venerdì 17 aprile 2020

Tradizioni d'antan ad Airole (IM)

                                        
Airole (IM) - Santuario di Nostra Signora delle Grazie
                               
[...] Brani tratti da "Penna Vintimili" di Lorenzo Limon

Airole vanta anche a breve distanza dal paese un antico insigne Santuario [...]
nei due sfollamenti del paese ordinati durante la seconda guerra mondiale, la popolazione [... ] portando negli occhi e nel cuore la visione e il ricordo di Maria che nella terra dell'esilio veniva così pregata:
Dal tempio a noi vicino
Veglia sul paesel
Addita a noi il cammino
Che guida su nel Ciel.

E la Madonna li esaudì; tornata, la popolazione trovò il dolore e la miseria. Ma gli ulivi argentei, curvi come non mai sotto il peso dei loro frutti, diedero agli Airolesi la possibilità di risorgere. 


Spontaneo da ogni cuore sorgeva allora il canto riconoscente:
Del popolo di Airole
Sei vanto e sei l'onor
E' un popol che ti vuole
Patrona d'ogni cuor
.

Il gioco del pallone, di cuoio prima e poi di gomma, in voga ad Airole, non attecchì a Olivetta [Olivetta San Michele (IM), finitimo paese di Limon], malgrado tentativi, per la difficoltà di trovare luoghi adatti per giocarlo.



Ad Airole si prestava la vasta piazza contornata da alti fabbricati. C'era pericolo di fare dei danni, ma i giocatori avevano l'avvertenza di far gridare dal marcatore, prima di iniziare il gioco:
Segnure, seraive porta e barcun
che s'acumensa u giogu du balun

[Signore, chiudete porta e balcone, che comincia il gioco del pallone].

Tanto ad Airole quanto ad Olivetta era in uso, per parare il freddo il gioco del battimano, che consisteva nel battere ritmicamente con le proprie mani quelle di un altro giocatore, accompagnando talvolta i movimenti con la cantilena sulle streghe, che secondo gli Airolesi quando piove e insieme splende il sole fanno all'amore "ciove e luxe u sùe masche fan l'amù".
Era in uso la tombola. Ad Airole usavano pure i "birilli" e "la lippa ", i giochi con i soldi .
A Fanghetto andavano musicanti di Airole che traevano seco altri Airolesi che animavano il ballo.
Pantagruelico il pranzo che offrivano i miei parenti agli amici e ai congiunti intervenuti alla festa. Una pila di piatti indicava al commensale che li aveva davanti il gran numero delle portate.
Ogni piatto secondo l'uso del tempo era una portata.
Terminato il pranzo i giovani andavano in piazza a ballare, gli anziani si trattenevano a tavola a bere e a chiacchierare.
A sera inoltrata gli Airolesi lasciavano in massa il paese facendo ritorno per la strada rotabile alle loro case. E valle Roya eccheggiava la loro allegria.

Quanti miei ricordi si connettono ad usi e riti del paese dove sono nato e ho trascorso la fanciullezza! Le suggestive funzioni della Settimana Santa in Chiesa e sul sagrato.
Il baccano delle "tarabele", dei "pichetti" e delle "sgrisure", con i quali i ragazzi si baloccavano nel tempo in cui le campane erano legate, l'ascensione sul campanile a vedere come era fatto l'orologio, e come si faceva per le feste grandi a suonare insieme le campane, "a triunà".
Le gare per avere il cappello del padrino durante i battesimi all'entrata in chiesa, per tenerlo alla porta durante il rito e avere la regalia nel riconsegnarlo all'uscita.
I parapiglia per arraffare le "batesaglie" lanciate dalle finestre della casa allietata dalla nascita del bambino. 


I doni natalizi e Pasquali dei padrini e delle madrine di battesimo e di cresima ai figliocci; "u galetu" ai maschi a Natale e a "marieta" alle femmine, che erano dolci fatti in casa con farina intrisa nell'olio, spolverati di zucchero e picchettati con zuccherini, cotti al forno, figuranti alla lontana galli e bambole stilizzate; l'uovo sodo "grixurau" a Pasqua, colorato uniformemente o screziato facendolo rassodare in acqua con fondi di caffé o con erbe.
L'uovo si giocava in piazza battendolo con la punta su di un altro, perdeva quello che si rompeva. E con quanta attenzione bambine e ragazzi cercavano di colpire bene e di offrire ai colpi il minor spazio.
E prima di dare il colpo quante prove della resistenza dell'uovo sui denti!
Le scorribande nella Chiesa e nell'Oratorio, temporaneamente sconsacrati, alla ricerca di oggetti lasciati tra la paglia trita dai soldati che vi si erano accantonati per qualche giorno.
La gita estiva alla cappella di San Bernardo in margine dell'antica strada di Ventimiglia, per la sagra del Santo con la relativa pappatoia sull'erba dopo la Messa.
L'escursione annuale sull'"Arpe" a cercare "funsi e burei" [funghi e boleti]. 


La cerca del mosto durante la torchiatura delle vinacce. Andavo spesso a veder funzionare il torchio di mio nonno materno "Suttubarcun".
Arrivava il cercatore: "ghèren pe a geisa?" [c'è niente per la Chiesa?]. Ce n'era sempre per la Chiesa, una due o più coppe, secondo la qualità delle vinaccie torchiate. E con le coppe si empivano botti di buon vino.

Airole (IM) - Chiesa Parrocchiale dei Santi Filippo e Giacomo
Infine i "foghi da Madona" [i fuochi della Madonna] mi fan pensare "au fogu du Bambin", al falò della vigilia di Natale. Durante il giorno ragazzi e giovanotti in lieta gara raccoglievano quanti rovi, quante frasche, quanti rami secchi trovavano nelle campagne attorno al paese, li accumulavano in piazza vicino alla chiesa e la sera vi davano fuoco in segno di allegria per la venuta al mondo del Redentore.
Ad Airole le Confraternite erano due, dei bianchi e dei neri, dal colore del camice.
La Confraternita dei bianchi aveva sede nell'Oratorio di San Giovanni Battista, dove al tempo della mia fanciullezza si celebrava la seconda delle tre Messe Domenicali.

Airole (IM) - ex Oratorio di San Giovanni Battista
La gente gremiva l'Oratorio non solo, ma si addensava fuori della porta spalancata.
Il paese era allora molto popolato. Quando terminata la prima Messa, la gente sciamava dalla Chiesa Parrocchiale nella vasta piazza, quasi la riempiva. Ne approfittava il messo comunale per richiamare l'attenzione sulle carte affisse all'albo pretorio.
Dal fondo della piazza dove era l'albo "bateva a cria" [dava un grido].
Gridava previo squillo di tromba: "Segnuri, chi vo lese s'accoste, Ma gardai de nu rumpive e coste" [Signori, chi vuol leggere s'accosti, ma state attenti a non rompervi le costole].

Era un po' scettico il buon "Giacumin u pedun", postino oltreché messo della Comunità.

Nell'Oratorio molti andavano la mattina del Venerdì Santo, scalzi con una candeletta in mano, a baciare i piedi del Crocifisso esposto sul pavimento dopo aver compiuto uguale pietoso e devoto rito nella Chiesa Parrocchiale [...]


Lorenzo Rossi, Airole 500 anni. La storia di un paese nella cronaca di cinque secoli, Comune di Airole, Stabilimento grafico "Priamar" di Savona, 1998