Il golfo dianese visto da Cervo (IM)
emigranti du rìe cu’i cioi ‘nt’i euggi
finché u matin crescià da puéilu
rechéugge
F. De André
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Infine anche il redditizio commercio degli oli provenienti da Napoli e dalla Sicilia, -olii "d’une qualité inférieure, et propres seulement a faire savon" verso il porto di Marsiglia, al cui trasporto partecipavano ben 12 bastimenti cervesi da 150 tonnellate, era totalmente cessato, in ragione degli eventi bellici (26). Una crisi grave, in definitiva, che aveva colpito maggiormente proprio settori come quelli del commercio marittimo e cantieristico verso i quali si erano orientata la riconversione dell’armamento navale in conseguenza della cessazione della pesca del corallo.
Molto si è discusso sull’andamento e sulla durata della crisi economica sofferta dalla Liguria all’indomani dell’annessione con il Regno di Sardegna. Se si concorda sul fatto che il periodo di stagnazione durò almeno fino agli anni ’30, apogeo dell’indirizzo protezionistico della politica sabauda, non vi è uniformità di vedute fra chi ha sostenuto un deciso risveglio dell’economia ligure alla vigilia del decennio cavouriano (27) e fra chi invece ridimensiona questo "improvviso destarsi" di un’economia che di fatto "non ha mutato struttura in alcuno dei rami che le erano propri", vale a dire la marineria, il commercio di transito e l’industria (28). Un dato incontrovertibile sembra però essere quello di una non omogenea diffusione di questo discusso processo di ripresa che in ogni caso lasciava aree periferiche ad una realtà di arretratezza e miseria, cosicché la Liguria si avviava all’unificazione nazionale con "uno sviluppo industriale di grande portata" ma anche molto disarmonico, concentrato in pochi poli e troppo dipendente dalle decisioni politiche, che "non aveva saputo assorbire la crescita demografica e non aveva trascinato con sé, se non marginalmente, l’economia della regione" (29). I limiti di questo processo di modernizzazione economica, per così dire a due velocità, si evidenziarono maggiormente in un’area come quella dell’estremo Ponente che, in ragione anche di un eccessivo frazionamento nella divisione amministrativa del territorio, venne ancor più emarginata, accentuandone le caratteristiche di subalternità nel quadro dell’economia regionale.
Proprio la crisi del settore oleario, -la maggiore dipendenza economica del Ponente ligure- che dalla fine del dominio napoleonico, in conseguenza dell’abolizione delle barriere doganali francesi, aveva subito la pesante concorrenza degli olii del Sud Italia, della Grecia e della Tunisia, aggravò drammaticamente la situazione. L’economista genovese Jacopo Virilio, un convinto sostenitore dell’emigrazione, nel 1860 descriveva l’area in questi termini: "La miseria va oggidì maggiormente involgendo nel suo squallido sudario alcuni paesi della riviera di Ponente. Le condizioni in cui versa la costa da Alassio a Ventimiglia spinge alla fuga verso un più ospitante emisfero, mentre un’atonia sembra invadere il senso morale degli abitanti" (30). Per le popolazioni dell’estremo Ponente ligure, l’emigrazione rappresentò così non un’alternativa ma una scelta obbligata.
Le dinamiche migratorie si modificarono, ad antichi percorsi se ne aggiunsero di nuovi. Se il Sud-Est della Francia restava una meta naturale, già sperimentata per soggiorni a carattere temporaneo più che definitivo, ben presto la via delle Americhe costituì una nuova, allettante risorsa. A differenza di quanto avvenne nel resto del paese dove l’emigrazione transoceanica assunse dimensioni di massa negli anni compresi fra la fine dell’Ottocento e il primo ventennio del Novecento, in Liguria i flussi transoceanici si manifestarono precocemente e si stabilizzarono con una continuità che non subì nel corso del tempo variazioni di grande rilievo. Sono note le difficoltà incontrate dagli studiosi nella ricostruzione e, ancor più, nella quantificazione del fenomeno migratorio ligure nel suo complesso durante il diciannovesimo secolo. Se poi l’obiettivo è quello di individuare le diverse identità di partenza degli emigrati il compito si complica indefinitamente (31). La scarsa visibilità dell’immigrazione ligure verso una delle regioni privilegiate, il Dipartimento delle Alpi Marittime e città quali Marsiglia o Tolone, limita fortemente la possibilità di accertare le dinamiche migratorie in un’area pur fortemente interessata al fenomeno (32).
Se oggettivi impedimenti finiscono per limitare fortemente il tentativo di specificare sia in termini quantitativi sia in termini qualitativi il fenomeno migratorio non solo nella sua globalità ma anche relativamente ad aree circoscritte, -deludenti risultano infatti le notizie in materia che si possono attingere dalle pubblicazioni ufficiali del Ministero degli Esteri o degli altri organismi preposti al controllo dell’emigrazione- esiste tuttavia una documentazione indiretta dalla quale, seppur in maniera parziale, si ricavano significativi elementi circa la mobilità della popolazione. Nel caso di Cervo una fonte di notevole interesse risulta il Libro dei defunti parrocchiale, nel quale venivano registrate le messe di funerale in suffragio per i morti altrove. In esso, a partire dall’anno 1677, vengono riportate numerose di queste solennità, che costituiscono in media il 5% del numero complessivo dei morti, con l’indicazione dei luoghi del decesso (33).
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Un diverso tipo di documentazione di grande interesse, spesso utilissimo per ricostruire gli itinerari migratori di aree dove scarse e labili sono le tracce del fenomeno, è quella rinvenibile negli ‘archivi familiari’: una quantità eterogenea di materiali, fotografie, lettere, etc., che gettano luce sulle vicende e sui destini di "gente comune", altrimenti irrimediabilmente perduti (34). In questo senso, l’archivio della famiglia Roggerone si è rivelato una fonte utilissima (35). Originari di Pairola, piccola frazione del comune di Cervo, Nicola Roggerone e Caterina Simone, entrambi contadini, ebbero nove figli, tre femmine e sei maschi, quattro dei quali nella seconda metà dell’Ottocento scelsero di emigrare (36).
Di Lorenzo Roggerone, il primo dei figli della coppia, nato nel 1839, con certezza si sa solamente che morì negli Stati Uniti, come è documentato da un atto legale. Stesso destino americano seguirono Giacomo Giovanni (n. 1853) e Domenico Santino (n. 1857). Se per quest’ultimo le notizie sono piuttosto scarse, dopo un breve soggiorno in Francia, Domenico Santino giunse anch’egli negli Stati Uniti e vi si stabilì definitivamente, l’esperienza migratoria di Giacomo Giovanni è decisamente più articolata. Dalla sua corrispondenza con il fratello Salvatore si apprende infatti che si era stabilito a Galveston nel Texas già dal 1883 (37). In un lettera, datata 26 aprile 1885, lo sconsigliava vivamente di raggiungerlo, "perché sono 2 anni che diventata assai miseria più che dalle nostre parti e questo paese si tratta che sia uno dei melio paesi dei stati uniti e pure vi è una miseria assai grande perchè non ci è lavoro e ora sono due anni che vacasi male". Anche una eventuale prospettiva Sud-americana, presa in considerazione da Salvatore non veniva incoraggiata: " Caro fratello sento che tu parli di bonesaire ma qui sono molto lontano vedremo questo inverno che viene cosa sarà dinovo se si guadagnerà melio la vita che adesso te la farò sapere e seno o pensato di andarmene ancora io che sono 2 anni che lavoro giusto per le spese". Giacomo Roggerone che a Galveston faceva "il mestiere della pesca", disponendo di una barca e di attrezzature proprie, deciderà di spostarsi a Port Lavaca, una località affacciata sul Golfo del Messico, distante una cinquantina di chilometri da Galveston, "colla speranza di guadagnare di più ma invece sono sempre lo stesso". Marsiglia sembra essere stata una sorta di stazione intermedia, di transito per molti che intrapresero successivamente il viaggio transoceanico: "Ti prego a mandarmi subito per posta con lettera assicurata le mie 5 cartelle del prestito Lionese" scrive Giacomo al fratello nel febbraio del 1887, chiedendo informazioni sui suoi depositi bancari fatti nella città francese, "che qui in Galveston vi è una banca francese e posso cambiarle senza perdita, se invece dovessi fare le carte di procura dovrei spendere più di 75 franchi". Le notizie di una grave calamità naturale che aveva colpito proprio il Ponente ligure, dove ancora molti familiari di Giacomo vivevano, non dovettero certo risollevare il suo stato d’animo in un momento di per sé già difficile: "Oggi si sono ricevuti telegrammi del terremoto in Italia principalmente nella riviera nostra, spero che non sarà accaduto niente di sinistro ai nostri parenti. Basta mi rincresce che i tuoi affari non siano troppo buoni, qui non è niente di meglio".
Più complessa la vicenda di Salvatore Roggerone (n. 1850) il quale, avendo seguito il consiglio del fratello, non lasciò l’Europa. Dal 1873 al 1881, come si apprende dal libretto di matricolazione rilasciatogli dalla Marina Mercantile Italiana, si imbarcò per brevi periodi, lavorando anche negli stessi anni come "ouvrier terrassier" in alcune fabbriche di ceramica a Marsiglia. Dopo questa esperienza farà ritorno a Cervo e riprenderà l’attività di agricoltore. Anche Adolfo (n. 1892), figlio di Salvatore, seguì il percorso migratorio del padre. Dopo aver lavorato per un breve periodo ad Albenga in una fabbrica di laterizi, nel 1914 si era trasferito a Marsiglia. Qui aveva trovato occupazione come cameriere presso il "Grand Restaurant". In una lettera dell’ottobre 1914 inviata ai genitori Adolfo si lamentava del lavoro che "è diminuito ancora si lavora ore 7 per giorno, fino che ne guadagno tanti per vivere resto e un giorno non ce n'è più allora verrò". Rientrato in Italia dal 1917 aveva trovato impiego come fonditore nella Società Nazionale Officine di Savigliano dove rimarrà fino al 1922. A Savigliano si era iscritto al Partito Socialista e alla Camera del lavoro (Federazione nazionale degli operai metallurgici). Negli anni Venti Adolfo si trasferì nuovamente in Francia, in compagnia della moglie, Nicolina Fresco, anch’essa originaria di Cervo Ligure. La coppia si stabilì a Haute Loges au Manoir, un piccolo villaggio vicino a Rouen, nel Dipartimento dell’Eure. Le lettere che i coniugi scrivono alla famiglia di Adolfo tra il 1923 e il 1925 sembrano testimoniare il raggiungimento di una relativa tranquillità economica. Nell’agosto del 1923 Nicolina Roggerone poteva infatti confidare alla cognata di essere contentissima dell’andamento delle cose: "Io faccio i lavori di casa e da mangiare e poi alla domenica tutti insieme si va a fare qualche passeggiata nei paesi e città più vicine, io dopo che sono qui ho veduto Parigi, Pont de l’Arches, Alizais, Pitres, ma il più bello è Parigi, per poco che ci siamo fermati non posso dirti cose vidi di bello, te ne darò una descrizione quando verrò a casa. Noi due ce la passiamo divinamente bene". Adolfo, occupato in una "officina", riusciva a trovare anche il tempo di dedicarsi ad un terreno preso in affitto: "Avendo ora il giardino abbiamo molto lavoro, siamo presso mettere le patate e in seguito altro ancora. Abbiate pazienza" scriveva Nicolina ai genitori del marito "se questa volta Adolfo non scrive per il motivo che alla sera finita la giornata nell’officina lavora fino a tarda ora nell’orto e quando viene a casa si trova stanco e non ha più voglia di fare lettera così vi scrivo io". Questa pur breve ricognizione attraverso tre generazioni della famiglia Roggerone ha illustrato con efficacia quali potessero essere le più frequenti dinamiche migratorie di una piccola comunità del Ponente ligure.
In definitiva, in età moderna, ad una incerta economia agricola, legata principalmente alla monocoltura olearia, si era associata un'attività, la pesca al corallo, che aveva costretto gran parte della popolazione di Cervo a migrare verso la Sardegna, la Corsica o le coste Africane. A partire dai primi decenni dell’Ottocento rinnovate necessità orientarono il flusso migratorio verso nuovi itinerari, imponendo spesso una mobilità permanente in luogo di una mobilità stagionale. Se Genova e i maggiori centri rivieraschi continuarono a rappresentare un polo di attrazione, sempre più spesso la vicina Francia e infine l’America diventarono le mete di una migrazione dove ancora pesca e agricoltura, vecchie consuetudini, continuavano ad alternarsi, combinandosi con le nuove realtà industriali, nello scenario imposto dalla modernità.
Pierangelo Castagneto, Crisi economica e movimenti migratori nel Ponente ligure dall’età napoleonica alla grande emigrazione. Il caso di Cervo Ligure in biblioteca dell'egoista, 2000
26) G. Chabrol de Volvic [...]
27) C.M.Cipolla, Agli inizi della rivoluzione industriale nell’economia ligure, in Genova, uomini e fortune, Genova s.d.
28) L. Bulferetti-C.Costantini, op.cit., p.481.
29) G. Assereto, Dall’antico regime al’Unità, p.215. Sulla realtà genovese: E. Grendi, Genova nel Quarantotto. Saggio di storia locale, in "Nuova rivista storica", 1964, pp.307-350. Per quanto riguarda il quadro politico generale, vedi: G. Assereto, Problemi della transizione politico-amministrativa nella Liguria postnapoleonica, in Ombre e luci della Restaurazione, Roma 1997, pp.327-336.
30) J. Virilio, Delle condizioni economiche delle provincie liguri, in "Il Politecnico", 1860, p.134.
31) La questione riguardante i rilevamenti statistici sulle dimensioni del fenomeno migratorio resta, come è noto, assai controversa. Per alcune considerazioni generali sull’argomento, vedi: A. Gibelli, La risorsa America, p.597 nota 15.
32) In uno studio sull’immigrazione nel Sud-Est della Francia, Faidutti-Rudolph, ricordando che i liguri costituivano, tra il 1871 e il 1914, più del 12% degli immigrati italiani presenti della città, osserva solamente che "Les ligures qui formèrent autrefois l’essentiel de la colonie viennent de moins nombreux car leur grand port et leur cote se développent sur un rytme semblable à celui de la cote française. Mais leur souvenir reste vivace a Marseille et l’on appelle toujours ‘Génoises’ les ‘partisanes’ qui portent les légumes au marché" (A.M. Faidutti-Rudolph, L’immigration italienne dans le sud-est de la France, Gap 1964, p.99). Per una prima indagine sull’imperiese, vedi: A. Molinari, Storia e storie di emigrazione dal Ponente ligure. Alcuni percorsi di ricerca, in "Recherches Alpes-Maritimes et contrées limitrophes régionales", 3ème trimistre 1995, pp.140-148.
33) Archivio Vescovile di Albenga, Libro dei Defunti della Parrocchia di S.Giovanni Battista-Cervo Ligure.
34) Su questo tipo di fonti, vedi i contributi di: S. L. Baily – F. Ramella eds, One Family, Two Worlds. An Italian Family’s Correspondence across the Atlantic, 1901-1922, New Brunswick-London 1988; E. Franzina, L’immaginario dell’emigrante, Treviso 1992; Id., Merica! Merica! Emigrazione e colonizzazione nelle lettere dei contadini veneti, Milano 1979; A. Gibelli, "Fatemi unpo sapere"… Scrittura e fotografia nella corrispondenza degli emigranti Liguri, in La via delle Americhe, pp.87-94. Nell’Archivio Ligure di Scrittura Popolare, presso il Dipartimento di Storia Moderna e Contemporanea della Facoltà di Lettere dell’Università di Genova, sono conservati numerosi di questi epistolari di emigrazione e altri documenti provenienti da archivi familiari.
35) L’archivio della famiglia Roggerone è custodito presso il Museo Etnografico di Cervo Ligure. Desidero ringraziare i coniugi Savina e Giorgio Roggerone per la loro disponibilità e per le utili indicazioni che mi hanno fornito.
36) Archivio della Diocesi di Albenga, Atti di nascita e battesimi, Pairola.
37) Secondo i dati dei censimenti, nel 1870 risiedevano in Texas 186 italiani, nel 1880 il numero era salito a 539, mentre dieci anni dopo erano 2.107. Nel 1920 il loro numero arrivò a 8024. La maggior parte degli italiani stabilitisi in Texas in questi anni proveniva da regioni dell’Italia settentrionale, principalmente Piemonte, Lombardia, Veneto e Trentino Alto Adige, mentre solo una minoranza, circa il 10%, da regioni del Sud del paese, Sicilia e Calabria. Come ha ricordato Valentine J. Belfiglio, malgrado che "high taxation, corruption, lawlessness, and race riots" fossero fattori non certo incoraggianti, il Texas rappresentò una buona opportunità per molti emigranti europei in ragione del rapido sviluppo economico che investì la regione proprio sul finire del secolo. Di preferenza gli italiani scelsero la zona Sud-orientale dello stato, lungo la valle del fiume Brazos e più in generale le aree urbane intorno a Houston, Dallas, Forth Worth e Galveston. Fu quest’ultima "the Ellis Island of the West", ad attirare numerosi italiani "because of economic opportunities to be found there in processing and shipping cotton, sulfur, rice, and flour, and in shipbuilding, fishing, and port-related activities". Difficile quantificare la presenza ligure all’interno di questo movimento migratorio. Sull’argomento vedi: Valentine J. Belfiglio, Italian experience in Texas. A closer look, Eakin Press: Austin, Texas, 1995, pp.29-30; 36-53; Id., Italians in Small Town and Rural Texas, in Italian Immigrants in Rural and Small Town America, ed. by Rudolph J. Vecoli, New York 1987, pp.31-49; Andrew F. Rolle, Gli emigranti vittoriosi. L’avventurosa storia degli Italiani nel West, Milano 1972, pp.240-247.