venerdì 26 maggio 2023

Bordighera: mostra fotografica dedicata a Marcello Cammi

Un'opera di Marcello Cammi, fotografata qualche anno fa in stato di abbandono in Località Arziglia di Bordighera (IM)

 

Unione Culturale Democratica

A.N.P.I.

Via al Mercato n. 8

BORDIGHERA

28 MAGGIO 2023 - 8 GIUGNO 2023

ore 17 / 19


Mostra fotografica di

SALVATORE  RUSSO

 dedicata a

“ MARCELLO CAMMI “

sculture

 

ingresso libero

 

   “....... Autodidatta, riusciva ad esprimere liberamente se stesso al di fuori delle norme estetiche convenzionali e dei condizionamenti di qualsiasi scuola o movimento. Marcello il primitivismo lo aveva dentro di sé e riuscì ad esternarlo creando un giardino incantato che rappresentava il suo vissuto, oppure dipingendo paesaggi ideali e incontaminati; un “Artista puro” dalla vitalità prorompente e dal'instancabile creatività, capace di esprimere liberamente se stesso attingendo all'arte primordiale ed istintiva, alla costante ricerca dei vari aspetti della condizione umana, dove nel dolore e nella drammaticità s'intravede un barlume di speranza per un futuro migliore, di cui la natura, nel pensiero dell' autore, appare sempre garante.   ….. “

  Da “Marcello Cammi” di Marco Farotto.

(Tratto dalla raccolta di storie-ricordi-vite in “Racconti di Bordighera”  a cura di Pier Rossi.  Giugno 2017)

 

Salvatore Russo, pensionato, già dipendente delle Poste, è appassionato di cinefotografia amatoriale e vive a Vallecrosia (IM).

 

Giorgio Loreti

Unione Culturale Democratica -  Sezione ANPI - Bordighera (IM) Tel. +39 348 706 7688   

giovedì 18 maggio 2023

Nico abitava a Mortola; io abitavo a Mortola

Ventimiglia (IM): il vecchio tratto della Statale Aurelia in salita verso Mortola

[...] Conobbi Nico [Orengo] sulla corriera. Eravamo ragazzini [Nico Orengo era del 1944] ed andavamo a scuola a Ventimiglia; io alle Medie di Via Regina, lui non mi ricordo, forse all'Avviamento, ma non ne sono sicuro.
Io abitavo a La Mortola e lui a Latte e saliva alla fermata vicina alle vecchie scuole, quelle fatte costruire da Sir Thomas Hanbury.
Mingherlino, alto, con i capelli corti, lisci e dritti come le setole di una spazzola, aveva sempre un mezzo sorriso sulle labbra; notai che le ragazzine timidamente lo sbirciavano di sottecchi.
Qualcuno mi disse che era il figlio del Marchese Orengo.
Da figlio di poveri contadini, non mi azzardai a rivolgergli la parola se ci incrociavamo per caso nel corridoio della corriera, limitandomi ad una furtiva occhiata e ad un fugace cenno col capo.
Poi un giorno, siccome il sedile era vuoto, si sedette accanto a me.
Mi disse il suo nome, io gli risposi col mio; parlammo di cose senza importanza sottolineate da frequenti risolini.
Era facile conversare con lui; mi sentivo a mio agio, non affatto intimidito dalla consapevolezza che lui faceva parte di una classe sociale superiore alla mia.
Diventammo amici 'in corriera'. Eventualmente, durante le nostre conversazioni, Nico accennò alla sua famiglia ed io alla mia; nulla cambiò nel suo atteggiamento. Non si diede arie di superiorità, non ostentò il suo lignaggio: era semplicemente un ragazzo, un amico.
Quell'anno fu un tempo difficile per la mia famiglia. Dopo più di una decina d'anni nell'Arma, la località vicino al mare dove io ero cresciuto e dove i miei erano mezzadri, dovemmo lasciare la campagna e trasferirci su in paese.
Nonostante il disagio apportato ai miei genitori, io, con la tipica irresponsabilità giovanile, accolsi il cambiamento con entusiasmo: ora non ero più lontano da tutto ed isolato da tutti; ora ne ero finalmente nel mezzo.
Con mia sorpresa, un giorno mi imbattei in Nico davanti all'entrata dei Giardini Hanbury: non l'avevo visto da parecchio tempo quell'estate.
Quando gli chiesi se era andato a visitare i Giardini, ridendo mi rispose che stava andando a casa e indicò il palazzo di fronte. Vedendo la mia espressione di sorpresa, mi spiegò che recentemente erano venuti ad abitare a Mortola. Non me lo aveva mai detto.
Non ci potevo credere: Nico abitava a Mortola; io abitavo a Mortola. Non più amici di corriera, ora eravamo amici di paese; dello stesso paese!
La nostra amicizia divenne ancora più stretta e ben presto formammo un gruppetto ben affiatato e vivace e, naturalmente, non mancarono birichinate e scherzi perpetrati a discapito di vari brontoloni e scontrosi abitanti: dopotutto eravamo ragazzi.
Una domenica mattina, prima della messa, ci ritrovammo nel rudere sventrato di una casa, bombardata durante la guerra, situata accanto alla chiesa. Le macerie rimaste non erano più pericolanti e noi ragazzi avevamo adottato quel luogo come il nostro ritrovo perché riparato da sguardi indiscreti.
Qualcuno aveva portato un paio di sigarette - non ricordo la marca - so solamente che erano ovali e che sapevano di menta. Dopo averle accese, ce le passammo aspirando con entusiasmo.
Ben presto la mia testa si mise a girare e cominciai a sentirmi nauseato, ma seguitai per non fare brutta figura. Finito di fumare, Nico suggerì di masticare alcune foglie d'ulivo per togliere l'odore del tabacco; non so da dove tirò fuori quell'idea, ma so che quell'orribile gusto amaro mi fece diventare ancor più nauseato.
Durante la messa - ero uno dei chierichetti - speravo solo che non mi venisse da vomitare davanti all'altare e davanti a tutti. Come Dio volle, riuscii a trattenermi ma, appena entrato in sagrestia, vomitai nel cestino dei rifiuti, mentre gli altri cercavano di distrarre il vecchio Don Romagnone, che, fortunatamente, non se ne accorse. Oh, come mi sentivo male!
Usciti di chiesa, dopo la messa, non sapendo se ridere o fare il serio, Nico mi disse: "Mi spiace che ti è venuto da vomitare; vuol dire che la prossima volta proviamo le Gauloises!".
Quel rudere, quella casa bombardata, eventualmente fu ricostruita e ristrutturata e, molti anni dopo, divenne la sua casa durante i suoi soggiorni a La Mortola. Era adornata da un cespuglio della sua amata Lantana che si arrampicava sul muro di pietra della scala invitando le farfalle con una cascata di inflorescenze multicolori e profumate.
Nelle belle giornate non era affatto insolito vederlo intento a scrivere, seduto sulla terrazza del suo studio che si affacciava sulla piazza della chiesa: così è rimasto nella memoria di molti, memoria purtroppo a me negata. Con le ferite della guerra non ancora completamente guarite, la vita procedeva lentamente nella speranza di un futuro migliore.
In un paesino come La Mortola, non c'era granché per i giovani; cose molto più pressanti preoccupavano "i grandi" e noi ragazzi dovevamo arrangiarci a creare i nostri svaghi e Nico fu uno dei maggiori contributori a quello sforzo.
La sua prolifica immaginazione era una fonte costante di sfide ed idee da affrontare e realizzare.
[...] Nell'autunno del lontano 1958, dopo l'intervallo estivo durante il quale frequentavamo compagnie diverse, ci ritrovammo per formare la solita 'ghenga' invernale. Di questa compagnia i più affiatati eravamo io, Nico Orengo e Ulderico Brunetti (Ricky).
Tanto per fare qualcosa di diverso, decidemmo di fondare una specie di Club; soci, solo noi tre.
Per prima cosa occorreva una sede. Dopo lunghe ricerche, la trovammo; una ingombra ma inutilizzata cantina nella casa dove abitava Nico.
Con entusiasmo ci mettemmo subito all'opera durante ogni momento libero, specialmente la sera dopo gli studi o il lavoro e i fine settimana. Dovemmo sbarazzare la cantina da un sacco di rifiuti di ogni genere, da una montagna di sterpi polverosi e da una nidiata di topi grossi come scarpe. Il gatto di Nico risolse il problema in un baleno, tanto che decidemmo di nominarlo socio onorario.
Terminata la pulizia ed assicurata la sede del nostro novello Club con un bel catenaccio alla porta, cominciammo ad arredare il locale. Mettemmo insieme rozze imposte per la finestra ed installammo alcune mensolette per libri e gingilli vari; ci costruimmo un caminetto ed un tavolino con materiale sgraffignato nottetempo un po' ovunque ed infine, in un fienile non usato da anni, trovammo un paio di sedie ed una specie di divano fatto con dei vecchi sedili d'auto.
Naturalmente fregammo tutto in blocco. Da ultimo, rovistando in un vecchio armadio nella sagrestia, trovammo un paio di candelabri tarlati e polverosi e parecchi pezzi di candele che prendemmo in prestito... dato che non sta bene rubare alla Chiesa... In tal modo avevamo risolto anche il problema dell'illuminazione.
Ogni momento libero lo passavamo nel nostro Club, fieri di avere un posto tutto nostro. Varie fotografie e ritagli di riviste francesi (era il 1958!) che mostravano corpi femminili in costumi succinti, vennero usati per 'abbellire' le pareti, inoltre Ricky ed io completammo l'opera con un paio di affreschi di dubbio gusto.
Per inaugurare ufficialmente il Club mancava solo il nome. Lo trovammo subito; non sapeva di niente, ma ci parve molto bello. Un cartello venne appeso alla porta con scritto a china: "CLUB DEI MARMITTONI".
Il Club divenne il nostro ritrovo; romanzi gialli o riviste da leggere non mancavano mai.
Discutevamo, facevamo progetti per il futuro, ci raccontavamo 'esagerate' avventure sentimentali, i nostri sogni più intimi, confessando persino le nostre 'cotte', spesso ci litigavamo ed alcune volte ci prendemmo a botte.
Là attentammo a tirar di boxe con due paia di vecchi guantoni di Nico; il mio naso ne è testimone ancor oggi, a più di sessant'anni di distanza.
Nelle fredde sere d'inverno, mentre fuori pioveva, era un piacere starsene comodamente seduti vicino al calore del rozzo caminetto di mattoni rossi, leggendo, fumando, chiacchierando.
Collettivamente eravamo il prodotto di un mondo allora più semplice e forse anche più innocente.
 

Nico Orengo e Roberto Rovelli in versione giovanile. Archivio: Roberto Rovelli

Roberto Rovelli
, Ricordando Nico, Facebook, 12-13 maggio 2013

martedì 16 maggio 2023

Ai tavoli del caffeuccio di Bordighera, specie al tempo di un premiuccio di là

Bordighera (IM): Giardini Monet, Via Romana, Pino delle Canarie in Villa Schiva, centro storico del Paese Alto

Uno degli incontri più interessanti e divertenti della mia vita, in anni - come i nostri - che il divertente si trova spesso a perdere il senso liberatorio che non dovrebbe mancargli mai, fu quello con Giacomo Natta: e per di più nei paesi dove era nato, tra Ospedaletti e Ventimiglia, nei caffeucci di Bordighera di venti o trent'anni fa, ma anche come gli avvenne per la buona sorte e l'amicizia di un coltissimo sanremasco, l'avvocato Gismondi che anche ricordo con rimpianto, nelle sale del Casinò di Sanremo per quel breve periodo invernale in cui, durante due o tre anni, Giacomo Natta fu chiamato a dirigere l'annuale corso di conferenze. E spesso vi era, miracolosamente presente, anche Tommaso Landolfi. Ai tavoli del caffeuccio di Bordighera, specie al tempo di un premiuccio di là, quello delle "Cinque Bettole", era capitato talvolta anche Sbarbaro: e i buoni lettori di Sbarbaro certamente rammentano le poche deliziose righe del poeta di Sportorno appunto dedicate all'amico Natta. Il quale venne a morte in Roma per sincope in casa di un amico - lui che non aveva mai avuto casa - lunedì 16 giugno 1960, ore 20: con un espresso in tasca indirizzato a me e che ebbi a Firenze quando la notizia della morte mi aveva già costernato. Avevo avuto da lui, venti anni fa, un suo dattiloscritto che mi sparve dagli occhi senza saper come, ma che ho ritrovato in questi giorni. Non mi risulta che sia mai stato pubblicato e ne do qui notizia come di un inedito; deliziosa notizia, direi, e ricordo del suo tipo indimenticabile, e del tempo che fu il suo.
Carlo Betocchi, Prefazione a Giacomo Natta, Il cappotto di Dino Campana in L'Approdo Letterario, n° 2 - 1976

"II^ Mostra Pittori della Domenica - Premio Cinque bettole", 8-10 agosto 1951
"Premio Cinque Bettole 1952", nascita del Premio letterario per una novella da essere illustrata con successivo concorso di pittura, 26 luglio-9 agosto 1952
"Premio Cinque Bettole 1953", Premio letterario per una novella da essere illustrata con successivo concorso di pittura, 26 luglio-9 agosto 1952
"Premio Cinque Bettole 1954", Premio letterario e concorso di pittura, Premiazione il 7 agosto 1952 (poi rinviata)
"Premio Cinque Bettole 1955", Premio letterario e concorso di pittura, Premiazione il 13 agosto 1955
"Premio Cinque Bettole 1956", Premio letterario per la narrativa e per il miglior articolo di giornale e concorso di pittura, Premiazione l’11 agosto 1956
"Premio Cinque Bettole 1957", Premio letterario per la narrativa e la poesia e concorso di pittura, Premiazione il 27 luglio 1957
"Premio Cinque Bettole 1958", concorso di pittura, Premiazione il 24 agosto 1958
"Premio Cinque Bettole 1959", concorso di pittura, Premiazione il 4 ottobre 1958
"Premio Cinque Bettole 1961", Premio letterario e concorso di pittura, Premiazione il 2 agosto 1961.
Edizioni tutte svolte presso osterie di Bordighera Alta.
"Premio di pittura '5 Bettole' - Premio Bordighera 1962", concorso nazionale di pittura, partecipazione su invito su invito, riservato a minori di 35 anni, premiazione il 18 agosto 1962 (esposizione dal 18 agosto al 9 settembre), Salone di San Bartolomeo (Ex-Oratorio) nella città alta.
"Premio Bordighera 1963", concorso nazionale di pittura , partecipazione su invito su invito, riservato a minori di 35 anni, premiazione il 22 dicembre 1963 (esposizione dal 22 dicembre 1963 al 19 gennaio 1964), Palazzo del Parco.
"Rassegna di grafica italiana contemporanea", 3-22 luglio 1964, Palazzo del Parco.
"Premio Cinque Bettole 1964", concorso di pittura a partecipazione e tema liberi, premiazione l’8 settembre 1964 (esposizione dal 22 agosto all’8 settembre), osterie della città alta.
Scheda a cura di Claudio Panella
Chiara Salvini, ...qualcosa sul premio 5 Bettole..., Nel delirio non ero mai sola, aprile 2021
 
Bordighera. «E' una strana e singolare cosa l'amicizia e molto problematica»: così scrive Giacomo Natta in uno dei racconti del volume uscito nel 1953 «L'ospite dell'Hotel Roosevelt». Un aforisma che riflette il suo rapporto con Enzo Maiolino, durato una vita, dove l'amicizia riguarda sia gli aspetti più concreti come il sostegno reciproco sia quelli più aulici, di tangenza tra la letteratura dell'uno e l'arte dell'altro [...]
Giulia Cassini, Bordighera, le «Serigrafie» di Enzo Maiolino e «quell'amicizia tra arte e letteratura». A un anno dalla scomparsa, Il Secolo XIX, 16 novembre 2017

Quando godo una tinta tenera mi torna a mente l'amico Natta.
Testone di ricci. Faccia sprizzante d'ironia; logora, dove la
bocca si apre come una lunga ferita.
È ghiottissimo di dolciumi.
L'intera giornata pellegrina da un caffè all'altro e s'incanta per
ore a guardare il vuoto. Galleggia sulle apparenze come un
sughero e si ciba di sfumature.

Una volta mi parlò d'un convento ch'era stato ammesso a vis-
itare; delle poche rose, del silenzio e della dolcezza del luogo,
delle mani di dama del Superiore, in modo che l'immagine di
lui è ora mescolata a quella dell'abate.

Il suo sogno è una veranda su un mare in bonaccia. Una donna
soave e devota gli risparmierebbe il contatto del mondo.

Un giorno che gli parlavo con entusiasmo di Leopardi mi
ascoltò compiacente; ma alla fine mi osservò che Leopardi
aveva i denti guasti.

Gli chiesi come faceva a mantenersi in quella leggerezza di
spirito. Mi confida che quando sentiva di perderla si dava a
tirare i campanelli delle porte, a giocare delle burlette ai
passanti. Faccende così gli mettevano in pelle l'arzillo dello
sciampagna.

La sua compagnia induce me pure in questo stato di grazia.
Basta allora una sedia di giunco, il cristallo d'un bicchiere a
farmi tacere di felicità.

Soltanto, non riesco a mantenermi a galla. E, ricalato come il
ciottolo a fondo, trovo l'amico Natta riposante e un po' fatuo
come in mezzo alla città il giardinetto pubblico.

Camillo Sbarbaro, Trucioli

In più passi dell’opera dello scrittore ligure [Camillo Sbarbaro] sono rinvenibili dichiarazioni che testimoniano un’attenta lettura del poeta recanatese. Il primo riferimento dal punto di vista cronologico emerge nel ritratto dell’amico Giacomo Natta inserito nei "Trucioli" pubblicati nel 1920: «Un giorno che gli parlavo con entusiasmo di Leopardi egli mi ascoltò con benevolenza: ma poi finalmente mi osservò che Leopardi aveva i denti guasti». <307
[...] Il procedimento analogico di oggettivazione e reificazione che abbiamo appena esaminato non viene applicato da Sbarbaro esclusivamente ad alcune precise categorie di personaggi femminili che compaiono all’interno di "Trucioli". Tale procedimento retorico ricorre in realtà più volte - pur se non secondo modalità altrettanto sistematiche e precise - anche in riferimento a taluni personaggi maschili che il protagonista incontra o ricorda. I primi due esempi che forniamo qui di seguito compaiono infatti negli affettuosi trucioli dedicati rispettivamente agli amici Cicco e Natta.
Così mi rimane nel cuore marionetta indimenticabile fabbricata per la mia gioia. (L’amico Cicco [T49], p. 252)
Galleggia sulle apparenze come un sughero e si ciba di sfumature. (L’amico Natta [T65], p. 281)
[NOTE]
307 CAMILLO SBARBARO, Trucioli, Firenze, Vallecchi, 1920, p. 153. Ora in CAMILLO SBARBARO, Trucioli, edizione critica a cura di Giampiero Costa, Milano, Scheiwiller, 1990, p. 281.

Matteo Zoppi, «Dare forma all'anima nascosta»: la retorica della comparazione nell'opera di Camillo Sbarbaro, Tesi di Dottorato, Università degli Studi di Milano, Anno Accademico 2013-2014

In queste sue pagine De Giovanni viene a raccontarci del sorgere e del consolidarsi di alcuni legami amicali che più di altri devono, indubbiamente, aver contato nel suo percorso di uomo e di scrittore. Amicizie, quelle con Angelo Barile, Carlo Betocchi, Giacomo Natta, Camillo Sbarbaro (solo per restare ad alcuni nomi) avvenute all'insegna della Letteratura, che, anche attraverso De Giovanni, riscopriamo ancora una volta capace di tessere orditi sorprendenti con incontri spesso decisivi e duraturi nel tempo. All'interno del libro, De Giovanni, con garbata forma e, viene da dire, con raro pudore, offre incisivi spunti interpretativi dell'opera dei vari autori presi in considerazione e, nello stesso tempo, dischiude talvolta orizzonti di lettura alquanto suggestivi»
Antonio Panizzi, Prefazione a Luciano De Giovanni, Amicizie. Scrittori e poeti liguri, Philobiblon Edizioni, 2022

XCIV.
[Autunno 1953] (d.d.)
Foglio 1 recto
Caro Giacinto,
ti ringrazio del tuo vivacissimo volume pieno d’intelligenza e di garbo [...] Avrai saputo del miserrimo aborto della rivista degli ortolani milanesi, meglio così ma che gente! Come direbbe il Natta.
<555 [...] [Mario Luzi]
[NOTE]
555 Giacomo Natta (Vallecrosia, 1892 - Roma, 1960) frequentò„ a Firenze il Caffè de Le Giubbe Rosse, ove conobbe Luzi. Fu insegnante a Grenoble e impiegato a Roma presso l’Istituto per le relazioni culturali con l’estero. Pubblicò  qualche racconto su  “Il Costume  politico e letterario” diretto da Velso Mucci, e una bella pagina autobiografica nei "Ritratti su misura" raccolti da Elio Filippo Accrocca  (Venezia,  Sodalizio  del  Libro,  1960). Tra le sue opere  principali si ricorda "L’ospite dell’Hotel Roosevelt", Milano, Edizioni della Meridiana, 1953.

Paola Benigni, "pensando a te nelle voluttuose spire, le sigarette della tua gentilezza". Lettere inedite di Mario Luzi a Giacinto Spagnoletti, Tesi di dottorato, Università degli Studi di Roma Tor Vergata, Anno Accademico 2007-2008 

Tra gli artisti contemporanei di maggiore valore, di respiro europeo, protagonista di rilievo dell’astrattismo e dell’arte neo-concreta, Enzo Maiolino, calabrese, dal 1945 vive a Bordighera. Allievo di Giuseppe Balbo, schivo e appartato, si è sempre tenuto lontano dalla cosiddetta ribalta, coltivando in amorosa solitudine, oltre al lavoro artistico, alle sue "geometrie in gioco" che hanno avuto un significativo riconoscimento internazionale, in particolare in Germania, un rapporto stretto e appassionato con lo studio e con il lavoro critico su altri pittori: come Amedeo Modigliani, al quale ha dedicato un libro per la torinese Fogola. Intenso poi il legame con la letteratura; al riguardo valgano le amicizie con Guido Seborga, Francesco Biamonti, Giacomo Natta (del quale ha curato la pubblicazione di racconti e scritti), Luciano De Giovanni, Bruno Fonzi e tanti altri. Per entrare nel mondo di Maiolino è indispensabile la lettura del recente volume "Non sono un pittore che urla" (edito da Philobiblon), che raccoglie le conversazioni fra l’artista e Marco Innocenti, e un saggio introduttivo di Leo Lecci.
(a cura di) Massimo Novelli, Il libro della settimana:"Non sono un pittore che urla", la Repubblica, 7 ottobre 2014

Di Giacomo Natta ci si è finalmente ricordati che non è molto; all'amico pittore Enzo Maiolino va il merito di aver curato un volumetto di racconti. <1
Quando lo conobbi io - e per quanto mi sia scervellato non ricordo né come né dove - Natta mi dette l'impressione di essere un uomo molto solo, bonaccione e apparentemente allegro con tutti, ma dall'ironia sovente amara. Era già avanti negli anni e ancora doveva sbarcare il lunario alla meno peggio. Riuscire a strappare la direzione dei «Lunedì letterari», malgrado l'opposizione feroce di certi miei concittadini, fu dunque, per il nostro amico, una bella vittoria morale, oltre che una sospirata, se pur provvisoria, soluzione economica.
[NOTE]
1 Giacomo Natta, Questo finirà banchiere. Racconti. Ricordo di Giacomo Natta, a cura di Enzo Maiolino, All’insegna del Pesce d’Oro, Vanni Scheiwiller, Milano 1984.

Luciano De Giovanni, Amicizie. Scrittori e poeti liguri, Philobiblon Edizioni, 2022

Giacomo Ferdinando Natta (Vallecrosia, 17 gennaio 1892 - Roma, 15 maggio 1960) è stato uno scrittore italiano. In una sua lettera del 9 dicembre 1955 Natta saluta l’amico Claudi ricordando alcuni momenti passati nella sua abitazione romana: «Penso, di tanto in tanto, alle visite che venivamo a farti a casa tua, alla tua bontà, tanto eccellente per essere così semplice. […] Come sta tua madre? È una donna prodigiosa e che pittrice! Abbracciala da parte mia, e saluti [?] affettuosi a tuo fratello, e tua sorella e suo marito» (F.C., Lettera di Giacomo Natta a Claudio Claudi, 3 dicembre 1955, C. COR. II.124). In archivio sono presenti anche un’altra lettera di Natta (in cui troviamo allegati un saggio su Bruno Barilli e una poesia intitolata Plaintes d’un simple a’ dieu) e un articolo sulla sua morte editato sul “Tempo” il 18 maggio 1960 (Cfr. F.C., Lettera di Giacomo Natta a Claudio Claudi, 3 dicembre 1960, C. COR. II.125; F.C., Necrologio di Giacomo Natta, “Il Tempo”, 18 maggio 1960, C. COR. II.126).
Gabriele Codoni, Claudio Claudi: un episodio sconosciuto di umanesimo nel secolo breve. Biografia intellettuale, introduzione critica ed edizione filologica di 'Realtà e valore', Tesi di dottorato, Università degli Studi di Urbino Carlo Bo, Anno Accademico 2017-2018

giovedì 11 maggio 2023

I comizi di Alessandro Natta furono subito famosi

Imperia: uno scorcio dell'ormai dismessa stazione ferroviaria di Porto Maurizio

[...] A sessant'anni di distanza dagli eventi, che seguirono, ad Imperia, il 25 Aprile della Liberazione, che cosa resta nella memoria, in questa memoria "stravagante ed imbrogliona" come la taccia Rossana Rossanda nel suo bel libro di memorie "La ragazza del secolo scorso"? Brandelli di ricordi, eventi e figure che si appannano nel volgersi degli anni, episodi che forse abbiamo ricostruito raccontandoli, ripensandoli.
Nitido però mi è rimasto il ricordo del ritorno di Alessandro Natta ad Imperia. Ero molto amico di un suo nipote, Piero. Insieme eravamo alle prime armi della politica, nella cellula giovanile della Sezione "Adolfo Stenca" (la Fgci, la Federazione giovanile del partito non era stata ancora ricostituita) e lui mi parlava spesso di questo suo zio, professore, antifascista, internato in Germania.
Così, quando nell'agosto del '45, ritornò nella nostra città, già lo avevo collocato nella mia memoria tra le figure importanti. Per noi, allora, i miti erano i partigiani, quelli appena scesi dalla montagna - Curto, Stalin, Mancen - e poi c'erano i "capi", quelli che dirigevano la Federazione del Pci, Castagneto, Ughes, Zanetta, Menicco Amoretti, quelli che stavano nel Cremlino (noi avevamo la sede in via Belgrano, prima a pianterreno, poi al primo piano, dove poi sarebbe andata la Banca d'Imperia) e che ci parevano alquanto inavvicinabili.
C'erano anche giovani di grandi prospettive, dai cattolici erano arrivati Alocco e Boggero, da Mathausen Raimondo Ricci e Alberto Todros, che subito si imposero come gli intellettuali che (allora era molto importante, ai nostri occhi), aderivano al Partito; facevano le prime apparizioni Gino Napolitano, Franco Dulbecco, i fratelli Gennari; occupavano posti di responsabilità Gerini, Bianca (Rossana) Novaro, sua moglie, Ottavio Siri, Gustavo Berio.
In quella temperie, in quella febbrile attività da dopoguerra, arrivò Natta. Ricordo che, per i primi tempi, si discusse, tra noi della "base", se quel giovane professore, cognato di Zanetta, amico di Nannollo Piana, era comunista o del Partito d'Azione o socialista. Non sapevamo ancora del suo passato antifascista proprio ad Imperia e alla Normale di Pisa.
Il partito, forgiato da una durissima Lotta di Liberazione, con qualche ancestrale rimasuglio di bordighismo (Natta lo ricorderà in articoli e interviste di anni successivi) era chiuso e settario. Difficile occupare posti di rilievo, anche se eri stato in campo di concentramento, ma non avevi partecipato alla Resistenza o se non eri reduce da un lager di serie A (Ricci lo era ed entrò quasi subito nella segreteria di Federazione, Sandro più tardi, come vice di Giovanni Gilardi, che aveva sostituito Castagneto nell'agosto del 1946).
Comunque Natta, mise fine alle incertezze e si iscrisse subito, già nell'agosto del 1945, al Pci. Ricordo che, per me, che ancora ero studente (e responsabile degli studenti della Cellula giovanile) fu una notizia bellissima. Sapere che quel professore era diventato uno dei nostri, mi diede una grande soddisfazione. Orgoglio, direi.
La memoria di quei primi mesi, un anno all'incirca, mi suggerisce soprattutto un Natta conferenziere, non dirigente di partito.
Le conferenze si svolgevano al "Bruno Nello" in via S. Lucia, nella sede della Società operaia, dove aveva sede l'Università popolare, di cui Natta divenne dirigente. Conferenze che erano lezioni. Sulla letteratura, sugli amati giacobini e sull'amatissimo Filippo Buonarroti, sull'esperienza dei campi di concentramento.
Correvamo, noi giovani, ad ascoltare quelle conferenze-lezioni, assetati di conoscenze, con l'entusiasmo dei neofiti. Apprendevamo le cose che non ci avevano insegnato e non ci insegnavano a scuola e Natta le esponeva con il tipico piglio del professore.
Lo stesso piglio e un po' di cipiglio anche, quando fummo chiamati (un ordine, praticamente) a frequentare la scuola di Partito, in Federazione. Conservo ancora un quaderno (quelli con la copertina nera e il bordo rosso che usavano allora) nel quale fermavo i miei appunti delle lezioni di Natta.
Le Tre Internazionali, il Manifesto di Marx, la Rivoluzione d'Ottobre, le elezioni in Francia, il leninismo, Pisacane, la nascita del Pcd'I a Livorno.
Natta si inserì lentamente nel gruppo dirigente della Federazione, non venne candidato alla Costituente, ma diventò consigliere comunale alle elezioni del 1946. Vinsero le sinistre che confermarono sindaco Goffredo Alterisio, ma Sandro non divenne assessore. Insegnava ancora al liceo e si parlava molto di quel brillante insegnante (io ero alle Magistrali e invidiavo gli studenti del liceo).
Anni dopo incontrai a Palazzo Madama il senatore Umile Peluso, del nostro gruppo, che era stato collega di Natta ad Imperia e ricordava ancora le sue lezioni. Sandro si affermò anzitutto come oratore. I suoi comizi furono subito famosi e noi, accaniti ascoltatori, lo paragonavamo al mitico Terracini, il più famoso comiziante del Pci e ci piaceva confrontare i suoi discorsi, sempre attentamente preparati, con tanti foglietti di appunti a quelli sempre un po' enfatici, vecchia maniera, a braccio dei "vecchi" dirigenti socialisti e del nostro Pietro Abbo. Natta batteva tutti, per noi, anche quelli che venivano "da fuori", dal centro o da Genova, come Novella o Pessi.
Ho vivissimi, nella memoria, i memorabili contradditori al cinema Rossini, ancora con palchi e loggione, Natta versus Taviani, Natta contro Pelizzari, rettore dell'Università di Genova e noto dirigente dc. Folle immense, tifo da stadio, il loggione tutto occupato dai comunisti che organizzavano la claque. In Consiglio comunale Natta restò a lungo, diventò un leader.
Noi giovani non frequentavamo il Consiglio comunale, non ci pareva abbastanza "rivoluzionario". Di Natta consigliere ricordo però che continuò nel suo impegno anche quando fu eletto, nel 1948, alla Camera e che, non avendo mai guidato la macchina e non essendo ancora la moglie Adele la sua autista, andavamo a prenderlo con la macchina della Federazione alla stazione di Porto, quando ritornava da Roma, e dovevamo subito portarlo ad un'importante seduta del Consiglio. In Consiglio io approdai qualche anno dopo e fu proprio Natta, che puntava sui giovani, allora già segretario di Federazione (dal 1950), che sollecitò la mia candidatura e che impose a Menicco Amoretti, allora nominato nell'organo di controllo dei comuni, a dimettersi per lasciare il posto a me, primo dei non eletti. Il tutto in una burrascosa, infuocata riunione alla Stenca, allora già in via Amendola.
Puntava sui giovani, ma voleva che continuassero gli studi fino a laurearsi. Per questo rampognò molto Francesco Rum perché non concluse l'Università per fare il funzionario di partito. Forse ha rampognato anche Mauro Torelli, per lo stesso motivo, ma non ne ho notizie precise. Lui che era fiero del suo titolo di professore (uno volta mi disse: "Nel partito di Imperia tutti chiamano "professore" Dulbecco, ma a Roma, in direzione, il "professore" sono io"), voleva che i comunisti che potevano studiare, fossero non solo istruiti, ma anche laureati.
Ora che la mente si è messa in moto, i ricordi affluiscono a fiotti.
La grande soddisfazione di Natta eletto alla Camera nel 1948; l'incontro con Duclos nel 1952, Natta che ci lascia per la Capitale nel 1960. E, voglio segnalarlo, le primarie ante lettera, tra i componenti del Comitato federale che organizzammo, quando Sandro lasciò la segreteria di Federazione e dovevamo scegliere tra Nicola Surico (che vinse) e Giuseppe Gennari, per la sua successione.
Un'ultima rimembranza. La mia grande passione, da giovanissimo, era il giornalismo. Per me, vedere che Natta già firmava articoli non solo sul nostro giornale locale di Federazione - "La Verità"- ma anche su "l'Unità" e su "Vie Nuove", me lo rendeva grandissimo. Chissà quante cose ho dimenticato; chissà se tutti i ricordi sono stati fedeli. Una cosa è certo, dopo sessant'anni, quei primi mesi e poi i primi anni di Alessandro Natta ad Imperia restano tra le cose più belle della mia giovinezza e le cose più importanti del mio apprendistato alla politica. A volte, negli ultimi anni, ne riparlavamo, con Sandro, cercando di rinverdire episodi e figure, con qualche sorriso e con tanta malinconia.
Senatore Nedo Canetti, Agosto 1945: Natta torna ad Imperia, PAGINE NUOVE DEL PONENTE, bimestrale di politica e cultura, Imperia, Numero 4 - ANNO VIII  luglio-agosto 2006

sabato 6 maggio 2023

Il tratto costiero tra Ventimiglia e Imperia, la valle Argentina, l’introvabile Tumena

Sanremo (IM): Piazza Colombo

Chi arriva a Tecla, poco vede della città, dietro
gli steccati di tavole, i ripari di tela di sacco, le
impalcature, le armature metalliche, i ponti di
legno sospesi a funi o sostenuti da cavalletti, le
scale a pioli, i tralicci. Alla domanda: - Perché la
costruzione di Tecla continua così a lungo? - gli
abitanti senza smettere d’issare secchi, di calare fili
a piombo, di muovere in su e in giù lunghi pennelli.
- Perché non cominci la distruzione, - rispondono.
[...] - Che senso ha il vostro costruire? - domanda.
- Qual è il fine d’una città in costruzione se non una
città? Dov’è il piano che seguite, il progetto? - Te
lo mostreremo appena termina la giornata; ora
non possiamo interrompere, - rispondono. Il lavoro
cessa al tramonto. Scende la notte sul cantiere. È
una notte stellata. - Ecco il progetto, - dicono
”. <20
Venticinque minuti di ritardo.
Scrivo distrattamente schiacciando i tasti del computer.
Come si racconta un progetto? Dove inizia il progetto?
Il treno continua a correre parallelo alle stanche onde di un mezzogiorno autunnale.
Stazione Sanremo.
Scendo.
Focaccia e farinata.
Dove sarà piazza Colombo?
L’odore del mare sfuma in mezzo ai vicoli della Pigna e per guardare il cielo devi alzare la testa per trovarti sovrastato dai contrafforti degli stretti carrugi.
In automatico la mia testa corre libera a Carruggio Lungo, a Pin, ai monti che lambiscono Sanremo, una città stretta tra il mare e gli aspri crinali.
Sono le 15.45 sarà meglio avviarsi.
Giro a destra, poi a sinistra.
Google Maps sembra smarrirsi in mezzo all’intricato labirinto di carruggi della città vecchia. Giro ancora a destra e mi ritrovo su uno stradone recentemente asfaltato. I silenzi, i passi che rimbombano sull’acciottolato sono un ricordo che si perde nel suono del primo clacson, i palazzoni della speculazione edilizia hanno già rimpiazzato nella memoria la frenesia per l’appuntamento, per il treno da prendere in serata, per le scadenze imminenti, come se questa visita sanremese in giornata sia solo una perdita di tempo.
15.57 segna il cellulare, seduto sulla panchina mi guardo intorno.
“Ho i capelli bianchi, occhiali e una borsa rossa con il fazzoletto dell’ANPI.”
Ripenso al suo messaggio.
Pochi minuti più tardi siamo seduti a un tavolino del bar e ai passanti il quadro potrebbe sembrare stranamente familiare. Io con il quaderno e la penna in mano, una minuta donna di 82 anni di nome Amelia [Narciso], ex insegnante di lettere e fiera presidente provinciale dell’ANPI, un signore [Alfredo Schiavi] suo coetaneo, con gli occhiali scuri e una carriera tipografica e collaborazioni con autori del calibro di Calvino alle spalle, un caffè, un ginseng e un succo d’arancia.
Amelia fruga nella borsa alla ricerca di un foglio solitario, mi chiede la penna e inizia la sua personale narrazione della Resistenza. Pochi tratti incerti hanno già delineato il territorio alla perfezione. Il tratto costiero tra Ventimiglia e Imperia, la valle Argentina, l’introvabile Tumena.
La mattina dopo ricevo una sua telefonata, la stanchezza della trasferta si fa sentire, mi giro dall’altro lato.
“L’ho trovata, abbiamo anche Culdistrega” recita l’oggetto entusiasta della mail.
Come si racconta un progetto? Ancora non lo so. Dove inizia il progetto? Il mio senza dubbio da qui! Dall’entusiasmo, dalla scoperta e dalla voglia di raccontare.
[...] Italo Calvino è un autore che più di altri si presta alla definizione di complessità: la sua scrittura fatta di ibridazioni, pubblicazioni e raccolte successive, racconti in cornici comunitarie si configurano alla perfezione come un fenomeno stratificato e di difficile interpretazione e allo stesso tempo di godibile lettura. Per Calvino scrivere vuol dire, essenzialmente, riuscire in quel rigore che non si rivela sintetizzando e catalogando il caos intorno a lui,
come affermava l’autore stesso, costruire un ordine mentale abbastanza solido per contenere il disordine del mondo (Pampaloni, 2001). La sua poetica si basa sulla molteplicità dei linguaggi, e la piena e matura consapevolezza delle sfaccettature che la letteratura poteva prendere. Il neorealismo che ne ha caratterizzato l’esordio è fin da subito contaminato da una vitale fantasia che vanifica spesso ogni ombra di identificazione del reale all’interno dei suoi
romanzi.
Eppure come afferma ne "Il barone rampante": ogni cosa a farla ragionando aumenta il suo potere (Calvino, 1957) e se ci focalizziamo sui luoghi narrati all’interno della sua opera, se ci ragioniamo, ciò che scaturirà da essi fornirà letture interessanti che grazie all’utilizzo della data visualization potrebbe individuare punti di vista e sguardi inediti sul tema. I luoghi d’ambientazione e anche solo nominati possono sottendere posti dimenticati dallo spirito del
tempo, ma, che venendo raccontati, sono stati traghettati non senza difficoltà all’oggi.
Il tema dei luoghi partigiani è proprio quella farina del sacco altrui di cui parlavo prima, ma che fin dal principio mi ha attirato a sé: la cultura della Resistenza, unite a un profondo e radicato antifascismo hanno esercitato come una leva pressioni sempre crescenti, che mi hanno portato ad abbandonare la strada appena imboccata per prenderne un’altra inedita.
Come abbiamo visto nel primo capitolo i luoghi della Resistenza assumono importanza di fronte alla natura tellurica che caratterizza i partigiani (Schmitt, 1963), ma all’interno della letteratura della Resistenza di Calvino, raccolta in gran parte ne "Il sentiero dei nidi di ragno" e da diciassette racconti contenuti in gran parte nell’"Ultimo viene il corvo" pubblicati tra il 1945 e il 1950, i luoghi stessi assumono un ruolo chiave e una sfumatura differente.
[...] Al solenne genius loci ricoperto da colline, boschi e passi alpini all’interno della letteratura resistenziale, si somma una maggiore complessità che caratterizza proprio l’opera calviniana più di quella di altri autori. Se pensiamo ad altri autori della Resistenza, come il combattente Beppe Fenoglio o lo “sfollato” Cesare Pavese, le fondazioni a loro intitolate hanno già ricreato percorsi alla scoperta dei luoghi delle loro opere e attraverso le loro pagine si può tracciare un catalogo di toponimi langaroli. Seppur accertata la partecipazione attiva alla Resistenza di Italo Calvino e nonostante "Il sentiero dei nidi di ragno" sia considerato uno dei romanzi capisaldi per descrivere
il periodo, nessun lavoro è portato avanti circa i luoghi della valle Argentina che sono stati teatro delle azioni del partigiano Santiago, suo nome da combattente, per un motivo che parrebbe completamente estraneo e paradossale.
[...] Ancora una volta devo citare lo straordinario lavoro portato avanti da Virginia [Giustetto, dell’Unité d’italien de l’Université de Genève] e Tommaso [Elli, per il DensityDesign Research Lab] per il tema dei luoghi dell’"Atlante Calvino" [l'autore parla del progetto "Atlante Calvino: Letteratura e visualizzazione", svolto con l’Università di Ginevra, da una collaborazione con il DensityDesign Research Lab, applicazione diretta di geoletteratura nel panorama delle Digital Humanities]: da loro ho potuto ereditare i nomi dei luoghi d’ambientazione e nominati all’interno delle intere pagine che Calvino ha saputo raccogliere e comporre nell’arco di una quarantina d’anni di carriera. Sono stati necessari diversi passaggi di interpretazione e elaborazione del dataset originario per potersi orientare in una congerie informe di nomi e informazioni poco familiari a uno che, come me, potrebbe identificarsi in un lettore distratto e poco attento alle parole precise.
In primis è stato necessario riconoscere, grazie all’aiuto di una letterata e studiosa dell’autore come Virginia, quali opere identifichiamo all’interno degli interi scritti calviniani quando parliamo di letteratura della Resistenza.
La letteratura della Resistenza ha, innanzitutto, caratterizzato, infatti, solo la prima parte del percorso artistico di Calvino. "Il sentiero dei nidi di ragno" è senza ombra di dubbio universalmente conosciuto come uno dei capisaldi della letteratura resistenziale, al contrario, all’interno dell’"Ultimo viene il corvo" vi sono richiami più o meno espliciti alla lotta partigiana solo in alcuni. Alla prima categoria appartengono "Angoscia in caserma", "Andato al comando", "Paura sul sentiero", "I fratelli Bagnasco", "Ultimo viene il corvo", "La fame a Bévera", "Il bosco degli animali", "La stessa cosa del sangue", "Attesa della morte in un albergo" e "Uno dei tre è ancora vivo" (una particolarissima eccezione all’interno dell’intero panorama letterario partigiano presentando la narrazione dal punto di vista di un soldato tedesco). "Uomo nei Gerbidi", "Campo di mine" e "Alba sui rami nudi", pur non presentando al suo interno richiami diretti alla lotta partigiana, risultano ugualmente testimonianze realiste della vita civile durante la seconda guerra mondiale: in particolar modo interessante diventa "Campo di mine", presentando contrabbando e fughe in direzione della vicina e confinante Francia che hanno caratterizzato il periodo bellico.
Un’ulteriore categoria è composta da "Cinque dopodomani: guerra finita!", "Come un volo d’anitre" e "Mai nessuno degli uomini lo seppe", apparsi sull’"Unità" di Torino (il primo e il terzo) e su "Il Settimanale" (il secondo) e non presenti in successive raccolte, fino alla pubblicazione postuma ne "I Meridiani".
20 Tecla. Le città e il cielo 3, in Italo Calvino, Le città invisibili
Matteo Banal, Sui sentieri dei nidi di ragno. Un’esplorazione visuale dello spazio geoletterario, Tesi di laurea, Politecnico di Milano, Anno Accademico 2018-2019

Rispetto a quanto asserito da Matteo Banal circa la valorizzazione o meno di tanti luoghi calviniani, in particolare quelli legati alla Resistenza, occorre sottolineare che con l'impegno di Veronica Pesce (itinerario a cura di Laura Guglielmi e Veronica Pesce - prefazione di Laura Guglielmi) di recente è uscito il libro "Italo Calvino. Sanremo e dintorni" (Il Palindromo), progetto di itinerario letterario promosso dal Comune di Sanremo per celebrare il centenario della nascita dello scrittore (1923-2023) e realizzato attraverso la collaborazione tra l’Università degli Studi di Genova, le scuole del territorio e l’Accademia di Belle Arti di Sanremo.
Adriano Maini