lunedì 5 ottobre 2020

Il forno di Realdo

Realdo - Fonte: Wikipedia

È uscita, giusto l’altr’anno, per le cure di Loretta Marchi, un’interessante pubblicazione, dal titolo suggestivo:  Il forno di Realdo; si tratta di una silloge di racconti di autori vari, promossa da Giampiero De Zanet, animatore dell’associazione “Realdo vive”, che già da tempo ha fatto parlare di sé, fuori dal territorio realdino, soprattutto attraverso i social, per svariati motivi: innanzi tutto, perché promuove la piccola frazione di Triora, tra i pochi borghi, insieme con Verdeggia, di lingua brigasca in terra di Liguria (gli altri, com’è ben noto, sono sparsi tra Francia e Piemonte: Briga Marittima e Briga Alta); in secondo luogo, perché, tra quegli “autori vari”, ci sono solo abituali frequentatori - o, più genericamente, aficionados - del borgo di Realdo, che contribuiscono, nel loro piccolo, più che a far “vivere”, a far “rivivere”. 

L’iniziativa, concretizzatasi intorno a una sorta di auto-pubblicazione (che meriterebbe forse un editore di più ampio respiro, visti i risultati, niente affatto scadenti), mira a mostrare il paesino brigasco, tra i più spopolati delle Alpi Marittime, sub specie narrativa - e lo fa presentandosi come una comunità compatta, riunitasi tutta intorno al suo “forno” che, come nel caso del vicino capoluogo, è “comune”- al servizio, cioè, della comunità (Un forno, per esempio, comparirà in Un pane, racconto stregonesco di Maria Masella).

Tra gli autori, alcuni noti e altri meno, vi sono sia poeti che narratori - più numerosi, ovviamente, i cosiddetti narratori (e alcuni sono nostre vecchie conoscenze): Roberto Amoretti, Erica Balduzzi, Danilo Balestra, Gabriele Decanis, Arianna Destito, Alessandro Giacobbe, Laura Guglielmi, Marino Magliani, Maria Masella, Barbara Panelli, Gianmarco Parodi, Lino Pastorelli, Patrizia Ramò, Giacomo Revelli, Mirella Rosso, Anselmo Roveda; due soli, i poeti in senso stretto: Nino Lanteri ed Eugenio Ripepi.

La silloge si apre con un pezzo, assai significativo, a mio parere, di Roberto Amoretti, su cui vale la pena soffermarsi: 10 giugno 1940, racconto brigasco.
Racconta un episodio della seconda guerra mondiale, sul confine italo-francese. È significativo, nella sua semplicità, perché esalta il senso di appartenenza a una terra frammentata tra Italia e Francia: una terra in cui, per esempio, si può anche correre il rischio di prendere a fucilate il proprio cugino, commilitone sì - ma nello schieramento avverso...

Parimenti significativo risulta essere anche il terzo racconto, di Danilo Balestra: L’ultimo viaggio; la transumanza, di cui si parla in queste pagine, non è nient’altro che l’“ultimo viaggio”, appunto, di un ragazzino di Realdo, prima del definitivo trasferimento sulla costa, e del dolore di un padre che, per il bene del figlio, non può fare a meno di traslocare - abbandonando, così facendo, i suoi luoghi di origine, ancora legati alla terra e alle bestie. 

Un’ideale prosecuzione del precedente racconto potrebbe essere Il lupo della memoria, di Gabriele Decanis; dopo un inizio, affatto narrativo, la narrazione prosegue liricamente, e porta in dote alcune delle immagini forse più suggestive di tutta la silloge: marito e moglie, tormentati dai lupi e dai debiti, ma soprattutto dalla perdita del figlio, ritornano alla vita, e alla montagna, dopo un incontro ravvicinato
con un maschio grigio. 

Ma, paradossalmente, non è di un narratore in senso stretto lo scritto più rappresentativo di tutta l’“infornata” (come la chiamerebbe Giovanni Boine): è di uno storico, Alessandro Giacobbe; che, per la prima volta, abbandonandosi alla pura evocazione di immagini, in Realto, una vita di secoli fa, per rimanere lì, traccia a parole uno schizzo tutt’altro che bozzettistico di quello che l’autore chiama uno “spuntone roccioso che si è fatto case”. 

Torna invece la “caccia”, benché “all’uomo”, in un altro raccolto: Jan Martin, di Marino Magliani, scrittore assai prolifico ma che, ciononostante, si dimostra ancora una volta all’altezza del compito assegnato, sempre capace com’è di variare sul tema, pur mantenendosi fedele al proprio stile. 

Passo di terra, di Barbara Panelli, è forse il più biamontiano dei racconti: il protagonista, afflitto dal cosiddetto male del ferro, è un marinaio di montagna, originario di Realdo: come Gregorio, protagonista dell’Angelo di Avrigue, quando è in mare rievoca, rivivendoli liricamente, i suoi luoghi di origine, al confine tra Italia e Francia. 

NOI, scritto tutto in maiuscole, di Gianmarco Parodi, narra di un’escursione, avvolta nel mistero, sul monte Saccarello: tutto però si schiarirà, alla fine...

Lo sparuto gruppuscolo dei poeti merita però un’attenzione particolare. Mi vorrei soffermare giusto sul primo (non me ne voglia l’amico Ripepi, come sempre impeccabile), ovverosia Nino Lanteri. Poeta dialettale, ma dialettale è certo riduttivo, originario di Realdo, nato nel 1927, nell’unico componimento da lui stampato, Ar valun - “Al torrente”, in dialetto brigasco - emergono, più chiaramente che in tutta l’infornata, e in tutta la loro efficacia espressiva, le potenzialità del dialetto brigasco, un idioma oggi in via di estinzione. Se c’è una gemma, in questo libro, si parva licet, è proprio Ar valun di Lanteri: non solo per il suo valore di testimonianza (il rotacismo “ar”, arcaico, tipico dei dialetti liguri d’antan, già estinti), ma anche per il suo valore poetico: raro, com’è oramai raro quell’idioma: e quel paesaggio.

AA.VV., Il forno di Realdo, racconti, a cura di Loretta Marchi, su iniziativa di Giampiero De Zanet, APS Realdo Vive, Triora 2

Fabio Baricalla in IL REGESTO, (Bollettino bibliografico dell'Accademia della Pigna - Piccola Biblioteca di Piazza del Capitolo), Sanremo (IM), anno XI, n° 1 gennaio-marzo 2020