vol. I: La Resistenza nella provincia di Imperia dalle origini a metà giugno 1944, Sabatelli Editore, Savona, 1976

Nei primi di ottobre 1943 Bruno Erven Luppi dopo varie peripezie raggiunge la sua abitazione a Taggia ... In quel periodo entra a far parte del Comitato di Liberazione di Sanremo, come rappresentante insieme al Farina del PCI, con l’incarico di addetto militare. Organizza pure il CLN di Taggia ... Il gruppo prende pure contatto con la banda armata di Brunati, dislocata a Baiardo e con altre formatesi in Valle Argentina. 
Prof. Francesco Biga, La Resistenza Ligure nei suoi rapporti con la Resistenza e gli Alleati in Provenza (1943-1946) in Atti del Convegno storico LE FORZE ARMATE NELLA RESISTENZA di venerdì 14 maggio 2004, organizzato a Savona, Sala Consiliare della Provincia, dall'Istituto Storico della Resistenza e dell’Età Contemporanea della provincia di Savona (a cura di Mario Lorenzo Paggi e Fiorentina Lertora)

Renato Brunati e Lina Meiffret furono attivi anche nelle prime iniziative successive all'8 settembre 1943, da cui doveva poi nascere il C.L.N. di Sanremo (IM). Renato Brunati fu arrestato nel febbraio 1944 insieme a Lina Meiffret; portato ad Oneglia, dove venne torturato a lungo, fu poi trasferito a Genova, nel carcere di Marassi, dove lo vide per pochi momenti un altro detenuto, il patriota di Sanremo Nanni Calvini, che lasciò di Brunati, straziato nel corpo, nel lavoro fondamentale di Mario Mascia ("L'epopea dell'esercito scalzo"), un commovente ritratto: "Ben poco potemmo dirci... eri ispirato nel tuo ideale... Il tuo sacrificio non fu e non sarà sterile mai, amico Brunati, compagno nei bei giorni della lotta... altruista, quale io ti lasciai in quel triste pomeriggio invernale della quarta sezione, in cui le nostre mani nella caldissima stretta che le univa..."; Brunati verrà ucciso insieme con altri 58 ostaggi nella strage del Turchino del 19 maggio 1944, scatenata dai nazisti per una feroce rappresaglia; Calvini, invece, fu dapprima deportato nel campo di concentramento di Fòssoli (comune di Carpi, provincia di Modena), e quindi in Germania, destinato a Kalau e dalla Germania rientrò solo nel settembre del 1945.  Adriano Maini

Rivedo Lina Meyfrett che pare sempre miracolosamente scampata ad un campo di concentramento e insieme ricordiamo Renato Brunati e Beppe Porchedddu...
Guido Seborga, Occhio folle, occhio lucido, Ceschina, Milano, 1968, ristampa Graphot Spoon-River, Torino, 2012, pag. 45

Non sempre mi riesce d'indugiare
Tra palma e palma
E il forte movimento delle foglie scarne
Piene di vento.
Non sempre la luce calda del mare
Mi avvolge per farmi tacere nel senso
Antico dell'ozio.
Come splende il sole nell'alba
Incantevole d'oriente
Illumina la mia forza vitale
Felicità della lotta.
Non sempre mi riesce d'indugiare calmo
Nei ricordi ma avanza il tempo
L'ora si frantuma ed i popoli d'Africa
Urlano alla vita il loro dolore.
E soffre la grande Spagna e l'inquieto Portogallo.
Questi popoli me li porta la sabbia rossa
Che con lo scirocco giunge a granuli
Sino al giardino di casa e rivivo
Ore lontane che i giovani raccolgono
Nella nuova resistenza dei popoli.
Veglio sino al mattino coi giovani
Che mi fanno raccontare storie partigiane
Che avevo dimenticato e pensavo
Di non più narrare ma giovani fieri
Dal loro corpo agile e tenere fanciulle
Dagli occhi neri che abbagliano.
Li guardo stupito di essere amato
Da loro ogni mio vecchio sacrificio
Acquista un senso che credevo perduto.
Penso ai compagni morti a Renato
A Beppe a Franco e racconto la storia
Dei loro amori e mentre il vento caldo
Passa attraversa le foglie lacerate delle palme
Devo ancora narrare dell'ora triste della morte.
Guido Seborga
, Nuova Resistenza (poesia inedita, pubblicata dalla figlia dell'autore,
Laura Hess, via email, in pari data)

Il riferimento geografico della poesia qui sopra messa in evidenza è Bordighera, città nella quale Guido Seborga sin da giovane aveva soggiornato a lungo. La figlia, nel divulgare questi versi ed altre intense note storiche e riflessioni, sottolinea anche che durante la guerra la casa di famiglia in Bordighera era stata occupata parzialmente dai nazisti.
Adriano Maini

La propaganda antifascista e antitedesca fu praticata nella zona di Bordighera da Renato Brunati e da me in un contempo indipendentemente, senza che nemmeno ci conoscessimo: ma nel 1940 ci incontrammo e d’impulso associammo i nostri ideali e le nostre azioni, legati come ci trovammo subito anche da interessi intellettuali ed artistici.
La vera azione partigiana s’iniziò dopo il fatale 8 settembre 1943, allorchè Brunati e la sig. Maiffret [Lina Meiffret] subito dopo l’occupazione tedesca organizzarono un primo nucleo di fedeli e racimolarono per le montagne, sulla frontiera franco-italiana e nei depositi, armi e materiali: armi e materiali che essi vennero via via accumulando a Bajardo in una proprietà della Maiffret, che servì poi sempre di quartier generale in altura, mentre alla costa il luogo di ritrovo e smistamento si stabiliva in casa mia ad Arziglia e proprio sulla via Aurelia. Nei giorni piovosi di settembre ed ottobre 1943 i trasporti d’armi e munizioni, furon particolarmente gravosi: occorreva (ai due capi) far lunghissimi rigiri per evitar le pattuglie ed i curiosi, sempre pronti alle indiscrezioni e delazioni: così i nostri patrioti conobbero a fondo l’asprezza e le insidie della zona Negi, Monte Caggio, Bajardo […] L’armamento della banda, ormai numerosa di circa 40 elementi, raggiunse i 30 moschetti e le 5 mitragliatrici, più bombe a profusione e forti riserve di munizioni. Verso la metà di novembre due ufficiali inglesi, fuggiaschi del campo di ferma vennero a capitar nella zona di Bajardo, ricoverati e confortati dai nostri, sistemati poi nottetempo in un casolare di vetta  […] Purtroppo il 14 febbraio 1944 Brunati e la Maiffret, venivano definitivamente presi dai repubblicani, su denuncia di (……) Garzo partigiano traditore, ex camicia nera rientrato nella guardia repubblicana per inimicizia coi 2 eroici capi: la denuncia era tale da comportar pronta esecuzione capitale, ma l’intervento d’un agente bene intenzionato, faceva sospender le condanne e vi sarebbe riuscito del tutto se il console Bussi vigliaccamente non avesse distratto le pezze a scarico, consegnando i 2 capi alla S.S. tedesca. Sappiamo dolorosamente che Brunati e la Maiffret vennero bestialmente seviziati: il 1° fu poi fucilato il … maggio a … la seconda deportata in Germania ove languì per 10 mesi: ora essa è salva, il che ha del miracoloso.
Giuseppe Porcheddu, manoscritto (documento IsrecIm) edito in Francesco Mocci (con il contributo di Dario Canavese di Ventimiglia), Il capitano Gino Punzi, alpino e partigiano, Alzani Editore, Pinerolo (TO), 2019  

martedì 18 aprile 2023

Fino al tempo dei nonni, nel Ponente Ligure le persone colte erano tutte bilingui

Mentone Garavan

Non conosciamo di persona Mario Castellano. Al telefono la sua voce ci parla di un signore che unisce garbo e cultura (che spesso si accompagnano), attaccamento alle origini (il Ponente Ligure) e orizzonti senza confini. Avevamo letto un suo pezzo sul quotidiano il Faro di Roma e abbiamo pensato che sarebbe stato molto bene anche qui, tra le pagine virtuali di inProvenza. Per questo l’abbiamo contattato e gli abbiamo chiesto se gli avrebbe fatto piacere che lo pubblicassimo. La risposta è qui sotto.
"Su di una delle sponde del Garavano, che segna il confine tra i due Stati fin da quando il Principe di Monaco vendette per un tozzo di pane Mentone e Roccabruna a Napoleone "il Piccolo", con il risultato di rendere enclavé - come si dice nella lingua di Molière - il suo piccolo regno, si trovano degli Italiani che hanno mutuato dalla Francia la stessa idea della propria unità nazionale, proclamata da Napoleone Bonaparte, rivolgendosi nella nostra lingua ai rappresentanti dell’intera Penisola convenuti al Congresso di Lione del 1802, e propiziata in seguito dal nizzardo Giuseppe Garibaldi.
Il quale, tuttavia, era nato in riva al Varo da padre di Genova, Giuseppe Domenico Garibaldi, e da madre - tale Rosa Raimondi - originaria di Loano, nel Savonese: sicché, nel rivolgersi al genovese Nino Bixio durante la battaglia di Calatafimi, pronunziò nella comune lingua regionale la famosa frase: "Bixio, qui si fa l’Italia o si muore!".
Il ligure era d’altronde l’unico idioma in cui il Generale, uomo notoriamente illetterato, fosse in grado di esprimersi in modo corretto.
L’Eroe zoppicava infatti tanto nell’italiano quanto nel francese, riusciva a malapena a farsi capire in spagnolo e quasi per nulla in portoghese. Lo testimonia il fatto che sua moglie si chiamava in realtà Aninha, nome tradotto nel castigliano Anita dal marito, il quale aveva qualche rudimento della lingua di Cervantes ma nessuno di quella di Camoens.
Sull’altra sponda del Garavano, troviamo dei Nizzardi di antica ascendenza, i cui antenati si consideravano Piemontesi (per i Savoia, Nizza era per antonomasia "la Fedele", mentre Oneglia era "la Fedelissima"), accanto a molti immigrati dall’Italia (molti dei quali fuggiti dalla dittatura fascista). Gli uni e gli altri educati nello spirito della Repubblica Francese.
Confluiscono infatti nella loro formazione tanto l’umanesimo italiano quanto i principi immortali di libertà, uguaglianza e fraternità proclamati nell’Ottantanove.
Più addentro, risalendo l’arco alpino, ci sono i Piemontesi di Cuneo - che per qualche tempo fece parte del Regno di Francia - ma soprattutto gli Occitani, abitanti nelle alte valli.
Gli appartenenti a questa nazione si ritrovano ogni anno, confluendo dai due versanti delle loro montagna, nel Santuario Mariano del Comboscuro, in val Maira, per la tradizionale festa dell’Otto Settembre.
Il loro idioma è l’unico diverso dall’italiano in cui Dante - conoscitore tanto della "Langue d’Hoc" quanto della "Langue d’Oil" - insegnatagli da Brunetto Latini, primo professore di francese nel nostro Paese - compose una terzina della Divina Commedia, mettendola in bocca al trovatore Bertrando del Bornio.
La cosiddetta "Lingua d’Oca" - da cui l’omonima Regione - è comunque proporzionalmente più usata dai provenzali d’Italia che da quelli di Francia, ed il suo maggiore studioso contemporaneo, il Laffont, trascorse gran parte della sua vita a Firenze, città in cui si era sposato e dove la vedova, una studiosa italiana, prosegue le sue ricerche.
Diffuso dalla Valle d’Aosta lungo tutto l’arco alpino fino a Tenda, il provenzale, espressione della grande civiltà trovadorica distrutta ai primi del Duecento dalla crociata bandita dal papa Innocenzo III contro gli albigesi, e poi perseguitata dallo Stato francese, tanto monarchico quanto repubblicano, si estende nel territorio della Provincia di Imperia con una piccola penisola linguistica comprendente Realdo, Cetta, Loreto e Verdeggia, frazioni del Comune di Triora, posto nell’alta valle dell’Argentina.
Dovendo dunque definire ed affermare una identità culturale specifica della nostra Regione, tanto i francofoni quanto gli italofoni devono rivolgersi per l’appunto agli occitani, cioè all’unico popolo che non ha come riferimento nessuno dei due Stati nazionali confinanti.
Rimanendo nell’abito linguistico, Nizza è compresa nell’area ligure, mentre soltanto al di là del Varo - che infatti segnava il confine tra il Piemonte e la Francia - inizia il territorio provenzale.
Tutto questo porta a concludere inevitabilmente che la nostra è un’area di transizione: perfino dal punto di vista della geografia fisica, dato che le valli alpine convergono per l’appunto a Nizza, contribuendo a designarla come il nostro naturale capoluogo.
Si poteva d’altronde definire come una identità di transizione anche quella del Piemonte, che infatti fu l’ultimo tra i nostri Stati Regionali - detti anche, con nostalgia, gli "Antichi Stati" - ad adottare l’italiano come lingua ufficiale, sotto Emanuele Filiberto, nel Sedicesimo secolo.
Il Conte di Cavour parlava molto bene in francese, e molto male in italiano, al punto che doveva farsi scrivere i testi nella lingua di Dante dal suo segretario, l’israelita Isacco Artom di Asti: il quale ricordava come, quando il Presidente del Consiglio si esprimeva in italiano, gli veniva voglia di tapparsi le orecchie.
La debolezza delle lingue regionali tanto del Piemonte quanto della Liguria deriva in gran parte dall’avere dovuto competere - anziché con una sola - con due grandi espressioni letterarie: quella italiana, ma più ancora quella francese.
Fino al tempo dei nonni, nel Ponente Ligure le persone colte erano tutte bilingui, come attesta il sanremese Italo Calvino ricordando suo padre, il professor Mario Calvino."
Mario Castellano
Il pezzo di Mario Castellano è tratto, per gentile concessione dell’autore, dall’articolo “Fratelli al di qua e al di là del confine. Tutto ci unisce alla Francia” comparso su Il faro di Roma il 5 marzo, e riferito alla manifestazione per l’amicizia tra l’Italia e la Francia che si è tenuta a Nizza il 15 febbraio.
Dell’evento, Castellano sottolinea il valore simbolico della colonna sonora.
La manifestazione, racconta, "si è conclusa con una apoteosi musicale, all’insegna del canto corale: sono stati infatti eseguiti nell’ordine "Fratelli d’Italia", la Marsigliese, l’Inno alla Gioia dalla Nona Sinfonia di Beethoven (in onore dell’unione Europea), e l’Inno della Città di Nizza, quest’ultimo in lingua regionale.
Fin qui il programma ufficiale: concluso il quale, gli Occitani delle regioni alpine poste a cavallo tra l’uno e l’altro Paese hanno intonato il loro Inno Nazionale (in provenzale, o “Lingua d’Oca”), per finire con “Bella Ciao”, quale omaggio all'antifascismo ed alla Resistenza. In totale, sono state cantati ben sei brani. Solo al Festival di Sanremo si è riusciti a fare di più, ma non certo di meglio".
Redazione, Garibaldi, Calvino e le identità di transizione, inProvenza, marzo 2019

mercoledì 12 aprile 2023

Questo ragazzo abita fuori Sanremo...

Sanremo (IM): il sito della dismessa stazione ferroviaria

[...] La nostra biblioteca [di Sanremo], tristissima, non ha nessuna attività culturale come per esempio organizzare conferenze e dibattiti dove sia possibile trattare qualsiasi argomento che sia d’interesse comune.
Che ne dici, le organizziamo noi? Bum bum!
(in seguito, ti  ricordi, le abbiamo anche organizzate, eravamo già all’università)
Con tutti questi turisti, che certamente portano soldi, c’è sempre un’aria di vacanza, leggera, insomma una falsa festa che non ci riguarda. Suggerisce una vita facile e stupida lontana dai problemi della vita. Le vetrine di via Matteotti [in Sanremo], soprattutto il negozio di Cremieux, ti danno l’idea che gli abitanti abbiano in tasca pacchi di soldi, mentre poi sono pieni di francesi e noi andiamo in via Palazzo o al mercato. Certo ci vanno anche quelli di Sanremo come mia sorella, ma sono una minoranza.
La cosa più bella di Sanremo è il mercato dei fiori, ci sei già andata? A parte la bellezza dei colori, lì c’è gente attiva fin dalle tre del mattino, che vende e che compra, discussioni a non finire, a volte liti “perché quella cesta al tale l’hanno lasciata più bassa”, “perché una cesta era impegnata ed adesso è venduta”… è il vero salotto di Sanremo, l’opposto delle sale da thè del Casinò, dove la gente che produce si trova e si racconta e tutti parlano in dialetto, a voce alta, tanto che se non sei abituato esci stordito. E poi c’è la migliore focaccia di Sanremo, sempre calda! Quando ero alle elementari mi alzavo prima per andare al magazzeno dei miei a fare i mazzetti, ci trovavo già mio nonno, anche lui nei mazzetti: si mettono margherite bianche e gialle, una o due calendule, un bluet, qualche ranuncolo, qualche anemone e poi si legano col filo verde stretti. Si chiamano “primavere”, sì proprio perché c’è un po’ di tutto e sono allegre. Le avrai viste alle bancarelle sotto casa tua.
Lì mi trovavo sempre molto bene perché stavo tra gente simile a me e ai miei genitori. Ero sicura che avrei continuato il loro lavoro. Poi alle medie è successo qualcosa che non so, ho incominciato a leggere e ad appassionarmi alla cultura dei libri… adesso mi sento diversa da loro, forse sto così male perché non vedo più la realtà in cui vivo, non condivido niente del mio ambiente e mi faccio un mondo con delle pagine scritte e gente morta da secoli. Invece di parlare con i miei, ché tanto non  mi capirebbero, mi confido con Seneca e S. Agostino. Fortunatamente a Sanremo c’è Don Alberto e la Piccola Libreria.
Sono diventata così a causa di Suor Clementina che, anche senza volerlo, mi ha fatto diventare un’estranea al mio ambiente. Te ne parlerò.
So che sei stata con tuo fratello al Partito Socialista, non vuoi parlarmene? Sono già orientata da quella parte, ma di partiti socialisti ce ne sono due. Quale sarà quello giusto? E poi c’è il Partito Comunista. Il papà della Buschiazzo è sempre stato iscritto e adesso anche il fratello di mio nonno. Mio nonno invece è sempre stato socialista e antifascista ed è lui che mi ha educato fin da piccola. Adesso poi, andando a lezione dalla Buschiazzo vedo sempre l’altro lato delle cose. Lei è comunista anche se non si è mai iscritta al partito.
Chiara
Ciao Chiara. Sto guardando fuori dalla finestra e non si vede niente, ma è sempre meglio che ascoltare quello sciagurato di italiano che impazza, con il baccano di sottofondo dei nostri cari compagni (si fa per dire). Non sopporto quando poi si mette ad urlare perché nessuno lo sta a sentire. Secondo me i bidelli non puliscono i vetri su precise direttive, così non possiamo vedere che fuori c’è il mondo. Deve essere tutta una congiura. Chissà se la scuola è così dappertutto? Io purtroppo non riesco ad immaginarmi un paese diverso da Sanremo, anche se qui ci sto male. Ricordo che alle elementari c’era una ragazza, si chiamava Cazzaniga di cognome, che veniva da Milano. A me sembrava un essere extraterrestre e mi pareva che fosse impossibile essere nati in un paese diverso dal nostro. Ricordo anche di essermi molto meravigliata che nelle altre città, per scrivere la data, non si mettesse accanto a giorno, mese ed anno la dicitura Sanremo. C’era un’altra bambina che diceva che suo padre andava sempre a Monza per lavoro ed io la guardavo un po’ con sospetto. Ce n’era un’altra invece che aveva il padre che abitava a Roma; di Roma però mi piaceva l’idea, con tutti quei ruderi e quella storia meravigliosa e non facevo fatica ad immaginarmici.
Adesso invece invidio molto le persone che partono: mi sembrano magiche, soprattutto quelle che prendono l’aereo per andare in posti esotici. Mi ricordo di mia cugina, che aveva l’innamorato di Sanremo, che era andato ai Caraibi per lavoro: passava tutto il tempo a scrivere lettere, con una scrittura enorme e svolazzante, che pareva dare aria ai fogli già estremamente leggeri della posta aerea. Poi metteva la lettera nella busta, la incollava, appiccicava i francobolli che aveva sempre in quantità industriali ed andava ad imbucarla. Tutte queste operazioni le davano ai miei occhi un fascino particolare. Un bel giorno si sposò per procura e partì per andare a prendere l’aereo a Nizza o a Roma. La consideravo un essere straordinario e le fotografie che poi arrivarono me lo confermarono: lei in primo piano, molto fotogenica, su sfondi tropicali, in case di tipo coloniale e con governante nera al seguito.
Donatella
[...] Cara Bruna [anche Chiara], tu parli della ricerca della verità ed io un po’ mi vergogno, perché penso di non essermi mai posta, almeno coscientemente, questo problema. Anzi, mi sono sempre posta il problema di cosa agli altri sarebbe andato bene sentire da me. Ho delle attenuanti anche grosse, per quello che valgono.
Da quando io e mio fratello ci ricordiamo, abbiamo sempre dovuto far finta di qualcosa, non per mia mamma e mio papà, ma per i parenti di mio padre. Dato che gli interessi erano tutti mescolati perché il negozio, dove lavoravano unicamente i miei, era però ancora della mamma di mio papà, se si acquistava qualcosa, anche di essenziale, come scarpe o cappotto, sembrava che si sottraesse alla cassa comune.
Allora dovevamo dire che erano gli zii materni notoriamente scervellati e spreconi, che ce li avevano regalati. Se si trattava poi di qualcosa di voluttuario, come ad esempio le paste o le patatine fritte, apriti cielo: la consegna era dire che avevamo incontrato lo zio Cecco, fratello di mia madre, che aveva sperperato un po’ del suo denaro in cose inutili e dannose.
Siamo così vissuti per molti anni in questo clima di clandestinità e anche se si trattava di un’arma di difesa, ha plasmato non poco il carattere ed il modo di essere mio e di mio fratello. Ho imparato a nascondere me stessa in fondo in fondo, a non rivelarmi mai, neppure con i miei. Con te è stato diverso, perché mi hai un po’ costretta, nel senso che hai avuto la costanza, l’amore, la tenacia di volere capire cosa c’era dietro la mia facciata. Per me, ti assicuro, è stata una realtà meravigliosa e quasi incredibile poter parlare liberamente invece di far finta di non avere timore di svelare quello che pensavo o che semplicemente mi passava per la mente. Tu dici che hai avuto orrore di quella persona che non aveva “consistenza” perché non aveva una sua verità. Beh, anch’io provo orrore per quello che sono, più che altro sento l’estrema debolezza di questo nascondersi in continuazione. Ma ho ancora molta paura di uscire dal personaggio, anche se con te ci riesco. Vedremo!
Chi non ha orrore di sé invece sono alcuni personaggi che abbiamo attorno e non solo professori. Pazienza, come direbbe Pastorelli, andiamo avanti con le erbe a strissie della steppa, almeno fino alla campana dell’una.
Donatella
Cara Do, ieri ho scoperto una cosa sulla nostra strissia che mi fa orrore. Ho incontrato un nostro compagno - che preferisco non nominare - sulla porta di casa del professore. Questo ragazzo abita fuori Sanremo e lì per lì non sapeva come giustificarsi, ma siccome è simpatico mi ha confessato che va tutti i giorni tre ore a lezione (pagate profumatamente!) dal nostro, prima delle interrogazioni gli dice le domande e ovviamente le risposte e il patto è che comunque sia lo promuoverà a giugno! Ma te lo immagini?
Ormai il mio disprezzo per lui non ha confini: viene in classe, si piglia lo stipendio e non spiega nulla, legge e legge, e si vende anche le promozioni!
Lo vedi che abbiamo ragione a star male in questo ambiente ributtante! E a chi dirlo? Non abbiamo proprio fiducia di nessuno, a parte Don Alberto che non ci potrebbe fare nulla. Guarda che modelli la scuola ci propina! E noi siamo impotenti. Che fare?
Chiara
Chiara Salvini, 6 ottobre 2012 ore 08:04. Disperata dei pacchi che mi fissano, coperta di vecchie polveri, quelle che dovevamo spolverare da tanti anni, mi azzardo a pubblicare questo epistolario senza rileggerlo. Guai certissimi!! E' di due ragazzette d'antan ... 1058... Non così d'antan, era il 1958! Paziente trascrizione di Barbara Bonifacio, elegantissima in tutto, Nel delirio non ero mai sola, 6 ottobre 2012 

giovedì 6 aprile 2023

Mostra "Volti e mare di Bordighera"

 



Unione Culturale Democratica

A.N.P.I.

Via al Mercato n. 8

BORDIGHERA

12-20 aprile 2023

ore 17-19

 

RITA DELLA GIOVANNA

VOLTI E MARE DI BORDIGHERA

disegni e dipinti

 

Ingresso libero

La  Mostra è aperta al pubblico tutti i giorni, festivi compresi, dalle ore 17 alle ore 19       

 
 

Rita Della Giovanna, nata nel 1948 a Trigolo in provincia di Cremona, bergamasca di adozione, dal 1977 risiede a Gorlago (BG) dove vive e lavora.
A partire dagli anni '80, ha dipinto principalmente oli su tavola. Attualmente pratica anche l'incisione nell'ambito della Scuola di Gorlago. Una lunga e appassionata ricerca artistica, la sua, con predilezione per la pittura a olio, liberamente fedele al figurativo.
Ha esposto a Bergamo e provincia, nel suo paese natale e a Bordighera, che frequenta da almeno 50 anni. 

Giorgio Loreti

Unione Culturale Democratica -  Sezione ANPI - Bordighera (IM) Tel. +39 348 706 7688 

 

sabato 1 aprile 2023

Siccardi ricostruiva i muretti a secco delle terre materne con una tecnica nuova

Uno scorcio di Mentone e, sulla destra, lo storico posto di frontiera di Ponte San Luigi

I ritorni non furono un fenomeno limitato all’avvento del conflitto, ma si verificarono anche, in misura più contenuta, con l’avvento della crisi economica che fu avvertita in Francia dal 1931. Antonio Siccardi, socialista imperiese di estrazione contadina stabilitosi a Cannes già dal 1923, pur essendo un migrante della prima ora, piuttosto ben inseritosi nella società di accoglienza, rientrò in Italia al culmine dell’esasperazione pubblica per la crisi economica, nel '33, riabbracciando la propria famiglia e il lavoro dei campi <112. Similmente il compaesano Carlo Siccardi, fuggito all’inizio degli anni Venti perché implicato in un espatrio clandestino, rientrò alla fine del decennio a Ventimiglia, chiudendo definitivamente l’avventura francese <113. Agostino Guglielmi, comunista di Torri, aveva risieduto per circa dieci anni in Francia spostandosi continuamente come ambulante, da Marsiglia alle regioni del Nord, spingendosi fino in Belgio e in Germania, senza poter gettare solide radici in una comunità specifica, nonostante il sostegno che avrebbe potuto offrirgli la sorella che abitava stabilmente a Mentone e che aveva sposato un cittadino francese; isolato da anni di lavoro solitario, Guglielmi rientrò in patria nel '33, abbandonando la militanza politica <114.
In generale i ritorni furono elementi intrinseci del va-et-vient della migrazione transfrontaliera, obiettivi prestabiliti di percorsi faticosi, di duri anni di lavoro, lontani dalla famiglia. La pregiudiziale antifascista si mescolava agli interessi familiari in dinamiche tipiche della migrazione economica. Il processo di ritorno poteva assumere allora significati importanti non soltanto dal punto di vista del migrante, ma della stessa società di partenza.
Le risorse accumulate nel corso degli anni all’estero venivano infatti impiegate per acquistare la terra o in nuovi investimenti familiari: Nino Siccardi, rientrato in Italia dal Maghreb, riavviava le attività agricole familiari per imbarcarsi nuovamente lungo le rotte mediterranee. Sarebbe infine tornato nella sua Imperia per raccogliere i frutti del suo lavoro.
Persisteva cioè l’attaccamento alla cultura della proprietà, in cui il possesso di beni immobili e della terra costituiva il più importante marcatore dello status.
Il contesto di accoglienza estero rimodellò almeno in parte i punti di riferimento dei migranti, portandoli ad una maggiore consapevolezza delle proprie nuove capacità. Nel ritorno in patria essi mettevano alla prova queste competenze, che nell’ambiente di origine potevano essere maggiormente riconosciute: Siccardi ricostruiva i muretti a secco delle terre materne con una tecnica nuova, che aveva appreso quando era capomastro in Africa del Nord, ottimizzando il lavoro delle sue terre liguri <115.
[...] Le cause non furono sempre univoche e i percorsi individuali incisero, in una situazione di generale incertezza, sulle scelte definitive. Vi fu chi rientrò preoccupato per il proprio stato di salute e per l’età avanzata, desideroso di riabbracciare ancora una volta i propri cari, e che si rivolse direttamente ai consolati per richiedere un permesso ufficiale per tornare in Italia; o ancora chi fece ammenda presso le istituzioni italiane all’estero dichiarandosi pentito di avere combattuto per l’antifascismo e avere compreso infine la giusta causa del regime.
In un contesto come Nizza, persino membri dell’Unione Popolare Italiana, nella primavera del '40, facevano la fila al Consolato italiano per rimpatriare <120.
Qualunque fosse la motivazione più insistente, la Francia a cavallo del nuovo decennio non era più percepita dai migranti italiani come una terra d’asilo. In questi casi non era semplice valutare la veridicità delle dichiarazioni di ravvedimento, spesso opportuniste, a volte segno di un reale distacco dalla politica dopo anni di stenti, solitudini, precarietà; le fonti memorialistiche consentono talvolta di ricostruire i percorsi successivi al rientro in Italia e di verificare la franchezza o le strategie che si celavano dietro a tali confessioni.
[NOTE]
112. Cpc: b. 4794, f. Antonio Siccardi.
113. Cpc: b. 4794, f. Carlo Siccardi.
114. Cpc: b. 2581, f. Agostino Guglielmi.
115. Cerase, «L’onda di ritorno: i rimpatri» cit., pp. 123-125. Biga, U cürtu cit.
120. Cfr. Vial, Notes sur le retour cit.: secondo Vial capitò persino a Romualdo Del Papa v. Cpc: b. 1701, f. ad nomen.
Emanuela Miniati, La Migrazione Antifascista dalla Liguria alla Francia tra le due guerre. Famiglie e soggettività attraverso le fonti private, Tesi di Laurea, Università degli Studi di Genova in cotutela con Université Paris X Ouest Nanterre-La Défense, Anno accademico 2014-2015  

Bisogna giungere al 1937, perché su iniziativa dei comunisti, con la costituzione dell'Unione Popolare Italiana, si dia vita al più ambizioso e riuscito tentativo di saldatura fra l'azione degli esuli politici e la massa degli immigrati italiani in Francia.
L'UPI è il frutto di un'applicazione estensiva della linea dei fronti popolari, come ve ne sono anche in altre realtà nazionali con il nome di politiche della riconciliazione ο della mano tesa <5. Il suo obiettivo è infatti quello di realizzare «l'unione degli italiani immigrati, al di sopra di ogni tendenza particolare ο di partito», estendendo il reclutamento anche «oltre il confine antifascista» e rivolgendosi «a tutti gli italiani onesti, amici della pace e del progresso» <6. Al suo fianco si muove una serie di organismi collaterali, anch'essi animati dall'attivismo comunista e destinati alla penetrazione in specifici settori dell'emigrazione italiana: tra questi il più importante è l'Associazione franco-italiana degli ex combattenti, che esiste già dal 1935 <7. L'UPI si avvale anche di un giornale quotidiano, La Voce degli Italiani, che inizia le pubblicazioni nel luglio 1937 e che, pur senza esserne ufficialmente l'organo, ne esprime le posizioni e ne sostiene le attività <8. Al culmine della sua espansione, alla vigilia della guerra, l'UPI vanterà oltre 50.000 iscritti, organizzati in quasi 700 sezioni.
[NOTE]
5 Cfr.. E. Gennari, La politica della riconciliazione fra le masse emigrate italiane, in Lo Stato operaio, 1937, n° 2, p. 148-152.
6 Per le basi programmatiche dell'UPI, cfr. Unione popolare italiana. Congresso di Lione 28-29 marzo 1937, Parigi, s.d.; L'Unione popolare all'alba del 1938, Parigi, s.d.
7 L'Association franco-italienne des Anciens combattants (AFIAC), che agisce in stretto collegamento con la francese ARAC, era sorta nel gennaio 1935 sulle ceneri della Federazione Italiana degli Ex-combattenti, costituitasi nel 1929 in ambiente socialista-repubblicano. Promotori dell'AFIAC erano stati due ex repubblicani, Bettini (detto Schettini) e Rossetti, avvicinatisi alle posizioni del PCI. Cfr. la documentazione contenuta in ACS, G1, b. 232, f. 498/1 e b. 315, f. 1169.
8 Secondo il progetto iniziale La Voce degli Italiani avrebbe dovuto essere un giornale unitario dell'antifascismo, ma, non essendo andate in porto le trattative tra i partiti, l'iniziativa della pubblicazione è assunta dall'UPI e dall'AFIAC, cioè, in pratica, dal PCI. Per qualche tempo collabora all'impresa anche la LIDU, il cui presidente Campolonghi è, assieme al comunista Gennari, uno dei due primi condirettori del giornale.

Leonardo Rapone, I fuorusciti antifascisti, la Seconda Guerra Mondiale e la Francia, Persée, 1986 

La “pugnalata alla schiena” di Mussolini costò cara ai rifugiati italiani, internati in massa come nemici nei campi di concentramento. Fu allora che molti emigrati presero la via del ritorno, sollecitati anche dalla politica di rimpatri del regime <69. Di rado le fonti istituzionali permettono di seguire i percorsi dei singoli fuoriusciti durante la guerra <70. Di fronte all’emergenza bellica e nello stato di ostilità con la Francia l’apparato poliziesco del regime non riusciva evidentemente più a condurre la sua capillare opera di sorveglianza all’estero, fino a quando questa non cessò totalmente con la caduta di Mussolini. Tuttavia la memorialistica e la memoria locale permettono di ricostruire una buona parte delle vicende degli esuli liguri e di gettare uno sguardo d’insieme sul fenomeno del ritorno. In alcuni casi, poi, le fonti francesi di naturalizzazione rivelano il carattere definitivo dell’immigrazione. In generale chi si fermò in Francia in modo permanente aveva messo in atto progetti personali e familiari, raggiungendo una certa integrazione e stabilizzazione economica. Accadde in particolare nelle zone ad alta densità di liguri, dove la comunità immigrata era ben impiantata. La possibilità di avvalersi di una rete nutrita di compaesani, di conoscenze familiari e affinità politiche aveva facilitato l’inserimento in zone come La Seyne o Nizza, dove i fuoriusciti liguri potevano sentirsi “a casa”. La cultura della famiglia e della comunità non perdeva nemmeno allora il proprio ruolo: spesso i legami con il paese d’origine si mantennero anche all’indomani della guerra <71. I militanti più in vista del fuoriuscitismo seguivano però in maggioranza i flussi di ritorno. Chi non riuscì a rimpatriare perché colto dall’invasione nazista profuse il suo impegno nella resistenza francese; ma la gran parte dopo questa esperienza tornò in Italia, approfittando del capovolgimento della situazione nazionale il 25 luglio o al termine del conflitto <72. Per tutti gli altri l’inizio della guerra e l’avvicinarsi dell’esercito tedesco costituirono l’occasione per varcare definitivamente la frontiera, anche a costo di essere arrestati. Spesso furono gli stessi partiti ad organizzare il rimpatrio e ad avvicinare gli esuli al movimento antifascista clandestino in Italia per assumervi ruoli organizzativi di prima importanza, mettendo a frutto l’esperienza maturata all’estero <73.
[NOTE]
69 E. Vial, In Francia, cit., pp. 141-146; Police et migrants: France 1667-1939, Pur, Rennes 2001.
70 La maggior parte dei fascicoli del Cpc all’Acs si arresta tra il 1941 e il 1943. Le fonti dei ministeri degli esteri sono perlopiù statistiche.
71 ACS, CPC, b. 2866, fasc. Mansueto Lucherino; b. 2868, fasc. Amore Massimo Luciani; b. 2869, fascc. Francesco Luciani; Orlando Luciani; b. 3011, fascc. Ernesto Marabotto; Giuseppe Marabotto; Silvio Marabotto; b. 4043, fasc. Andrea Poggi; b. 4044, fasc. Gerolamo Andrea Poggi; b. 4045, fasc. Paolo Poggi; b. 2895, fasc. Andrea Michele Maccario; interviste a G. Marabotto, A. Marzocchi e G. Meneghini et al. cit. Sulla cultura della famiglia dei migranti cfr. i lavori di Emilio Franzina o dell’Alsp; sulla cultura degli antifascisti cfr. G. De Luna, Donne in oggetto. L’antifascismo nella società italiana 1922-1939, Bollati Boringhieri, Torino 1995.
72 Interviste a G. Marabotto, M. Martini, A. Marzocchi cit.
73 Cfr. G. Gimelli, La Resistenza in Liguria: cronache militari e documenti, Carocci, Roma 2005; Giovanni Battista Pera, cit.; interviste a G. Marabotto, A. Michelangeli e M. Rolla cit.; N. Simonelli, Raffaele Pieragostini (1899-1945), Contributo ad una storia del partito comunista a Genova, Pci Genova, Genova 1974; Id., Agostino Novella e il Pci a Genova (1945-1947), De Ferrari, Genova 2008; R. Rainero, Raffaele Rossetti, cit.; F. Biga, “U curtu”: vita e battaglie del partigiano Mario Baldo Nino Siccardi..., Dominici, Imperia 2001.

Emanuela Miniati, Antifascisti liguri in Francia. Caratteristiche e percorsi del fuoriuscitismo regionale in «Percorsi Storici», 1 (2013)