Pescatori in Arziglia di Bordighera (IM) - Foto di J. Kleudgen in Archivio Catania-Ronco di Bordighera (IM) |
... rivoluzione avvenuta tra Capo Nero e Capo Verde nel 1872, quando Sanremo (IM) riacquistò, in pieno, un agevole contatto con il resto del Mondo.
Quello parziale era già arrivato poco prima del 1830 con il completamento della Genova Nizza accompagnato dal traballio delle prime diligenze.
Quello parziale era già arrivato poco prima del 1830 con il completamento della Genova Nizza accompagnato dal traballio delle prime diligenze.
Il porto di Sanremo nel 1890 - Archivio Moreschi |
Sino ad allora, l’isolamento era stato solamente attenuato dalle feluche e dagli schooner, ad uno o due alberi, adibiti al trasporto di merci e persone a filo di costa; Infatti, l’antica bigostrada Julia Augusta era franata assieme all’impero Romano.
Per 1500 anni circa, fu percorribile solo a 2 piedi, o 4 zampe esperte, dai transitanti di allora: in genere, pellegrini per Roma, commercianti o dalle prime schiere dei granturiani.
Per 1500 anni circa, fu percorribile solo a 2 piedi, o 4 zampe esperte, dai transitanti di allora: in genere, pellegrini per Roma, commercianti o dalle prime schiere dei granturiani.
Nel porto di Sanremo trovavano precario riparo un’ottantina di piccoli velieri, una flotta che può apparire sopravvalutata, rispetto ad una popolazione che superava di poco i diecimila abitanti, almeno sino al 1798, quando, uno dei più attivi fabbricanti di morti dell’epoca non la requisì interamente per una “spedizione d’Egitto”, dalla quale tornarono pochi legni (4 per la precisione) ed alcuni marinai.
L’elevato numero di imbarcazioni, in gran parte costruito sul posto da maestri d’ascia locali, era assorbito dal trasporto della qualificata produzione di agrumi che aveva promosso Sanremo come uno dei centri di eccellenza del settore.
Furono gli ampi sbuffi aerei del primo locomotore a consentire alla città di competere alla pari con altri centri italiani, e non, nella conquista della crescente massa di viaggiatori che si stava muovendo alla ricerca di un piacevole soggiorno verso il solare meridione.
Per la verità, nei decenni precedenti, qualcosa aveva cominciato a muoversi da queste parti con l’arrivo degli inglesi, autori di una solida testa di ponte di residenti invernali nel Nizzardo, in rapido allargamento anche alla nostra zona. Ma il destino, o meglio la Storia, riuscirono a pregiudicare la favorevole occasione con lo spostamento del confine dal Var a Ponte San Luigi. Il motivo era lo stesso che vide soccombenti i nostri floridi agrumeti ponentini alla concorrenza siciliana: l’Unità della Nazione!
Era vitale, perciò, salire sul primo treno in transito…
Riemergono [oggi] album, ritagli significativi dei bisnonni degli attuali media, icone dimenticate, alcune addirittura ritrovate in una discarica come l’immagine di Bastianello, un Carneade a pedali, idolo del Velodromo della Foce e partecipe del gruppo ideatore della Milano-Sanremo.
Molti e significativi frammenti li restituisce a caro prezzo la Rete delle Reti, portati un secolo fa al di là dell’Oceano da sconosciuti ospiti dell’ancora spezzato toponimo San Remo, dalle insegne polilingue e dalle sette Chiese a rito ineguale.
Molti e significativi frammenti li restituisce a caro prezzo la Rete delle Reti, portati un secolo fa al di là dell’Oceano da sconosciuti ospiti dell’ancora spezzato toponimo San Remo, dalle insegne polilingue e dalle sette Chiese a rito ineguale.
Ne sono esempio probante la Zarina Maria Alexandrova ed il non ancora Kaiser Federico Guglielmo III, venuti da queste parti a trovare sollievo climatico alla loro cagionevole salute.
Il soggiorno di quest’ultimo Grande della terra d’allora, delle due figlie e della moglie, figlia della Regina Vittoria d’Inghilterra, ebbe un riscontro massiccio sulle prestigiose riviste quindicinali. Doverose, ma poco esaltanti erano le notizie e le xilografie sul soggiorno dell’illustre malato: le pagine, quindi, si mostrano zeppe di più digeribili aspetti di vita locale, allietate da splendide stampe sul folklore ed il lavoro degli indigeni.
Il soggiorno di quest’ultimo Grande della terra d’allora, delle due figlie e della moglie, figlia della Regina Vittoria d’Inghilterra, ebbe un riscontro massiccio sulle prestigiose riviste quindicinali. Doverose, ma poco esaltanti erano le notizie e le xilografie sul soggiorno dell’illustre malato: le pagine, quindi, si mostrano zeppe di più digeribili aspetti di vita locale, allietate da splendide stampe sul folklore ed il lavoro degli indigeni.
L’ampia raccolta di queste riviste si è rivelata essere, nei fatti, un lungo battage pubblicitario, mai più replicato nella storia di Sanremo come intensità e, soprattutto, come mira del target. Soprattutto se si considera quali fossero i ricchi destinatari, affetti dal cosiddetto mal sottile, di queste pubblicazioni diffuse, ma assai esclusive.
Molte immagini le hanno prodotte i proto-fotografi ottocenteschi locali, i cartolinisti ed i professionisti italiani e stranieri impegnati nell’illustrazione; anch’essi erano giunti da noi al seguito dei flussi crescenti di residenti invernali. Benché non si trattasse ancora di reportage, inteso nelle forme attuali, ne di fotografia di indagine sociale, esse documentano con precisione costumi, ambienti, attività della Liguria di allora.
La cospicua ed elegante produzione del nizzardo Jean Giletta, le vedute del sanremese Domenico Mansuino o quelle esposte negli atelier di Scotto padre e figlio, dei nascenti archivi nazionali di Alinari o Brogi, rispondono alla richiesta crescente di icone-ricordo, a volte rilegate in pesanti album, che gli stranieri intendevano portare a casa per prolungare la memoria del soggiorno.
A questi nomi vanno aggiunti quelli altri autori, solo per sottolineare il loro maggiore impegno e maturità nella descrizione delle popolazioni e delle situazioni locali. Sono Alfred Noack, autore di serie dedicate ai pescatori di Arziglia a Bordighera, oppure Pietro Guidi che ricostruisce nel suo studio aspetti ed attività di popolani e dà vita, in collaborazione con il Dottor Francesco Panizzi, al primo erbario fotografico della storia, dedicato alle “piante più peregrine del luogo”.
La cospicua ed elegante produzione del nizzardo Jean Giletta, le vedute del sanremese Domenico Mansuino o quelle esposte negli atelier di Scotto padre e figlio, dei nascenti archivi nazionali di Alinari o Brogi, rispondono alla richiesta crescente di icone-ricordo, a volte rilegate in pesanti album, che gli stranieri intendevano portare a casa per prolungare la memoria del soggiorno.
A questi nomi vanno aggiunti quelli altri autori, solo per sottolineare il loro maggiore impegno e maturità nella descrizione delle popolazioni e delle situazioni locali. Sono Alfred Noack, autore di serie dedicate ai pescatori di Arziglia a Bordighera, oppure Pietro Guidi che ricostruisce nel suo studio aspetti ed attività di popolani e dà vita, in collaborazione con il Dottor Francesco Panizzi, al primo erbario fotografico della storia, dedicato alle “piante più peregrine del luogo”.
Il periodo della formazione del nome di Sanremo e della nascita del turismo coincide, inoltre, con gli anni in cui la macchina fotografica, resa tecnicamente accessibile a tutti, si sostituiva ai pennelli o alle matite colorate, al blocchetto di fogli da disegno nel ritrarre i luoghi della vacanza da ricordare. Il tutto insaporito dalle pagine di cronache scritte da ardimentosi viaggiatori come Tobias Smollett, le vicende e le tardive riconsiderazioni, “obtorto pollo”, narrate da Giovanni Ruffini, i testi medici e comportamentali di Onetti, Panizzi ed Hassal, il saggio sociologico-naturalistico di Comeford Casey, intitolato Riviera Nature Notes (Agrestia ligustica); tutte pubblicazioni di rilievo utili per inquadrare il fenomeno sotto gli aspetti climatici e di rigenerante occupazione del tempo libero dei soggiornanti.
Si aggiunga, ma si faccia anche precedere, la marea di guide in diverse lingue a far da specchio ai cambiamenti ambientali ed economici della zona in pieno e rapido risveglio; che si apre totalmente rispetto ad un mondo che aveva cominciato a viaggiare in massa e non solo per spirito d’avventura o di commercio.
Sanremo, scattata in grande ritardo rispetto all’ex Italia sabauda commutata dai trattati in Francia meridionale, limitatamente al periodo iniziale che esamina la Mostra, compì uno straordinario balzo in avanti per inserirsi nel gruppo di testa delle località al passo coi tempi nella nuova filiera del turismo residenziale, rompendo il plurisecolare isolamento.
Si aggiunga, ma si faccia anche precedere, la marea di guide in diverse lingue a far da specchio ai cambiamenti ambientali ed economici della zona in pieno e rapido risveglio; che si apre totalmente rispetto ad un mondo che aveva cominciato a viaggiare in massa e non solo per spirito d’avventura o di commercio.
Sanremo, scattata in grande ritardo rispetto all’ex Italia sabauda commutata dai trattati in Francia meridionale, limitatamente al periodo iniziale che esamina la Mostra, compì uno straordinario balzo in avanti per inserirsi nel gruppo di testa delle località al passo coi tempi nella nuova filiera del turismo residenziale, rompendo il plurisecolare isolamento.
Le immagini fotografiche segnano molti di questi momenti ed il loro insieme, sottolineato dalla muta colonna sonora dei documenti esposti, intende proiettare il film girato in quegli anni da queste parti; interpretato da masse di uomini semplici e da persone illustri ed industriose. Questi fotogrammi, sia le icone originali che quelle recuperate ed ottimizzate elettronicamente, offrono il loro importante contributo per descrivere lo svolgersi di quel periodo fecondo e lo fanno proprio nel momento in cui la fotografia perde valore, importanza, considerazione, soffocata dal parossismo che la sta dilagando; l’uomo non è mai stato così illustrato e connesso, ma incapace di veder se stesso e di connettere.
La presenza in una ex prigione di tante immagini, provenienti da una lontana serie di ieri, vuole proporre il simbolico invito a conservare, fra spesse mura, il prodotto della più democratica delle invenzioni: quella scoperta del 1839, battezzata Fotografia.
Una forma di comunicazione per la quale non è necessario possedere il cosiddetto “dono naturale” che permette solo ad alcuni di scolpire, dipingere, musicare e poetare con maggior agilità; ma abilita, chiunque abbia la voglia di farlo, di osservare con il “terzo occhio” e realizzare la propria visione di “qualcosa”.
La presenza in una ex prigione di tante immagini, provenienti da una lontana serie di ieri, vuole proporre il simbolico invito a conservare, fra spesse mura, il prodotto della più democratica delle invenzioni: quella scoperta del 1839, battezzata Fotografia.
Una forma di comunicazione per la quale non è necessario possedere il cosiddetto “dono naturale” che permette solo ad alcuni di scolpire, dipingere, musicare e poetare con maggior agilità; ma abilita, chiunque abbia la voglia di farlo, di osservare con il “terzo occhio” e realizzare la propria visione di “qualcosa”.
Ed è assai significativo, a questo titolo, che sia stato proprio un Granturiano a tutto tondo, Henry Fox Talbot, l’inventore riconosciuto fra i tanti, del nuovo mezzo di comunicazione, a buttare nelle acque del Lago di Como la tavolozza ed i pennelli disobbedienti che non gli permettevano di ritrarre adeguatamente il magnifico spettacolo.
Da allora, era appena iniziato il 1800, per una ventina d’anni, lo scienziato inglese si dedicò impulsivamente a progettare strumenti e tecniche tali da permettere l’immediata captazione, la riproduzione e la conservazione di quanto l’occhio, la prima fotocamera stereo progettata dall’evoluzione in ognuno di noi, permette di ammirare.
Battuto sul filo di lana nel gennaio del 1839 da Daguerre e Niepce, Talbot è considerato il vero padre del procedimento negativo-positivo; da allora, il Mondo, l’uomo e la sua percezione iconica, non sono stati più gli stessi.
Alfredo Moreschi in
Da allora, era appena iniziato il 1800, per una ventina d’anni, lo scienziato inglese si dedicò impulsivamente a progettare strumenti e tecniche tali da permettere l’immediata captazione, la riproduzione e la conservazione di quanto l’occhio, la prima fotocamera stereo progettata dall’evoluzione in ognuno di noi, permette di ammirare.
Battuto sul filo di lana nel gennaio del 1839 da Daguerre e Niepce, Talbot è considerato il vero padre del procedimento negativo-positivo; da allora, il Mondo, l’uomo e la sua percezione iconica, non sono stati più gli stessi.
Alfredo Moreschi in