mercoledì 28 giugno 2023

L'esordio di Nico Orengo come... giornalista

Ventimiglia (IM): una vista su Mortola Inferiore

Ben presto Nico [Orengo], l'allegro, simpatico, giocherellone ragazzino, dimostrò anche un aspetto più serio della sua personalità.
Mentre noi, i suoi amici eravamo il tipico prodotto della nostra età, naturalmente, cioè eravamo ragazzi, lui a volte sembrava immerso nei suoi pensieri, pensieri che poi cercava di discutere ed analizzare con noi, non sempre ottenendo l'attenzione meritata.
Forse già da quei tempi aveva iniziato a mettere da parte nel suo carnet della vita quelle esperienze, situazioni ed emozioni che un giorno avrebbe condiviso nei suoi scritti con i suoi lettori.  
Nel 1958, dopo la morte del venerato Don Innocenzo Romagnone, Parroco per 53 anni della Parrocchia di San Mauro a La Mortola, la cura della communità parrocchiale venne affidata a Padre Osvaldo M. Corte.
Il nuovo Parroco cercò subito di motivare i giovani del paese esponendoli a nuove esperienze al fine di convogliare le loro energie giovanili verso traguardi positivi.
Un giorno convocò in canonica una decina di noi, ragazzi e ragazze, e ci guidò in un locale di fianco alla sagrestia esclamando: - Questa è la redazione del vostro giornale. -
Noi non sapevamo di cosa stesse parlando e ci guardammo un poco perplessi.
C'era una scrivania con una macchina da scrivere, un tavolino con sopra uno strano macchinario a manovella, uno scaffale con risme di carta, bottiglie ed altri oggetti.
Tutto eccitato Padre Corte ci disse che quello strano macchinario era un ciclostile e lo aveva acquistato con tutto il resto; era del Seminario, ma non lo usavano più e glielo avevano offerto per poco e niente.
Tutti noi continuavamo a non avere la minima idea di cosa stesse parlando.
Allora con calma ci spiegò a cosa serviva, come funzionava e che avremmo potuto mettere insieme un giornalino parrocchiale da distribuire nel paese.
Lentamente quell'idea cominciò a filtrare nei nostri cervelli: pubblicare il nostro giornalino!  
Imparare ad usare il ciclostile non fu facile, specialmente a mantenere la corretta pressione sui tasti della macchina da scrivere. Rovinammo più di una matrice.
Eventualmente riuscimmo ad ottenere un risultato soddisfacente ed a pubblicare il primo numero: "La Campanella" era nata!
Ben presto non mancarono gli articoli sottomessi per la pubblicazione, naturalmente dopo approvazione finale da parte di Padre Corte che fungeva da capo redattore, anche se, per lo più,
lasciò a noi la decisione rigettandola solo un paio di volte.
Di seguito, anche se tutti potevano contribuire, e molti lo fecero, si stabilì una certa selezione: Jean Genti divenne l'incaricato della pagina enigmistica, con parole crociate, rebus, indovinelli e barzellette. Ulderico Brunetti (Ricky) ed io eravamo gli illustratori, inoltre Ricky riportava fatti di 'cronaca nera murturata': "Due conigli rubati ai Cacciairui" oppure "Al buio: vandali hanno svitato le lampadine ai lampioni del paese!". Io invece, amante della geografia, mi sbizzarrivo in articoli di viaggi in terre lontane, come quando scrissi un lungo e sicuramente noioso articolo sulla Ferrovia Trans-Siberiana dettagliando tutte le tappe da Mosca a Vladivostok.
Nico ben presto si distinse con articoli seri su Pier Paolo Pasolini e Federico Garcìa Lorca, il suo poeta preferito, o con recensioni di films di Vittorio De Sica e Federico Fellini: i classici "Ladri di biciclette" e "I Vitelloni", rispettivamente, vengono alla mente.
Persino Padre Corte rimase sorpreso dalla sua sensibilità nel trattare argomenti a volte difficili e controversi, dimostrando un'inconsueta maturità non affatto corrotta dagli ormoni giovanili.
Continuammo "La Campanella" per più di un anno, all'inizio con pubblicazione settimanale, poi mensile, eventualmente ogni tanto. Come tutto nella vita, le cose passano, cambiano, si perdono.
Anche il nostro giornalino ebbe il suo corso.
Io ne avevo tenuto alcune copie; quelle dei numeri con gli articoli, a mio parere, più importanti.
Quando ero partito per l'America le avevo lasciate nella libreria in camera mia, strette tra i due volumi del vecchio vocabolario di greco dei tempi del Ginnasio.
Durante una delle mie successive visite in Italia, mi venne in mente il giornalino e cercai le copie che avevo lasciato molti anni prima, ma la libreria non c'era più, i libri rimossi o messi altrove e chissà dove erano finite, probabilmente buttate via come vecchi fogli di carta sbiadita.
Mi spiace non averne potuto conservare nemmeno una copia perché avrei conservato uno dei primi, se non il primo articolo 'pubblicato' da Nico Orengo; non sulla Stampa, Gazzetta o Corriere, ma sulla Campanella!
Roberto Rovelli, Ricordando Nico, Facebook, 16 maggio 2023

martedì 20 giugno 2023

Bordighera: "Sono alla Frutta - pastelli a olio di Graziella Biga"

 


Unione Culturale Democratica -  Sezione ANPI

Bordighera (IM), Via al Mercato, 8 

 

 

23 GIUGNO -  02 LUGLIO   2023

ore  17 /  19

    

 

SONO ALLA FRUTTA

 

pastelli a olio di

  

GRAZIELLA  BIGA

 

 

 

ingresso libero

 

La mostra 'pastelli' di Graziella Biga è aperta al pubblico dal 23 Giugno al 02 Luglio 2023, tutti i giorni - festivi compresi -, dalle ore 17 alle ore 19

 

 

La natura morta è una raffigurazione pittorica di oggetti inanimati: strumenti musicali, bottiglie, animali morti, fiori, frutta...

In questi quadri solo la frutta è presente, da qui il titolo: "Sono alla frutta".

In passato la natura morta spesso portava con sé un monito, il Memento Mori e la Vanitas, che ricordavano all'uomo che la bellezza, come la giovinezza, sono effimere e passeggere.

Giunto il tempo dell'età matura, l'artista si interroga sul futuro visto che, come la frutta, gli esseri umani o maturano o marciscono. 

Buona visita                                    

 Graziella Biga

 

Graziella Biga Vizzini è nata a Sanremo, si è diplomata in Pianoforte presso il conservatorio Nicolò Paganini di Genova e ha seguito i corsi di pittura e illustrazione presso l'Académie Royale de beaux arts  di Liegi (Belgio).

Insegna Pianoforte presso l'associazione Pentagramma di Vallecrosia e vive a Bordighera. 

 

 Giorgio Loreti

Unione Culturale Democratica -  Sezione ANPI - Bordighera (IM),  Tel. +39 348 706 7688 

 

domenica 18 giugno 2023

Enrico ha decifrato il linguaggio delle pietre

Rocchetta Nervina (IM): il Rio Barbaira a pochi metri a monte del paese

Il Rio Barbaira è un affluente del Nervia, a monte di Rocchetta [Rocchetta Nervina (IM)] discende fra pozze d'acqua cristallina e gole selvagge. Uomini e donne giungono in auto per godere del torrente. «Arrivano alla diga e c'è una folla, e son tutti lì seduti - ha raccontato Federica - e il luogo rumorosissimo. Queste persone non sono aiutate a percepire questo luogo per quello che è. Dovrebbero avere più consapevolezza. Se tu non ti accorgi delle cose, fai grandi danni. Pensano di andare in spiaggia, quest'oasi viene vissuta come se fosse un parco acquatico, ma questo è un ambiente che rischia di distruggersi, di spezzarsi». Federica non è di Rocchetta, si è trasferita qui con la sua famiglia e ancora si sente forestiera: «Non sono del posto, non conosco niente della montagna. Rimango sorpresa da tante cose».


Rocchetta Nervina (IM): uno scorcio dell'antica conceria di cui a Roberto Migliaccio, Op. cit. infra

[...] In paese, lungo la passerella che segue l'ansa del Rio Barbaira, si trova l'antico edificio delle concerie. Negli ultimi anni Enrico ha scoperto i pozzi della concia, ha restaurato il locale e ha allestito il suo laboratorio al piano terra, accanto al fiume che scorre. «Io son vissuto qui fino a undici anni e poi sono scappato, sono sempre stato fuori. Adesso sono tornato, sono diciott'anni che mi sono messo a fare quest'opera e altri lavori in paese. Qui, dove stai adesso, era tutto pieno di detriti, il resto era un rudere. Il livello del pavimento era più alto. Io ho buttato giù la tramezza, e poi mi sono messo a cercare il livello di base. Lì era tutto smosso e ho voluto vedere che cosa c'era sotto: ho trovato questo pavimento qui. C'era un canalino contro il muro, una canalina di scolo, e là c'è il foro per scaricare l'acqua nel Barbaira. “Questo allora era un pozzo”, ho detto. Questo era proprio il pozzo di concia, dove mettevano le pelli dopo che erano state trattate con la calce. Le mettevano a conciare nell'acqua col tannino. Per la concia usavano il tannino ricavato dal noce, dalla quercia. Qui io ho capito che c'era un pozzo perché poi, scavando, vedo che c'è tutto intriso di tannino, le pietre te lo dicono che qui c'era il pozzo di concia. Quando lavoravo su questo pavimento, ho sentito, picchiando, un vuoto. Dico: “Ma qui, c'è ancora un sotto”. E ho bucato: “Chissà che non c'è qualche pignatta con marenghi”. Ho scoperto che quando hanno fatto la gettata del pavimento, perché quel pavimento lì ha dei secoli, l'hanno fatta sul terrapieno che ha ceduto e si è assestato; così si è creato un vuoto naturale. Niente marenghi. Fuori si vedeva solo quel pezzo di canale pensile, e mi dicevo: “A cosa serve?”. Ho capito che lì facevano delle lavorazioni, forse sgrassavano, e i liquami scendevano nel canale pensile che portava tutto agli orti, dove c'erano i pozzi di decantazione. Hanno costruito tutto questo canale pensile, addirittura posava sui legni e poi continuava in appoggio a degli archi. Nei pozzi di decantazione facevano sedimentare le acque sporche, là le acque si purificavano: era un depuratore di quei tempi. E poi andavano giù nel torrente che era pescosissimo di trote e di anguille. Io sono andato dietro le pietre, non avevo niente di scritto, sono andato dietro le pietre perché volevo vedere che cosa c'era. Per esempio lì c'è un camino che va su e attraversa la camera di sopra e sbocca al secondo piano. Portava fuori le esalazioni, gli odori. Il primo trattamento era con la calce, infatti lo chiamano il calcinaio: mettevano le pelli nella calce per dilatare i pori, poi raschiavano. Tutto questo blocco è nato come conceria, capisci? Qui c'erano quattro botteghe che vendevano la carne, quindi bestiame ce n'era, e di tutti i tipi. C'era il bestiame, c'era l'acqua, c'era la calce. Facevano le fornaci nel torrente, cuocevano le pietre nel torrente perché conoscevano le pietre giuste. Dunque c'erano tutti gli elementi perché nascesse una conceria. Un complesso del genere - almeno tre piani erano conceria - per un solo paesino? Io penso ci fosse del commercio delle pelli. Credo ci fossero scambi delle pelli, per me c'erano, senz'altro con la Francia. Al primo piano facevano rifinizione, riconcia, tintura. Era tutto coordinato e studiato in modo razionale e programmato, non casuale. Io sono andato dietro le pietre, perché c'è un linguaggio negli oggetti».
 
Rocchetta Nervina (IM): interno dell'ex conceria

Secondo Enrico le concerie furono dismesse durante l'Ottocento. Al tempo della sua infanzia la memoria del loro funzionamento era già perduta. Egli ha ritrovato dei resti: le pietre parlanti. Dalle tracce materiali ha immaginato il processo di lavorazione delle pelli, ha ricostruito i meccanismi mancanti, ha assemblato i frammenti. Il restauro per assemblaggio non è tanto un ripristino oggettivo della verità storica, ma un'opera di interpretazione: Enrico ha decifrato il linguaggio delle pietre. Mentre Enrico azionava il mulino a pesta, ho pensato che esiste un'analogia fra il suo metodo e il mio. Ora le concerie non sono un museo, ma un atelier dove egli lavora il legno: il passato lungo il fiume non è congelato sotto teca, ma vissuto in un presente di attività.
 

Rocchetta Nervina (IM): la zona dell'ex conceria

Francesco Migliaccio, Ombre e passaggi fra Nervia e Roja, Testo prodotto nell’ambito del progetto "Sulle tracce di Francesco Biamonti: percorsi creativi tra San Biagio della Cima e le cinque valli del Ponente Ligure", realizzato a cura del Centro di Cooperazione Culturale, in collaborazione con l'Unione Culturale Franco Antonicelli, la Fondazione Dravelli, e gli Amici di Francesco Biamonti, con il sostegno della Compagnia di San Paolo - nell'ambito del "Bando Polo del '900" destinato ad azioni che promuovono il dialogo tra '900 e contemporaneità usando la partecipazione culturale come leva di innovazione civica - e della Fondazione Carige

martedì 13 giugno 2023

La piana di Latte, ai miei tempi giovanili, era coperta di fiori coltivati con precisione geometrica in pien'aria

Ventimiglia (IM): uno scorcio della Piana di Latte in una fotografia del 2017

C'è un tempo indefinito, lontano dall'oggi, tempo vissuto da persone vere che ad ascoltarle ti sembra un romanzo. Così un giorno chiedo ad Arturo Viale, scrittore di frontiera, di raccontare i luoghi di frontiera, di questa frontiera di Ponente. Storie di frontiera questa volta si fa storia personale minima, la cui somma ha inequivocabilmente il sapore della Storia.
"Mi sono sempre piaciuti i ricordi e le storie" racconta Viale.
Prima puntata in 4 luoghi. Sono i luoghi più prossimi alla frontiera, di qua e di là: Latte, il luogo che ci riporta a Nico Orengo per intenderci, poi Ventimiglia dove l'autore è nato, Mentone e Castellar, proprio al confine, in alto sulla frontiera. Storie vere che sembrano un romanzo: il privilegio di allontanarsi dall'oggi per leggerlo meglio.
1 - Parlaci di Latte
A Latte andavo a prendere il vino per l'osteria con mio padre, il biroccio e la mula. Era un rossese robusto nel quale finiva anche l'uva bianca tabacca o massarda che ne alzava un po' la gradazione. Vino buono ce n'era anche nei dintorni a Canun e in Piematun e si disse che fosse piaciuto molto a Napoleone quando era passato da quelle parti. La piana di Latte, ai miei tempi giovanili, era coperta di fiori coltivati con precisione geometrica in pien'aria.
[...] La foce di Latte era rimasta con poca acqua ma Bruno che aveva già novant'anni andava sempre lì a pescare col rezzaglio, una rete circolare che si lancia in aria e che cadendo intrappola i pesci sul fondo grazie ad una serie di piombi laterali. Raccontava Bruno che ogni anno toglieva un piombo dalla rete per renderla più leggera e più adatta alle sue forze.
La curva dell'Aurelia che attraversa il paese, resa famosa da un romanzo di Nico Orengo, mischiava l'odore emanato dalla distilleria di lavanda di Vincent, all'odore del distributore di benzine di Marcello e a quello della vendita di concimi per i floricoltori. Mi accorgo scrivendo che le tre attività sono tutte scomparse.
2 - Un ricordo di Ventimiglia
Ventimiglia per me è stata per i primi dieci anni della mia vita solo Ventimiglia Vecchia dove c'era la scuola, il Vescovo con la cattedrale, il Barone. Io andavo a scuola negli stessi locali in cui era andato mio padre negli anni Venti. A cinque anni ero andato dalla stessa suora che aveva insegnato a mia nonna. Mi portava il lattaio sul suo motocarro quando aveva concluso il suo giro mattutino di distribuzione del latte sfuso con i bidoni d'alluminio e un misurino.
[...] Avevo preso la cresima nella cattedrale quando presentava ancora una somma di stili in cui prevaleva il barocco con una fila di altari nelle navate laterali ma poi i lavori del 1967 e degli anni seguenti fecero riemergere, fin troppo, lo stile romanico. Le attrazioni di Ventimiglia erano almeno per tutto il dopoguerra, la Battaglia di fiori e il mercato del venerdì. Mia madre aveva colto l'occasione della Battaglia di fiori del 1950 per venire dalla Lomellina a conoscere i parenti ed i luoghi prima di sposare mio padre. Le fasce intorno erano piene di garofani che alla fine della stagione venivano utilizzati per confezionare i carri infiorati con le teste dei fiori. Finite le piantagioni è finita anche la manifestazione. La fiera del venerdì portava ogni settimana lunghe file di macchine dalla Francia e al ritorno lasciava ai bordi dell'Aurelia confezioni dell'abbigliamento, scatole, sacchetti e carte veline, che i compratori gettavano perché dovevano indossare gli indumenti per evitare questioni in dogana. Poi c'è stata la libera circolazione delle persone e delle merci.
3 - E Mentone cosa rappresenta per te?
A Mentone si andava solo per lo zucchero, il caffè, le banane, le cartine per rollare le sigarette. Bisognava chiedere lo zucchero fine ché altrimenti ti rifilavano quello a cubetti secondo le loro abitudini. Da bambino mi stupiva che noi parlassimo tanti dialetti e di là del confine sembrava parlassero solo francese. Quando ero già adulto, maturo e non c'erano più né la nonna, né Pa', ho scoperto grazie al racconto di Calvino che Mentone per tre anni, dal giugno del 1940, era stata italiana. Il giovane Calvino, che abitava a Sanremo, racconta la visita nella città conquistata con un gruppo organizzato di balordi avanguardisti.
In casa mia si parlava di tutto ma su questo episodio di guerra c'era stato il silenzio, e mi sembrò di capire anche molta vergogna da parte di mia nonna. Più tardi me ne parlò con sarcasmo Pierin Tizzoni, esperto di vicende legate tra l'altro al contrabbando di vaniglia per il vermouth. In Mentone italiana erano stati aperti tutti i servizi, cambiate le insegne dei negozi e gli studenti zucconi si erano affrettati ad iscriversi al liceo italiano di Mentone che si diceva dispensasse diplomi di favore. C'era anche il tentativo di inculcare la cultura italiana che in quel momento era cultura fascista. Furono finanziate pubblicazioni dialettali e ci furono francesi accusati di intendersela col nemico italiano rappresentato dal gerarca Giuseppe Frediani nominato commissario civile per Mentone.
Un sabato, anni dopo, vado al mercato di Mentone a prendere un pezzo di pichade, quella che a Ventimiglia chiamiamo pisciadela, e altrove sardenaira, pisciarà.
[...]
4 - Castellar, isolato sul crinale…
Castellaro è l'altra faccia della linea di frontiera tra Francia e Italia, uno punti di partenza per salire sul Grammondo come i Ciotti, Villatella o Olivetta. Ci sono due emozioni che voglio raccontare. La prima coglie subito all'entrata del paese all'angolo della chiesuola di S. Antonio. Un epitaffio ricorda Peirinetta Raibauda ultima donna condannata a morte per stregoneria, nel 1623, impiccata il 16 di novembre e poi bruciata davanti alla porta della chiesa, evitando così la sepoltura in terra consacrata benché il parroco Ballauco avesse affermato che era “solo una povera donna”. Ma il ricordo più disturbante è, poco distante davanti alla chiesetta di San Rocco, la targa che ricorda il posto di frontiera delle camicie nere da giugno 1940 a settembre 1943 durante l'occupazione italiana. Adesso nello stesso punto dove confluiscono i sentieri montani spesso percorsi dai migranti, come il cammino della Longoira e dell'Ormea, si trovano appostate costantemente un paio di camionette della gendarmeria francese col compito di respingere i clandestini che sono riusciti ad evitare il passo della morte.
(continua)
Eraldo Mussa, … ad Arturo Viale, L'Incontro, 19 maggio 2023

Tra le prime cose Nico Orengo pubblicò Miramare edito da Marsilio, la casa editrice fondata pochi anni prima da Toni Negri. Luigi Malerba ne scrisse la prefazione. Poi seguirono oltre cinquanta libri tra poesie e romanzi, forse qualcuno di troppo.
Le storie di Nico vivono dell’aria che scende dal Grammondo e del salino di baia Begliamin. In un biglietto che mi aveva scritto mi racconta della pianta di giuggiole che c'è a Latte all'inizio della via Romana vicino alla casa del Vescovo e ricorda che all'osteria da Bataglia c'era il più buon condiglione che avesse mai mangiato; e poi mi spiega che becìciùre [n.d.r.: muscari, giacinti a grappolo] chiede due accenti, sulla prima i e poi sulla u. Io a casa Bataglia ci sono nato, sono cresciuto a condiglione e coniglio e conosco tutte le piante di carrubo e giuggiole e i cespugli di lavanda che ci sono in zona e so dove a Pasqua fioriscono le becìciùre; quest'estate sono passato da quelle giuggiole e le ho rubate con gusto per Nico.
[...] Raccontava Antonio Asinari che, quando era arrivato a Latte dalla bassa mantovana, andava a lavorare a piedi partendo col buio dai Carletti, passando da Sant'Antonio, Magauda, Ciaixe, faceva la sua giornata e tornava per la stessa strada.
Arturo Viale, Oltrepassare. Storie di passaggi tra Ponente Ligure e Provenza, Edizioni Zem, 2019

Altre pubblicazioni di Arturo Viale: Punti Cardinali, Edizioni Zem, 2022; La Merica...non c'era ancora, Edizioni Zem, 2020; L'ombra di mio padre, 2017; ViteParallele, 2009; Quaranta e mezzo; Viaggi; Mezz'agosto; Storie&fandonie; Ho radici e ali.
Adriano Maini