venerdì 24 aprile 2020

Walter Benjamin a Sanremo



“Se qualcuno mi dicesse che la felicità è poter seguire, passeggiando e scrivendo, i propri pensieri in una località stupenda - e San Remo è veramente bellissima - senza essere tormentato dalle preoccupazioni quotidiane, ebbene, cosa gli dovrei rispondere? E se un altro mi si parasse davanti per dirmi in faccia che è ignobile e vergognoso annidarsi così nelle rovine del proprio passato, lontano da tutti i compiti, dagli amici e dai mezzi di produzione, a maggior ragione di fronte a quell’uomo tacerei imbarazzato”.  
Walter Benjamin

Una vista su Sanremo (IM) dalla Frazione Coldirodi

Walter Benjamin è stato anche un grande viaggiatore, e i suoi soggiorni nella stessa Sanremo ne sono la riprova. 
Questo ebreo tedesco perseguitato dalla sorte non ha smesso di porsi in viaggio con foga quasi forsennata, ritrovando presumibilmente in ciò lo spirito del senza “patria” e dell’ebreo errante disponibile alla dislocazione continua, sempre pronto a fronteggiare con il proprio nomadismo il pericolo cui sono esposte le minoranze. 
E d’altro canto la sua personalità offre al tempo stesso l’esempio di chi si sapeva mettere in viaggio restando memore della baudelairiana invitation au voyage, del partir pour partir [...]
Sanremo è una delle tante località italiane in cui lo scrittore berlinese ha soggiornato per periodi più o meno brevi: in particolare Capri, Napoli, Siena, Pisa, Firenze, Lucca, San Gimignano, Livorno, Perugia, Rapallo, Portofino, Marina di Massa, Volterra; senza parlare - poi - delle città da lui viste per così dire “al galoppo” durante il suo viaggio giovanile del 1912: Milano, Verona, Vicenza, Padova e Venezia.
A titolo di curiosità, si può ricordare che nella città di San Remo, da lui definita una volta “la più favorevole stazione invernale di tutta la Riviera” e successivamente una “località stupenda” in cui poter “seguire, passeggiando e scrivendo, i propri pensieri senza esser tormentato dalle preoccupazioni quotidiane”, Benjamin soggiornò dapprima proprio a “Villa Emily" (dal 29 ottobre 1934), poi all’inizio di novembre dello stesso anno all’“Hotel Paradiso", quindi nuovamente a “Villa Emily" dal 12 novembre 1934 in poi, finché optò - almeno a partire dal 10 dicembre 1934 sino a fine anno - per quella che nel frattempo era divenuta la pensione Villa Verde, situata in Via Hope 6, in origine legata alla “Società anonima Villa Verde", che si era costituita il 12 dicembre 1934 in Via Hope 2. Questa pensione era amministrata da “un direttore italiano” e dalla sua ex moglie Dora Kellner, figlia di Leon Kellner, celebre anglista e curatore degli scritti sionisti di Theodor Herzl, precedentemente sposata col giornalista Max Pollak e dalla quale aveva ufficialmente divorziato nel 1930 in seguito alla storia d’amore tra Walter e la regista russa Asja Lacis. 
La Villa Verde costituisce per il saggista berlinese un vero e proprio refugium, una sorta di Zufluchtsort a prezzi modici (in una lettera, Benjamin accenna al costo giornaliero di 20 lire di allora a persona), di cui è gratissimo a Dora.
Nel novembre 1934 così egli scrive a Max Horkheimer: “(…) Non posso che rallegrarmi del fatto che, avendo la mia ex moglie aperto una pensioncina sulla Costa Azzurra, mi si offre la possibilità di esservi ospitato per uno o due mesi. (…) Sono solo uno o due mesi che ho ancora dinanzi a me come una sorta di periodo di tregua”.
E non molto dissimili si direbbero i toni della confessione fatta all’amico Alfred Cohn nella successiva lettera del 19 dicembre di quell’anno.
Proprio in questa “pensioncina" che verrà dichiarata fallita il 30 settembre 1940 e di cui oggi non restano tracce, poiché al suo posto sorge ormai un moderno condominio (la “Residenza Villa Verde”), situato accanto al “Grand Hotel Londra”, egli conduce a termine - “al sicuro dietro i veli fluttuanti di depressioni più o meno persistenti” - alcuni lavori (in particolare il bel saggio su Johann Jakob Bachofen, il celebre autore del Matriarcato, e una lunga recensione del Romanzo da tre soldi di Brecht), corregge le bozze di Haschisch à Marseille e tiene contatti epistolari in particolare con i suoi grandi interlocutore Theodor Adorno, Max Horkheimer e Gershom Scholem (con il quale si scontra a proposito dell’interpretazione dell’opera di Kafka), ma anche con Marcel Brion, Fritz Ratd, Werner Kraft, Jean Ballard, Siegfried Kracauer, Gretel Karplus, Alfred Cohn, Marcel Brion, Karl Thieme Ernst Bloch e altri ancora.
Benjamin è ormai in esilio, e si trova sovente nell’indigenza, nell’“isolamento completo” (in balìa di quella “vollkommene Isolierung” di cui parla più volte nel carteggio), di fronte all’incertezza del futuro. Emergono in varie passi delle lettere sanremesi i temi - da un lato - del contrasto fra la bellezza del luogo e l’assenza quasi totale di risorse, e - dall’altro - della lontananza, tipica dell’esule, dalle persone care e dai libri.
La corrispondenza stessa diventa l’”unico legame con gli amici”.
A Villa Verde egli tornerà poi nel febbraio 1935, nel dicembre 1936, nel luglio 1937 e infine nel gennaio 1938. 
In questa stessa pensione troverà rifugio il loro unico figlio Stefan, che nel ‘38, quando le truppe hitleriane invaderanno l’Austria, riuscirà a fuggire da Vienna, dove sta studiando, e a raggiungere la madre, potendosi infine rifugiare all’inizio del ‘39 insieme a lei a Londra (dove Dora morrà nel 1964 e lui stesso nel 1972). [...]
Può probabilmente valere la pena ricordare che la stessa Dora, l'ex moglie di Walter, affermerà di aver dovuto lasciare - fuggendo dall’Italia nel 1940 - proprio a Villa Verde (se le si deve credere) “due valigie” (zwei Koffer) contenenti - come ella confidò a Scholem - scritti benjaminiani importanti, tra cui tutte le lettere inviate da Benjamin a lei stessa e il lascito del poeta F.C. Heinle, amico di gioventù dello stesso Benjamin e morto suicida. (Un particolare, questo, a cui hanno accennato anzitutto Rosemarie Heise e poi il compianto Gershom Scholem, al quale Dora stessa ne parlò nel 1946).
Va tuttavia aggiunto che i contenuti degli scritti perduti a Sanremo non si sono però purtroppo mai potuti chiarire con sicurezza. Il compianto Gershom Scholem, lo studioso di mistica ebraica amico di Benjamin, dopo aver assicurato di aver “tentato invano” di “chiarire la faccenda”, così si confidò in proposito nel 1977: "Fra il 1949 e il 1961 mi sono arrabattato non poco con Dora per chiarire questa faccenda di San Remo, alla quale lei forniva indicazioni quanto mai contraddittorie. Io ne ho potuto trarre soltanto una conclusione: che, nella faccenda, qualcosa non quadrasse".
[...] D’altronde - come confermato dal Console Britannico di Genova Mr. Jones nell’aprile 1977 - neppure l’Archivio del Consolato di Genova dispone di “dati che si riferiscono a quel periodo". Un fatto si direbbe assodato: nonostante la convinzione contraria di Mrs. Janet Benjamin (la vedova di Stefan, figlio di Walter e Dora), quelle valigie non potevano sicuramente comunque contenere i famosi Kinderbücher (libri per bambini) da Benjamin collezionati con tanta cura e attualmente visibili presso l’“Institut für die Jugendbuchforschung” [Istituto per la ricerca sulla letteratura infantile] di Francoforte, dato che - come precisato da Scholem - quei volumi “si trovavano presso Dora Benjamin stessa quando lei parlò delle valigie da lei lasciate a San Remo”, e di conseguenza “il loro contenuto non può coincidere con quello della Collezione di libri per bambini”, sicché “il mistero rimane”.
Non resta perciò che augurarsi che, in futuro, a qualche studioso arrida magari la fortuna di chiarire tale enigma e di imbattersi in preziosi inediti del sorprendente cronista e saggista berlinese [...]
dalla postfazione di Giulio Schiavoni, San Remo è veramente bellissima. Walter Benjamin tra Riviera dei fiori e resto d’Europa, in Paolo Veziano (a cura di), Sanremo, una comunità ebraica nell'Italia fascista 1937-1945, Edizioni Diabasis, Reggio Emilia 2007
 
Dopo aver abbandonato Ibiza nell'autunno inoltrato del 1932 Benjamin non si sentiva tranquillo e soprattutto riteneva che i suoi testi non fossero al sicuro. Evitava di uscire di casa. Si era trasferito a Parigi, in rue Dombasle. A chi lo incontrava in quel periodo appariva angosciato e furioso. Vi sono testimonianze che riferiscono del suo spasmodico attaccamento al baule. Non permetteva che alcuno lo sfiorasse. Preda di turbamenti si trasferì nuovamente a Sanremo, alla pensione della ex moglie. «Mi tratterrò per alcuni mesi sulla còte, qui oppure in Francia» scriveva a Werner Kraft, nel novembre di quell'anno. Il 4 aprile successivo si imbarcò di nuovo per Ibiza.
«Benjamin» racconta Selz «al porto di Barcellona, dove prese il battello per Ibiza, apparve con il suo baule. Era guardingo come se fosse inseguito. Mi confessò d'aver lasciato diverse carte in custodia alla sua ex moglie.»
Sull'isola abitò nuovamente nella piccola baia di San Antonio. In quella piccola casa, tutta bianca, calcinata dal sole, gli fece visita un'amica, accolta gioiosamente. Si trattava di Asja Lacis, cui Benjamin aveva dedicato un suo scritto: Einbahnstrasse. Asja Lacis, «una rivoluzionaria russa di Riga, una delle donne più eccezionali che abbia mai conosciuto... un'eccezionale comunista, che lavora nel partito fino dal tempo della rivoluzione russa», si trattenne nella casa della baia di San Antonio qualche giorno. Che Benjamin fosse innamorato di lei appariva chiarissimo. Furono anche visti seduti al caffè, quello sulla piazza di Ibiza, gestito dal barman Toni.
[...] In quel clima il mitico baule di Benjamin rappresentava una preda straordinaria: l'oggetto che poteva racchiudere tutti i segreti del mondo, che poteva accogliere i documenti capaci di far svelare il garbuglio di intrichi spionistici che avvolgevano l'Europa di quei terribili anni.
Fortunatamente alcune carte, forse le più importanti, sembra fossero state lasciate a Sanremo, a Villa Verde, dove lo scrittore tornò ancora nell'estate del '37, dopo altre peregrinazioni tra la Spagna e la Francia. 
«Guardo con ansia e preoccupazione al baratro dei prossimi mesi.»
Ma cosa conteneva il baule oltre l'Angelus Novus di Klee e il piccolo ritratto di Kafka? Benjamin lo aveva abbandonato, nascosto in qualche luogo già saccheggiato a Ibiza. Il baule era stato soltanto sconvolto da una curiosità insana, oppure erano state trafugate delle carte? Il luogo ove Benjamin poteva aver depositato il baule era verosimilmente Sanremo? È probabile.
Quando morì, la pensione era già passata in proprietà a Caterina Ameglio. Dora Kellner, l'ex moglie, aveva fatto un pacchetto delle lettere che gli aveva scritto Asja Lacis facendoglielo pervenire a Mosca, ove era riparata. Le altre lettere inviate a Benjamin devono considerarsi perdute? Egli non fornì nessuna spiegazione della sua improvvisa partenza da Parigi. «Non senza amarezza io mi piego all'infausta costellazione che sembra sovrastarci.» Anche le circostanze della sua morte sono rimaste a lungo oscure, e ancora oggi non si ha una conoscenza dei particolari. Theodor W. Adorno, in una lettera a Selz, scrisse: «Il giorno esatto della morte di Benjamin è impossibile da determinare con precisione; pensiamo che sia stato il 26 settembre 1940. Benjamin aveva attraversato i Pirenei con un piccolo gruppo di emigrati che speravano di trovare asilo politico in Spagna. A Portbou il gruppo fu trattenuto dalla polizia spagnola e fu comunicato che il giorno seguente sarebbe stato rispedito a Vichy. Nel corso della notte Benjamin prese una forte dose di sonnifero e la mattina seguente rifiutò con tutte le forze gli interventi che proponevano di effettuare per salvargli la vita». 
Dopo aver insistito ancora un poco, Caterina Ameglio confessa che un baule certo se lo ricorda, ma pieno di cartacce com'era non aveva suscitato l'interesse di nessuno. Come Juliana Bordereau, il personaggio di James che nel Carteggio Aspern si frappone alla ricerca delle lettere da parte dell'incauto biografo, confessa d'aver fatto bruciare tutto. Mi auguro stia mentendo.
Giuseppe Marcenaro, Passaporti. Un viaggio esoterico, Il Saggiatore, 2020