Un cadavere in un modesto alloggio di via Arnaldo da Brescia 25. Un misero alloggio, quasi un tugurio, formato da cameretta, cucina e un salottino. Un alloggio misero e il cadavere di uoa donna dalla bellezza sfiorita. Aida Gontar, di origine russa, aveva 67 anni ed era la vedova del conte Alvise Bragadin. Nata a Odessa nel 1894, aveva cominciato come ballerina classica. Una carriera senza troppa fortuna nel suo paese, ma esplosa negli Stati Uniti. Alta, bionda, bellissima, Aida Gontar era capace di far perdere la testa a qualunque uomo. E per lei, fra i tanti che avevano perso la testa, c'era pure quello che sarebbe diventato suo marito: un ricchissimo patrizio veneto, impegnato in affari e più anziano di lei di 10 anni. Al momento del matrimonio qualcuno aveva avanzato qualche dubbio sulla legittimità del titolo nobiliare trasferito alla Gontar: il conte Bragadin era già sposato in prime nozze e non si era nemmeno sicuri che avesse divorziato. Ma questa è una storia che si era consumata lontano da Sanremo.
La loro prima residenza in Riviera era stata Alassio, dove erano conosciuti come il conte e la contessa Bragadin. Spendevano cifre da capogiro in serate mondane, giocate al casinò, lussi più sfrenati. Si erano trasferiti a Sanremo ai tempi della guerra d'Etiopia [...]
La contessa molto decaduta in Romano Lupi e Riccardo Mandelli, Sanremo tenebra. Cento anni di delitti e misteri nella città del Festival, philobiblon edizioni, 2015
La loro prima residenza in Riviera era stata Alassio, dove erano conosciuti come il conte e la contessa Bragadin. Spendevano cifre da capogiro in serate mondane, giocate al casinò, lussi più sfrenati. Si erano trasferiti a Sanremo ai tempi della guerra d'Etiopia [...]
La contessa molto decaduta in Romano Lupi e Riccardo Mandelli, Sanremo tenebra. Cento anni di delitti e misteri nella città del Festival, philobiblon edizioni, 2015
Dal nostro corrispondente)
Sanremo, 1 dicembre.
Una nobildonna d'origine russa - la contessa Aida Gontar vedova Bragadin di 67 anni, nativa di Odessa e residente in Italia da una ventina d'anni - è stata strangolata, forse a scopo di rapina, nella sua modesta casa di via Arnaldo da Brescia 25 nella quale viveva completamente sola. A questo verdetto sul decesso della contessa sarebbe giunto nel tardo pomeriggio d'oggi il medico legale dott. Roverio che, nella camera mortuaria dell'ospedale della nostra città, ha concluso l'autopsia sul cadavere della donna, ordinata dalla Procura della Repubblica. Mercoledì scorso, verso le 15, alcuni vicini di casa della nobildonna venivano messi in allarme dal nauseabondo odore che esalava dall'abitazione della contessa. Aida Gontar, da alcuni giorni, non aveva dato più segno di vita: in un primo tempo gli inquilini dello stabile avevano pensato ch'ella fosse partita per un breve viaggio. Prolungandosi l'assenza i primi sospetti avevano cominciato a circolare. I carabinieri, non appena avvertiti, provvedevano ad abbattere la porta d'ingresso dell'alloggio. Il cadavere della nobildonna veniva ritrovato in avanzato stato di putrefazione. La contessa, completamente vestita, giaceva sul letto. La stanza era in perfetto ordine; non vi era alcuna traccia di lotta.
g.b., Rinvenuta strangolata nella sua casa una contessa d'origine russa a Sanremo, La Stampa, Sabato 2 Dicembre 1961
Sanremo, 1 dicembre.
Una nobildonna d'origine russa - la contessa Aida Gontar vedova Bragadin di 67 anni, nativa di Odessa e residente in Italia da una ventina d'anni - è stata strangolata, forse a scopo di rapina, nella sua modesta casa di via Arnaldo da Brescia 25 nella quale viveva completamente sola. A questo verdetto sul decesso della contessa sarebbe giunto nel tardo pomeriggio d'oggi il medico legale dott. Roverio che, nella camera mortuaria dell'ospedale della nostra città, ha concluso l'autopsia sul cadavere della donna, ordinata dalla Procura della Repubblica. Mercoledì scorso, verso le 15, alcuni vicini di casa della nobildonna venivano messi in allarme dal nauseabondo odore che esalava dall'abitazione della contessa. Aida Gontar, da alcuni giorni, non aveva dato più segno di vita: in un primo tempo gli inquilini dello stabile avevano pensato ch'ella fosse partita per un breve viaggio. Prolungandosi l'assenza i primi sospetti avevano cominciato a circolare. I carabinieri, non appena avvertiti, provvedevano ad abbattere la porta d'ingresso dell'alloggio. Il cadavere della nobildonna veniva ritrovato in avanzato stato di putrefazione. La contessa, completamente vestita, giaceva sul letto. La stanza era in perfetto ordine; non vi era alcuna traccia di lotta.
g.b., Rinvenuta strangolata nella sua casa una contessa d'origine russa a Sanremo, La Stampa, Sabato 2 Dicembre 1961
(Dal nostro inviato speciale)
Sanremo, 2 dicembre.
«E' un caso veramente difficile», ha detto stamane il dott. Clemente, Sostituto Procuratore della Repubblica, ai giornalisti ansiosi di ottenere notizie precise sulla morte della contessa Aida Gontar Bragadin, che sembrava dovuta a cause naturali e che risulta invece delittuosa. E ha soggiunto: «La matassa è alquanto intricata, ne stiamo cercando il bandolo». Non ha voluto aggiungere di più, per naturale riserbo di magistrato. Cerchiamo di cavarcela con i nostri mezzi. Il caso è «veramente difficile». Cominciamo con l'assicurare che sulla morte violenta della contessa non esistono dubbi. Lei è stata strangolata con le mani fino a schiacciare del tutto la trachea. Sul collo erano rimasti lividi vasti e profondi. Se lì per lì nessuno ci aveva badato, è perchè nulla tutto intorno faceva sospettare un delitto. Nessun segno apparente di lotta nella stanza e negli abiti della vittima, rinvenuta nel suo letto completamente vestita e adagiata lì con la naturalezza di chi si corica per qualche minuto di rilassamento. E nessun disordine di possibile ladreria. Ad avvalorare l'ipotesi di una morte naturale contribuiva la circostanza che la Bragadin da qualche tempo era giù di salute. Le sue splendide gambe di ex-ballerina classica, enormemente rigonfie alla caviglia, erano diventate due grosse colonne informi. Lamentava disturbi al cuore, alla testa, al fegato, dappertutto. Al «Bar Moderno» di Sanremo, suo ritrovo abituale, gli amici che non la vedevano da qualche giorno dicevano: «E così anche la povera Bragadin se n'è andata!». Nessun sospetto possibile che qualcuno invece, come dicono in gergo da bassifondi, l'avesse «spedita all'altro mondo». Aida Gontar, nata a Odessa il 16 marzo 1894, ha avuto una vita avventurosa, già accennata per sommi capi ma che è bene precisare negli elementi essenziali. E' ballerina classica negli Stati Uniti e celebre, almeno per quel tanto che basta ad interessare un giorno il conte Alvise Bragadin, che ha almeno dieci anni più di lei e che se la porta in Italia, prima ad Alassio, poi a Sanremo, dove essi prenderanno residenza stabile durante la guerra contro l'Etiopia. Si è affacciato il dubbio che fossero marito e moglie.
I documenti anagrafici parlano chiaramente di «Aida Gontar coniugata con Alvise Bragadin». Matrimonio in ordine, quindi. E' però un matrimonio d'amore? Se sì, indubbiamente assai tempestoso. Lei è bellissima, alta, bionda, allegra e civetta. Lui è una specie di orsacchiotto «vestito da cristiano», come ci hanno detto. Se è geloso, lo è in pura perdita. La donna fa il comodo suo. Lui è ricco. Quanto, non si sa. Né si conosce del tutto l'origine certa del suo denaro. I Bragadin sono nobili veneti di antica data e non rovinati dalle varie vicende storiche. Ma Alvise Bragadin è fascista, anzi, come si diceva allora, «fascistissimo», molto vicino alle più alte gerarchie del partito e allo stesso duce il che poteva portare a tante sorgenti di reddito. Il Bragadin giocava forti somme al casinò di Sanremo e a quello di di Montecarlo. Giocava pure lei? Un interrogativo importante. Pare che lei prima della morte di suo marito non avesse mai rischiato un gettone, anche di poco conto, al tappeto verde. Frequentava le case da gioco con una sua amica modista e giocatrice accanita, ma dando torto al proverbio secondo il quale «chi va con lo zoppo impara a zoppicare». Di certo, sembra anzi che fosse tirchia di natura, se non addirittura avara. Ne ho avuto conferma da parecchie parti, ma la testimonianza più diretta mi sembra quella di Lorenzo Pastorino, che aveva ospiti abituali i Bragadin nel suo notissimo ristorante. La coppia menava una vita indubbiamente «sfarzosa», lei era capricciosissima nell'ordinare questa o quell'altra specialità, ma al momento di pagare «si lamentava sempre del conto». Ciò, come vedremo, può anche essere essenziale. Durante la guerra mondiale Alvise Bragadin ha noie continue con i partigiani, come è inevitabile che sia. Egli sarà assolto dall'imputazione finale di collaborazionismo, ma attraverso parecchi rotti della cuffia, uno più costoso dell'altro. Ciò aveva dato luogo a una catena di ricatti? E' probabile. Indipendentemente dal collaborazionismo, molti lati oscuri dovevano turbare la vita dei due coniugi, se un giorno qualcuno - e l'ho udito dalla sua viva voce - assistette ad una disputa acre, dove lui rimproverava di avere dovuto «versare» un milione di lire per lei, e lei aveva ribattuto: «Ne dovresti versare di più se dicessi quello che so io!». Alvise Bragadin muore nel 1955. Quanto lascia a sua moglie? Non troppo, perché ci sono altri eredi (egli era al suo secondo matrimonio, ed il primo con figli), ma ne lascia parecchio. Improvvisamente, allora, la prende il demone del gioco e con una specie, si può dire, di furia arretrata. Un furbacchione la incanta con un sistema per vincere alla roulette e le inghiotte un mucchio di quattrini. Un siciliano si innamora di lei, se la porta a Palermo, la chiude in una casa come un tesoro da custodire gelosamente, ed anche ciò le costa assai caro. Non c'è altra salvezza che la roulette. E la Bragadin gioca disordinatamente, rumorosamente, si indebita, vende il vendibile, è la rovina. Una rovina anche morale perché, completamente dimentica della sua gloria passata di bella donna, va con chi capita, accetta magari un bicchiere di vino da un portabagagli, e da una villa come quella che aveva una volta, e che oggi può valere sui cento milioni di lire, finisce quell'orrido stambugio. Ma c'è da chiedersi: se la rovina morale di questa povera donna è indubbia, l'altra è certa, o non piuttosto finta? All'ultimo momento la Bragadin non è stata forse presa dalla sua antica tirchieria, prossima all'avarizia? Oppure continuava la serie dei ricatti, e tutto l'insieme la induceva a mostrarsi povera, mentre aveva tuttora un grosso gruzzolo in riserva? Colui che salì con lei le bruttissime scale di quella vecchia casa una decina di notti fa, sperava di fare un buon colpo? La polizia tende a credere che l'assassino, un esperto in materia, abbia frugato in ogni dove, poi, scovato quello che c'era da portare via, abbia rimesso a posto tutto quanto. Per confondere le idee avrebbe lasciato uu braccialetto d'oro al polso della vittima. C'è anche una seconda ipotesi. La Bragadin non giocava più a Sanremo, ma frequentava periodicamente Montecarlo. Là, parlando con qualcuno, si vantava forse del suo splendore passato, facendolo apparire come tuttora presente? Lei aveva sempre una sete disperata di uomini. Qualcuno ha giocato con lei la commedia dell'amore, l'ha seguita fino a Sanremo e, vista la realtà così lontana dal mito, l'ha strangolata in un impeto d'ira? Poi, con disprezzo, avrebbe lasciato quel braccialetto perché il gioco non valeva la candela.
Antonio Antonucci, Forse lo strangolatore della contessa credeva che la donna fosse molto ricca, La Stampa, Domenica 3 Dicembre 1961
Sanremo, 2 dicembre.
«E' un caso veramente difficile», ha detto stamane il dott. Clemente, Sostituto Procuratore della Repubblica, ai giornalisti ansiosi di ottenere notizie precise sulla morte della contessa Aida Gontar Bragadin, che sembrava dovuta a cause naturali e che risulta invece delittuosa. E ha soggiunto: «La matassa è alquanto intricata, ne stiamo cercando il bandolo». Non ha voluto aggiungere di più, per naturale riserbo di magistrato. Cerchiamo di cavarcela con i nostri mezzi. Il caso è «veramente difficile». Cominciamo con l'assicurare che sulla morte violenta della contessa non esistono dubbi. Lei è stata strangolata con le mani fino a schiacciare del tutto la trachea. Sul collo erano rimasti lividi vasti e profondi. Se lì per lì nessuno ci aveva badato, è perchè nulla tutto intorno faceva sospettare un delitto. Nessun segno apparente di lotta nella stanza e negli abiti della vittima, rinvenuta nel suo letto completamente vestita e adagiata lì con la naturalezza di chi si corica per qualche minuto di rilassamento. E nessun disordine di possibile ladreria. Ad avvalorare l'ipotesi di una morte naturale contribuiva la circostanza che la Bragadin da qualche tempo era giù di salute. Le sue splendide gambe di ex-ballerina classica, enormemente rigonfie alla caviglia, erano diventate due grosse colonne informi. Lamentava disturbi al cuore, alla testa, al fegato, dappertutto. Al «Bar Moderno» di Sanremo, suo ritrovo abituale, gli amici che non la vedevano da qualche giorno dicevano: «E così anche la povera Bragadin se n'è andata!». Nessun sospetto possibile che qualcuno invece, come dicono in gergo da bassifondi, l'avesse «spedita all'altro mondo». Aida Gontar, nata a Odessa il 16 marzo 1894, ha avuto una vita avventurosa, già accennata per sommi capi ma che è bene precisare negli elementi essenziali. E' ballerina classica negli Stati Uniti e celebre, almeno per quel tanto che basta ad interessare un giorno il conte Alvise Bragadin, che ha almeno dieci anni più di lei e che se la porta in Italia, prima ad Alassio, poi a Sanremo, dove essi prenderanno residenza stabile durante la guerra contro l'Etiopia. Si è affacciato il dubbio che fossero marito e moglie.
I documenti anagrafici parlano chiaramente di «Aida Gontar coniugata con Alvise Bragadin». Matrimonio in ordine, quindi. E' però un matrimonio d'amore? Se sì, indubbiamente assai tempestoso. Lei è bellissima, alta, bionda, allegra e civetta. Lui è una specie di orsacchiotto «vestito da cristiano», come ci hanno detto. Se è geloso, lo è in pura perdita. La donna fa il comodo suo. Lui è ricco. Quanto, non si sa. Né si conosce del tutto l'origine certa del suo denaro. I Bragadin sono nobili veneti di antica data e non rovinati dalle varie vicende storiche. Ma Alvise Bragadin è fascista, anzi, come si diceva allora, «fascistissimo», molto vicino alle più alte gerarchie del partito e allo stesso duce il che poteva portare a tante sorgenti di reddito. Il Bragadin giocava forti somme al casinò di Sanremo e a quello di di Montecarlo. Giocava pure lei? Un interrogativo importante. Pare che lei prima della morte di suo marito non avesse mai rischiato un gettone, anche di poco conto, al tappeto verde. Frequentava le case da gioco con una sua amica modista e giocatrice accanita, ma dando torto al proverbio secondo il quale «chi va con lo zoppo impara a zoppicare». Di certo, sembra anzi che fosse tirchia di natura, se non addirittura avara. Ne ho avuto conferma da parecchie parti, ma la testimonianza più diretta mi sembra quella di Lorenzo Pastorino, che aveva ospiti abituali i Bragadin nel suo notissimo ristorante. La coppia menava una vita indubbiamente «sfarzosa», lei era capricciosissima nell'ordinare questa o quell'altra specialità, ma al momento di pagare «si lamentava sempre del conto». Ciò, come vedremo, può anche essere essenziale. Durante la guerra mondiale Alvise Bragadin ha noie continue con i partigiani, come è inevitabile che sia. Egli sarà assolto dall'imputazione finale di collaborazionismo, ma attraverso parecchi rotti della cuffia, uno più costoso dell'altro. Ciò aveva dato luogo a una catena di ricatti? E' probabile. Indipendentemente dal collaborazionismo, molti lati oscuri dovevano turbare la vita dei due coniugi, se un giorno qualcuno - e l'ho udito dalla sua viva voce - assistette ad una disputa acre, dove lui rimproverava di avere dovuto «versare» un milione di lire per lei, e lei aveva ribattuto: «Ne dovresti versare di più se dicessi quello che so io!». Alvise Bragadin muore nel 1955. Quanto lascia a sua moglie? Non troppo, perché ci sono altri eredi (egli era al suo secondo matrimonio, ed il primo con figli), ma ne lascia parecchio. Improvvisamente, allora, la prende il demone del gioco e con una specie, si può dire, di furia arretrata. Un furbacchione la incanta con un sistema per vincere alla roulette e le inghiotte un mucchio di quattrini. Un siciliano si innamora di lei, se la porta a Palermo, la chiude in una casa come un tesoro da custodire gelosamente, ed anche ciò le costa assai caro. Non c'è altra salvezza che la roulette. E la Bragadin gioca disordinatamente, rumorosamente, si indebita, vende il vendibile, è la rovina. Una rovina anche morale perché, completamente dimentica della sua gloria passata di bella donna, va con chi capita, accetta magari un bicchiere di vino da un portabagagli, e da una villa come quella che aveva una volta, e che oggi può valere sui cento milioni di lire, finisce quell'orrido stambugio. Ma c'è da chiedersi: se la rovina morale di questa povera donna è indubbia, l'altra è certa, o non piuttosto finta? All'ultimo momento la Bragadin non è stata forse presa dalla sua antica tirchieria, prossima all'avarizia? Oppure continuava la serie dei ricatti, e tutto l'insieme la induceva a mostrarsi povera, mentre aveva tuttora un grosso gruzzolo in riserva? Colui che salì con lei le bruttissime scale di quella vecchia casa una decina di notti fa, sperava di fare un buon colpo? La polizia tende a credere che l'assassino, un esperto in materia, abbia frugato in ogni dove, poi, scovato quello che c'era da portare via, abbia rimesso a posto tutto quanto. Per confondere le idee avrebbe lasciato uu braccialetto d'oro al polso della vittima. C'è anche una seconda ipotesi. La Bragadin non giocava più a Sanremo, ma frequentava periodicamente Montecarlo. Là, parlando con qualcuno, si vantava forse del suo splendore passato, facendolo apparire come tuttora presente? Lei aveva sempre una sete disperata di uomini. Qualcuno ha giocato con lei la commedia dell'amore, l'ha seguita fino a Sanremo e, vista la realtà così lontana dal mito, l'ha strangolata in un impeto d'ira? Poi, con disprezzo, avrebbe lasciato quel braccialetto perché il gioco non valeva la candela.
Antonio Antonucci, Forse lo strangolatore della contessa credeva che la donna fosse molto ricca, La Stampa, Domenica 3 Dicembre 1961
Durante la prima permanenza a S. Remo, di un mese circa [agosto 1944], il soggetto ebbe occasione di fare da interprete solo nell'interrogatorio dei conti Bragadin di S. Remo.
La contessa, infatti, aveva denunciato il marito come sovvenzionatore dei partigiani ed appartenente al CLN.
Egli fu arrestato, ma in seguito si seppe che le accuse erano false, per cui fu rilasciato in libertà.
Per ritorsione, il conte denunciò la contessa come appartenente alla razza ebraica. Ella allora venne arrestata e fu poi accompagnata a Genova alla casa dello studente [luogo nazista di torture].
[...] Dopo un mese di permanenza a S. Remo, il soggetto fu trasferito a Genova nell'ufficio del tenente Michelsen. Egli fece il viaggio su di un camion partito appositamente da Genova per recarsi a S. Remo a prelevare una ventina di detenuti e trasportarli alla casa dello studente. Fra di essi vi era anche la contessa Bragadin.
Sintesi di un verbale di interrogatorio (Cas) a carico di Ernest Schifferegger (altoatesino, interprete, ex sergente SS, presente anche a Sanremo), verbale confluito in un rapporto del 2 giugno 1947 redatto dall’OSS statunitense
La contessa, infatti, aveva denunciato il marito come sovvenzionatore dei partigiani ed appartenente al CLN.
Egli fu arrestato, ma in seguito si seppe che le accuse erano false, per cui fu rilasciato in libertà.
Per ritorsione, il conte denunciò la contessa come appartenente alla razza ebraica. Ella allora venne arrestata e fu poi accompagnata a Genova alla casa dello studente [luogo nazista di torture].
[...] Dopo un mese di permanenza a S. Remo, il soggetto fu trasferito a Genova nell'ufficio del tenente Michelsen. Egli fece il viaggio su di un camion partito appositamente da Genova per recarsi a S. Remo a prelevare una ventina di detenuti e trasportarli alla casa dello studente. Fra di essi vi era anche la contessa Bragadin.
Sintesi di un verbale di interrogatorio (Cas) a carico di Ernest Schifferegger (altoatesino, interprete, ex sergente SS, presente anche a Sanremo), verbale confluito in un rapporto del 2 giugno 1947 redatto dall’OSS statunitense
(Dal nostro corrispondente)
Sanremo, 7 agosto. Carabinieri della squadra investigativa hanno arrestato Agostino Carbone fu Angelo di anni 63 da Sanremo e qui residente in via Venti Settembre. Il Carbone è stato fermato mentre si recava in casa di una sorella dimorante in via Val del Ponte. La notizia e la motivazione dell'arresto hanno destato profonda impressione, data la notorietà di Agostino Carbone, che era ritenuto persona di assoluta fiducia e onestà, e fratello di un assessore comunale. A quanto ci risulta, sarebbero state accertate a suo carico gravi responsabilità, suffragate da numerose denunce per truffa, querele per appropriazione indebita e istanze di fallimento per un ammontare di oltre venti milioni di lire. L'azione dei carabinieri ha avuto inizio da un esposto sottoscritto da una ventina di cittadini nel quale si diceva che il Carbone, titolare di una agenzia di affari è riuscito a provocare molti dissesti facendosi consegnare del denaro non più restituito e assumendosi per altri l'incarico non assolto di versamenti in conto corrente facendo firmare effetti bancari a suo favore con promessa di pagarli alla scadenza, cosa non fatta, incassando per altri e non versando. A conferma dell'esposto, in data 30 giugno ultimo scorso il Tribunale di Sanremo dichiarò poi il fallimento del Carbone esercente un'agenzia di affari nominando giudice delegato il dottor Gisiano e curatore il dottor Bartalini e i carabinieri intensificarono allora le indagini, procedendo all'interrogatorio di numerosi fra i presunti truffati. L'inchiesta si è conclusa oggi con l'arresto del disonesto affarista. Fra coloro che hanno avanzato richieste di credito nel confronti dell'arrestato, il quale operava in prevalenza nell'ambiente del mercato dei fiori, sono: l'ing. Giulio Costa per due milioni e mezzo, Antonio Ventimiglia per un milione, Agostino Moreno per oltre tre milioni, Giuseppe Aloe per oltre due milioni. La signora Brigida Semeria ha poi denunciato ai carabinieri che il Carbone si sarebbe appropriato d una somma di sua pertinenza di lire 7.800.000. La contessa Bragadin ha dichiarato di avere perduto nel fallimento un milione, mentre l'avv. Ernesto Pirro e il signor Luigi Zucco si sono insinuati nel fallimento stesso rispettivamente per lire 400.000 e 200.000. Altri creditori ancora infine avrebbero intenzione di avanzare all'autorità i loro diritti entro i termini di legge che scadranno l'11 corrente. Contro la sentenza del Tribunale, che ha dichiarato il fallimento, il Carbone ha interposto ricorso, chiedendo la revoca della sentenza stessa. Contemporaneamente, i familiari del Carbone hanno intentato nei suoi confronti, per interdirlo, una causa che è pendente davanti al Tribunale di Sanremo. Il Carbone non sarebbe alla sua prima avventura del genere. Per un fatto analogo lo avrebbe già condannato molti anni orsono un tribunale parigino.
g.b., Un noto affarista di Sanremo arrestato dopo il fallimento, La Stampa, domenica 8 agosto 1954
Sanremo, 7 agosto. Carabinieri della squadra investigativa hanno arrestato Agostino Carbone fu Angelo di anni 63 da Sanremo e qui residente in via Venti Settembre. Il Carbone è stato fermato mentre si recava in casa di una sorella dimorante in via Val del Ponte. La notizia e la motivazione dell'arresto hanno destato profonda impressione, data la notorietà di Agostino Carbone, che era ritenuto persona di assoluta fiducia e onestà, e fratello di un assessore comunale. A quanto ci risulta, sarebbero state accertate a suo carico gravi responsabilità, suffragate da numerose denunce per truffa, querele per appropriazione indebita e istanze di fallimento per un ammontare di oltre venti milioni di lire. L'azione dei carabinieri ha avuto inizio da un esposto sottoscritto da una ventina di cittadini nel quale si diceva che il Carbone, titolare di una agenzia di affari è riuscito a provocare molti dissesti facendosi consegnare del denaro non più restituito e assumendosi per altri l'incarico non assolto di versamenti in conto corrente facendo firmare effetti bancari a suo favore con promessa di pagarli alla scadenza, cosa non fatta, incassando per altri e non versando. A conferma dell'esposto, in data 30 giugno ultimo scorso il Tribunale di Sanremo dichiarò poi il fallimento del Carbone esercente un'agenzia di affari nominando giudice delegato il dottor Gisiano e curatore il dottor Bartalini e i carabinieri intensificarono allora le indagini, procedendo all'interrogatorio di numerosi fra i presunti truffati. L'inchiesta si è conclusa oggi con l'arresto del disonesto affarista. Fra coloro che hanno avanzato richieste di credito nel confronti dell'arrestato, il quale operava in prevalenza nell'ambiente del mercato dei fiori, sono: l'ing. Giulio Costa per due milioni e mezzo, Antonio Ventimiglia per un milione, Agostino Moreno per oltre tre milioni, Giuseppe Aloe per oltre due milioni. La signora Brigida Semeria ha poi denunciato ai carabinieri che il Carbone si sarebbe appropriato d una somma di sua pertinenza di lire 7.800.000. La contessa Bragadin ha dichiarato di avere perduto nel fallimento un milione, mentre l'avv. Ernesto Pirro e il signor Luigi Zucco si sono insinuati nel fallimento stesso rispettivamente per lire 400.000 e 200.000. Altri creditori ancora infine avrebbero intenzione di avanzare all'autorità i loro diritti entro i termini di legge che scadranno l'11 corrente. Contro la sentenza del Tribunale, che ha dichiarato il fallimento, il Carbone ha interposto ricorso, chiedendo la revoca della sentenza stessa. Contemporaneamente, i familiari del Carbone hanno intentato nei suoi confronti, per interdirlo, una causa che è pendente davanti al Tribunale di Sanremo. Il Carbone non sarebbe alla sua prima avventura del genere. Per un fatto analogo lo avrebbe già condannato molti anni orsono un tribunale parigino.
g.b., Un noto affarista di Sanremo arrestato dopo il fallimento, La Stampa, domenica 8 agosto 1954
Sanremo, lunedì mattina.
Siamo finalmente all'epilogo del processo per l'uccisione della contessa Aida Gontar Bragadin, imputata ad Antonio Toesca, manovale, sia pure senza avere la minima intenzione di ucciderla. Strani protagonisti. Lei, di origine russa e figlia di un calzolaio, riesce a farsi notare come ballerina classica a Broadway (Stati Uniti) magari, più che per la sua arte, per la sua bellezza di slava. E' questa che seduce l'italiano Alvise Bragadin, non ancora conte (lo diventerà in seguito per meriti fascisti). Egli è sposato, lei pure, ma lei lo segue in Italia. Forse è l'amore, forse no. Di certo lei lo tradisce abbondantemente anche se una cronaca romanzata della sua vita ce la presenta «come la donna di un sol uomo, che faceva pagare assai caro il privilegio di baciare l'estremità delle sue dita, divertendosi a giocare con il desiderio degli uomini senza concedere, a promettersi tutta per gustare meglio il piacere del rifiuto» (La Presse, Parigi, 25-12-1961). Il castello dell'amore è problematico. Quello della ricchezza materiale sembra di un formato gigantesco e, forse, lo sarebbe in permanenza senza il crollo del fascismo, durante il quale s'incrina e, alla fine, si spappola. Nel 1953, la contessa è a Sanremo, il conte a Roma, praticamente divisi. Forse, possiede ancor più lei di lui. Sennonché, a 59 anni, lei non rinuncia all'amore né al fasto. Con l'amore, pagandolo, sperpera gran parte della sua fortuna. Allora tenta di rifarsi al gioco, ed è la catastrofe, Il marito muore nel 1955, e non si sa quel che le lascia. Si parla di tesori nascosti, ma fatto si è che, invece di metterli alla luce per gustarseli in fase di tramonto, lei butta allo sbaraglio gli ultimi miseri brandelli del suo fascino slavo, inserendosi nella prostituzione più squallida. Dopo la sua morte, avvenuta per strozzamento nella notte dal 22 al 23 novembre 1961, con la mano sinistra di persona ignota, la giustizia si trova di fronte al dilemma: il bandolo della matassa va cercato nella prima parte o nella seconda parte della vita di lei? L'inchiesta che ne deriva è complessa e confusa. Si arriva al processo con un corteo di fantasmi accanto all'imputazione ufficiale che rinvia a giudizio Antonio Toesca. Costui è un gigantone ad accentuato ritardo mentale. Ma è un buon uomo, tanto da far nascere la leggenda che l'essere chiamato «Santin» sia un derivato della sua supposta santità mentre si tratta soltanto del suo secondo nome di battesimo. E' mai verosimile che egli, per un irresistibile impulso di maschio, abbia potuto uccidere una donna? Dirà il presidente della Corte dr. Garavagno: «Noi andiamo alla ricerca della verità e ci troviamo di fronte al possibilismo». Con pazienza da filatelico, egli lo staccia liberandolo da tutta la crusca per ridurlo ai minimi termini. L'assassino si trova nella seconda parte della vita avventurosa della contessa. Messi via per già avvenuta assoluzione in istruttoria Ausonio Cicognini e Ivana Giudici vicini di pianerottolo tutt'e due e lei rivale in «mestiere», non restano di sospetti che Antonio Toesca e un certo «Pippo». A quest'ultimo, che la Bragadin avrebbe temuto in sommo grado per via di certe lettere in possesso di lei, non si riesce a dare una consistenza che permetta di reperirlo; anche delle lettere nessuna traccia, nemmeno, di disordine per cercarle e sottrarle. Non resta che il Toesca, veduto più o meno concretamente in compagnia della contessa la notte del delitto, e che confessa il suo reato, tentando persino di uccidersi. Poi ritratta. Con quella pazienza che dicevamo, il presidente dr. Garavagno sfronda i due fatti (confessione e smentita) dalle chiacchiere e dalle interpretazioni di parte, per stabilire fino a quale punto è verosimile la confessione e fino a quale altro la ritrattazione è soltanto una manovra difensiva, più o meno suggerita dall'esterno. Fino a questo punto, due pilastri a favore del Toesca sembrano crollati, e cioè il supposto «tartassamento» degli interrogatori e l'essergli state messe in bocca le risposte da dare per accusarsi, approfittando del suo stato di «frenastenia», ossia di stupidità congenita (egli impiegò otto anni per le cinque classi elementari). Arrestato il 12 dicembre, egli confessava a metà il giorno 13 e tutto quanto il 14. Manca il tempo utile per il «tartassamento», poiché egli dichiara di non essere stato picchiato. Quanto agli interrogatori, i testimoni sono troppi e tutti concordi nell'affermare che il Toesca fu spontaneo nel confessare. Contro l'imputato sta poi una circostanza già ampliamento riferita dalla cronaca. Dopo aver negato la paternità di uno schizzo raffigurante la stanza della morta, facendo così balenare il sospetto di una fosca manovra ordita per perderlo, in sede di udienza egli ha confessato che lo schizzo era suo, senza nessun «tartassamento» se non quello della logica. E' prevedibile che il p.m. dr. Sanzo sosterrà la colpevolezza dell'imputato. Questi è sorretto da due difensori di prim'ordine, gli avvocati Nino Bobba e Silvio Dian, che assommano passione per la giustizia, sottigliezza di analisi, humour, forza polemica e perorativa, raggiungendo un grado di alta efficacia. Ma se essi non hanno in serbo sorprese clamorose, saranno forse costretti a puntare soltanto sulla minorata forza intellettiva del Toesca, chiedendo la tramutazione dell'accusa da omicidio preterintenzionale a omicidio colposo. Ciò, unitamente alle attenuanti e ai condoni, si risolverebbe in una pena così esigua da dare all'avventura desolante di uno squallido ambiente una soluzione socialmente e cristianamente benigna.
Antonio Antonucci, Il Toesca può sperare soltanto nella condanna per omicidio colposo, Stampa Sera, Martedì 30 Aprile 1963
Siamo finalmente all'epilogo del processo per l'uccisione della contessa Aida Gontar Bragadin, imputata ad Antonio Toesca, manovale, sia pure senza avere la minima intenzione di ucciderla. Strani protagonisti. Lei, di origine russa e figlia di un calzolaio, riesce a farsi notare come ballerina classica a Broadway (Stati Uniti) magari, più che per la sua arte, per la sua bellezza di slava. E' questa che seduce l'italiano Alvise Bragadin, non ancora conte (lo diventerà in seguito per meriti fascisti). Egli è sposato, lei pure, ma lei lo segue in Italia. Forse è l'amore, forse no. Di certo lei lo tradisce abbondantemente anche se una cronaca romanzata della sua vita ce la presenta «come la donna di un sol uomo, che faceva pagare assai caro il privilegio di baciare l'estremità delle sue dita, divertendosi a giocare con il desiderio degli uomini senza concedere, a promettersi tutta per gustare meglio il piacere del rifiuto» (La Presse, Parigi, 25-12-1961). Il castello dell'amore è problematico. Quello della ricchezza materiale sembra di un formato gigantesco e, forse, lo sarebbe in permanenza senza il crollo del fascismo, durante il quale s'incrina e, alla fine, si spappola. Nel 1953, la contessa è a Sanremo, il conte a Roma, praticamente divisi. Forse, possiede ancor più lei di lui. Sennonché, a 59 anni, lei non rinuncia all'amore né al fasto. Con l'amore, pagandolo, sperpera gran parte della sua fortuna. Allora tenta di rifarsi al gioco, ed è la catastrofe, Il marito muore nel 1955, e non si sa quel che le lascia. Si parla di tesori nascosti, ma fatto si è che, invece di metterli alla luce per gustarseli in fase di tramonto, lei butta allo sbaraglio gli ultimi miseri brandelli del suo fascino slavo, inserendosi nella prostituzione più squallida. Dopo la sua morte, avvenuta per strozzamento nella notte dal 22 al 23 novembre 1961, con la mano sinistra di persona ignota, la giustizia si trova di fronte al dilemma: il bandolo della matassa va cercato nella prima parte o nella seconda parte della vita di lei? L'inchiesta che ne deriva è complessa e confusa. Si arriva al processo con un corteo di fantasmi accanto all'imputazione ufficiale che rinvia a giudizio Antonio Toesca. Costui è un gigantone ad accentuato ritardo mentale. Ma è un buon uomo, tanto da far nascere la leggenda che l'essere chiamato «Santin» sia un derivato della sua supposta santità mentre si tratta soltanto del suo secondo nome di battesimo. E' mai verosimile che egli, per un irresistibile impulso di maschio, abbia potuto uccidere una donna? Dirà il presidente della Corte dr. Garavagno: «Noi andiamo alla ricerca della verità e ci troviamo di fronte al possibilismo». Con pazienza da filatelico, egli lo staccia liberandolo da tutta la crusca per ridurlo ai minimi termini. L'assassino si trova nella seconda parte della vita avventurosa della contessa. Messi via per già avvenuta assoluzione in istruttoria Ausonio Cicognini e Ivana Giudici vicini di pianerottolo tutt'e due e lei rivale in «mestiere», non restano di sospetti che Antonio Toesca e un certo «Pippo». A quest'ultimo, che la Bragadin avrebbe temuto in sommo grado per via di certe lettere in possesso di lei, non si riesce a dare una consistenza che permetta di reperirlo; anche delle lettere nessuna traccia, nemmeno, di disordine per cercarle e sottrarle. Non resta che il Toesca, veduto più o meno concretamente in compagnia della contessa la notte del delitto, e che confessa il suo reato, tentando persino di uccidersi. Poi ritratta. Con quella pazienza che dicevamo, il presidente dr. Garavagno sfronda i due fatti (confessione e smentita) dalle chiacchiere e dalle interpretazioni di parte, per stabilire fino a quale punto è verosimile la confessione e fino a quale altro la ritrattazione è soltanto una manovra difensiva, più o meno suggerita dall'esterno. Fino a questo punto, due pilastri a favore del Toesca sembrano crollati, e cioè il supposto «tartassamento» degli interrogatori e l'essergli state messe in bocca le risposte da dare per accusarsi, approfittando del suo stato di «frenastenia», ossia di stupidità congenita (egli impiegò otto anni per le cinque classi elementari). Arrestato il 12 dicembre, egli confessava a metà il giorno 13 e tutto quanto il 14. Manca il tempo utile per il «tartassamento», poiché egli dichiara di non essere stato picchiato. Quanto agli interrogatori, i testimoni sono troppi e tutti concordi nell'affermare che il Toesca fu spontaneo nel confessare. Contro l'imputato sta poi una circostanza già ampliamento riferita dalla cronaca. Dopo aver negato la paternità di uno schizzo raffigurante la stanza della morta, facendo così balenare il sospetto di una fosca manovra ordita per perderlo, in sede di udienza egli ha confessato che lo schizzo era suo, senza nessun «tartassamento» se non quello della logica. E' prevedibile che il p.m. dr. Sanzo sosterrà la colpevolezza dell'imputato. Questi è sorretto da due difensori di prim'ordine, gli avvocati Nino Bobba e Silvio Dian, che assommano passione per la giustizia, sottigliezza di analisi, humour, forza polemica e perorativa, raggiungendo un grado di alta efficacia. Ma se essi non hanno in serbo sorprese clamorose, saranno forse costretti a puntare soltanto sulla minorata forza intellettiva del Toesca, chiedendo la tramutazione dell'accusa da omicidio preterintenzionale a omicidio colposo. Ciò, unitamente alle attenuanti e ai condoni, si risolverebbe in una pena così esigua da dare all'avventura desolante di uno squallido ambiente una soluzione socialmente e cristianamente benigna.
Antonio Antonucci, Il Toesca può sperare soltanto nella condanna per omicidio colposo, Stampa Sera, Martedì 30 Aprile 1963
Il processo si chiude con l'assoluzione per insufficienza di prove di Santin Toesca. Decisive le sue condizioni mentali. In una persona normale una confessione come quella rilasciata avrebbe portato a una condanna sicura, ma trattandosi di un vero e proprio deficiente, la ritrattazione ha insinuato nella corte qualche legittimo dubbio. All'assoluzione contribuisce la mite richiesta avanzata dal procuratore generale, dottor Sanzo, che per Toesca invoca una condanna per omicidio involontario a quattro anni, cinque mesi e dieci giorni. Sanzo, rivolgendosi alla corte, dice anche: «Ho la certezza giuridica che il Toesca sia colpevole di omicidio involontario... Se voi avete dei dubbi, assolvetelo pure».
Nessun ricorso in appello e vicenda archiviata. Non sono bastate sette udienze in 16 mesi e più di cinquanta testimoni a fare chiarezza sulla morte della contessa Bragadin.
Romano Lupi e Riccardo Mandelli, Op. cit.
Nessun ricorso in appello e vicenda archiviata. Non sono bastate sette udienze in 16 mesi e più di cinquanta testimoni a fare chiarezza sulla morte della contessa Bragadin.
Romano Lupi e Riccardo Mandelli, Op. cit.
Io vidi in Corte d’Assise a Sanremo (nella villetta all’entrata di Villa Ormond) il processo per l’uccisione della Contessa Bragadin, magistralmente vinto dai difensori dell’imputato Santin Toesca, avvocati Nino Bobba e Silvio Dian junior.
Gabriele Boscetto, Presentazione, AA.VV., Atti dell’Accademia della Pigna, nel Decennale di Fondazione, 2007-2017, Lo Studiolo, 2016
Gabriele Boscetto, Presentazione, AA.VV., Atti dell’Accademia della Pigna, nel Decennale di Fondazione, 2007-2017, Lo Studiolo, 2016
Un altro celebre processo che avrebbe visto l’avvocato Dian tra i suoi grandi protagonisti, fu quello al manovale sanremese Antonio Toesca, accusato di aver assassinato, la notte del 23 novembre 1961, nel suo appartamento di via Arnaldo da Brescia, Aida Gontar, vedova del conte veneziano Alvise Bragadin. Al processo, apertosi presso il tribunale matuziano nell’aprile del 1963, l’avvocato Dian, unitamente al suo collega Nino Bobba, sostenne fortemente l’innocenza di Toesca, che aveva già trascorso parecchio tempo in carcere. Dopo sedici mesi di udienze, il muratore sanremese fu assolto per insufficienza di prove.
(fonte: tratto dal testo di Andrea Gandolfo)
Redazione, Silvio Dian, Sanremo. Storia e Tradizioni
(fonte: tratto dal testo di Andrea Gandolfo)
Redazione, Silvio Dian, Sanremo. Storia e Tradizioni