Marino Magliani intervista Lamberto Garzia sul suo nuovo libro "Capped Dice" (Betti Editrice, 2021)
[...] una pericolosa indagine tesa a svelare un Mistero, nella quale il personaggio principale, almeno nelle prime pagine, è quello del grande scrittore Tommaso Landolfi («Giusto appunto, mi hai detto dell’esistenza del gran segreto, che se permetti lo intenderei col termine inganno. E quindi, più precisamente, mi hai rivelato di possibili, sebbene in dato modo catalogabili, malefatte di tale signor Landolfi. Ma questo oscuro non me lo puoi per il momento squadernare, anche perché questo oscuro non è ancora per te del tutto chiaro… e una volta portato alla luce ciò che è intimo nella sua mantella lisa, sarà una calamità, anche se poi una calamità per chi, Lamberto…»).
[...] (M.M.) Il sottotitolo è «Diario di una battaglia novembre 2016 - aprile 2017», fa riferimento al provocatorio scontro - incontro che ingaggi con Landolfi, e da qui i tanti rimandi alle arti marziali, al pugilato e ad autori che ne hanno trattato come Antonio Franchini o Norman Mailer …
(L.G.) All’apparenza il nemico appare essere Landolfi, credo il maggior rappresentante novecentesco del saper scrivere in prosa, ma in verità è uno scontro (maggiormente una preghiera sacra) con il linguaggio, teso a voler in esso trovare una identità o appartenenza, possederlo ed esserne posseduto… come al tempo stesso la figura del Landolfi uomo in Arma di Taggia è stata usata (o essa da tramite) per cercare una identità specifica di luogo circostanziato… e questo incedere è confermato o tragicamente confessato a pagina 483, quasi al termine del diario:
« […] A raccontarmi questo, più o meno due mesi fa, è il sarto Beppe (credo si chiami Giuseppe, credo) Manco, vestito sempre elegante anche se l’età c’è: 84 appena fatti, aveva precisato. Lo avevo disturbato, nei pressi del non più tra noi passaggio a livello, per una bazzecola [bazzecola?!] circa il cappotto rivoltato di Landolfi, poverino… mi sopporta non tanto perché sia io di origini salentine e lui un signor assai educato, ma anche perché coglie occasione per raccontare qualcosa del passato lontano, un raccontare quasi esentato da aneddoti, basato in maggiore sul qui c’era, poi c’è stato, ora c’è: e lo fa in una trattenuta malinconia che non sconfina nel patetico, è un sentire, così mi appare, di chi ha amato un luogo e ancora, seppur con certa demarcazione, lo ama… e lo trovo squisito e squisita per lui questa inclinazione di anima [...]
Redazione, Marino Magliani intervista Lamberto Garzia, La poesia e lo spirito, 25 gennaio 2022
La seconda parte del 1962 registra le ultime, rare missive [di Tommaso Landolfi] conservate nel Fondo Vallecchi: due spedite da Arma di Taggia nel maggio (ma vi si trasferirà stabilmente solo in novembre); due da Pico, in giugno ed in ottobre, la seconda per concordare un appuntamento con l’editore fra Roma, Pisa o Firenze. Incontro che deve essere avvenuto il 18 ottobre da Nino, a Roma, secondo quanto informa la figlia. Nell’ultima missiva, spedita il 15 novembre di nuovo da Arma, scrive: «volevo prima sperimentare questo posto, e infatti non so se ci reggo» <124. L’indirizzo è via Miramare 3, Arma di Taggia, in un palazzone anonimo a pochi metri dalla spiaggia, che all’epoca doveva parere un grattacielo, ovvero ciò che di più lontano si possa immaginare dall’aristocratica dimora picana.
[...] Il 1963 segna uno spartiacque nella bio-geografia landolfiana in quanto, come già detto, a partire da questo momento è difficile seguire i passaggi dello scrittore fra Arma, Pico o altre località, in assenza di un equivalente della corrispondenza con Vallecchi. Si entra pertanto in una zona d’ombra per la quale occorre seguire ancor più da vicino i testi dell’autore, alla ricerca delle tracce in essi sempre più generosamente lasciate, in una sorta di relazione indirettamente proporzionale fra la frammentarietà delle testimonianze d’archivio e una scrittura sempre più scopertamente autobiografica.
[...] "Des mois", il nuovo diario composto ad Arma di Taggia fra il novembre 1963 e l’aprile ’64 e pubblicato, con alcuni tagli di censura, nel gennaio 1967. È, questo, lo zibaldone della sua solitudine, visto che, anche quando di lì a poco la moglie si stabilirà con i figli nella vicina San Remo, lo scrittore, cui necessita assoluta concentrazione per portare avanti il suo lavoro, continuerà ad abitare l’appartamento di via Miramare fino a tutto il ’68. È, anche, la registrazione del precario compromesso con la dimensione familiare, a dispetto della nascita del secondo figlio, cui riserva pagine di una tenerezza affatto diversa da quella oscura e tormentata che gli ispira la primogenita.
[...] Nel 1964 escono i "Tre racconti", nei quali la cifra dell’esistenza randagia che lo scrittore conduce fra Arma e Sanremo è pervasiva. Se si eccettua infatti il pezzo centrale, "Mano rubata", di cui già si è vista la connotazione capitolina, gli altri due sono di stretta ambientazione rivierasca. Ma si tratta della particolare accezione landolfiana, piuttosto una contro-Riviera (secondo il paradigma oppositivo ed “in negativo” che gli è abituale), fredda quando non gelida, autunnale, plumbea, niente affatto fiorita <139. Uno scenario periferico, condominiale, sospeso, nuova declinazione della provincia picana delle pagine giovanili, incentrato sugli itinerari senza meta dello scrittore attraverso un dedalo di luoghi liminari e transitori (mai topograficamente circostanziati, come invece è della montagna picana o del paese natale) <140 quali bus con relative fermate, balconi asfittici e cementizi, squallidi sottopassi, finestre con gli avvolgibili, panchine desolanti affacciate su un mare grigio, caffè di notte o poco illuminati nella fioca luce di albe incerte e superflue, pastrani inzuppati di pioggia, cappelli calati sul volto <141.
[...] Un autoritratto dello scrittore che intanto, per parte sua, traccia le coordinate della sua topografia familiare divisa fra il sobborgo nel quale è lecito riconoscere Arma di Taggia, e Sanremo, dove moglie e figli abitano un condominio descritto con disgusto insieme feroce e pietoso <142: "Oggi, lì, da mia moglie… Imbruniva, e i poveri innocenti non parevano avvedersene; non intendo proprio dell’imbrunire, sibbene di quel costante imbrunire che aduggia la misera casa e le loro vite medesime. La madre stavolta piangiucchiava, ancora di quattrini. La casa dà da una parte su un’angusta corte, con canini sistemati in ricetti di fortuna e relativa tenera padrona, e con gagliarda sposa che tutta la para dei suoi bucati; dall’altra su una sordida via cittadina, tanto sordida che le ordinanze comunali non la raggiungono e la lasciano far mostra delle sue filacciose mutande e sottovesti sciorinate al sole. In cucina stagnava il puzzo atroce dei detersivi, confuso col personale sentore della lavapiatti che la frequenta alla fuggiasca, or ora uscita; nel bagno era tirato un cordino recante mutanducce infantili ad asciugare, tuttavia stillanti, e dentro la vasca posto un mastelletto di plastica stipato di panni sotto sapone. E d’un tratto, non che compiangere altrui, non che propormi di trarre fuori, di salvare i miei da tale sordidezza, sono stato preso da una specie di furiosa pietà per me stesso. Mi sembrava d’esser rinserrato lì dentro senza speranza, mi mancava l’aria; e sentivo di sopra, traverso la sottilissima soffitta, trascinar seggiole e menar di granata; e per le sonore scale rovinio di scolari e di servette; e dal quartiere accanto raschiar di radio; e dalle finestre sopra al nostro balcone scotolar di lenzuoli, oscuranti a baleni il poco e smorto cielo; e infine, in una pausa di silenzio e ancora dal piano di sopra, un orinar di commendatore ammalato. Sì, giusto un orinare in un vaso da notte (TR, OP2 p. 477-478)".
[...] Quanto al mare, e nonostante i lunghi anni trascorsi in Riviera, questo compare abbastanza raramente nella pagina di Landolfi, che è piuttosto amante della montagna e cantore del suo Appennino. A differenza della dimensione circoscritta e liminare che assume presso il monte Argentario e la laguna di Orbetello <152, il mare in Liguria appare «smorto, bianchiccio, senza respiro» <153 ma, negli "Sguardi", filtrato dall’occhio di R., si presta a tutti i cambiamenti dell’animo femminile: «Il mare s’era animato di mille colori; poi è ridiventato grigio; questa mattina era di nuovo splendente. Non lui, lui non ci ha nulla a che vedere: il mio mare di dentro. Che ribolle, che sta per rompere in tempesta, che chiede una vittima, mille vittime se necessario, che fracassa questa mediocre barca della mia vita» (TR, OP2, p.488). In genere, si intona all’umore piatto e depressivo di questi anni, facendosi esso stesso arredo imbronciato o tempestoso del lungomare di provincia, spesso contemplato da panchine desolate e spazzate dal vento. Il quale, altro protagonista di queste pagine, compare come portatore di nervosismo e instabilità e, in "Des mois", penetra e spalanca l’appartamento di Arma, scompigliando parole e pensieri: «In questa casa aperta da due parti, a levante e ponente, il vento fischia tanto assiduo, che ventoso, travolto e pronto a involarsi è ogni pensiero» (DM, OP2, p. 685). Un vento che non impedisce a Landolfi di scrivere quasi di getto, a conclusione del 1964, il racconto lungo "Un amore del nostro tempo"
[...] Si sono intanto andati consolidando i rapporti con Geno Pampaloni che, conquistatosi con garbo, professionalità e infinita pazienza la stima dello scrittore, nell’aprile del ’64 si era recato a fargli visita a Sanremo, stipulando per conto della Casa un nuovo contratto biennale. Dell’estate del 1965, un anno sul quale i riferimenti biografici sono più scarsi che mai, è il soggiorno con la famiglia a Bajardo <156, nel boscoso entroterra sanremese, da cui trae ispirazione per un elzeviro che esce sul «Corriere della sera» per Ferragosto e che recupera i modi del viaggiatore curioso e smagato delle prose di "Se non la realtà": "No, amici: per i play-boys o per gli onnipresenti milanesi non so, ma Bajardo è veramente un luogo egregio, e «perla» solo nel senso che le sottoposte convalli ne figurano l’immensa valva; dove coloro, se ci sono, restano confusi e avviliti, inoffensivi, tra tanto verde e in tanta aria fina; dove perfino le grida degli innumerevoli fanti ed infanti (trattene, ahimè, quelle dei propri) perdono virulenza… Pensate; migliaia di ettari di bosco d’alto fusto, quale forse non si ritrova ormai che nei racconti di fate; e il libero vento tempratore sulle cime intorno; e, per esempio, gli asini, le capre (UPC, OP2, p. 1000)".
[...] Del 1967 è la terza maschera teatrale dietro la quale lo scrittore declama il suo nichilismo, ovvero il "Faust 67", scritto ad Arma nel maggio e pubblicato due anni dopo. È una delle ultime (se non proprio l’ultima) delle opere composte nella cittadina ligure, che presto lascerà per trasferirsi di nuovo a Sanremo, presso la famiglia, ma soprattutto per trascorrere periodi sempre più lunghi a Pico.
[NOTE]
124 PV1, p. 162.
139 Questo lo sfondo, in Des mois, del primo lampeggiare della scolara che diventerà La muta: «Or ora tentavo di procurarmi una bottiglia di vermouth, ma tutte le botteghe erano chiuse. Stavo incerto all’angolo d’una strada (e al gelo di questa riviera), quando per compenso del mio scoramento è passata di corsa una fanciulla; una scolara con libri, che certo s’affrettava alla fermata del filobus. Poiché avevano già spento le luci, ed era quasi buio, e lei correva senza rumore, è sorta dal fondo della strada come dal nulla» (DM, OP2, p. 687).
140 Si è recentemente riproposto di ricostruire questo vagabondare Lamberto Garzia che, in collaborazione con il comune di Arma di Taggia sta curando l’allestimento di un itinerario di luoghi landolfiani nella cittadina rivierasca presentato nel corso di una giornata in onore dello scrittore, il 24 marzo 2019: «Usciva molto presto di casa, andava al Bar Sport, faceva una passeggiata sul lungomare, prendeva i giornali all'ex edicola della stazione ferroviaria, andava al Bar Jolly, in quella che oggi è piazza Tiziano Chierotti, prendeva il bus per andare a Sanremo dalla famiglia, stava con loro fino a pranzo e poi andava al Casinò. Verso sera tornava su ad Arma di Taggia per scrivere tutta la notte» (Stefano Michero, «Sanremo news», 19 marzo 2019). In preparazione, vi sarebbe un documentario dal titolo "La passeggiata landolfiana".
141 Una dimensione sottolineata anche da Giovanni Maccari, nella nota che accompagna le prose di "Diario perpetuo": «Ma questa estraneità antropologica alla gente del suo mestiere entra nel gioco dell’infelicità e dell’impotenza, così come una volta era una libera funzione della sua ironia e della sua differenza aristocratica. Sul piano della biografia, difatti, proprio questa differenza subisce negli anni Sessanta una singolare mutazione, nel senso che il suo rifugio originario (aristocratico) di integrarsi nella società borghese si risolve in una sorta di deriva in quella zona grigia della società borghese che è una città di provincia. Landolfi va a vivere ad Arma di Taggia, a rispettosa distanza ma a portata di corriera da Sanremo, dove c’è il casinò e dove si è trasferita la famiglia. Scrive, passeggia, scende al bar, va con la moglie a comprare un ombrello o il grembiule per la bambina: di tanto in tanto gioca, e perde, sicché perdura in uno stato cronico di povertà» (Giovanni Maccari, L’ultimo libro, in DP, p. 372).
142 «Oggi, a casa di mia moglie (e dei bambini: io sto da un’altra parte), è tornata a galla la vecchia questione» (TR, OP2, p. 474).
152 Si è vista in "Una bolla di sapone" (supra, § II.7).
153 «Natale! Mare smorto, bianchiccio, senza respiro; uno strano silenzio per le vie, finora. Natale d’angoscia, di vergogna. E loro lì, nella loro brutta casa… Beh che c’è, cosa ne inferisco? Non lo so. Non intendo: senza di me (che sarà fosse un bene); dico semplicemente: loro lì» (TR, OP2, p. 492).
156 «Bajardo fu generoso cavallo, e poi a suo tempo cavaliere senza macchia e senza paura; Bajardo è anche, oggidì, incantevole borgo, incantevole a dispetto dei fogliolini turistici che lo definiscono “perla dell’entroterra sanremese” (e meglio sarebbe “sanremasco”), con ciò inducendo il sospetto di qualche montano covo di play-boys» (UPC, OP2, p. 1000).
Laura Bardelli, Per una bio-geografia di Tommaso Landolfi. Luoghi del vissuto e della scrittura, Tesi di dottorato, Università degli Sudi di Firenze, 2020
“E' vero - conferma Lamberto Garzia - la famiglia viveva a Sanremo e quindi in molti hanno pensato che lui fosse lì, in realtà viveva e lavorava su Arma di Taggia. Grazie ad un complesso lavoro di studio, siamo risaliti anche alla documentazione necessaria a ricostruire questo legame, anche attraverso foto o cartoline ma ci sono tanti scritti dove indica proprio la data ed Arma di Taggia. Rileggendo alcuni suoi racconti come 'La Muta' o 'Chiacchiere al tramonto', o il romanzo 'Des Mois', definiti come surreali, si possono riconoscere i luoghi di Arma di Taggia. Grazie al lavoro di ricerca e studio abbiamo ricostruito la giornata tipo di Landolfi. Usciva molto presto di casa, andava al Bar Sport, faceva una passeggiata sul lungomare, prendeva i giornali all'ex edicola della stazione ferroviaria, andava al Bar Jolly, in quella che oggi è piazza Tiziano Chierotti, prendeva il bus per andare a Sanremo dalla famiglia, stava con loro fino a pranzo e poi andava al Casinò. Verso sera tornava su Arma di Taggia per scrivere tutta la notte. Era un personaggio molto particolare, amava giocare sul suo mistero e sull'essere riservato. Anche per questo non è stato un lavoro facile. Ci tengo a ringraziare Roberto Santini per le ricerche ed il materiale, Sandro Cesari per la toponomastica ed il sarto Manco, forse l'unico testimone che ha parlato con Landolfi”.
Stefano Michero, Il legame tra Arma di Taggia e lo scrittore Tommaso Landolfi..., Sanremo news.it, 19 marzo 2019
[...] una pericolosa indagine tesa a svelare un Mistero, nella quale il personaggio principale, almeno nelle prime pagine, è quello del grande scrittore Tommaso Landolfi («Giusto appunto, mi hai detto dell’esistenza del gran segreto, che se permetti lo intenderei col termine inganno. E quindi, più precisamente, mi hai rivelato di possibili, sebbene in dato modo catalogabili, malefatte di tale signor Landolfi. Ma questo oscuro non me lo puoi per il momento squadernare, anche perché questo oscuro non è ancora per te del tutto chiaro… e una volta portato alla luce ciò che è intimo nella sua mantella lisa, sarà una calamità, anche se poi una calamità per chi, Lamberto…»).
[...] (M.M.) Il sottotitolo è «Diario di una battaglia novembre 2016 - aprile 2017», fa riferimento al provocatorio scontro - incontro che ingaggi con Landolfi, e da qui i tanti rimandi alle arti marziali, al pugilato e ad autori che ne hanno trattato come Antonio Franchini o Norman Mailer …
(L.G.) All’apparenza il nemico appare essere Landolfi, credo il maggior rappresentante novecentesco del saper scrivere in prosa, ma in verità è uno scontro (maggiormente una preghiera sacra) con il linguaggio, teso a voler in esso trovare una identità o appartenenza, possederlo ed esserne posseduto… come al tempo stesso la figura del Landolfi uomo in Arma di Taggia è stata usata (o essa da tramite) per cercare una identità specifica di luogo circostanziato… e questo incedere è confermato o tragicamente confessato a pagina 483, quasi al termine del diario:
« […] A raccontarmi questo, più o meno due mesi fa, è il sarto Beppe (credo si chiami Giuseppe, credo) Manco, vestito sempre elegante anche se l’età c’è: 84 appena fatti, aveva precisato. Lo avevo disturbato, nei pressi del non più tra noi passaggio a livello, per una bazzecola [bazzecola?!] circa il cappotto rivoltato di Landolfi, poverino… mi sopporta non tanto perché sia io di origini salentine e lui un signor assai educato, ma anche perché coglie occasione per raccontare qualcosa del passato lontano, un raccontare quasi esentato da aneddoti, basato in maggiore sul qui c’era, poi c’è stato, ora c’è: e lo fa in una trattenuta malinconia che non sconfina nel patetico, è un sentire, così mi appare, di chi ha amato un luogo e ancora, seppur con certa demarcazione, lo ama… e lo trovo squisito e squisita per lui questa inclinazione di anima [...]
Redazione, Marino Magliani intervista Lamberto Garzia, La poesia e lo spirito, 25 gennaio 2022
La seconda parte del 1962 registra le ultime, rare missive [di Tommaso Landolfi] conservate nel Fondo Vallecchi: due spedite da Arma di Taggia nel maggio (ma vi si trasferirà stabilmente solo in novembre); due da Pico, in giugno ed in ottobre, la seconda per concordare un appuntamento con l’editore fra Roma, Pisa o Firenze. Incontro che deve essere avvenuto il 18 ottobre da Nino, a Roma, secondo quanto informa la figlia. Nell’ultima missiva, spedita il 15 novembre di nuovo da Arma, scrive: «volevo prima sperimentare questo posto, e infatti non so se ci reggo» <124. L’indirizzo è via Miramare 3, Arma di Taggia, in un palazzone anonimo a pochi metri dalla spiaggia, che all’epoca doveva parere un grattacielo, ovvero ciò che di più lontano si possa immaginare dall’aristocratica dimora picana.
[...] Il 1963 segna uno spartiacque nella bio-geografia landolfiana in quanto, come già detto, a partire da questo momento è difficile seguire i passaggi dello scrittore fra Arma, Pico o altre località, in assenza di un equivalente della corrispondenza con Vallecchi. Si entra pertanto in una zona d’ombra per la quale occorre seguire ancor più da vicino i testi dell’autore, alla ricerca delle tracce in essi sempre più generosamente lasciate, in una sorta di relazione indirettamente proporzionale fra la frammentarietà delle testimonianze d’archivio e una scrittura sempre più scopertamente autobiografica.
[...] "Des mois", il nuovo diario composto ad Arma di Taggia fra il novembre 1963 e l’aprile ’64 e pubblicato, con alcuni tagli di censura, nel gennaio 1967. È, questo, lo zibaldone della sua solitudine, visto che, anche quando di lì a poco la moglie si stabilirà con i figli nella vicina San Remo, lo scrittore, cui necessita assoluta concentrazione per portare avanti il suo lavoro, continuerà ad abitare l’appartamento di via Miramare fino a tutto il ’68. È, anche, la registrazione del precario compromesso con la dimensione familiare, a dispetto della nascita del secondo figlio, cui riserva pagine di una tenerezza affatto diversa da quella oscura e tormentata che gli ispira la primogenita.
[...] Nel 1964 escono i "Tre racconti", nei quali la cifra dell’esistenza randagia che lo scrittore conduce fra Arma e Sanremo è pervasiva. Se si eccettua infatti il pezzo centrale, "Mano rubata", di cui già si è vista la connotazione capitolina, gli altri due sono di stretta ambientazione rivierasca. Ma si tratta della particolare accezione landolfiana, piuttosto una contro-Riviera (secondo il paradigma oppositivo ed “in negativo” che gli è abituale), fredda quando non gelida, autunnale, plumbea, niente affatto fiorita <139. Uno scenario periferico, condominiale, sospeso, nuova declinazione della provincia picana delle pagine giovanili, incentrato sugli itinerari senza meta dello scrittore attraverso un dedalo di luoghi liminari e transitori (mai topograficamente circostanziati, come invece è della montagna picana o del paese natale) <140 quali bus con relative fermate, balconi asfittici e cementizi, squallidi sottopassi, finestre con gli avvolgibili, panchine desolanti affacciate su un mare grigio, caffè di notte o poco illuminati nella fioca luce di albe incerte e superflue, pastrani inzuppati di pioggia, cappelli calati sul volto <141.
[...] Un autoritratto dello scrittore che intanto, per parte sua, traccia le coordinate della sua topografia familiare divisa fra il sobborgo nel quale è lecito riconoscere Arma di Taggia, e Sanremo, dove moglie e figli abitano un condominio descritto con disgusto insieme feroce e pietoso <142: "Oggi, lì, da mia moglie… Imbruniva, e i poveri innocenti non parevano avvedersene; non intendo proprio dell’imbrunire, sibbene di quel costante imbrunire che aduggia la misera casa e le loro vite medesime. La madre stavolta piangiucchiava, ancora di quattrini. La casa dà da una parte su un’angusta corte, con canini sistemati in ricetti di fortuna e relativa tenera padrona, e con gagliarda sposa che tutta la para dei suoi bucati; dall’altra su una sordida via cittadina, tanto sordida che le ordinanze comunali non la raggiungono e la lasciano far mostra delle sue filacciose mutande e sottovesti sciorinate al sole. In cucina stagnava il puzzo atroce dei detersivi, confuso col personale sentore della lavapiatti che la frequenta alla fuggiasca, or ora uscita; nel bagno era tirato un cordino recante mutanducce infantili ad asciugare, tuttavia stillanti, e dentro la vasca posto un mastelletto di plastica stipato di panni sotto sapone. E d’un tratto, non che compiangere altrui, non che propormi di trarre fuori, di salvare i miei da tale sordidezza, sono stato preso da una specie di furiosa pietà per me stesso. Mi sembrava d’esser rinserrato lì dentro senza speranza, mi mancava l’aria; e sentivo di sopra, traverso la sottilissima soffitta, trascinar seggiole e menar di granata; e per le sonore scale rovinio di scolari e di servette; e dal quartiere accanto raschiar di radio; e dalle finestre sopra al nostro balcone scotolar di lenzuoli, oscuranti a baleni il poco e smorto cielo; e infine, in una pausa di silenzio e ancora dal piano di sopra, un orinar di commendatore ammalato. Sì, giusto un orinare in un vaso da notte (TR, OP2 p. 477-478)".
[...] Quanto al mare, e nonostante i lunghi anni trascorsi in Riviera, questo compare abbastanza raramente nella pagina di Landolfi, che è piuttosto amante della montagna e cantore del suo Appennino. A differenza della dimensione circoscritta e liminare che assume presso il monte Argentario e la laguna di Orbetello <152, il mare in Liguria appare «smorto, bianchiccio, senza respiro» <153 ma, negli "Sguardi", filtrato dall’occhio di R., si presta a tutti i cambiamenti dell’animo femminile: «Il mare s’era animato di mille colori; poi è ridiventato grigio; questa mattina era di nuovo splendente. Non lui, lui non ci ha nulla a che vedere: il mio mare di dentro. Che ribolle, che sta per rompere in tempesta, che chiede una vittima, mille vittime se necessario, che fracassa questa mediocre barca della mia vita» (TR, OP2, p.488). In genere, si intona all’umore piatto e depressivo di questi anni, facendosi esso stesso arredo imbronciato o tempestoso del lungomare di provincia, spesso contemplato da panchine desolate e spazzate dal vento. Il quale, altro protagonista di queste pagine, compare come portatore di nervosismo e instabilità e, in "Des mois", penetra e spalanca l’appartamento di Arma, scompigliando parole e pensieri: «In questa casa aperta da due parti, a levante e ponente, il vento fischia tanto assiduo, che ventoso, travolto e pronto a involarsi è ogni pensiero» (DM, OP2, p. 685). Un vento che non impedisce a Landolfi di scrivere quasi di getto, a conclusione del 1964, il racconto lungo "Un amore del nostro tempo"
[...] Si sono intanto andati consolidando i rapporti con Geno Pampaloni che, conquistatosi con garbo, professionalità e infinita pazienza la stima dello scrittore, nell’aprile del ’64 si era recato a fargli visita a Sanremo, stipulando per conto della Casa un nuovo contratto biennale. Dell’estate del 1965, un anno sul quale i riferimenti biografici sono più scarsi che mai, è il soggiorno con la famiglia a Bajardo <156, nel boscoso entroterra sanremese, da cui trae ispirazione per un elzeviro che esce sul «Corriere della sera» per Ferragosto e che recupera i modi del viaggiatore curioso e smagato delle prose di "Se non la realtà": "No, amici: per i play-boys o per gli onnipresenti milanesi non so, ma Bajardo è veramente un luogo egregio, e «perla» solo nel senso che le sottoposte convalli ne figurano l’immensa valva; dove coloro, se ci sono, restano confusi e avviliti, inoffensivi, tra tanto verde e in tanta aria fina; dove perfino le grida degli innumerevoli fanti ed infanti (trattene, ahimè, quelle dei propri) perdono virulenza… Pensate; migliaia di ettari di bosco d’alto fusto, quale forse non si ritrova ormai che nei racconti di fate; e il libero vento tempratore sulle cime intorno; e, per esempio, gli asini, le capre (UPC, OP2, p. 1000)".
[...] Del 1967 è la terza maschera teatrale dietro la quale lo scrittore declama il suo nichilismo, ovvero il "Faust 67", scritto ad Arma nel maggio e pubblicato due anni dopo. È una delle ultime (se non proprio l’ultima) delle opere composte nella cittadina ligure, che presto lascerà per trasferirsi di nuovo a Sanremo, presso la famiglia, ma soprattutto per trascorrere periodi sempre più lunghi a Pico.
[NOTE]
124 PV1, p. 162.
139 Questo lo sfondo, in Des mois, del primo lampeggiare della scolara che diventerà La muta: «Or ora tentavo di procurarmi una bottiglia di vermouth, ma tutte le botteghe erano chiuse. Stavo incerto all’angolo d’una strada (e al gelo di questa riviera), quando per compenso del mio scoramento è passata di corsa una fanciulla; una scolara con libri, che certo s’affrettava alla fermata del filobus. Poiché avevano già spento le luci, ed era quasi buio, e lei correva senza rumore, è sorta dal fondo della strada come dal nulla» (DM, OP2, p. 687).
140 Si è recentemente riproposto di ricostruire questo vagabondare Lamberto Garzia che, in collaborazione con il comune di Arma di Taggia sta curando l’allestimento di un itinerario di luoghi landolfiani nella cittadina rivierasca presentato nel corso di una giornata in onore dello scrittore, il 24 marzo 2019: «Usciva molto presto di casa, andava al Bar Sport, faceva una passeggiata sul lungomare, prendeva i giornali all'ex edicola della stazione ferroviaria, andava al Bar Jolly, in quella che oggi è piazza Tiziano Chierotti, prendeva il bus per andare a Sanremo dalla famiglia, stava con loro fino a pranzo e poi andava al Casinò. Verso sera tornava su ad Arma di Taggia per scrivere tutta la notte» (Stefano Michero, «Sanremo news», 19 marzo 2019). In preparazione, vi sarebbe un documentario dal titolo "La passeggiata landolfiana".
141 Una dimensione sottolineata anche da Giovanni Maccari, nella nota che accompagna le prose di "Diario perpetuo": «Ma questa estraneità antropologica alla gente del suo mestiere entra nel gioco dell’infelicità e dell’impotenza, così come una volta era una libera funzione della sua ironia e della sua differenza aristocratica. Sul piano della biografia, difatti, proprio questa differenza subisce negli anni Sessanta una singolare mutazione, nel senso che il suo rifugio originario (aristocratico) di integrarsi nella società borghese si risolve in una sorta di deriva in quella zona grigia della società borghese che è una città di provincia. Landolfi va a vivere ad Arma di Taggia, a rispettosa distanza ma a portata di corriera da Sanremo, dove c’è il casinò e dove si è trasferita la famiglia. Scrive, passeggia, scende al bar, va con la moglie a comprare un ombrello o il grembiule per la bambina: di tanto in tanto gioca, e perde, sicché perdura in uno stato cronico di povertà» (Giovanni Maccari, L’ultimo libro, in DP, p. 372).
142 «Oggi, a casa di mia moglie (e dei bambini: io sto da un’altra parte), è tornata a galla la vecchia questione» (TR, OP2, p. 474).
152 Si è vista in "Una bolla di sapone" (supra, § II.7).
153 «Natale! Mare smorto, bianchiccio, senza respiro; uno strano silenzio per le vie, finora. Natale d’angoscia, di vergogna. E loro lì, nella loro brutta casa… Beh che c’è, cosa ne inferisco? Non lo so. Non intendo: senza di me (che sarà fosse un bene); dico semplicemente: loro lì» (TR, OP2, p. 492).
156 «Bajardo fu generoso cavallo, e poi a suo tempo cavaliere senza macchia e senza paura; Bajardo è anche, oggidì, incantevole borgo, incantevole a dispetto dei fogliolini turistici che lo definiscono “perla dell’entroterra sanremese” (e meglio sarebbe “sanremasco”), con ciò inducendo il sospetto di qualche montano covo di play-boys» (UPC, OP2, p. 1000).
Laura Bardelli, Per una bio-geografia di Tommaso Landolfi. Luoghi del vissuto e della scrittura, Tesi di dottorato, Università degli Sudi di Firenze, 2020
“E' vero - conferma Lamberto Garzia - la famiglia viveva a Sanremo e quindi in molti hanno pensato che lui fosse lì, in realtà viveva e lavorava su Arma di Taggia. Grazie ad un complesso lavoro di studio, siamo risaliti anche alla documentazione necessaria a ricostruire questo legame, anche attraverso foto o cartoline ma ci sono tanti scritti dove indica proprio la data ed Arma di Taggia. Rileggendo alcuni suoi racconti come 'La Muta' o 'Chiacchiere al tramonto', o il romanzo 'Des Mois', definiti come surreali, si possono riconoscere i luoghi di Arma di Taggia. Grazie al lavoro di ricerca e studio abbiamo ricostruito la giornata tipo di Landolfi. Usciva molto presto di casa, andava al Bar Sport, faceva una passeggiata sul lungomare, prendeva i giornali all'ex edicola della stazione ferroviaria, andava al Bar Jolly, in quella che oggi è piazza Tiziano Chierotti, prendeva il bus per andare a Sanremo dalla famiglia, stava con loro fino a pranzo e poi andava al Casinò. Verso sera tornava su Arma di Taggia per scrivere tutta la notte. Era un personaggio molto particolare, amava giocare sul suo mistero e sull'essere riservato. Anche per questo non è stato un lavoro facile. Ci tengo a ringraziare Roberto Santini per le ricerche ed il materiale, Sandro Cesari per la toponomastica ed il sarto Manco, forse l'unico testimone che ha parlato con Landolfi”.
Stefano Michero, Il legame tra Arma di Taggia e lo scrittore Tommaso Landolfi..., Sanremo news.it, 19 marzo 2019