domenica 4 ottobre 2020

La mia Guerra dei Sei Giorni. Primo viaggio in Israele. Parte I


Era fine maggio del 1967.

Mio zio Eugenio, che aveva ereditato di fatto l’attività di nonno Ugo, poiché papà aveva scelto la Medicina, mi volle con sé per un viaggio in Israele dove stava cercando sbocchi commerciali per la produzione di garofani. 

A questo viaggio avrebbe partecipato anche la Nonna Remigia [Remigia Pesante] che all’epoca aveva 78 anni e che aveva accettato con entusiasmo questo viaggio essendo una cattolica fervente. Mentre mio nonno era un ebreo poco incline alla religione sua moglie aveva la casa costellata da immagini della Madonna di Lourdes, da statue del Sacro Cuore e crocifissi di ogni fattura: quel viaggio in Terra Santa lo stava per affrontare come una groupie che si reca a un concerto della sua rockstar preferita. 

Partimmo così con un volo Air France, su di un luccicante Caravelle alla volta di Tel Aviv, il mio imponente zio elegantissimo nel suo completo di lino, io con le mie braghe all’inglese ed una Lacoste vecchia di papà e la nonna intabarrata nel suo cappotto nero con il collo di breitschwanz che il nonno le aveva portato da Praga nel 1928, nonostante Eugenio le avesse comunicato le temperature medie del periodo in Israele. Remigia portava con sé un enorme mazzo di garofani Rossi di Sanremo; “in fondo andiamo a casa di Maria Vergine e la prima volta non si va mai a mani vuote”, pensava. 

Era il mio primo volo e tutto mi incuriosiva e mi piaceva: quell’odore piccante come la senape del carburante Avio, i getti dell’aria condizionata, quelle fantastiche poltrone ribaltabili e i reattori che fremevano prima di prendere lo slancio per il decollo. Il vassoio del pranzo, che una graziosissima hostess mi servì, conteneva cibi dall’aspetto delizioso e una misteriosa scatoletta verde e gialla con su scritto Perrier, che maneggiai parecchie volte prima di capire che cosa fosse davvero: il getto di acqua frizzante che scaturì dalla misteriosa scatola metallica scavalcando il sedile davanti al mio investì la complicata acconciatura di una robusta matrona americana. Mentre io mi adoperavo per mettere in imbarazzo Zio Eugenio, la nonna faceva incetta di bustine di mostarda, mayonnaise, ketchup e sale, come se la guerra non fosse mai finita. 

Sbarcati al Ben Gurion di Tel Aviv il primo impatto con i doganieri israeliani fu certamente particolare: dopo aver sequestrato i bei Garofani Rossi di Sanremo a Remigia a causa delle restrizioni del fitopatologico nonostante le proteste incomprensibili ma violente dell’anziana signora che in dialetto sanremasco urlava "Ma na, i sun i ganüfari pe a Madona" [Ma no, sono i garofani per la Madonna!] lo stesso doganiere le infilava imprudentemente la mano nella borsa con una certa ruvidezza, ritirandola condita con mostarda, mayonnaise e ketchup, mentre gli astanti scoppiavano a ridere compulsivanente e lo zio tentava di nascondersi dietro una colonna. 

La prima serata a Tel Aviv terminò con una cena allo Sheraton Tel Aviv sul lungomare e poi in una meravigliosa stanza condivisa con mia nonna. 

Continua (se vi va).  

Paolo Kahnemann