Stalle di Pianrosso: in primo piano il “Dulìn”, marito di Erminia, con la sua “sorta” di pecore brigasche (Archivio privato Gianni Belgrano) - Fonte A Vaštéra |
A Vaštéra: Quella che segue è sicuramente una storia di altri tempi, che trascriviamo integralmente come ci viene consegnata dall’autore, che la visse in prima persona. I fatti si svolgono tra Viozene, terra brigasca, e Fontane di Frabosa, terra del kié, da sempre affratellate sui due versanti di un’unica montagna, il Mongioie. L’epoca è il terribile inverno 1944-45, in zona di intensa lotta partigiana, freddo e fame che coinvolsero appieno le nostre genti. Elia Dolla, attualmente brillante decano di Viozene, dove continua ad abitare insieme alla moglie Anna, era un ragazzino di 15 anni, unico sostegno della madre Pierina…
Leggendo sul N° 61 della Vaštéra il racconto di Nino Lanteri, sono tornato mentalmente indietro di tanti anni, ai tempi della mia adolescenza (io avevo 15 anni). Durante la guerra scarseggiavano i generi alimentari anche nei negozi e noi, da Viozene, andavamo a comprare a Fontane di Frabosa, a molte ore di distanza e si faceva il viaggio in due giorni. Da Viozene si deve salire al Bocchin, un valico a oltre 2000 metri, poi scendere una lunga discesa poi proseguire. Durante uno di questi viaggi, di ritorno con mia madre, avevamo due zaini, uno con un po’ di riso, zucchero, sale, pasta, e uno pieno di grano. A Viozene tutti seminavamo, oltre al resto, anche il grano, ma bastavano pochi minuti di grandine per danneggiare il raccolto. Dopo alcune ore di cammino io avevo tanta fame (non appetito, ma fame!) che non potevo più camminare ma, non avendo altro, mangiavo un po’ di grano con un pizzico di sale; a un certo punto dissi a mia madre: “io mi lascio morire qui!”. Lei per incoraggiarmi mi disse: “fai uno sforzo fino a Pianrosso, là c’è Erminia: ti dà un po’ di latte”. Con questa speranza riuscii a raggiungere Pianrosso, dove trovai un po’ di conforto. Erminia è stata la nonna materna del dottor Giovanni Belgrano, attuale presidente della Vaštéra, anche se lui all’epoca non era ancora nato. Pianrosso era una zona di alpeggio a 1500 metri di quota, dove la gente saliva d’estate a pascolare mucche, capre e pecore: il piano era tutto coltivato a grano, la parte alta adibita a pascolo.
C’erano le baite, con un locale che serviva da stalla e uno più piccolo per la cucina e la lavorazione del latte. Ora pare che cambi argomento, ma è doveroso farlo.
Durante la guerra si rischiava di essere rapiti dall’esercito tedesco e portati in Germania nei campi di concentramento. Un giovane, abitante in Liguria, per evitare questo pericolo venne a Viozene e visse in casa nostra per più di un anno. A un certo punto decise di aggregarsi ai partigiani e andò a Fontane di Frabosa, il paese dove noi qualche volta andavamo a fare quei magri acquisti.
Anche se il suo nome era un altro, era conosciuto come Gigino. Nel 1944 venne a trascorrere le feste natalizie con noi. Dopo Capodanno mi disse: “domani me ne vado a Fontane: vieni con me, Elia, e torni a casa con uno zaino di grano”. Siamo partiti. Io la sera venni ospitato dai partigiani, ma il mattino dopo nevicava abbondantemente: impossibile tornare [A Vaštéra: "dopo l’eccidio di Upega e le ripetute incursioni naziste sul versante sud delle Alpi Liguri, i partigiani liguri superstiti si erano riversati sul versante nord, in Val Corsaglia. Viozene rimase presidiata da una compagnia di nazisti dall’8 Dicembre a inizio Gennaio"].
Rimasi ospite dei partigiani per tutto il mese di Gennaio. Non c’era il telefono, la posta era controllata dai Tedeschi; avrei potuto mandare una cartolina, ma non ci pensai nemmeno. A metà mese sembrava che i Tedeschi dovessero venire a fare un’incursione. Tutta la squadra si trasferì (me compreso) di fronte al paese, in una zona esposta a nord, dove c’erano alcune case abbandonate.
Avevamo poca legna, appena sufficiente per cuocere due miseri pasti quotidiani; di notte dormivamo sul fieno avvolti in una coperta: io ho sofferto il freddo più intenso della mia vita!
Per fortuna durò pochi giorni, poi tornammo in paese. Alla fine del mese i partigiani di Fontane dovevano prendere qualche accordo con quelli della Liguria. Sulla neve l’unica pista transitabile era quella diretta al Colle dei Termini [A Vaštéra:" nel mentre a Viozene, dove non arrivava nessuna notizia, si cominciava a “fare coraggio” a Pierina, mamma di Elia, e a fare ipotesi sempre meno fiduciose di un suo ritorno; infine invitando la mamma a rassegnarsi…"]
Siamo partiti con Gigino e un altro partigiano di cui non ricordo il nome. Dopo il valico si scende verso Ormea. Noi ci fermammo nella frazione di Chioraira, presso una famiglia che ci ospitò, offrendoci la cena e il posto per dormire, nella stalla con le mucche. In piena notte tutto il paese fu svegliato da una raffica di colpi d’arma da fuoco; noi non sapevamo cosa fare, ma siamo rimasti fermi.
In seguito si venne a sapere che i Tedeschi erano venuti in aperta campagna a fucilare un giovane partigiano da Ormea. Una lapide ricorda quel triste evento e porta la data del 2-2-45. Al mattino Gigino e l’altro partigiano partirono per una direzione e io per un’altra, con il mio zaino di grano verso Viozene; il percorso è abbastanza lungo ma quasi tutto pianeggiante.
Oggi le cose sono un po’ cambiate!!
Elia Dolla su A Vaštéra n. 62 del 19 maggio 2017