[...] A Cuneo è poi indissolubilmente legato il nome di Lalla Romano, e per tante ragioni, ma prima fra tutte per la sua prossimità ad un luogo da cui dipende Tetto Murato (1957), un posto reale, raggiungibile a piedi o in bicicletta per la strada che va verso Dronero, ma raggiungibile soprattutto mentalmente (emotivamente) lungo un tragitto che sulle carte stradali non si dà. Tetto Murato è il libro che più del pur già connotato introibo di Maria (1953) può esprimere l’emozione di un mondo emblematico. Un argomento espresso «senza romanticherie», decretò Montale nella recensione che apparve il 6 maggio 1958 sul «Corriere della Sera», e voleva dire senza riverberi sentimentali, senza gli effetti di flou che può toccare a vicende di così sottili e segrete affinità. La storia è infatti narrata con consistenza petrosa, incisa in segni epigrafici e araldici. Durante il periodo della Resistenza due coppie vivono in proporzione un po’ sghemba il gioco delle affinità che li lega in una coincidenza fitta di eventi minimi. La guerra incombe su una lenta e sospesa maturazione interiore che passa attraverso l’intreccio della malattia di uno dei personaggi, dei gesti quotidiani, delle parole dette e ancor più di quelle taciute, delle malinconie improvvise ma anche della molta allegria, delle immagini che scandiscono i movimenti del tempo e i ritmi del segreto e dell’attesa.
[...] Un pellegrinaggio nei luoghi più “cuneesi” della Romano non è altro, in fondo, che il tentativo di dirne l’imprendibilità, di suggerirne la metamorfosi nell’assoluto della scrittura. Tutto il contrario di una visione turistica, verso cui la scrittrice sempre ha mostrato l’orrore di chi disprezza ogni conformismo. Resta che con Cuneo il legame è ombelicale, anche se un vero e proprio “romanzo” cuneese nella sua bibliografia non compare se non in ultimo e in extremis con gli impromtus raccolti in Dall’ombra (2000). Fino a quel momento potevano bastare le annotazioni sparse un po’ ovunque: da Maria (1953) a Una giovinezza inventata (1979), a Nei mari estremi (1987), a Un sogno del Nord (1989). Del resto nelle due sezioni in cui l’ultimo libro è scandito nulla è cambiato. Ci sono sì persone e luoghi che la memoria inventa (cioè ritrova) traendo gli uni e le altre “dall’ombra” della morte, ma le persone vivono come sempre in virtù della loro cifra segreta, così come i luoghi si animano grazie al mistero che con il crescere dell’attenzione trapassa nell’enigma della loro impenetrabilità. Il mondo è quello cuneese dell’infanzia e dell’adolescenza e il libro è una suite di figure
[...] Passando per la Limone di Luigi Baccolo (studioso di non poche scorribande tra Restif de la Bretonne e il Divin Marchese, autore di un’educazione sentimentale narrata in un romanzo, Amore a quattro voci, ambientato nella nativa Savigliano), si avvia al di là del Tenda l’ultimo segmento dell’itinerario, che sprofonda la venti nel dramma roccioso e luminoso della Valle Roja (chi non ha letto Le ultime lettere di Jacopo Ortis?). A “pagare” il viaggio (come si dice in Piemonte di una gioia assicurata) potrebbero essere gli affreschi quattrocenteschi di Giovanni Baleison e di Giovanni Canavesio nel santuario di Notre Dame des Fontaines a La Brigue, le cinquecento figure di una via crucis popolosissima e di un giudizio universale di rustica immediatezza, con un Giuda impiccato di impressionante e grottesca efficacia figurale. Non essendo, però, il mio, se non un viaggio letterario, varrà il Canavesio (come ben sa chi abbia letto Ribes) da pretesto per introdurre alle pagine di un cultore dell’altro versante, Nico Orengo.
[...] Di Lalla Romano trascrivo da Una giovinezza inventata il racconto della traversata delle Marittime con lo zio Giuseppe Peano, il grande matematico, che decide di portare la nipote, allora freschissima ginnasiale, a “vedere il mare” nel bel mezzo della “grande guerra”:
"Al confine, a San Dalmazzo di Tenda, “cupiebamus ire ad urbem Intemeliorum, vulgo Ventimiglia; sed quoniam transire Galliam non licet, nos pedibus calcantibus imus ad Brigam…”. La ferrovia attraversava un tratto di Francia e occorreva un lasciapassare. C’erano delle contadine, desolate perché non l’avevano, e lo zio diede loro il nostro: noi avremmo fatto la traversata a piedi. Le ziette dovettero farsi aggiustare i tacchi delle leggere scarpe bianche di tela, la zia Nina era preoccupata, però rideva: anche lei amava le avventure. Lo zio fu avvertito che la strada era lunga e non c’erano alberghi per via ; infatti a notte eravamo sulle montagne. “Pervenimus ad casas vocatas ab fraxino. Ibi nos edimus coffeam cum lacte, et dormimus in foeno”. Nel fienile c’erano cardi pungenti, il fienile era inclinato sul vuoto, nella baita semidiroccata. “Primo mane surgimus et proficiscimur ad Collem Ardentem (il nome m’incantò). Descendimus, vidimus longe Verdeggiam, et pervenimus ad Realdum”. A Realdo nella trattoria non avevano altro che una frittata; lo zio andò anche al Comune a vedere “come funzionavano gli approvvigionamenti”. “Continuamus descensum, per viam stratam ex marmore, inter rupes altissimas, quas fluvius Argentina rapidus lambit”. Lungo la mulattiera, sui prati aridi c’erano distese di susine gialle cadute: lo zio non mi permise di raccoglierne nemmeno una. Invece a Sanremo, la sera - sul tram le tendine erano abbassate “per il pericolo dei sottomarini” - lo zio commise tranquillamente un’infrazione: scostò la tendina. Alle rimostranze della tramviera rispose: - La mia nipotina deve vedere il mare -. All’Hotel Splendid eravamo i soli ospiti, le immense specchiere erano coperte da teli scuri, e la padrona troneggiava alla cassa - vestita di seta nera con le maniche gonfie - ci avvertì che non aveva altro che uova. Al ritorno sentii poi lo zio riferire che “il paese era allo stremo”. Era il ’17". <11 [...]
11 Una giovinezza inventata, in Opere (vol. secondo), a cura di Cesare Segre, Milano, Mondadori, 1992, pp. 637-638.
Giovanni Tesio, «Echi letterari sulla strada del Tenda», Italies, 6 - 2002
[...] Un pellegrinaggio nei luoghi più “cuneesi” della Romano non è altro, in fondo, che il tentativo di dirne l’imprendibilità, di suggerirne la metamorfosi nell’assoluto della scrittura. Tutto il contrario di una visione turistica, verso cui la scrittrice sempre ha mostrato l’orrore di chi disprezza ogni conformismo. Resta che con Cuneo il legame è ombelicale, anche se un vero e proprio “romanzo” cuneese nella sua bibliografia non compare se non in ultimo e in extremis con gli impromtus raccolti in Dall’ombra (2000). Fino a quel momento potevano bastare le annotazioni sparse un po’ ovunque: da Maria (1953) a Una giovinezza inventata (1979), a Nei mari estremi (1987), a Un sogno del Nord (1989). Del resto nelle due sezioni in cui l’ultimo libro è scandito nulla è cambiato. Ci sono sì persone e luoghi che la memoria inventa (cioè ritrova) traendo gli uni e le altre “dall’ombra” della morte, ma le persone vivono come sempre in virtù della loro cifra segreta, così come i luoghi si animano grazie al mistero che con il crescere dell’attenzione trapassa nell’enigma della loro impenetrabilità. Il mondo è quello cuneese dell’infanzia e dell’adolescenza e il libro è una suite di figure
[...] Passando per la Limone di Luigi Baccolo (studioso di non poche scorribande tra Restif de la Bretonne e il Divin Marchese, autore di un’educazione sentimentale narrata in un romanzo, Amore a quattro voci, ambientato nella nativa Savigliano), si avvia al di là del Tenda l’ultimo segmento dell’itinerario, che sprofonda la venti nel dramma roccioso e luminoso della Valle Roja (chi non ha letto Le ultime lettere di Jacopo Ortis?). A “pagare” il viaggio (come si dice in Piemonte di una gioia assicurata) potrebbero essere gli affreschi quattrocenteschi di Giovanni Baleison e di Giovanni Canavesio nel santuario di Notre Dame des Fontaines a La Brigue, le cinquecento figure di una via crucis popolosissima e di un giudizio universale di rustica immediatezza, con un Giuda impiccato di impressionante e grottesca efficacia figurale. Non essendo, però, il mio, se non un viaggio letterario, varrà il Canavesio (come ben sa chi abbia letto Ribes) da pretesto per introdurre alle pagine di un cultore dell’altro versante, Nico Orengo.
[...] Di Lalla Romano trascrivo da Una giovinezza inventata il racconto della traversata delle Marittime con lo zio Giuseppe Peano, il grande matematico, che decide di portare la nipote, allora freschissima ginnasiale, a “vedere il mare” nel bel mezzo della “grande guerra”:
"Al confine, a San Dalmazzo di Tenda, “cupiebamus ire ad urbem Intemeliorum, vulgo Ventimiglia; sed quoniam transire Galliam non licet, nos pedibus calcantibus imus ad Brigam…”. La ferrovia attraversava un tratto di Francia e occorreva un lasciapassare. C’erano delle contadine, desolate perché non l’avevano, e lo zio diede loro il nostro: noi avremmo fatto la traversata a piedi. Le ziette dovettero farsi aggiustare i tacchi delle leggere scarpe bianche di tela, la zia Nina era preoccupata, però rideva: anche lei amava le avventure. Lo zio fu avvertito che la strada era lunga e non c’erano alberghi per via ; infatti a notte eravamo sulle montagne. “Pervenimus ad casas vocatas ab fraxino. Ibi nos edimus coffeam cum lacte, et dormimus in foeno”. Nel fienile c’erano cardi pungenti, il fienile era inclinato sul vuoto, nella baita semidiroccata. “Primo mane surgimus et proficiscimur ad Collem Ardentem (il nome m’incantò). Descendimus, vidimus longe Verdeggiam, et pervenimus ad Realdum”. A Realdo nella trattoria non avevano altro che una frittata; lo zio andò anche al Comune a vedere “come funzionavano gli approvvigionamenti”. “Continuamus descensum, per viam stratam ex marmore, inter rupes altissimas, quas fluvius Argentina rapidus lambit”. Lungo la mulattiera, sui prati aridi c’erano distese di susine gialle cadute: lo zio non mi permise di raccoglierne nemmeno una. Invece a Sanremo, la sera - sul tram le tendine erano abbassate “per il pericolo dei sottomarini” - lo zio commise tranquillamente un’infrazione: scostò la tendina. Alle rimostranze della tramviera rispose: - La mia nipotina deve vedere il mare -. All’Hotel Splendid eravamo i soli ospiti, le immense specchiere erano coperte da teli scuri, e la padrona troneggiava alla cassa - vestita di seta nera con le maniche gonfie - ci avvertì che non aveva altro che uova. Al ritorno sentii poi lo zio riferire che “il paese era allo stremo”. Era il ’17". <11 [...]
11 Una giovinezza inventata, in Opere (vol. secondo), a cura di Cesare Segre, Milano, Mondadori, 1992, pp. 637-638.
Giovanni Tesio, «Echi letterari sulla strada del Tenda», Italies, 6 - 2002