giovedì 8 agosto 2019

Una nevicata di Philadelphus


Se non si ha fretta a volte i sogni si avverano.

La neve, per noi bambine della prima metà del secolo scorso, era l'annuncio di una catastrofe.
La gelata del 1956, che infierì con crudele spietatezza (1), rimanendo per molti giorni sulle coltivazioni, lasció nella mente dei vecchi un segno indelebile.
La perdita di numerose piante di agrumi e danni alle coltivazioni orticole fu pesante.

Pertanto la calamità, di cui temere anche al minimo accenno di innocui fiocchi di neve, faceva sentire noi colpevoli della gioia, che ci dava quella insolita coltre bianca in cui giocare.
Una sensazione che non ci avrebbe mai abbandonato.
Adulte avremmo detestato quel pericoloso nemico.

La neve si rifece viva nel 1985 in maniera ancora una volta recando i temuti danni.


L'ultima nevicata del 2018 ci avrebbe visto come forsennate scrollare i disgraziati vegetali dei nostri giardini sommersi da quel pesante flagello. 

Irriconoscibile, ma come non apprezzare sui rami la magia dei fiocchi caduti con abbondanza.
Non casualmente in letteratura si scrive del Mago Gelo.
Un giardino domestico trasformato in un bosco sconosciuto.
Ci fu qualche morto, ma non fu una ecatombe: era bastato vietare l’ingresso alle piante esotiche provenienti da paesi dove la neve non cade mai.

Vecchia ormai, in primavera posso finalmente godere con gioia la nevicata del Philadelphus coronarius, che lascia cadere i suoi petali dai quattro metri della sua altezza sul sentiero sotto casa.
La meraviglia si ripete ogni anno con puntualità senza danno alcuno.

 
(1) Gris de lin si riferisce al ponente ligure