[seguito di questo articolo]
Mentre noi percorrevamo le strade di Israele era sempre più frequente
incrociare convogli armati e movimenti di truppe e sulla nostra testa
sfrecciavano i Mirage con la stella di David.
Era una fine di maggio
piena di fermenti e arrivati a San Giovanni d’Acri e Cesarea si sentiva
nei bazar e anche nel bel Dan Carmel Hotel di Haifa, aria di guerra,
quell’eccitazione che prelude a qualcosa di grave.
Comunque visitammo
la città di Erode il Grande, con il suo ippodromo, l’anfiteatro e,
nascoste dall’acqua del mare, le rovine del grande molo di Erode.
Cesarea
e San Giovanni d’Acri furono anche le città fortificate dei Crociati e
quest’ultima la ricordo meravigliosa con le sue fortificazioni sul
mare,ora la città dei Cavalieri del Santo Sepolcro è patrimonio
Mondiale dell’Unesco.
Il ristorante panoramico del Dan Carmel Hotel
diede il battesimo al mio primo approccio con il vino. Zio Eugenio
[Eugenio Kahemann, già comandante partigiano] scelse un ottimo rosso del Carmelo per accompagnare quelle che ricordo
come le migliori cotolette di montone che abbia mai mangiato; andai a
dormire con un leggero capogiro provocatomi dall’ebbrezza del vino.
Con
un po’ di apprensione ci dirigevamo verso Gerusalemme. Solo Nonna
Remigia pareva incurante della tensione che cominciava a circondarci.
Andare
nei luoghi che avevano visto le opere di Cristo e poter calpestare il
percorso del suo martirio era il sogno di tutta una vita che alla fine
si realizzava.
Il nostro Hotel era il fantastico King David Hotel,
quello dell’attentato del luglio del 1946 compiuto dal’Irgun contro gli
Uffici Centrali delle Autorità Britanniche e del Comando Militare, che
purtroppo causò 137 vittime.
Non conoscendone la storia in
quell’epoca mi limitai ad apprezzare le camere e il suo meraviglioso
giardino con una spettacolare piscina, la nonna era talmente eccitata
che non mi impedì di tuffarmi per tutti i giorni che ci fermammo lì.
In
seguito venni a conoscenza degli antefatti dell’attentato a cui
parteciparono alcuni padri fondatori dello stato di Israele il 15 maggio
1948.
In ogni negozio campeggiavano le immagini di David Ben Gurion e di Golda Meir, dei quali io allora non sapevo nulla.
Mentre
io esploravo l’hotel, la nonna preparava l’itinerario della Via Crucis
che ci avrebbe inflitto per almeno tre giorni per vedere tutte le sue
stazioni della passione di Gesù.
Eugenio preparava altre visite per la ditta presso la Camera di Commercio.
Io
avevo curiosità per il Muro del Pianto, per la Moschea di al-Aqsa, per
la Porta dei Leoni e per la città vecchia dopo aver sfogliato tutte le
brochure nella grande hall dell’hotel.
Il cielo azzurrissimo era sempre di più trafitto dalle scie dei Mirage.
Gerusalemme.
Nella Città vecchia la via Dolorosa è indicata in ebraico, arabo e latino.
Le stazioni sono quattordici e la prima è dove Gesù Cristo viene portato davanti a Pilato e ai sommi sacerdoti ed è posizionata nell’angolo nord-ovest della Spianata del Tempio.
A testimoniare la presenza delle tre grandi religioni monoteistiche nella città Santa si trova per esattezza nel cortile della Scuola Coranica di El-Omarye.
La seconda è quella dove al Nazareno venne posta per la prima volta la croce sulle spalle.
La terza stazione era in leggera discesa e qui Remigia commossa mormorò “chi, mei belu Segnu, ti sei casüu [in dialetto di Sanremo (IM): "Qui, Signore, è dove sei caduto] e nel luogo dove Cristo cadde la prima volta si segnó con fervore.
Il segno della croce era un rito che mia nonna compieva ripetutamente anche a casa, ma qui assumeva un’aria misteriosa come ai tempi dei protocristiani.
La quarta stazione, dove Gesù incrocia Maria, Remigia la aspettava, perché sapeva esattamente l’ordine della Via Dolorosa e come si susseguivano gli accadimenti, come quando si rivede un film conosciuto.
Passata la quinta stazione dove Simone Cireneo aiuta Gesù a portare la croce, alla sesta, la nonna, quasi ripetendo a memoria una scena già vissuta estrasse un fazzoletto bianco e imitando i gesti della Veronica immaginò di detergere la fronte del Nazareno.
All’incrocio che delimita il quartiere arabo da quello Cristiano, nei pressi del bazar, il Signore cadde la seconda volta e la nonna pareva rivedere la scena della settima stazione nella sua mente.
Passata l’ottava dove il signore consola le fedeli, si giunge dove Gesù intraprese la salita cade per la terza volta.
Ogni passo fino alla crocifissione Remigia lo ripercorre mormorando la trama della passione, con il volto contratto dalla commozione, fino alla cima del Golgota.
Sussulta quando giunto alla fine il Signore muore e viene deposto e infine composto nel Santo Sepolcro.
Questa successione di gesti e mormorii le replicammo per altri due giorni nella loro esatta successione e ogni volta Remigia provava le stesse emozioni.
L’affascinante città vecchia, l’orto di Getsemani, la porta di Damasco a ovest, quella dei Leoni ad est li visitammo insieme al Muro del Pianto e alla Spianata delle Moschee nei giorni successivi, ma ogni volta che si ripassava davanti a una delle stazioni la nonna ripeteva gli stessi gesti.
In questo viaggio che avrebbe dovuto soddisfare la mia metà cristiana si acuì invece il mio desiderio di scoprire le mie radici ebraiche, che mio padre [(1)] aveva nascosto sotto la cenere dopo i terrori della guerra.
[ (1) Nella missiva (conservata presso l'Istituto Storico della Resistenza e dell’Età Contemporanea di Imperia) del C.L.N. di Bordighera, prot. n° 2, inviata in data 26 febbraio 1945 al comandante Curto (Nino Siccardi, comandante della I^ Zona Operativa Liguria), studiata di recente da Giorgio Caudano, documento che soprattutto trascrive informazioni rese dal comandante partigiano Stefano Leo Carabalona, in quel momento gravemente ferito ed in attesa di essere trasferito clandestinamente a Nizza anche per essere adeguatamente curato, si legge che Carabalona, in proposito del padre di Paolo Kahnemann, Francesco, dice ad un certo punto "... Giorni fa è arrivato in Francia il fratello di Kahnemann (il fratello maggiore è andato a Roma... ]