martedì 25 agosto 2020

Giuseppe "Beppe" Porcheddu, artista, grande illustratore, antifascista, legato a Bordighera


Giuseppe "Beppe" Porcheddu - Fonte: IDAL

Pittore, incisore, scultore, realizzatore di ceramiche, illustratore e fumettista, Beppe Porcheddu fu eclettico e originalissimo artista. Scoperto sin da giovanissimo da Leonardo Bistolfi rimane sicuramente uno dei più significativi artisti del '900 e la sua arte si può avvicinare, per vocazione narrativa e perizia tecnica, a quella del Cambellotti e del Grassi. Compiuti gli studi classici, ha completato la sua formazione frequentando i corsi di architettura al Politecnico di Torino.
Federico Bardanzellu, Giuseppe Porcheddu, Geneanet

Beppe Porcheddu non seguì la carriera paterna, a lui piaceva disegnare. Se ne accorse uno degli artisti che frequentavano la famiglia Porcheddu, Leonardo Bistolfi, quasi incredulo a vedere la maturità nel disegno del ragazzino. Elementari, medie e liceo a Torino, poi il Politecnico, senza dimenticare lo sport e lo studio del violino. Nel 1916, volontario, parte per la guerra, ma sul monte Tomba è gravemente ferito dallo scoppio di una granata. Trasferito all'ospedale militare di Carrara, salva per miracolo la gamba sinistra, ma è costretto da allora a camminare con il bastone. Le prime illustrazioni appaiono nel 1919 sul Pasquino, poi su un'infinità di altre testate, tra le quali il Corriere dei Piccoli e Topolino.
Leonardo Bizzaro, Porcheddu, la matita che sparì a Natale, la Repubblica, 20 ottobre 2007 
 
Beppe Porcheddu: impressionante personalità di artista colto e geniale.
Giuseppe Balbo in Redazione, Giuseppe Balbo, sito omonimo
 
 
Giovanni Antonio Porcheddu - Fonte: Geneanet

Giovanni Antonio Porcheddu, nato a Ittiri, in Sardegna, il 26 giugno 1860 e morto a Torino il 17 ottobre 1937. Di umili origini, in tenera età perse entrambi i genitori e per sopravvivere si trasferì a Sassari dove lavorò come operaio alla costruzione del palazzo della Provincia, in piazza d’Italia. In quel periodo conseguì la licenza tecnica inferiore e, viste le non comuni potenzialità, i parenti, congiuntamente a un piccolo contributo dell’amministrazione provinciale, lo mantennero agli studi nella scuola tecnica superiore, sezione di fisica e matematica, dove conseguì il diploma. In virtù delle sue indubbie capacità ottenne, ancora dalla Provincia, una borsa di studio per la frequenza del primo biennio di ingegneria all’università di Pisa. Laureatosi in Ingegneria Civile presso la Regia Scuola di Applicazione di Torino, nel 1892 ottenne il Diploma di Ingegnere Industriale presso il Regio Museo Industriale. L’attività del suo studio spaziò fra il 1895 e il 1933; le sue opere sono localizzate prevalentemente nel Nord Italia (ma anche a Messina, Reggio C., Palermo, Roma e Tripoli). Ha realizzato la ricostruzione del Campanile di San Marco a Venezia, crollato improvvisamente nel 1902. Il suo maggior merito fu quello di aver intuito e apprezzato per primo in Italia l’importanza della nuova tecnica costruttiva del cemento armato, ideata dal belga Francois Hennebique. Detto sistema, inizialmente avversato dalle grandi industrie di costruzioni, prevedeva per la costruzione di strutture verticali portanti l’utilizzo di un conglomerato cementizio interamente armato con profilati di ferro. Con questo metodo Porcheddu costruì innumerevoli opere di grande pregio tecnico-scientifico. Tra queste si ricordano lo stabilimento Fiat «Lingotto» di Torino, il palazzo Nuova Borsa di Genova e il ponte Risorgimento, sul fiume Tevere a Roma. Molti furono i rapporti professionali con progettisti di evidenza internazionale. I suoi biografi riportano, a mo’ di aneddoto, un episodio curioso: durante l’inaugurazione del ponte Risorgimento il sovrano Vittorio Emanuele convenne che la circostanza comportava l’incontro di due Re: egli, Re d’Italia e Porcheddu “Re del cemento armato”.
Giovanni Antonio Porcheddu aveva sposato Amalia Dainesi, nata nel 1863 e deceduta a Torino il 21 agosto 1902. Ebbe come figli Giuseppe Beppe Porcheddu 1898-?1947 e Ambrogia Porcheddu 1899-1974 [n.d.r.: in effetti, Giovanni Porcheddu ebbe sette figli: tra questi è doveroso citare almeno il padre del pittore Gian Antonio].
Federico Bardanzellu, Giovanni Antonio Porcheddu, Geneanet
 
Porcheddu Giovanni Antonio
Ittiri (SS) 1860 giu. 26 - Torino 1937 ott. 17
ingegnere civile, 1890 - 1937
ingegnere industriale, 1892 - 1937
Cavaliere del Lavoro, 1914 - 1937
Intestazioni:
Porcheddu, Giovanni Antonio, ingegnere, (Ittiri 1860 - Torino 1937), SIUSA
Nato a Ittiri nel 1860 Giovanni Antonio Porcheddu è figlio di un capomastro muratore. Rimasto orfano dei genitori in giovane età, con l'aiuto dei parenti si trasferisce a Sassari dove lavora come operaio edile. Grazie a un sussidio provinciale si diploma presso la Scuola Tecnica Superiore della città, sezione di fisica e matematica quindi, ottenuta una borsa di studio, frequenta all'Università di Pisa il biennio di ingegneria per poi trasferirsi a Torino dove consegue la laurea in ingegneria civile nel 1890 alla Regia Scuola di Applicazione e nel 1892 il Diploma di Ingegnere industriale presso il Regio Museo Industriale.
Nel 1894 è già concessionario del brevetto Hennebique per solai incombustibili e due anni più tardi, costituito uno studio tecnico e impresa a proprio nome, diviene Agente Generale per l'Alta Italia del Sistema Hennebique per la progettazione e la realizzazione di costruzioni in calcestruzzo armato acquisendo nel giro di pochi anni autonomia di calcolo e di progetto.
Oltre alla sede torinese di corso Valentino 20 (oggi corso Marconi) l'impresa Porcheddu G.A., con assetto societario dal 1906, ha filiali a Milano, Genova e Roma e dispone di una propria ferriera a Genova per la produzione di barre di armatura.
Nel febbraio 1914 Giovanni Antonio Porcheddu viene nominato Cavaliere al merito del Lavoro. Sposato ad Amalia Dainesi ha 7 figli. Muore a Torino il 17 ottobre 1937.
Soggetti produttori:
Società Porcheddu Ing. G.A., collegato, 1895 - 1933
Complessi archivistici prodotti:
Società Porcheddu Ing. G. A. (fondo)
Bibliografia:
NELVA R., Giovanni Antonio Porcheddu in Progetto Cultura Società. La scuola poltecnica torinese e i suoi allievi, a cura di MARCHIS V., Torino, Società ingegneri e architetti ex allievi del Politecnico di Torino, 2010, 60-61
NELVA R., SIGNORELLI B., Avvento ed evoluzione del calcestruzzo armato in Italia: il sistema Hennebique, Milano, Edizioni di scienza e tecnica, 1990, 25-26
Redazione e revisione:
Bodrato Enrica, 2011/09/14, rielaborazione
Nelva Riccardo, 2011/09/19, revisione
Redazione, Porcheddu Giovanni Antonio, Siusa
 
Le Ferriere di Oneglia (IM)
La costruzione del complesso siderurgico, sito alla foce del torrente Impero, tra la marina di Porto Maurizio e il centro di Oneglia, inizia nel 1906 ad opera della Società Siderurgica Ligure Occidentale.
Nel 1908 la proprietà dello stabilimento passa alla società Ferriere di Voltri che nel 1916 costruisce la Nuova Acciaieria di Oneglia per la produzione di laminati in acciaio comune e lingotti per la trasformazione degli stessi in laminati.
Il complesso, che costituisce uno dei rari esempi di impiego del calcestruzzo col sistema Hennebique nell’estremo Ponente ligure, a opera dell’impresa Porcheddu di Torino, è costituito da due grandi capannoni affiancati (il locale forni verso mare e il locale fonderia verso monte), dal locale gasogeni, dal laboratorio chimico e dai magazzini sul fronte verso torrente.
Sara de Maestri e Roberto Tolaini, Storie e itinerari dell'Industria Ligure, De Ferrari, 2012
 
Nel 1919 Giuseppe Porcheddu ha esordito come illustratore sulle pagine della rivista "Pasquino" e l'anno successivo ha collaborato con le riviste "Numero", "La Lettura", "L'Illustrazione del Popolo" e "Il Secolo XX°". Nel 1922 ha iniziato la sua collaborazione con la fabbrica "Lenci" disegnando bambole, arredi e, alcuni anni dopo, modelli per ceramiche che furono esposti alla mostra della produzione "Lenci" alla Galleria Pesaro di Milano nel 1929. Nel 1939 lasciò Torino per trasferirsi a Bordighera dove rimase fino al 1947 quando, in occasione di un viaggio a Roma, scomparve misteriosamente. Le sue illustrazioni del "Pinocchio" di Collodi, rimangono le più famose nel mondo, insieme a quelle del contemporaneo Attilio Mussino.
Federico Bardanzellu su Geneanet

Fonte: Urania Casa d'Aste

Beppe Porcheddu [...] Intensamente presente sulla scena artistica torinese, svolge una fitta attività di illustratore, con uno stile di ardua, arrovellata eleganza e nel contempo di forte tensione espressiva, carico di risonanze nordiche e di suggestioni attinte ai maestri del passato, da Durer a Goya. Collabora a diversi periodici: "Pasquino" (1919), "L'lllustrazione del Popolo" (1922- 1924), "Numero" (1922), "Cuor d'Oro", "La Lettura" (1923), "Novella" (1925), "Il Secolo XX" (1926), "Il Giornalino della Domenica" (1927). Nel 1928 viene pubblicata una ricca raccolta dei suoi disegni, con prefazione di Leonardo Bistolfi (Disegni di Giuseppe Porcheddu, Torino 1928). Nello stesso anno l'artista esegue una copertina per "Il Nuraghe", riannodando così rapporti con la Sardegna, dove pochi ormai lo conoscevano. Nel 1933 espone alla IV Mostra Sindacale Sarda a Cagliari. Dal 1934 al 1948 collabora a "Scena illustrata", e ancora a "Mondo fanciullo", "Topolino", "Il Balilla", "Marc'Aurelio". È anche un fecondo illustratore di libri (nel 1934 vince il secondo premio, con Giulio da Milano, nel Concorso per l'lllustrazione del libro svoltosi alla XXXV Esposizione degli "Amici dell'Arte") e cartellonista; per l'Ars Lenci realizza disegni per giocattoli, stoffe, ceramiche, decorazioni; si dedica alla scenografia (Ettore Fieramosca, di A. Blasetti, 1938). 

Giuseppe Porcheddu, Il castello di San Velario - Fonte: Artnet  
Giuseppe Porcheddu, Disegno per un'illustrazione del Pinocchio di Collodi. "Inchiostro di china nero e chine colorate su cartoncino grigio. mm 300x210. Siglato in basso a sinistra. Note editoriali a matita. Illustrazione per il Pinocchio edito da Paravia nel 1942 e illustrato da Beppe Porcheddu. Per tale impresa, sicuramente uno dei suoi capolavori, Porcheddu utilizzò tre soli colori, il rosso mattone, l’azzurro carta da zucchero e il bianco biacca, cui aggiunse il nero. Ebbe, tuttavia, la geniale idea di realizzare i disegni su cartoncini grigio chiaro o beige, dando una precisa valenza cromatica anche allo sfondo libero dal disegno...


È la letteratura per l'infanzia quella che più lo affascina. «I bambini sono più critici degli adulti», sostiene, e nelle illustrazioni per loro è particolarmente puntiglioso, da Racconti così di Bistolfi al Tartarino di Daudet, dal Romanzo di Tristano e Isotta alle Avventure del barone di Munchhausen, dal salgariano I ribelli della montagna al Pinocchio pubblicato nel '42 da Paravia. Quest'ultimo è un capolavoro, con i disegni su carta grigia e nocciola, colorata a china e arricchita dal bianco della tempera. Non sono da meno i libri non destinati specificamente ai ragazzi, le Passeggiate storiche torinesi di Emilio Bruno, pubblicate nel 1939 da Frassinelli, o La tentazione di Sant'Antonio di Flaubert, per i tipi di Ramella nel 1946.
Leonardo Bizzaro, art.cit. 
 
Fonte: Fumettologica



Fonte: Fumettologica

[...] leggendario per gli appassionati di fumetto d’epoca, è il Gulliver di Porcheddu, disegnato per Topolino negli anni Quaranta. 
 
Fonte: Fumettologica

L’opera era ritenuta completamente perduta fino a pochi mesi fa, quando Urania Casa d’Aste ha annunciato che all’asta del prossimo 11 maggio 2019 verranno battute ben 25 tavole originali dell’opera. Giuseppe Porcheddu è uno dei nomi più importanti dell’illustrazione italiana della prima metà del Novecento [...] Il suo capolavoro è senza dubbio il Pinocchio commissionato da Paravia (1942), illustrato su carta grigio chiaro o beige e tutto giocato sulle tre tonalità differenti del rosso mattone, azzurro carta da zucchero e bianco biacca. I disegni originali si sono salvati miracolosamente alla distruzione della casa editrice durante un bombardamento solo per il fatto che in quei giorni si trovavano in tipografia. In questi stessi anni entra in contatto con il mondo del fumetto con la casa editrice Anonima Periodici Italiani di Mondadori, a cui propone di realizzare una versione a fumetti di I viaggi di Gulliver per Topolino; all’epoca, infatti, la testata era in formato tabloid e oltre alle storie Disney ospitava fumetti d’avventura di grandi autori italiani: Pedrocchi, Scolari, Molino, Moroni Celsi, Albertarelli… Le tavole che realizza attirano l’attenzione di altri colleghi, tanto che nel 1942 gli viene commissionato un fumetto per il Balilla, L’anello di Burma, su testi di Renato Brunati
 
Fonte: Fumettologica

Al tempo stesso, però, la produzione del Gulliver rallenta, anche forse per il cambio di direttore a Topolino tra Federico Pedrocchi e Mario Gentilini, fino a bloccarsi completamente nel 1944 [...] Le gigantesche tavole originali dei Viaggi di Gulliver di Giuseppe Porcheddu (62,5 x 42,5 cm) provengono certamente da questo lotto salvato dalla distruzione, ricomparse pochi anni fa nel negozio di un antiquario di Grosseto. Si può notare il loro passato travagliato osservando da vicino gli originali, percorsi da una piega nel centro e macchiati dall’umidità, per fortuna in un punto che non pregiudica il disegno [...] 
 
Fonte: Fumettologica

Di 60 doppie tavole se ne sono salvate 25: sono perdute le prime due e dalla 28 in poi [...] Il rimpianto è che probabilmente non potremo mai leggere la storia intera, né vederla a colori e in grande formato come era destinata a essere, vista la probabile pubblicazione nel paginone centrale di Topolino [...]
Fumettologica

Fonte: Urania Casa d'Aste

Nel 1938 firma la scenografia del film Ettore Fieramosca di Alessandro Blasetti. Nel 1939 Beppe Porcheddu lascia Torino e si trasferisce a Bordighera. È apprezzato disegnatore di fumetti: crea la serie dei "nanetti" per il “Corriere dei Piccoli” e "L'anello di Burma", da un romanzo di Renato Brunati, per il “Balilla”; collabora con la Mondadori, chiamato da Federico Pedrocchi; quest'ultimo gli affida la sceneggiatura de "Il castello di San Velario" di Eros Belloni, che sarà pubblicato postumo, nel 1948, nella collana degli Albi d'Oro di Topolino, in due parti. Sempre per “Topolino” realizza anche I viaggi di Gulliver, che non vedrà mai la pubblicazione. Il suo capolavoro è l'illustrazione del "Pinocchio" di Collodi (1942). Per tale impresa Porcheddu utilizza tre soli colori, il rosso mattone, l’azzurro carta da zucchero e il bianco biacca, cui aggiunge il nero. L’artista, tuttavia, ha la geniale idea di realizzare i disegni su cartoncini grigio chiaro o beige, dando una precisa valenza cromatica anche allo sfondo libero dal disegno. Nel "Pinocchio", la grafica dell'artista compone in ogni singola tavola un impianto che ancor oggi appare straordinariamente moderno.
Copernicum

Beppe Porcheddu, Le avventure di Pinoccio - Fonte: IDAL

Beppe Porcheddu avendo interessato con i suoi disegni infantili Leonardo Bistolfi, ebbe da lui consigli  autorevoli ed i principi fondamentali d’arte.
Frequenta i corsi di disegno nella facoltà di architettura del Politecnico di Torino.
Autodidatta, illustrò opere letterarie per vari editori tra cui Treves, Paravia, De Agostini con particolare predilezione per quelle rivolte all’infanzia come “ Il Corriere dei Piccoli”, “Topolino”, “Il Balilla”.
Per il cinema realizzò le scenografie di Ettore Fieramosca  (Alessandro Blasetti) per il fumetto “Il misteri degli specchi velati”  unitamente al mai pubblicato “Viaggi di Gulliver”.
 
Fonte: IDAL

Nel 1922  espose alla Fiera del libro di Firenze; alla Prima Biennale Arti Decorative di  Monza, (1923); al circolo “Amici dell’Arte” di Torino e alla prima Quadriennale Romana (1931).
 
Fonte: IDAL

A partire dal 1922 inizia la sua attività di disegnatore di bambole, progettista di giocattoli e decoratore di ceramiche che vengono esposti nel 1929 alla mostra della produzione della fabbrica “Lenci”, alla Galleria Pesaro di Milano.

Fonte: IDAL

Tra i suoi lavori più importanti in veste di illustratore: “Le avventure del Barone di Munchausen”  (Paravia, 1934),  “Le avventure di Pinocchio” (Paravia, 1942), che rimane il suo capolavoro utilizzando tre soli colori, il rosso mattone, l’azzurro carta da zucchero e il bianco biacca, cui aggiunge il nero. L’artista, tuttavia, ha la geniale idea di realizzare i disegni su cartoncini grigio chiaro o beige, dando una precisa valenza cromatica anche allo sfondo libero dal disegno.
 
Fonte: IDAL

Nel “Pinocchio”, la grafica dell’artista compone in ogni singola tavola un impianto che ancor oggi appare straordinariamente moderno.
 
Fonte: IDAL

Espose alla Società Promotrice di Torino e alla mostra navigante sul transatlantico “Italia”.
Tra le sue opere pittoriche più significative: Il gregge, Gli sposi (Galleria Pesaro di Milano), Bertoldo, Artemide, Giovanna d’Arco.
Nel suo percorso artistico evolutivo “sembrerebbe che l’artista nel pittore abbia riversato “l’ illustratore” e viceversa “nell’illustrazione abbia prevalso il pittore” […] Nella maturità il suo sguardo fu rivolto a tematiche di più intensa e profonda partecipazione emotiva. In proposito mostrò maggiore attenzione ed amore per le figure più umili: operai pescatori, carpentieri, contadini  dalle mani  nodose e dai visi fortemente marcati, dipinti con accurato e quasi crudo realismo.
Beppe Porcheddu nel dicembre 1947 trascorse le feste di Natale a Roma, ospite dell’amico Piero Giacometti, con cui stava organizzando una importante mostra.
Il 27 dicembre uscì di casa e nessuno lo rivedrà più, lascia scritto alla sorella: "La vita è un continuo tradimento. I più bei sogni… restano sogno. Chissà quando ci rivedremo?".
Nel 1971 la città di Bordighera, nel corso delle celebrazioni del cinquecentenario, ha promosso la mostra “Pittori di ieri a Bordighera” nella quale Beppe Porcheddu è stato  messo in luce con la presentazione di cinque opere riprodotte a catalogo.
 
Fonte: IDAL

Nel 2007 la Galleria d’Arte Narciso di Torino ha ordinato un'importante mostra postuma.
Fin dalla sua prima produzione, accanto all’attitudine al grottesco, Porcheddu mostra una naturale inclinazione per quello che Massimo Oldoni definisce "trinomio perfetto di simboli d’un mondo (quello medievale) che si è espresso per metafore come nessun’altra civiltà precedente".
IDAL.800.900
 
Giuseppe Porcheddu, Allegoria della vita, 1943 - Fonte: IDAL

Le idee antifasciste di Beppe vennero ben presto note in Torino per cui decise di agire prima di incorrere in inevitabili conseguenze. Decise di raggiungerre un suo caro amico italiano, il Professore Raffaello Monti, anch'egli antifascista, il quale si era temporaneamente trasferito a Tolosa per sfuggire all'atmosfera ormai tossica che aleggiava in Italia. Nel 1936 Beppe e tutta la sua famiglia andarono a Tolosa per vivere con Monti e la famiglia di questi. Giuseppe Porcheddu e famiglia nella città francese, dove i ragazzi frequentarono le locali scuole, rimasero per un anno. Le priorità della famiglia su educazione, musica ed arte continuarono ad essere rispettate sotto la direzione alquanto rigorosa di Beppe. Gli studi accademici e musicali per i figli erano stati programmati da Beppe. La vita era stata quindi strutturata con cura e l'educazione dei suoi figli fu probabilmente molto diversa dagli altri giovani che incontrarono e con cui fecero amicizia. Entrambe le famiglie, quella di Monti e quella di Porcheddu, tuttavia, furono costrette a tornare in Italia poiché stava diventando impossibile trasferire fondi dall'Italia alla Francia. Al rientro in Italia, Beppe, tale era la sua reputazione antifascista, si vide temporaneamente ritirato il passaporto. La famiglia Porcheddu tornò temporaneamente a Torino e poi andò a vivere a Merano dove Beppe aveva progettato e costruito una casa. L'odio di Beppe per la politica fascista contribuì a plasmare la sua direzione e le sue azioni future mentre l'ascesa del nazismo e del fascismo gettavano le loro ombre oscure sull'Europa.
David Ross, figlio di Michael Ross, nipote di Giuseppe Porcheddu, email del 22 agosto 2020

Giuseppe Porcheddu, Il Re povero (pastelli su carta) - Fonte: IDAL

Un gruppo, che confluì dopo la guerra nel partito socialista ma che sorse autonomo intorno al 1939 ed ebbe come centro Bordighera, fu quello che fece capo a Guido [Hess] Seborga, un giovane il quale cominciò a osteggiare il fascismo fin dalla guerra d'Abissinia (lo disse ai compagni di scuola e fu "pestato" per tali sentimenti "anti-patriottici"). Attorno a Seborga si raccolsero numerosi giovani: Renato Brunati (poi garibaldino e trucidato dai tedeschi), Lina Mayfrett (deportata in campo di concentramento), Beppe Porcheddu (il quale si suicidò nel '47 per la delusione che l'assetto politico scaturito dalla Resistenza provocò in lui). Questo gruppo lavorava anche in contatto con i torinesi Alba Galleano, Giorgio Diena, Vincenzo Ciaffi, Domenico Zucaro, Raffaele Vallone, Luigi Spezzapan, Umberto Mastroianni, Carlo Musso e altri. Il gruppo svolse soprattutto attività di propaganda di collegamento tra le regioni, di diffusione di libri proibiti e, quando giunse il momento della lotta aperta, i suoi principali esponenti, allora "azionisti", militarono nelle formazioni partigiane di "Giustizia e Libertà" e della "Matteotti".
Ruggero Zangrandi, Il lungo viaggio attraverso il fascismo, Garzanti, 1971

[...] nel ‘39 si formò a Bordighera un gruppo orientato verso i partiti della classe operaia e in particolare verso il partito socialista guidato da Guido Seborga, coadiuvato da Renato Brunati, Lina Mayfrett [Meiffret] e Beppe Porcheddu. 
Gli aderenti stabilirono contatti a Torino con il gruppo di Alba Galleano, Giorgio Diena, Vincenzo  Diena. Tra gli altri Domenico Zucaro, Raf Vallone, Luigi Spazzapan, Umberto Mastroianni, Carlo Mussa  
Pietro Secchia, Enzo Nizza, Enciclopedia dell’Antifascismo e della Resistenza, Milano, La Pietra, 1968

Luigi ci portò a Llo di Mare… [Villa in Località Arziglia di Bordighera, in affitto a Giuseppe Porcheddu]  
Michael Ross, From Liguria with love. Capture, imprisonment and escape in wartime Italy, Minerva Press, London, 1997

Antifascista - pur firmando nel 1935 le illustrazioni del Balilla regale di Arnaldo Cipolla - ospita nella villa di Bordighera durante la guerra moglie e figlia di Concetto Marchesi, il grande latinista, partigiano comunista. E poi due ufficiali britannici nascosti in una stanza vicino alla biblioteca, dove spesso un militare della Wehrmacht si presenta per chiedere a prestito uno dei tanti libri in tedesco che Porcheddu acquista per ispirarsi nei suoi disegni. Giovanna, figlia del disegnatore, sposerà a guerra finita uno dei due inglesi. L'altra, Amalia, convolerà lo stesso giorno con un altro ufficiale del Regno Unito di stanza in Liguria. [...] 1947, le figlie sono in Austria con i mariti, padre e madre le raggiungono per assistere alla nascita di un nipote, poi Beppe torna a Bordighera, prima di partire per Roma, dove si sta organizzando una mostra delle sue opere. È l'amico Piero Giacometti a occuparsene ed è lui a costringerlo a lasciare l'albergo per trasferirsi a casa sua. Passano insieme il Natale. Il 27, nel pomeriggio, Porcheddu esce, lasciando bastone e passaporto in camera. Non si avranno più sue notizie. Rimane l'ultima lettera, spedita da Bordighera alla sorella Ambrogia: «La vita è un continuo tradimento. I più bei sogni... restano sogno. Chissà quando ci rivedremo?». Molti nel corso dei decenni hanno provato a investigare sulla vicenda, nessuno ha mai trovato spiegazioni.
Leonardo Bizzaro, art. cit.

La propaganda antifascista e antitedesca fu praticata nella zona di Bordighera da Renato Brunati e da me in un contempo indipendentemente, senza che nemmeno ci conoscessimo: ma nel 1940 ci incontrammo e d’impulso associammo i nostri ideali e le nostre azioni, legati come ci trovammo subito anche da interessi intellettuali ed artistici. La vera azione partigiana s’iniziò dopo il fatale 8 settembre 1943, allorchè Brunati e la sig. Maiffret subito dopo l’occupazione tedesca organizzarono un primo nucleo di fedeli e racimolarono per le montagne, sulla frontiera franco-italiana e nei depositi, armi e materiali: armi e materiali che essi vennero via via accumulando a Bajardo in una proprietà della Maiffret, che servì poi sempre di quartier generale in altura, mentre alla costa il luogo di ritrovo e smistamento si stabiliva in casa mia ad Arziglia e proprio sulla via Aurelia [...] Verso la metà di novembre due ufficiali inglesi, fuggiaschi del campo di ferma vennero a capitar nella zona di Bajardo, ricoverati e confortati dai nostri, sistemati poi nottetempo in un casolare di vetta. Fu poi progettata la fuga in Corsica: ma il 1° tentativo perì per la defezione del marinaio che s’era assunto l’apparecchiamento della barca: tuttavia i 2 inglesi scesero ad Arziglia in casa mia, guidati dai capi in pieno equipaggiamento partigiano a mezzogiorno per via Aurelia sotto il naso dei tedeschi: da Arziglia si trasferirono alla casa di Brunati, alla Madonna della Ruota, ma una sorpresa della polizia che arrestava Brunati e la Maiffret costrinse nuovamente gli inglesi a raggiungere casa nostra ove restarono 15 giorni. I 2 capi vennero rilasciati per insufficienza di prove il 22 dicembre, raggiunsero Bajardo ove già erano tornati gli inglesi. Un nuovo tentativo di fuga in Corsica venne organizzato in casa mia coll’aiuto di patrioti bordigotti, Gismondi, Assandria, Moraglia [...] Un canotto di Donegani, trafugato venne adattato col fuoribordo acquistato con fondi di Giacometti equipaggiato e messo in acqua: vi salirono… i 2 inglesi ed i nominati patrioti, dopo un breve soggiorno in casa mia per gli ultimi preparativi. Ma l’imbarco avvenuto felicemente ad onta della attiva sorveglianza tedesca, non ebbe buon esito, chè la barca si empì d’acqua a 200 metri da riva ed a stento i fuggiaschi raggiunsero la costa rifugiandosi poi da me, fradici [...] ed avendo salvato solo il moto. Da allora i 2 inglesi restarono in casa fino al 25 gennaio ’45, salvo un breve soggiorno a Bajardo nel gennaio ‘44. Gismondi fu arrestato e ciò allarmò tutta la nostra banda   [...] Purtroppo il 14 febbraio 1944 Brunati e la Maiffret, venivano definitivamente presi dai repubblicani [...] Nel gennaio 1945 la Signora Marchesi, moglie del capo comunista Concetto Marchesi, e la figlia sposata Mendelssohn con un ebreo americano, venivano ricoverate in casa mia coll’aiuto del dott. Marchesi, fratello di Concetto; esse sottostavano alla taglia di 1 milione, già applicata a Concetto Marchesi; fuggito questo in Svizzera le sue familiari rilevarono il funesto privilegio. Esse restarono in casa mia 25 giorni mentre ivi albergavano pure i 2 ufficiali inglesi; la prudenza e infinite cautele oltre al volere degli ospiti stranieri ci obbligarono ad occultare la presenza di questi alle signore Marchesi: e ci riuscimmo. Il 24 gennaio il dott. Marchesi precipitatosi in casa mia comunicò che i tedeschi dovevan partire entro 2 giorni, prelevando tutti i designati ostaggi di cui io risultai capolista. Si impose una fuga generale; Marchesi collocò altrove cognata e nipote, noi ci rifugiammo [...] Ma i 2 inglesi dopo romanzesche avventure in montagna e sulla costa di Vallecrosia raggiunsero la Francia e si misero finalmente al sicuro. Oggi scrivono dall’Inghilterra […] I 2 ufficiali inglesi si chiamano: Michael Ross e George Bell [...]     
Giuseppe Porcheddu, manoscritto (documento IsrecIm) edito in Francesco Mocci (con il contributo di Dario Canavese di Ventimiglia), Il capitano Gino Punzi, alpino e partigiano, Alzani Editore, Pinerolo (TO), 2019

Rivedo Lina Meyfrett [Lina Meiffret] che pare sempre miracolosamente scampata ad un campo di concentramento e insieme ricordiamo Renato Brunati e Beppe Porchedddu...
Guido Seborga, Occhio folle occhio lucido, Graphot/Spoon river, Torino 2012