Camporosso (IM) |
[...] morte del Vice Brigadiere Pietro Somaschini e del Carabiniere Lodovico Aimone Gerbi, assassinati da alcuni malviventi a Camporosso (IM) il 7 dicembre 1926.
Due giorni prima, a Ventimiglia (IM), era stato ucciso da due banditi il fascista venticinquenne Giovanni Battista Gavarino, originario di Monesiglio, nel Cuneese, già addetto di garzone presso il buffet della stazione della città di confine, e da qualche tempo usciere presso il consolato generale italiano a Nizza.
Per le modalità che avevano caratterizzato il delitto, gli inquirenti ne avevano escluso immediatamente il movente politico, ritenendo che gli autori dell’omicidio fossero malviventi giunti a Ventimiglia con l’intenzione di varcare illegalmente la frontiera per recarsi in Francia.
In effetti, la polizia avrebbe appurato in seguito che gli assassini di Gavarino erano stati i famigerati banditi Sante Pollastri (detto anche Pollastro) e Giacomo Massari, i quali, pochi giorni prima dell’omicidio del giovane piemontese, avevano freddato a Milano anche due sottufficiali di Pubblica Sicurezza.
Dal Comando della Tenenza di Ventimiglia venne quindi disposto che fossero intensificati i servizi di vigilanza svolti dai militari dell’Arma per impedire il passaggio illegale della frontiera.
La sera del 6 dicembre e la mattina seguente fu segnalata la presenza di due individui sospetti in Val Nervia, per cui vennero allertate le Stazioni di Ventimiglia, Dolceacqua e Pigna.
Dalla Stazione di Dolceacqua furono inviati, in abito simulato e con l’incarico di controllare il territorio circostante tra le 19,30 del 7 dicembre e le 0,30 del giorno successivo, il Vice Brigadiere Pietro Somaschini, originario di Genova, dove era nato il 5 aprile 1904, effettivo alla Stazione di Olivetta San Michele e in servizio provvisorio presso quella di Dolceacqua, e il Carabiniere Lodovico Gerbi, effettivo alla Stazione di Dolceacqua.
Nel rapporto inviato al Comando Generale dell’Arma l’11 dicembre, il Comandante del 1° Gruppo di Legioni, Generale di Brigata Giovanni Battista Da Pozzo, scrisse che nelle prime ore del mattino dell’8 dicembre il Maresciallo Florindo Pizzoglio, Comandante della Stazione di Dolceacqua, rientrato da un servizio di perlustrazione nella direzione opposta a quella percorsa da Somaschini e Gerbi, informato dal piantone della caserma che questi ultimi non erano ancora tornati, diede in un primo tempo scarsa importanza alla cosa, pensando a un normale ritardo dovuto a ragioni di servizio. Poche ore più tardi, però, preoccupato per il prolungarsi dell’assenza dei due militari, ordinò di farli cercare presso alcune località limitrofe, recandosi lui stesso nella zona di Camporosso, senza trovare nessuno.
Il Maresciallo decise quindi di informare del mancato rientro dei due il Comandante della Tenenza che dispose ulteriori ricerche, anch’esse senza alcun risultato.
Soltanto verso le tre del pomeriggio, un contadino, sceso in una scarpata costeggiante la strada di Camporosso, nei pressi del cimitero del paese, a circa due chilometri dall’abitato, scoprì i cadaveri dei due militari, che avevano ancora addosso gli indumenti da caccia usati la sera prima per camuffarsi, immersi in una pozza di sangue e crivellati di colpi d’arma da fuoco.
Dalle impronte rimaste sul terreno, gli inquirenti dedussero che tra i malviventi e i due carabinieri vi era stata una violentissima colluttazione, specialmente ai danni di Gerbi il quale, oltre alle ferite causate dalle armi, presentava profonde contusioni al collo e svariate ecchimosi. A terra furono rinvenuti otto bossoli, di cui quattro di cartucce dello stesso calibro di quelle con cui era stato ucciso il giovane Gavarino, le altre di calibro 6,35 mm.
La sera del 6 dicembre e la mattina seguente fu segnalata la presenza di due individui sospetti in Val Nervia, per cui vennero allertate le Stazioni di Ventimiglia, Dolceacqua e Pigna.
Dalla Stazione di Dolceacqua furono inviati, in abito simulato e con l’incarico di controllare il territorio circostante tra le 19,30 del 7 dicembre e le 0,30 del giorno successivo, il Vice Brigadiere Pietro Somaschini, originario di Genova, dove era nato il 5 aprile 1904, effettivo alla Stazione di Olivetta San Michele e in servizio provvisorio presso quella di Dolceacqua, e il Carabiniere Lodovico Gerbi, effettivo alla Stazione di Dolceacqua.
Nel rapporto inviato al Comando Generale dell’Arma l’11 dicembre, il Comandante del 1° Gruppo di Legioni, Generale di Brigata Giovanni Battista Da Pozzo, scrisse che nelle prime ore del mattino dell’8 dicembre il Maresciallo Florindo Pizzoglio, Comandante della Stazione di Dolceacqua, rientrato da un servizio di perlustrazione nella direzione opposta a quella percorsa da Somaschini e Gerbi, informato dal piantone della caserma che questi ultimi non erano ancora tornati, diede in un primo tempo scarsa importanza alla cosa, pensando a un normale ritardo dovuto a ragioni di servizio. Poche ore più tardi, però, preoccupato per il prolungarsi dell’assenza dei due militari, ordinò di farli cercare presso alcune località limitrofe, recandosi lui stesso nella zona di Camporosso, senza trovare nessuno.
Il Maresciallo decise quindi di informare del mancato rientro dei due il Comandante della Tenenza che dispose ulteriori ricerche, anch’esse senza alcun risultato.
Soltanto verso le tre del pomeriggio, un contadino, sceso in una scarpata costeggiante la strada di Camporosso, nei pressi del cimitero del paese, a circa due chilometri dall’abitato, scoprì i cadaveri dei due militari, che avevano ancora addosso gli indumenti da caccia usati la sera prima per camuffarsi, immersi in una pozza di sangue e crivellati di colpi d’arma da fuoco.
Dalle impronte rimaste sul terreno, gli inquirenti dedussero che tra i malviventi e i due carabinieri vi era stata una violentissima colluttazione, specialmente ai danni di Gerbi il quale, oltre alle ferite causate dalle armi, presentava profonde contusioni al collo e svariate ecchimosi. A terra furono rinvenuti otto bossoli, di cui quattro di cartucce dello stesso calibro di quelle con cui era stato ucciso il giovane Gavarino, le altre di calibro 6,35 mm.
Al Vice Brigadiere Somaschini, ucciso con quattro colpi di rivoltella, era stata anche sottratta la pistola d’ordinanza, mentre a Gerbi, freddato con due colpi di rivoltella dello stesso calibro, i banditi
avevano prelevato una Browning calibro 6,35 mm.
avevano prelevato una Browning calibro 6,35 mm.
La celebrazione a Camporosso (IM) della Messa in suffragio di Gerbi e di Somaschini. Fonte: Andrea Gandolfo, art. cit. infra |
La tragica fine dei due militari produsse una notevole impressione presso l’opinione pubblica, suscitando un vivo allarme tra gli abitanti della zona.
Vennero quindi rinforzate, anche con militari inviati dal Comando di Legione a Genova, tutte le Stazioni di confine e, col concorso delle truppe di vari presidi del circondario e della Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale, furono organizzate battute per le vallate circostanti alla ricerca dei malviventi.
Mentre erano ancora in corso le indagini, il Carabiniere Tommaso Brondolo, verso le sette di sera del 9 dicembre, durante il servizio che svolgeva ogni giorno insieme ad altri cinque militari dell’Arma alla stazione di Ventimiglia per impedire gli espatri clandestini sui treni diretti in Francia, vide un individuo sospetto salire su un convoglio in procinto di partire.
Vennero quindi rinforzate, anche con militari inviati dal Comando di Legione a Genova, tutte le Stazioni di confine e, col concorso delle truppe di vari presidi del circondario e della Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale, furono organizzate battute per le vallate circostanti alla ricerca dei malviventi.
Mentre erano ancora in corso le indagini, il Carabiniere Tommaso Brondolo, verso le sette di sera del 9 dicembre, durante il servizio che svolgeva ogni giorno insieme ad altri cinque militari dell’Arma alla stazione di Ventimiglia per impedire gli espatri clandestini sui treni diretti in Francia, vide un individuo sospetto salire su un convoglio in procinto di partire.
Rivoltella alla mano, Brondolo raggiunse il vagone cui si era aggrappato lo sconosciuto, che sarebbe stato identificato in seguito in Sante Pollastri.
Saltato sul predellino, Brondolo intimò a Pollastri di scendere dal treno ma venne centrato da quest’ultimo all’addome con due colpi di pistola, cadendo riverso al suolo a venti metri dalla tettoia della stazione, mentre il treno accelerava, cominciando a prendere velocità.
Successive perquisizioni, eseguite sul convoglio dal quale erano partiti gli spari, non permisero alle
autorità di polizia di verificare subito l’identità dell’assassino di Brondolo.
Parimenti infruttuose furono le indagini svolte da Carabinieri e militi della Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale sulla linea ferroviaria tra Ventimiglia e Mentone, oltre che lungo le strade di accesso al confine.
Ma tutti gli indizi facevano supporre che il nuovo delitto fosse stato commesso da uno degli stessi autori dell’omicidio di Gerbi e Somaschini, come si legge già nella relazione del Generale Da Pozzo.
Saltato sul predellino, Brondolo intimò a Pollastri di scendere dal treno ma venne centrato da quest’ultimo all’addome con due colpi di pistola, cadendo riverso al suolo a venti metri dalla tettoia della stazione, mentre il treno accelerava, cominciando a prendere velocità.
Successive perquisizioni, eseguite sul convoglio dal quale erano partiti gli spari, non permisero alle
autorità di polizia di verificare subito l’identità dell’assassino di Brondolo.
Parimenti infruttuose furono le indagini svolte da Carabinieri e militi della Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale sulla linea ferroviaria tra Ventimiglia e Mentone, oltre che lungo le strade di accesso al confine.
Ma tutti gli indizi facevano supporre che il nuovo delitto fosse stato commesso da uno degli stessi autori dell’omicidio di Gerbi e Somaschini, come si legge già nella relazione del Generale Da Pozzo.
La Caserma dei Carabinieri a Sanremo (IM), intitolata a Gerbi. Fonte: Andrea Gandolfo, art. cit. infra |
Nel pomeriggio del 10 dicembre, a complicare ulteriormente la situazione, venne scoperta vicino a un binario della stazione di Ventimiglia una bomba a mano. E’ probabile che anche l’ordigno fosse da collegare al passaggio del Pollastri, il quale, prima di salire sul treno in partenza per la Francia, lo avrebbe lasciato a scopo intimidatorio.
Nel frattempo il Carabiniere Brondolo, dopo essere stato sottoposto a un delicato intervento chirurgico che non sortiva gli effetti sperati, esalava l’ultimo respiro nel pomeriggio dello stesso 10 dicembre presso l’ospedale della città di confine.
Dopo i fatti di Ventimiglia e Camporosso, Pollastri verrà arrestato dalla polizia francese a Parigi nell’agosto del 1927 e poi condannato all’ergastolo dalla Corte d’Assise di Milano il 20 novembre 1929 per una serie di gravi reati, tra cui l’omicidio del Gavarino, ma non per quelli di Somaschini e di Gerbi.
Nel frattempo il Carabiniere Brondolo, dopo essere stato sottoposto a un delicato intervento chirurgico che non sortiva gli effetti sperati, esalava l’ultimo respiro nel pomeriggio dello stesso 10 dicembre presso l’ospedale della città di confine.
Dopo i fatti di Ventimiglia e Camporosso, Pollastri verrà arrestato dalla polizia francese a Parigi nell’agosto del 1927 e poi condannato all’ergastolo dalla Corte d’Assise di Milano il 20 novembre 1929 per una serie di gravi reati, tra cui l’omicidio del Gavarino, ma non per quelli di Somaschini e di Gerbi.
Scontati quasi trent’anni di carcere, il bandito venne infine graziato nell’agosto 1959 dal Presidente della Repubblica Giovanni Gronchi.
Morì a Novi Ligure, il 30 aprile 1979, all’età di 79 anni.
Morì a Novi Ligure, il 30 aprile 1979, all’età di 79 anni.
Il suo complice sembra invece si sia suicidato in Francia pochi giorni dopo la morte dei due carabinieri a Camporosso.
Per la tenacia e il coraggio con i quali i militari si erano posti sulle tracce e avevano affrontato i pericolosi criminali, il Vice Brigadiere Pietro Somaschini, il Carabiniere Lodovico Gerbi e il Carabiniere Tommaso Brondolo ottennero tutti dapprima l’encomio solenne del Comando Generale dell’Arma e quindi, con regio decreto dell’8 gennaio 1928, il conferimento della medaglia d’Argento al Valor Militare alla memoria.
A ricordo del loro sacrificio, nel 1936 la sede del neo istituito Comando di Gruppo (l’odierno Comando Provinciale) di Imperia fu intitolata al Vice Brigadiere Somaschini, mentre nel 1971 al Carabiniere Gerbi venne intitolata la nuova caserma dei Carabinieri di Sanremo, nota anche come “Villa Giulia”.
Andrea Gandolfo in NOTIZIARIO STORICO DELL'ARMA DEI CARABINIERI - n° 6 del 2016
Per la tenacia e il coraggio con i quali i militari si erano posti sulle tracce e avevano affrontato i pericolosi criminali, il Vice Brigadiere Pietro Somaschini, il Carabiniere Lodovico Gerbi e il Carabiniere Tommaso Brondolo ottennero tutti dapprima l’encomio solenne del Comando Generale dell’Arma e quindi, con regio decreto dell’8 gennaio 1928, il conferimento della medaglia d’Argento al Valor Militare alla memoria.
A ricordo del loro sacrificio, nel 1936 la sede del neo istituito Comando di Gruppo (l’odierno Comando Provinciale) di Imperia fu intitolata al Vice Brigadiere Somaschini, mentre nel 1971 al Carabiniere Gerbi venne intitolata la nuova caserma dei Carabinieri di Sanremo, nota anche come “Villa Giulia”.
Andrea Gandolfo in NOTIZIARIO STORICO DELL'ARMA DEI CARABINIERI - n° 6 del 2016
39 Il campione e il bandito.
In questa storia non so distinguere la realtà dal romanzo. Mia madre che era venuta qui da Mede Lomellina parlava di Peotta e di Sante e dei morti sparati che c’erano stati al suo paese quando lei aveva dieci anni.
Persino Turati che dopo la morte di Anna Kuliscioff avrebbe voluto scappare in Svizzera per la via comasca, attraverso i passi che erano tenuti sotto strettissima sorveglianza dagli agenti di polizia; aveva dovuto rinunciare perché stavano effettuando ricerche intense per trovare il pericoloso bandito Sante PollastrI. Pertanto, l’unica alternativa che rimaneva era quella di effettuare l’espatrio via mare verso la Francia. Ci pensò Pertini in barca con gli amici savonesi nel dicembre del 1926.
La leggenda del bandito inizia quando Sante, uscendo da un bar, una sera del 1922, sputò una caramella amara al rabarbaro che cadde vicino agli stivali di due fascisti, che interpretandola come una sfida lo picchiarono a sangue.
Siamo nella città di Novi Ligure nota perché contrariamente al nome si trova in Piemonte. A dieci chilometri c’è Parodi Ligure e un chilometro più in là la frazione di Tramontana.
Si narra che i Novesi, ovunque si trovassero, si riconoscessero tra di loro, emettendo un caratteristico fischio detto “cifulò”. Si fischiava più spesso allora, e il livello di rumorosità consentiva la comunicazione sonora. Capitò così al celeberrimo bandito anarchico Sante Pollastri, verso la metà degli anni Venti, che fischiò per annunciarsi nella confusione del velodromo d’inverno di Parigi al grandissimo ciclista Costante Girardengo, chiamato l'Omino di Novi, e al suo masseur Biagio Cavanna, lo stesso massaggiatore cieco che qualche anno dopo manipolò i muscoli del campione Fausto Coppi.
Nel 1927, quando tutti credevano che Pollastri fosse rimasto ucciso in uno scontro a fuoco al confine fra Italia e Francia, il bandito raggiunse Parigi dove in quei giorni si disputava la “sei giorni”, importante gara ciclistica che vedeva Girardengo fra gli atleti più attesi. Poco tempo dopo fu l’occasione per il commissario Guillaume di arrestarlo nella metropolitana di Parigi.
Si dice che George Simenon si ispirò a lui quando a partire dal 1930 cominciò a scrivere i romanzi con il commissario Maigret come protagonista.
Ma partiamo dal dicembre 1926 quando per la banda di Pollastri incomincia la resa dei conti. Segnalati e braccati, cercano di guadagnare la via verso la Francia trasferendosi nella zona di confine ventimigliese.
La prima vittima è un cameriere fascista troppo curioso del buffet della stazione. Da quel momento dal 6 all’8 dicembre, Pollastri è segnalato in ogni luogo della zona intemelia.
Nella stazione ferroviaria di Ventimiglia il carabiniere Tommaso Brondolo intima al bandito Massari di fermarsi, il criminale tenta la fuga ma, inseguito, fredda il carabiniere con tre colpi di pistola.
C’è un amico di Ventimiglia che compare un paio di volte nelle cronache giudiziarie dei processi a Pollastri; una prima volta quando il bandito rientrato da un colpo in Costa Azzurra ottiene una Maino per poter raggiungere Novi ligure; la seconda volta quando prima di prendere al volo il treno lungo il percorso per la Francia senza passare dalla stazione, gli procura alcuni biglietti da poter esibire ad eventuali richieste del personale viaggiante francese. L’amico si chiama Palmarin o Parmarin secondo gli adattamenti dal dialetto. Non so chi fosse esattamente, lo conosceva bene Elio l’anarchico più umano che io abbia conosciuto e immagino che sostenessero una causa comune.
In quelle notti, una pattuglia di carabinieri (vicebrigadiere Somaschini e carabiniere Gerbi) incappa in una imboscata nei sentieri che fiancheggiano la provinciale per Dolceacqua: i militi, travestiti da cacciatori, cadono uccisi.
In memoria di quel fatto, l’allora comandante del reparto, il carabiniere maresciallo capo Luigi Ronteuroli fa erigere un cippo che esiste tuttora a un chilometro da Camporosso, dopo il cimitero.
L’associazione nazionale carabinieri ne cura la manutenzione e le caserme dei Carabinieri di Sanremo e Imperia sono intitolate ai due militi. Ma mentre non ci sono dubbi su chi abbia effettuato un paio di omicidi intorno alla stazione di Ventimiglia e Pollastri e i suoi saranno infatti condannati, su quanto successo a Camporosso esistono ancora oggi dubbi e sospetti che qualche ladro di polli o piccolo delinquente locale, abbia approfittato della presenza del bandito in zona per compiere una vendetta. Pollastri uscirà infine assolto per questi due omicidi.
Proprio quella sera, lì vicino, sulla collina a est in località Cassogna, i manenti di Migone sono a cena; qualcuno picchia ai vetri. Migone è un proprietario terriero che si è portato i contadini da Genova e dall’Oltregiogo e sarà anche un proprietario della Società Anonima di Distribuzione dell'Acqua. Mentre fuori piove ed è già buio, il padre di famiglia va a vedere chi bussa; essendo originario di Tramontana riconosce subito il famoso Pollastri che è capitato lì per caso a duecento chilometri dal paese, insieme a due compari. Fanno poche parole. Si siedono e mangiano un piatto di minestrone. Non c'è paura in casa, capiscono che si tratta di banditi che rapinano banche e gioiellerie non certo una casa di campagna e dei mezzadri.
Con poche parole si fanno spiegare dove si trovano esattamente, forse credevano di essere già in val Roia; invece sono ancora nella parallela val Nervia, più lontana dal confine.
Pollastri quando va via, lascia una tavoletta di cioccolata per i bambini. Uno di questi che allora aveva tredici anni e non aveva mai visto la cioccolata, è quello che anni dopo, ha raccontato questa storia.
Scriveva Giorgio Bocca su L’Espresso: «Noi andavamo al mare a Ventimiglia, dove ogni tanto, ma questo lo abbiamo saputo dopo, il bandito Pollastri, quello che era amico di Girardengo, lasciava qualche morto ammazzato nei carruggi della città vecchia».
Pollastri aveva un altro amico che lo aveva ispirato nel suo percorso anarchico e che si era dato lo pseudonimo significativo di “Renzo Novatore” e diceva «oggi cerco un’ora sola di furibonda anarchia e per quell’ora darei tutti i miei sogni, tutti i miei amori, tutta la mia vita» e ancora «per compagno ebbi sempre il pericolo che amai come un fratello. E sulle labbra sempre l'ironico sorriso dei superiori e dei forti». È difficile dire con certezza se anche Pollastri fosse anarchico ma è certo che a una domanda del giudice aveva risposto: «ho le mie idee».
Chi ha conosciuto Pollastri da uomo libero dopo trent’anni di galera, quando aveva ottenuto la grazia dal presidente Gronchi, lo descrive come una persona tranquilla come tante, che faceva l’ambulante e viveva onestamente. Sua mamma forse avrebbe detto come tante mamme che era stata tutta colpa delle cattive compagnie e di qualche donna.
Arturo Viale, Oltrepassare. Storie di passaggi tra Ponente Ligure e Provenza, Edizioni Zem, 2019
In questa storia non so distinguere la realtà dal romanzo. Mia madre che era venuta qui da Mede Lomellina parlava di Peotta e di Sante e dei morti sparati che c’erano stati al suo paese quando lei aveva dieci anni.
Persino Turati che dopo la morte di Anna Kuliscioff avrebbe voluto scappare in Svizzera per la via comasca, attraverso i passi che erano tenuti sotto strettissima sorveglianza dagli agenti di polizia; aveva dovuto rinunciare perché stavano effettuando ricerche intense per trovare il pericoloso bandito Sante PollastrI. Pertanto, l’unica alternativa che rimaneva era quella di effettuare l’espatrio via mare verso la Francia. Ci pensò Pertini in barca con gli amici savonesi nel dicembre del 1926.
La leggenda del bandito inizia quando Sante, uscendo da un bar, una sera del 1922, sputò una caramella amara al rabarbaro che cadde vicino agli stivali di due fascisti, che interpretandola come una sfida lo picchiarono a sangue.
Siamo nella città di Novi Ligure nota perché contrariamente al nome si trova in Piemonte. A dieci chilometri c’è Parodi Ligure e un chilometro più in là la frazione di Tramontana.
Si narra che i Novesi, ovunque si trovassero, si riconoscessero tra di loro, emettendo un caratteristico fischio detto “cifulò”. Si fischiava più spesso allora, e il livello di rumorosità consentiva la comunicazione sonora. Capitò così al celeberrimo bandito anarchico Sante Pollastri, verso la metà degli anni Venti, che fischiò per annunciarsi nella confusione del velodromo d’inverno di Parigi al grandissimo ciclista Costante Girardengo, chiamato l'Omino di Novi, e al suo masseur Biagio Cavanna, lo stesso massaggiatore cieco che qualche anno dopo manipolò i muscoli del campione Fausto Coppi.
Nel 1927, quando tutti credevano che Pollastri fosse rimasto ucciso in uno scontro a fuoco al confine fra Italia e Francia, il bandito raggiunse Parigi dove in quei giorni si disputava la “sei giorni”, importante gara ciclistica che vedeva Girardengo fra gli atleti più attesi. Poco tempo dopo fu l’occasione per il commissario Guillaume di arrestarlo nella metropolitana di Parigi.
Si dice che George Simenon si ispirò a lui quando a partire dal 1930 cominciò a scrivere i romanzi con il commissario Maigret come protagonista.
Ma partiamo dal dicembre 1926 quando per la banda di Pollastri incomincia la resa dei conti. Segnalati e braccati, cercano di guadagnare la via verso la Francia trasferendosi nella zona di confine ventimigliese.
La prima vittima è un cameriere fascista troppo curioso del buffet della stazione. Da quel momento dal 6 all’8 dicembre, Pollastri è segnalato in ogni luogo della zona intemelia.
Nella stazione ferroviaria di Ventimiglia il carabiniere Tommaso Brondolo intima al bandito Massari di fermarsi, il criminale tenta la fuga ma, inseguito, fredda il carabiniere con tre colpi di pistola.
C’è un amico di Ventimiglia che compare un paio di volte nelle cronache giudiziarie dei processi a Pollastri; una prima volta quando il bandito rientrato da un colpo in Costa Azzurra ottiene una Maino per poter raggiungere Novi ligure; la seconda volta quando prima di prendere al volo il treno lungo il percorso per la Francia senza passare dalla stazione, gli procura alcuni biglietti da poter esibire ad eventuali richieste del personale viaggiante francese. L’amico si chiama Palmarin o Parmarin secondo gli adattamenti dal dialetto. Non so chi fosse esattamente, lo conosceva bene Elio l’anarchico più umano che io abbia conosciuto e immagino che sostenessero una causa comune.
In quelle notti, una pattuglia di carabinieri (vicebrigadiere Somaschini e carabiniere Gerbi) incappa in una imboscata nei sentieri che fiancheggiano la provinciale per Dolceacqua: i militi, travestiti da cacciatori, cadono uccisi.
In memoria di quel fatto, l’allora comandante del reparto, il carabiniere maresciallo capo Luigi Ronteuroli fa erigere un cippo che esiste tuttora a un chilometro da Camporosso, dopo il cimitero.
L’associazione nazionale carabinieri ne cura la manutenzione e le caserme dei Carabinieri di Sanremo e Imperia sono intitolate ai due militi. Ma mentre non ci sono dubbi su chi abbia effettuato un paio di omicidi intorno alla stazione di Ventimiglia e Pollastri e i suoi saranno infatti condannati, su quanto successo a Camporosso esistono ancora oggi dubbi e sospetti che qualche ladro di polli o piccolo delinquente locale, abbia approfittato della presenza del bandito in zona per compiere una vendetta. Pollastri uscirà infine assolto per questi due omicidi.
Proprio quella sera, lì vicino, sulla collina a est in località Cassogna, i manenti di Migone sono a cena; qualcuno picchia ai vetri. Migone è un proprietario terriero che si è portato i contadini da Genova e dall’Oltregiogo e sarà anche un proprietario della Società Anonima di Distribuzione dell'Acqua. Mentre fuori piove ed è già buio, il padre di famiglia va a vedere chi bussa; essendo originario di Tramontana riconosce subito il famoso Pollastri che è capitato lì per caso a duecento chilometri dal paese, insieme a due compari. Fanno poche parole. Si siedono e mangiano un piatto di minestrone. Non c'è paura in casa, capiscono che si tratta di banditi che rapinano banche e gioiellerie non certo una casa di campagna e dei mezzadri.
Con poche parole si fanno spiegare dove si trovano esattamente, forse credevano di essere già in val Roia; invece sono ancora nella parallela val Nervia, più lontana dal confine.
Pollastri quando va via, lascia una tavoletta di cioccolata per i bambini. Uno di questi che allora aveva tredici anni e non aveva mai visto la cioccolata, è quello che anni dopo, ha raccontato questa storia.
Scriveva Giorgio Bocca su L’Espresso: «Noi andavamo al mare a Ventimiglia, dove ogni tanto, ma questo lo abbiamo saputo dopo, il bandito Pollastri, quello che era amico di Girardengo, lasciava qualche morto ammazzato nei carruggi della città vecchia».
Pollastri aveva un altro amico che lo aveva ispirato nel suo percorso anarchico e che si era dato lo pseudonimo significativo di “Renzo Novatore” e diceva «oggi cerco un’ora sola di furibonda anarchia e per quell’ora darei tutti i miei sogni, tutti i miei amori, tutta la mia vita» e ancora «per compagno ebbi sempre il pericolo che amai come un fratello. E sulle labbra sempre l'ironico sorriso dei superiori e dei forti». È difficile dire con certezza se anche Pollastri fosse anarchico ma è certo che a una domanda del giudice aveva risposto: «ho le mie idee».
Chi ha conosciuto Pollastri da uomo libero dopo trent’anni di galera, quando aveva ottenuto la grazia dal presidente Gronchi, lo descrive come una persona tranquilla come tante, che faceva l’ambulante e viveva onestamente. Sua mamma forse avrebbe detto come tante mamme che era stata tutta colpa delle cattive compagnie e di qualche donna.
Arturo Viale, Oltrepassare. Storie di passaggi tra Ponente Ligure e Provenza, Edizioni Zem, 2019
Altri lavori di Arturo Viale: L'ombra di mio padre, 2017; ViteParallele, 2009; Quaranta e mezzo; Viaggi; Mezz'agosto; Storie&fandonie; Ho radici e ali.
Adriano Maini
Adriano Maini