mercoledì 1 dicembre 2021

Libereso Guglielmi, obiettore di coscienza

Una vignetta di Libereso Guglielmi (Morto per la patria). Fonte: Pietro Ferrua, L’obiezione di coscienza anarchica in Italia cit., p. 42. Qui ripresa da Elena Iorio, Op. cit. infra

Sempre nel 1948 si ebbe un altro caso [di obiezione di coscienza], questa volta non legato a motivazioni religiose, ma politiche: ritroviamo infatti tutta quella tradizione anarchica che abbiamo presentato e discusso nel capitolo 2.
Il giovane si chiamava Libereso Guglielmi, nato a Bordighera nel 1925 ed intorno al 1940 iniziò a lavorare come giardiniere presso la famiglia dello scrittore Italo Calvino, in qualche sorta sotto la protezione di suo padre Mario, importante botanico.
La figura di Libereso colpì talmente Italo (di due anni più vecchio) che nel 1949 lo avrebbe reso uno dei personaggi dei suoi racconti <17.
In queste pagine Libereso è presentato come il “nuovo giardiniere”. Il suo ritratto è quello di un ragazzo di 15 anni, “coi capelli lunghi, e una crocetta di stoffa in testa per tenerli fermi”, “un ragazzo già grande, eppure portava ancora i calzoni corti. E quei capelli lunghi che sembrava una ragazza”. Più avanti, in un dialogo lo stesso Libereso (anche se beninteso qui si tratta del personaggio di un racconto) spiega a una ragazza, anche lei di servizio presso i Calvino, che il suo nome significa “libertà”, in esperanto <18 - lingua che suo papà parlava. I cenni sul retroterra socio-culturale e politico di Libereso emergono a poco a poco: i nomi del fratello e della sorella sono Germinal e Omnia; non sa quand’è il giorno dell’Annunciazione e non va alla messa, dunque ateismo stretto; in famiglia sono tutti vegetariani (“Noi non mangiano carne di animali morti”, ma nemmeno caffè e zucchero - niente prodotti coloniali?); la domenica sera il padre legge ad alta voce i libri di Elisée Reclus, un classico della biblioteca anarchica; Libereso fa dei disegni e delle caricature che vengono esposte nella vetrinetta della FAI <19.
Molti anni dopo lo stesso Libereso ha confermato tutti questi elementi, in una lunga intervista (diventata libro): “Mio padre era un anarcoide […] era un anarchico tolstoiano, gandista si direbbe oggi, di quelli contro la violenza” <20. In un altro punto del libro lo definisce “socialista libertario”; ancora nel periodo fascista avrebbe organizzato un gruppo anarchico, denominato “Alba dei liberi”, che aiutò anche alcuni volontari per la guerra di Spagna a passare la frontiera <21.
Convocato per iniziare il servizio di leva il 4 giugno 1948, Libereso non si presentò in caserma; l’11 giugno venne quindi tradotto di forza dai carabinieri al distretto militare di Savona e, due giorni dopo, denunciato al Tribunale Militare di Torino. Viene quindi internato in caserma e sottoposto a una nuova visita medica che riscontra “deficienza del perimetro toracico e del peso” <22. Viene quindi giudicato idoneo, ma in congedo illimitato provvisorio, insomma viene liberato. Nel frattempo, però la denuncia va avanti e il 2 luglio Libereso viene nuovamente arrestato, recluso nelle carceri militari di Torino e quindi inizia il processo. Dopo due settimane viene rilasciato in libertà provvisoria, mentre, a dicembre, viene confermato il congedo illimitato <23.
Tornato alla libertà, Libereso riprese la sua attività di giardiniere e di disegnatore caricaturista per la Federazione Anarchica Italiana <24.
Così Libereso rievocò la sua scelta, nei primi anni Novanta: "E dopo, quando è stato il momento di partire militare, ho fatto l’obiettore di coscienza e sono finito a Torino, nelle carceri militari, ma mi è andata bene. Ho fatto solo quindici giorni perché ho trovato un colonnello che era un uomo, e lì gli ho detto: “Guardi, lei non può capire il mio parlare, perché io sono un figlio che ha fatto gli interessi del padre e lei invece è un colonnello”. “No”, mi rispondeva, “io sono prima un padre”. “Allora capisce quello che dico”. Non è che ho sputato sulla bandiera […] Io portavo i miei giusti motivi: la patria non mi ha mai conosciuto, perché io ho vent’anni e la patria non sa nemmeno che esisto; mia madre però si è sacrificata per farmi arrivare a vent’anni; allora se io vado militare aiuto la patria ma sono contro mia madre, perché la lascio in miseria, perché lei non lavora. Io preferisco essere un buon figlio e un cattivo italiano che essere un buon italiano e un cattivo figlio. È stata una scelta che ho fatto: mi mettete in galera? Be’, posso leggere, scrivere? Sì? E allora… fino ad adesso ho lavorato… Ma il colonnello aveva capito che tipo ero. Dopo una quindicina di giorni sono venuti a trovarmi anche gli anarchici, amici di mio padre… poi me ne sono uscito" <25.
Ne esce, nel complesso, un percorso che conferma le frequenti difficoltà nel collocare e classificare le ragioni degli obiettori: a un certo punto nella (tarda) testimonianza di Libereso le motivazioni politiche, che a prima vista potevano sembrare dover essere in primo piano, sono schiacciate sullo sfondo, mentre emerge un’idea in linea con il “familismo amorale”, secondo la definizione canonizzata negli anni Cinquanta dall’antropologo Edward Banfield.
Ma di nuovo il tema della non-violenza riemerge quando Libereso ricorda, sia pure brevemente, le sue esperienze dopo l’8 settembre 1943: renitente, come molti altri, ai bandi di leva della Repubblica sociale italiana, non si unì in modo stabile ai partigiani. Inizialmente si limita a dire: “Io me ne son scappato, sono andato in giro per un anno o due”; quindi torna sull’argomento: “Non sono mai stato nelle bande, però conoscevo tutti e magari portavo gli ordini, perché son sempre stato contro la violenza, qualunque tipo di violenza”.
E in conclusione rivendica il suo antifascismo, coerente come quello del padre <26.
Sono purtroppo pochi i casi per cui è disponibile un materiale come quello che abbiamo potuto utilizzare per Guglielmi. Resta tuttavia un dato sintetico: gli anni 1948-49 sono proprio quelli in cui inizia a diffondersi l’obiezione di coscienza.
[NOTE]
17 Il racconto Un pomeriggio, Adamo fu pubblicato per la prima volta proprio nel 1949 nella raccolta Ultimo viene il corvo (ma doveva essere stato scritto prima e non risulta che sia stato considerato anche un gesto di solidarietà verso un obiettore di coscienza sottoposto a processo…); si legge ora in Italo Calvino, Romanzi e racconti, edizione diretta da Claudio Milanini, a cura di Mario Barenghi e Bruno Falcetto, prefazione di Jean Starobinski, Mondadori, Milano 1991, pp. 151-161.
18 In realtà “libereso” non è esperanto, ma ido, una versione semplificata della prima.
19 Cfr. Calvino, Un pomeriggio, Adamo cit., pp. 151-153, 155, 157-158.
20 Cfr. il libro-intervista Libereso Guglielmi, Ippolito Pizzetti, Libereso, il giardiniere di Calvino, prefazione di Nico Orengo, Muzzio, Padova 1993, p. 7. Renato Lorenzo Guglielmi (1899-1970), questo il nome del padre di Libereso, è stato incluso nel Dizionario biografico degli anarchici italiani¸diretto da Maurizio Antonioli, Giampietro Berti, Santi Fedele, Pasquale Iuso, 2 vol., BFS Edizioni, Pisa 2003-2004, vol. I, ad nomen (voce firmata da G. Barroero), da cui risulta l’esistenza di un fascicolo al Casellario Politico Centrale. Sulla reazione di Libereso alla lettura del racconto di Calvino (che avrebbe unito alcuni episodi e dialoghi effettivamente accaduti), cfr. Guglielmi, Pizzetti, Libereso, il giardiniere di Calvino cit., pp. 63-64 e 68.
21 Ivi, pp. 157-158; qui anche le notizie sull’attività di caricaturista di Libereso, che si sarebbe svolta già nella seconda metà degli anni Trenta, con tanto di affissione pubblica - anche se la notizia risulta poco verosimile.
22 Le notizie sulla vicenda giudiziaria di Libereso Guglielmi in Ferrua, L’obiezione di coscienza anarchica in Italia cit., pp. 37-52. Da Guglielmi, Pizzetti, Libereso, il giardiniere di Calvino cit., p. 152 risulta l’esistenza di un’amicizia tra Guglielmi e Ferrua.
23 Ferrua, L’obiezione di coscienza anarchica in Italia cit., pp. 44-45.
24 Su questo: Guglielmi, Ippolito Pizzetti, Libereso, il giardiniere di Calvino cit., p. 157.
25 Ivi, p. 75. Più avanti ricorda che il padre rifiutò un’importante offerta di lavoro che l’avrebbero portato in Australia dicendo “Ma val più la famiglia che tutto il resto…” (ivi, p. 107).
26 Le due citazioni ivi, pp. 72 e 158; per la rievocazione dell’antifascismo famigliare (i problemi per dare i nomi ai figli, i problemi a scuola, ecc.), compresa la continua militanza anarchica sotto il fascismo, e delle vicende di guerra (Libereso subì almeno due rastrellamenti, riuscendo sempre a scappare) cfr. ivi, pp. 157-165. Si tenga comunque presente che è nell’ambito di un’intervista attenta soprattutto all’attività di giardiniere e di coltivatore, che Libereso svolse per tutta la vita, le notizie relative agli altri ambiti della biografia sono relativamente scarse.
Elena Iorio, Il riconoscimento tardivo. Idee, pratiche e immagini dell’obiezione di coscienza al servizio militare in Italia con una comparazione con la Repubblica Federale Tedesca (1945-1972), Tesi di dottorato, European University Institute, Florence, 2014
 
Mario Calvino, sanremese nato da una famiglia di tradizione repubblicana e massonica, diventa Direttore della Cattedra Ambulante di Agricoltura agli inizi del Novecento, ed è l’inizio di un impegno mai rallentato di studi agronomici di grande valore scientifico ma costantemente legati all’applicazione pratica. Tutto il suo lavoro è basato sulla convinzione che il miglioramento dell’agricoltura avrebbe contribuito al progresso delle condizioni sociali delle popolazioni rurali. Scienziato, agronomo tropicalista, giornalista divulgatore, agricoltore, esploratore, Mario Calvino è stato un uomo che ha girato tra i contadini spingendo il carretto della sua biblioteca di agricoltura ambulante, nello sforzo di diffondere le tecniche di coltivazione razionale che aveva imparato in giro per il mondo o aveva sviluppato nella stazione sperimentale di Villa Meridiana. Libereso parla velocemente mentre separa le parti di un fiore e me le porge. Cautamente inizio a masticare la passiflora, il tulipano e il gladiolo. Un sapore strano si espande nel palato mentre Libereso parla della sua famiglia. Il padre era un anarchico tolstoiano, assolutamente non violento, che aveva conosciuto Errico Malatesta ed era diventato amico di Petr Kropotkin. I figli li chiama Germinal, Libereso, Omnia e Fulcro, tutti non battezzati e nati da libera unione con la donna che condividerà la sua vita per cinquant’anni. Si trattava di gente semplice ma con una grande cultura, parlavano inglese e francese, leggevano ed erano in contatto con la comunità sanremese degli esuli socialisti e anarchici, con i viaggiatori inglesi, con gli artisti. In quella comunità intellettuale e cosmopolita nascono esperienze vegetariane naturiste che tentano di sviluppare un modo di vivere razionale e armonico. Tutta la famiglia Guglielmi ha frequentato la colonia di Fortunato Peitavino, una comune naturista in cui si usano solo concimi naturali, si facevano bagni d’aria e di sole. Era il 1911 e queste comunità vegetariane praticavano l’osservazione dell’iride per la diagnosi delle malattie e sperimentavano teorie alimentari basate sulla combinazione dei cibi. Non era quella una deriva irrazionalista, ma un ideale laico di ricerca di un equilibrio tra uomo e natura.
Domenico Gallo, Libereso Guglielmi, giardiniere e pianta, Carmilla, 25 settembre 2016 

Il primo racconto, <50 'Un pomeriggio, Adamo', e il terzo, 'Il giardino incantato', sono ambientati in un giardino che è facilmente riconducibile a quello di Villa Meridiana, residenza dei Calvino a Sanremo.
Certamente non è privo di significato il fatto che lo scrittore abbia scelto 'Un pomeriggio, Adamo' per iniziare la raccolta del libro. Effettivamente il mondo comincia con Adamo, e il mondo di Calvino comincia nel giardino di Villa Meridiana dove è ambientato il racconto.
[...] E lo spazio di cui si parla è inconfondibilmente il giardino di Villa Meridiana, dove la madre di Calvino, ricercatrice botanica, si dedicava in modo speciale alla coltivazione e allo studio dei fiori. <52
Veniamo ora ai protagonisti delle due storie. Almeno due di loro sono identificabili: Libereso e Maria-nunziata.
L’unico caso in cui Calvino non cambiò il nome al suo personaggio fu proprio quello di Libereso Guglielmi <53, che fu impiegato come giardiniere a Villa Meridiana dal 1940 al 1950. Il giardiniere aveva 15 anni quando Mario Calvino gli fece ottenere una borsa di studio per lavorare nella stazione sperimentale agricola «Orazio Raimondo», che egli dirigeva.
Il personaggio corrisponde alla figura storica; parla Libereso Guglielmi: "Un giorno Floriano mi dice: «Se mi dai una sigaretta, ti faccio vedere quello che mio fratello scrive di te».[...] Di vero c’era questa Maria Nunziata [...] Io tiravo spesso una pietra alla finestra per far venir giù in giardino qualche cameriera, e quando ho visto questa qui - che non era brutta, una brunetta - anche a lei ho tirato una pietra alla finestra, poi le ho detto: «Vieni giù in giardino». E lei:«Non posso, la signora mi licenzia»...Allora si vede che Italo era lì in giro, perché poi lei è scesa e m’ha detto: «Come ti chiami?». «Mi chiamo Libereso». «Perché ti chiami libereso?». «È un nome esperanto». «Perché ti chiami esperanto?». E lui tutto questo l’ha scritto così come è stato. È tutto in 'Un pomeriggio, Adamo'." (PIZZETTI, I., 1993: 76)
Non solo il nome, ma anche le caratteristiche individuali del personaggio corrispondono a quelle del Libereso reale: figlio di un esperantista, anarchico tolstojano e vegetariano, portava i capelli lunghi ed era stato educato nel più assoluto laicismo.
Potremmo concludere che il Libereso reale era una figura letterariamente interessante per Calvino a causa della sua singolarità, e dunque nel racconto lo sguardo dell’osservatore è ravvicinato e focalizzato sui personaggi. Il giardino gioca un ruolo importante ma secondario.
[NOTE]
50 Secondo la cronologia delle opere calviniane di fiction pubblicata da McLaughlin in Italo Calvino, Un pomeriggio, Adamo fu scritto nel 1947, ma Libereso Guglielmi, giardiniere dei Calvino e protagonista del racconto, sostiene che sia stato scritto per primo o tra i primi.
52 Questo giardino comparirà di nuovo, come vedremo, ne La speculazione edilizia (1957), dove svolgerà un ruolo molto importante nello sviluppo della narrazione.
53 Se dobbiamo credere a Libereso:«La moglie di Calvino ha detto una volta che questo è l’unico caso in cui ha usato il nome vero [...] si vede che gli son piaciuti i nostri nomi, perché dice che anche mio fratello si chiama Germinal, mia sorella Omnia». (PIZZETTI, I.: 1993) Libereso Guglielmi fu intervistato da Ippolito Pizzetti nel 1993 e l’intervista fu pubblicata nello stesso anno col titolo 'Libereso, il giardiniere di Calvino'. Molte interessanti notizie sono qui reperibili sulla famiglia Calvino.
Annalisa Piubello, Calvino racconta Calvino: l'autobiografismo nella narrativa realistica del primo periodo, Tesi di dottorato, Universidad Complutense de Madrid, 2016
 
I fratelli Guglielmi ad ottobre 2012 - Fonte: Pietro Ferrua, art. cit. infra

Ancora un lutto in seno al Gruppo Anarchico Sanremese “Alba dei Liberi” fondato nel 1945.
Libero Guglielmi detto Germinal, nato a Bordighera il 6 gennaio 1924, venne dichiarato come Libero dal padre Renato Guglielmi, già militante anarchico noto. L'anno dopo nacque il fratello che il padre volle chiamare anche Libero. All'Anagrafe rimasero allibiti. Guglielmi padre, testardo e fiero come un montanaro (era nato a Perinaldo) protestò rivolgendosi direttamente a Mussolini, che gliela diede vinta, anche se poi lo tenne d'occhio durante tutta l'era fascista. Ma poi le cose si complicarono a scuola. I due fratelli erano alunni della stessa classe e quando il maestro faceva l'appello due voci rispondevano “presente!” quando leggeva nel registro di classe il nome Guglielmi, Libero. Cosí non poteva continuare. Si tornò all'Ufficio Anagrafico e il padre Renato la spuntò di nuovo scegliendo due nomi altrettanto “sovversivi” (il Duce dovette ingoiare questo secondo rospo) e fu cosí che Libero 1º diventò Germinal mentre Libero 2º divenne Libereso, che non è un nome in esperanto (come Italo Calvino scrive nel bellissimo racconto che gli dedica “Un pomeriggio Adamo”), bensí un lemma in lingua ido che significa “Libertà”.
Negli anni '30 la famiglia bordigotta si trasferí a San Remo e fu lí che li conobbi tutti durante la seconda guerra mondiale. Il sanremasco non si discosta molto dal dialetto di Bordighera (come altre parlate liguri che accusano grandi varianti a livello del lessico e dell'ortoepia) ma in casa Guglielmi si parlava sempre italiano e il gergo locale lo si serbava per la propaganda spicciola. Il podere coltivato dai Guglielmi (i quali, essendo vegetariani, ne traevano sussistenza) era un modello del genere, venne notato dal Prof. Mario Calvino, agronomo di fama internazionale, che offrí ai due fratelli Guglielmi delle borse di studio per i corsi della Stazione Sperimentale di Floricoltura e Frutticoltura, da lui diretta assieme alla moglie, Eva Mameli, eminente botanica.
Quando si parla di Libereso Guglielmi, non solo a Sanremo ma anche altrove, gli si appioppa la designazione “il giardiniere di Calvino” creando un doppio pasticcio. Anzitutto molti pensano a un giardiniere privato di una famiglia facoltosa e in piú non risulta chiaro che di giardinieri di Calvino ce ne sono stati varî. Per cominciare, entrambi i fratelli Guglielmi, poi il successore di Libereso quando questi ha ricevuto la chiamata di leva e ha rifiutato di indossare la divisa, Angelo Nurra (che diventerà poi il terzo “obiettore di coscienza anarchico” fra i militanti del Gruppo Anarchico “Alba dei Liberi”, seguito piú tardi da Giorgio Sorrentino, guardacaso, anche lui anarchico. Mera coincidenza o scelta politica o sentimentale oculata da parte di uno scienziato dal passato anarchico assai burrascoso?
Comunque sia, l'amico sanremese che soltanto poche settimane fa aveva scattato la fotografia che illustra questa necrologia e che, nella lettera di accompagnamento, manifestava una certa apprensione per i sintomi, ormai ovvi, di Alzheimer, che non potevano ormai essere sottovalutati, a poca distanza di tempo mi comunica che Germinal si è spento, senza soffrire, durante la notte dell'8 gennaio 2013.
Questo eclissarsi in silenzio caratterizza tutta la vita di Germinal. Per i circa sei anni della mia militanza nel Gruppo “Alba dei Liberi” ho assistito accanto a lui a centinaia (letteralmente) di riunioni a casa Guglielmi, fra le casse da morto della famiglia Crippa, nel salone lussuoso del compagno Vento di Triora (oggi sede della Polizia Stradale), nella casa di Archimede e Lina Gioffredi, alla Passeggiata Imperatrice di domenica mattina, ecc... durante le quali, dopo i primi convenevoli (sempre affettuosi) rimaneva in silenzio (come in genere la madre Nina e la sorella Omnia) ad ascoltare il padre, un vero tribuno, instancabile - spesso con la bava alla bocca - o il fratello minore anche lui molto facondo. Quando, raramente, si esprimeva, non mancava di arrossire. Alcuni ritenevano si trattasse di timidità. Direi piuttosto di un eccesso di modestia. Dalla sua bocca uscivano soltanto espressioni amorevoli, osservazioni giudiziose, proposte concrete e sensate. Il tutto sempre all'insegna della tolleranza. L'equilibrio di sole-ombra-acqua-letame che consentiva alle sue pianticelle di proteggersi dalle intemperie e di crescere rigogliose, Germinal cercava di ottenerlo nelle relazioni interpersonali.
Alla vedova Jennifer, ai figli Sonia e René, presentiamo le nostre condoglianze e deponiamo affettuosamente sulla tomba un mazzo virtuale di rose rossonere ibridate nel lontano 1945 da Renato Guglielmi con l'assistenza di Germinal e Libereso.
Pietro Ferrua (Portland - USA) <Grazie per la collaborazione a Maurelio Cagnin>, Ricordando Libero “Germinal” Guglielmi, A-Rivista Rivista Anarchica anno 43 nr. 379 aprile 2013
 
Selva Varengo e Libereso Guglielmi - Fonte: Selva e Davide, art. cit. infra

[...] Il padre era anarchico, pacifista ed esperantista e la madre socialista. Libereso frequentò già durante il periodo fascista il gruppo anarchico sanremese “Alba dei liberi” come caricaturista, affiggendo quotidianamente vignette anticlericali e fondando, insieme ad un gruppo di amici, un progetto di manifestini “Tabula rasa” di carattere antifascista e anticlericale. Fu uno tra i primi obiettori di coscienza anarchici in Italia e per questo finirà in carcere come già il suo compagno Pietro Ferrua. Sempre nel dopoguerra con il padre Renato e il fratello Germinal ibrida un tipo speciale di rose allo scopo di ottenerle coi petali rossoneri. Negli ultimi anni si era impegnato soprattutto in battaglie in difesa del territorio e in iniziative di divulgazione grandi e piccole andando con curiosità ovunque fosse invitato. Ricordiamo la sua appassionata e appassionante conferenza alle Cucine del Popolo di Massezatico nell'ottobre del 2010. La sua passione però erano gli incontri con le scuole perché diceva che con i grandi c'è poco da fare perché pensano di sapere già tutto mentre i bambini non hanno pregiudizi.
Libereso vuol dire libertà in lingua ido, lingua discendente dall'esperanto, e a noi piace ricordarlo così, sorridente e libero.
Selva e Davide, Ricordando Libereso Guglielmi. Un anarchico innamorato della natura, A-Rivista Rivista Anarchica anno 46 nr. 411 novembre 2016

Luciano ha pulito i sentieri di queste valli fra gli anni Ottanta e la fine del decennio successivo: «Per quindici anni è stato il mio lavoro privilegiato: quando avevo il sentiero, lasciavo tutto il resto [...] A Rocchetta [n.d.r.: Rocchetta Nervina (IM)] ho pulito il sentiero che va alla Fontana dei Saviglioni, oltre il monte Abelio. Poi abbiamo pulito quello che va a Sgorea e il sentiero che va a Paù. Del ponte di Paù ho ripristinato i due parapetti. Camminare e conoscere era lo slogan. Camminare è conoscere. Ah, senti. Prima parlavi di Calvino. Libereso lavorava per il padre». Libereso era il giardiniere libertario della famiglia Calvino, la sua figura ha ispirato 'Un pomeriggio, Adamo'. «Ci ho lavorato per vent'anni insieme a Libereso Guglielmi. Più di vent'anni. Devi sapere che sulla pulizia dei sentieri avevo innestato un'iniziativa che si chiamava “Percorsi formativi”. Un'altra che si chiamava “Libera università itinerante a cieli aperti”, sempre in collaborazione con Libereso. Volevamo che sui sentieri ripuliti  intervenissero botanici, storici, archeologici, ecologisti. E poi volevamo trovare un luogo dove alloggiare tutto il materiale su questi diversi aspetti dei sentieri, sulla loro ricchezza botanica, geologica. La prima uscita a Rocchetta ci ha tagliato le gambe. Quella era l'inaugurazione della Libera università e c'era anche Libereso. Si trattava di tabellare le piante sul sentiero e di fare un giardino alpino pilota. Siamo negli anni Novanta e rotti. A Rocchetta avevo chiesto uno spazio per il giardino alpino pilota. Avevo contattato solo le persone fidate, trenta persone, Libereso c'era come esperto. La mattina abbiamo organizzato il giardino alpino pilota. Sul  prato sono arrivati quattro facinorosi di destra, dalla strada sopra ci insultavano mentre facevamo pausa. Poi abbiamo iniziato a tabellare. La sera mettevo a posto, io ero al giardino pilota a mettere in ordine gli attrezzi e come torno a Rocchetta vedo due di noi a terra. Questi quattro giovani di destra hanno iniziato a picchiare. Libereso si è rifugiato in macchina e due di noi sono stati mandati all'ospedale. Pensa tu».
Francesco Migliaccio, Ombre e passaggi fra Nervia e Roja (Prodotto nell’ambito del progetto “Sulle tracce di Francesco Biamonti: percorsi creativi tra San Biagio della Cima e le cinque valli del Ponente Ligure”. A cura del Centro di Cooperazione Culturale. In collaborazione con l’Unione Culturale Franco Antonicelli, la Fondazione Dravelli, e gli Amici di Francesco Biamonti. Con il contributo di Compagnia di San Paolo e Fondazione Carige) in L'Indice dei Libri del Mese