domenica 9 agosto 2020

Il poeta che faceva l'idraulico


"Ehi, sorellina!". Quasi stupito, appena addolorato, la sgrida come a dirle "Cosa stai facendo? Svegliati! È inverno, fa freddo, ma c'è il sole e il cielo è limpido. Perché sei morta, allora?"
Un minimo e preziosissimo Cantico delle creature, di francescana umiltà e letizia: come tutte le poesie che ci ha lasciato Luciano De Giovanni, nato a Sanremo nel 1922 e morto a Montichiari nel 2001.
De Giovanni per tutta la vita ha svolto lavori umili, portalettere dapprima, poi idraulico; abitava con la moglie e due figli in un piccolo appartamento sulle colline della Pigna, nella Sanremo vecchia, vicino al Santuario dell'Assunta. Amando in modo ingenuo e appassionato la poesia, appena poteva si ritagliava uno scampolo di tempo per studiare Lao Tzu, Bashô, Emily Dickinson, Rilke, Eliot, i Vangeli, i grandi del nostro '900. Tra di loro, anche Carlo Betocchi (altro maestro dimenticato… ), che fu il primo ad accorgersi di lui, presentando alcuni suoi versi sulla rivista Letteratura nel 1956.
Alida Airaghi, Luciano De Giovanni in La poesia e lo spirito, 29 gennaio 2018

 
Enzo Maiolino, Ritratto di Luciano De Giovanni (particolare di un disegno del 1957) - Fonte: La Riviera..., Op. cit. infra

Nel bel mezzo del Novecento, chiuso in un cantuccio di provincia (a Sanremo, dove nacque nel 1922), De Giovanni si prese dunque il tempo necessario e qualcosa di più se costituì, come costituì, un inequivocabile incoraggiamento l’accoglienza che Luigi Baldacci, Italo Calvino, Giorgio Caproni, Gina Lagorio e molti altri, incluso Pablo Neruda, avevano riservato alla sua poesia. Il poeta che faceva l'idraulico di primo mestiere, che ammirava i grandi classici e la lirica cinese e giapponese, che amava soprattutto Dickinson, Eliot e Lorca, ma anche l'Ungaretti de L'allegria, il Pavese di Lavorare stanca e il Betocchi di Realtà vince sogno, nella stessa intervista in cui si definì "ligure per caso" e in cui si collocò, imbeccato dalla domanda, in una sorta di solco ligustico personale (Montale-Sbarbaro-Barile, appunto), nella nuova generazione di cantori o avventori del paesaggio ligure, spiegò la sua cauta presenza nel panorama poetico italiano: "Ho pubblicato poco, sia perché rifuggo dal farmi avanti, sia perché ho sempre avuto seri dubbi sulla qualità del mio lavoro" - affidò a una parentesi la precisazione "Adesso un po' meno» (era il 1991) e proseguì - "in cambio ho avuto molti incontri umani, anche perché i miei interlocutori sapevano che non li avrei sollecitati a pubblicarmi".
Alessandro Ferraro in Aprii, cauto, la porta. L’incontro di Luciano De Giovanni con Camillo Sbarbaro, La Riviera Ligure, quadrimestrale della Fondazione Mario Novaro, XXVIII, 84, settembre/dicembre 2017

Anche l'atmosfera domestica (la casa, la moglie, i bambini) rientrava a pieno diritto nell’universo poetico di De Giovanni, raccontata con un lessico scarno e volutamente impoverito, privo di ricercatezze e neologismi, quasi che l’arredamento linguistico e mentale dovesse per onestà riflettere quello modesto dell’abitazione, teneramente intiepidito degli affetti familiari:
"Venitela a vedere la mia bambina / in questo mattino di miracoli / saltellare tra le zolle dell’orto: / i raggi del sole la seguono. // Si china e muta ogni cosa / in preziosissime gemme / fa un lieve cenno alla terra / e subito nasce una rosa”, “Il mio, lì nella culla, / dorme gonfio di latte, / il destino e gli eventi / ancora non l’hanno destato. // Un giorno si metterà la cravatta / frettoloso, / dirà ‒ al diavolo tutti ‒ sbattendo la porta", "Presto non sarà più anonimo / questo pezzo di terra, / ci farò una casa / e un pergolato di vigna. // … In un momento di dolcezza / diventerà del tutto diverso / e la sedia a sdraio / vicino alla finestra / si gonfierà di vento", "Ho fatto un sogno strano: / ero un albero in un prato / e tu un nido sopra il mio ramo".
Questa sua propensione alla solitudine e alla meditazione lo avvicinava a una versificazione leggera, a descrizioni delicatamente tratteggiate, che sembrano ereditare la levità elegante della poesia orientale, il desiderio di fondersi con l'innocenza del tutto:
"Dolci sono le more / i rovi sono spinosi // per bere alla sorgente / si deve prima raggiungerla / ma anche la sorgente / ha faticato / e anche il rovo", "Penso / che il paradiso / sia ciascuno di noi / quando dimentica / il suo nome", "Ero andato / al torrente / per leggere / Ciuangzè // ma non ci fu / niente da leggere / il torrente era / Ciangzuè".
Alida Airaghi, Op. cit.
 
L’esistenza, oggi, di un Fondo De Giovanni lo si deve alla determinazione ma anche al caso. Era il febbraio del 2011, al Museo civico Borea d’Olmo di Sanremo Giuseppe Conte presentava il suo Viaggio sentimentale in Liguria (Philobiblon 2010) ed eravamo giunti io da Ventimiglia, Enzo Maiolino da Bordighera e Stefano Verdino da Genova. Cogliendo l’occasione e utilizzando come pretesto la recente pubblicazione di un mio contributo - frondoso, barocco e, ahimè, pure acerbo - su Le case vicino al torrente di De Giovanni (Philobiblon 2009) Verdino mi presentò Maiolino e poi Giorgio, avvicinatosi dall’angolo dove aveva assistito all’evento: ho conosciuto, così, il figlio e l’amico più fedele del poeta grazie al suo più assiduo studioso.
In tale situazione e con tale supporto era difficile non fare bene: Verdino mi ha costantemente aiutato a muovermi nell’opera di De Giovanni; con Maiolino è nata un’amicizia - di cui ho già detto in questa sede quando s’è fatto ombra pure lui (1) - e, nei pomeriggi passati nel suo studiolo di pittore (che era anche di ricercatore e archivista), spesso mi parlava dell’amico poeta e mi incoraggiava a farmi da tramite fra la Fondazione Mario Novaro, con la quale già collaboravo, e Giorgio che da tempo si poneva il problema di cosa fare con l’archivio del padre e che mi ha guidato generosamente nei meandri di questo materiale, dalla primavera del 2018 accolto a Genova, grazie all’attenta disponibilità di Maria Novaro, con la quale si è subito pensato non solo di dare una prima sistemazione a libri, dattiloscritti, carteggi, periodici, ritagli, dvd e pennette usb del Fondo ma di dedicare al titolare del Fondo stesso un quaderno monografico de «La Riviera Ligure», per delineare i contorni della sua figura e far parlare, a dirla con Maria Corti, le voci che dal Fondo si sentono.
Il Fondo Luciano De Giovanni occupa tre scaffali. Sullo scaffale inferiore [...] una cartella di cartone contenente materiale vario (di Pablo Neruda la lettera del 17 gennaio 1959 a De Giovanni e Dos odas elementales con dedica [...]
 
Ultima pagina di Dos odas elementales, contenente Ode alla farfalla e Ode alla pantera nera, scritte da Pablo Neruda nella città argentina Villa del Totoral, nel dicembre del 1955, a casa di Rodolfo Aráoz Alfaro (avvocato e segretario generale del Partito Comunista per l’America Latina), e poi stampate dall’Imprenta Decanini di Jesús Maria il giorno 3 febbraio 1956. Si legge, ancora nel colophon, che ne furono tirate 500 copie non numerate e 100 numerate fuori commercio, la numero 71 è quella regalata a Luciano De Giovanni, con dedica «con amistad», e ora conservata nel Fondo De Giovanni -  Fonte: La Riviera..., Op. cit. infra

Le riviste e il raccoglitore hanno costituito una base molto solida su cui ricostruire la bibliografia degli
scritti di e su De Giovanni che si trova in chiusura del quaderno [...] l’autore rimane da decenni introvabile, come gli scrisse il 21 settembre 1984 un lettore d’eccezione, Fredi Chiappelli (da Los Angeles di passaggio a Genova):
Gentile signore,
leggo su «Resine» le sue Nove Poesie
(2). Il profondo interesse di cui mi hanno colpito (e per ragioni che vanno dalla raffinatezza pressoché incredibile nella forma alla percezione degli scandagli nelle più austere aree dell’esperienza) mi spingono all’indiscrezione di scriverle direttamente.
Non che non abbia, prima, tentato di rintracciare in varie librerie genovesi qualche Sua pubblicazione; e persino scomodato amici che si occupano di letteratura ligure per essere avviato su una pista bibliografica. Ma sono stati tentativi sfortunati, e anche da [Domenico] Astengo ho avuto il consiglio di scriverle.
Non ho mai fatto niente di simile; ed ho tutto l’imbarazzo che potevo avere avvicinandomi alla letteratura quasi cinquanta anni fa. Persino la domanda mi pare cruda e impertinente.
Ma vorrei leggere altre sue cose. Dunque: Come devo fare? Come posso procurarmi i suoi scritti?
Ora dovrebbe venire un paragrafo di scusa. Me ne voglia esentare: e credermi invece con ammirazione il suo Fredi Chiappelli
Sullo scaffale centrale [...]  una geografia in gran parte ligure (con edizioni e dedicatari di Bordighera, Sanremo, Imperia, Albenga, Savona, Genova, Recco e Sarzana) ma qualche libro gli giunse da Milano, Firenze e d’oltreoceano, tramite lo stesso Verdicchio.
Oltre al Fuochi fatui con dedica di Camillo Sbarbaro nell’edizione All’Insegna del Pesce d’Oro (Milano 1958) di Scheiwiller [...] spiccano, anche per ricorrenza, i nomi di Elio Andriuoli, Fredi Chiappelli, Franco D’Imporzano, Sergio Ferrero (che attende giudizi e s’augura di non deludere De Giovanni), Roberto Rebora, Lalla Romano (che definisce De Giovanni «poeta del mare», 4 gennaio 1995), Bruno Rombi, Giovanni Testori («a Luciano De Giovanni di cui ho amato le bellissime poesie con affetto», 25 marzo 1971), Renato Turci e Guido Zavanone [...]  È la fedeltà di De Giovanni alla sua terra (nativa o d’adozione che sia), e che ben lo apparenta ai maggiori poeti della «Riviera Ligure», vero com’è ancora una volta che in Liguria non si nasce o non si vive (e soprattutto non si scrive) senza avere almeno un debito verso quel paesaggio, e il suo singolare alfabeto (6).
Alessandro Ferraro, Partendo dal Fondo in La Riviera Ligure, quadrimestrale della Fondazione Mario Novaro, n° 87-88, settembre 2018 - aprile 2019, Anno XXX
1 Alessandro Ferraro, Memoria di Enzo Maiolino, «La Riviera Ligure», XXVIII, 83, maggio-settembre 2017, pp. 73-77. 
2 Luciano De Giovanni, Nove poesie, «Resine», seconda serie, VI, 19, gennaio-marzo 1984, pp. 45-47 (con nota di Domenico Astengo, p. 48).
6 Giorgio Caproni, Luciano De Giovanni per i tipi di Rebellato: Viaggio che non finisce, «La Fiera Letteraria», 9 marzo 1958, p. 3. Ora in Giorgio Caproni, Prose critiche, a cura di Raffaella Scarpa, prefazione di Gian Luigi Beccaria, Aragno, Torino 2012, vol. 2, pp. 1003-1007 (1005-1007).