domenica 18 giugno 2023

Enrico ha decifrato il linguaggio delle pietre

Rocchetta Nervina (IM): il Rio Barbaira a pochi metri a monte del paese

Il Rio Barbaira è un affluente del Nervia, a monte di Rocchetta [Rocchetta Nervina (IM)] discende fra pozze d'acqua cristallina e gole selvagge. Uomini e donne giungono in auto per godere del torrente. «Arrivano alla diga e c'è una folla, e son tutti lì seduti - ha raccontato Federica - e il luogo rumorosissimo. Queste persone non sono aiutate a percepire questo luogo per quello che è. Dovrebbero avere più consapevolezza. Se tu non ti accorgi delle cose, fai grandi danni. Pensano di andare in spiaggia, quest'oasi viene vissuta come se fosse un parco acquatico, ma questo è un ambiente che rischia di distruggersi, di spezzarsi». Federica non è di Rocchetta, si è trasferita qui con la sua famiglia e ancora si sente forestiera: «Non sono del posto, non conosco niente della montagna. Rimango sorpresa da tante cose».


Rocchetta Nervina (IM): uno scorcio dell'antica conceria di cui a Roberto Migliaccio, Op. cit. infra

[...] In paese, lungo la passerella che segue l'ansa del Rio Barbaira, si trova l'antico edificio delle concerie. Negli ultimi anni Enrico ha scoperto i pozzi della concia, ha restaurato il locale e ha allestito il suo laboratorio al piano terra, accanto al fiume che scorre. «Io son vissuto qui fino a undici anni e poi sono scappato, sono sempre stato fuori. Adesso sono tornato, sono diciott'anni che mi sono messo a fare quest'opera e altri lavori in paese. Qui, dove stai adesso, era tutto pieno di detriti, il resto era un rudere. Il livello del pavimento era più alto. Io ho buttato giù la tramezza, e poi mi sono messo a cercare il livello di base. Lì era tutto smosso e ho voluto vedere che cosa c'era sotto: ho trovato questo pavimento qui. C'era un canalino contro il muro, una canalina di scolo, e là c'è il foro per scaricare l'acqua nel Barbaira. “Questo allora era un pozzo”, ho detto. Questo era proprio il pozzo di concia, dove mettevano le pelli dopo che erano state trattate con la calce. Le mettevano a conciare nell'acqua col tannino. Per la concia usavano il tannino ricavato dal noce, dalla quercia. Qui io ho capito che c'era un pozzo perché poi, scavando, vedo che c'è tutto intriso di tannino, le pietre te lo dicono che qui c'era il pozzo di concia. Quando lavoravo su questo pavimento, ho sentito, picchiando, un vuoto. Dico: “Ma qui, c'è ancora un sotto”. E ho bucato: “Chissà che non c'è qualche pignatta con marenghi”. Ho scoperto che quando hanno fatto la gettata del pavimento, perché quel pavimento lì ha dei secoli, l'hanno fatta sul terrapieno che ha ceduto e si è assestato; così si è creato un vuoto naturale. Niente marenghi. Fuori si vedeva solo quel pezzo di canale pensile, e mi dicevo: “A cosa serve?”. Ho capito che lì facevano delle lavorazioni, forse sgrassavano, e i liquami scendevano nel canale pensile che portava tutto agli orti, dove c'erano i pozzi di decantazione. Hanno costruito tutto questo canale pensile, addirittura posava sui legni e poi continuava in appoggio a degli archi. Nei pozzi di decantazione facevano sedimentare le acque sporche, là le acque si purificavano: era un depuratore di quei tempi. E poi andavano giù nel torrente che era pescosissimo di trote e di anguille. Io sono andato dietro le pietre, non avevo niente di scritto, sono andato dietro le pietre perché volevo vedere che cosa c'era. Per esempio lì c'è un camino che va su e attraversa la camera di sopra e sbocca al secondo piano. Portava fuori le esalazioni, gli odori. Il primo trattamento era con la calce, infatti lo chiamano il calcinaio: mettevano le pelli nella calce per dilatare i pori, poi raschiavano. Tutto questo blocco è nato come conceria, capisci? Qui c'erano quattro botteghe che vendevano la carne, quindi bestiame ce n'era, e di tutti i tipi. C'era il bestiame, c'era l'acqua, c'era la calce. Facevano le fornaci nel torrente, cuocevano le pietre nel torrente perché conoscevano le pietre giuste. Dunque c'erano tutti gli elementi perché nascesse una conceria. Un complesso del genere - almeno tre piani erano conceria - per un solo paesino? Io penso ci fosse del commercio delle pelli. Credo ci fossero scambi delle pelli, per me c'erano, senz'altro con la Francia. Al primo piano facevano rifinizione, riconcia, tintura. Era tutto coordinato e studiato in modo razionale e programmato, non casuale. Io sono andato dietro le pietre, perché c'è un linguaggio negli oggetti».
 
Rocchetta Nervina (IM): interno dell'ex conceria

Secondo Enrico le concerie furono dismesse durante l'Ottocento. Al tempo della sua infanzia la memoria del loro funzionamento era già perduta. Egli ha ritrovato dei resti: le pietre parlanti. Dalle tracce materiali ha immaginato il processo di lavorazione delle pelli, ha ricostruito i meccanismi mancanti, ha assemblato i frammenti. Il restauro per assemblaggio non è tanto un ripristino oggettivo della verità storica, ma un'opera di interpretazione: Enrico ha decifrato il linguaggio delle pietre. Mentre Enrico azionava il mulino a pesta, ho pensato che esiste un'analogia fra il suo metodo e il mio. Ora le concerie non sono un museo, ma un atelier dove egli lavora il legno: il passato lungo il fiume non è congelato sotto teca, ma vissuto in un presente di attività.
 

Rocchetta Nervina (IM): la zona dell'ex conceria

Francesco Migliaccio, Ombre e passaggi fra Nervia e Roja, Testo prodotto nell’ambito del progetto "Sulle tracce di Francesco Biamonti: percorsi creativi tra San Biagio della Cima e le cinque valli del Ponente Ligure", realizzato a cura del Centro di Cooperazione Culturale, in collaborazione con l'Unione Culturale Franco Antonicelli, la Fondazione Dravelli, e gli Amici di Francesco Biamonti, con il sostegno della Compagnia di San Paolo - nell'ambito del "Bando Polo del '900" destinato ad azioni che promuovono il dialogo tra '900 e contemporaneità usando la partecipazione culturale come leva di innovazione civica - e della Fondazione Carige