mercoledì 28 febbraio 2024

I moti studenteschi e la contestazione avevano appena sfiorato il tran tran quotidiano della ridente città di provincia



Ventimiglia (IM): Piazza Marconi (Marina San Giuseppe) e le spiagge antistanti

Per Luigi quel sabato 7 dicembre 1968 era trascorso nell'usuale consueta normalità. Come ogni settimana la dura mattinata di scuola al liceo classico G. Rossi di Ventimiglia era passata tra le interrogazioni di storia e filosofia della prof. Trucchi e le spiegazioni di italiano del prof. Allavena. Il pomeriggio aveva stemperato le tensioni del mattino: la consueta partitella di calcio con Don Ernesto e i compagni dell'Azione Cattolica e quindi, per finire la giornata, qualche prova con gli amici del complessino beat per strimpellare gli hits del momento, come "Magic Carpet Ride" degli Steppenwolf, "Race with the Devil" dei Gun o "Applausi" dei Camaleonti. Quelle esercitazioni abitualmente trovavano il loro epilogo nell'annuale, mitico festival dei complessi beat, che proprio nel mese di dicembre, nel teatro comunale, vedeva i più agguerriti gruppi cittadini cimentarsi accanto ai mitici Kites in un'accesa kermesse musicale. Quell'anno, purtroppo, il politeama cittadino aveva chiuso i battenti e l'accesa disfida non si era potuta programmare: il 1968 può essere considerato, nel secolo appena passato, uno dei peggiori anni nella vita cittadina di Ventimiglia. I moti studenteschi e la contestazione avevano appena sfiorato il tran tran quotidiano della ridente città di provincia, rimanendo emarginati a livello intellettuale e a esclusivo appannaggio di pochi liceali impegnati: non si può certo addebitare a loro la responsabilità del processo di graduale degrado urbano iniziato proprio in quell'anno. Le decisioni di chiudere numerosi uffici pubblici ed il mercato dei fiori sono state certamente quelle che hanno determinato il nascere di una progressiva crisi che ha visto il comune di frontiera via via spogliarsi di numerose sue prerogative. Anche la "Battaglia di Fiori" vide in quell'anno la sua ultima edizione: con l'inizio della crisi dell'attività floricola tale manifestazione perse la sua prima ragion d'essere e non venne più riproposta se non in biennio a cavallo degli anni ottanta, prima di riprendere vita, sia pur lontana dai fasti iniziali, nei primi anni del nuovo millennio. Il Teatro Comunale a sua volta venne riaperto nel 1980, grazie alla ferma volontà dell'assessore alla cultura di allora [n.d.r.: che era proprio lo scrittore Gaspare Caramello] che, in un quinquennio di stampo "nicoliniano" (usando una terminologia ai quei tempi in voga), lo riportò in auge con numerosi spettacoli sia teatrali che musicali. La sua sorte si compì definitivamente agli inizi del 1985 quando venne nuovamente chiuso, nello stesso periodo in cui anche l'ospedale cittadino vide la fine della sua esistenza.
Luigi concluse la giornata assistendo alla proiezione del film "Teorema" di Pasolini, in una serata caratterizzata da accese dispute nel cineforum cittadino. La poesia proclama dello scrittore "Il P.C.I. ai giovani" era stata motivo dell'accesa controversia che vide i fautori della sinistra integralista accesi oppositori delle tesi più d'avanguardia dei giovani contestatori dell'extrasinistra o dei seguaci, come il nostro protagonista, delle tesi del filosofo Marcuse. Tutto quindi avrebbe lasciato presupporre una nottata tranquilla passata tra le braccia di Morfeo, in attesa di rivedere, nel successivo giorno di festa, gli amici del liceo e del gruppo beat. Il sonno invece tardava, sia per l'emozione dell'accesa discussione che per una specie di tarlo che iniziava a farsi strada nella mente del giovane. Un chiodo fisso si era insediato nella sua mente: doveva piantare un chiodo. L'idea in principio gli sembrava alquanto peregrina e priva di senso, ma via via che si insinuava sempre più nella sua mente iniziavano a prendere forma le giustificazioni artistiche e filosofiche che potevano motivare quell'inusitato gesto. L'arte concettuale, che dichiarava essere "Arte" non il prodotto finito in quanto tale ma il procedimento mentale alla base della sua creazione, l'arte gestuale che dava al gesto realizzativo dell'autore la priorità sulla creazione di un'opera, alla fine furono le ragioni che lo indussero a concretizzare quel pensiero che ormai era quasi divenuto maniacale e non lo lasciava riposare.
Alla prima luce del mattino decise di alzarsi e, imbacuccatosi nell'inseparabile eskimo, si diresse alla volta del laboratorio del nonno, che continuava a gestire una fiorente impresa edile. Con cura ed attenzione scelse un grosso chiodo, molto spesso e lungo, tale da essere ben visibile, un pesante martello, una squadra in legno, una livella, un carboncino ed un compasso da muro. Improvvisatosi così novello muratore, dopo aver pensato brevemente dove localizzare l'intervento, propese per un bel muro in località Marina San Giuseppe, a metà strada fra l'Alef Club ed il bar di Vito, di fronte allo stabilimento balneare "Giuseppe". La sua opera sarebbe così stata esposta al sole tutta la giornata creando così un'operazione artistica "in progess", come era di moda in quegli anni. Con l'aiuto dei suoi amici e la consulenza dei pescatori locali, si sarebbe potuta farla divenire nientemeno che una meridiana d'avanguardia, occhieggiante ai capolavori di Duchamps, Man Ray e del Dadaismo in generale. Anche il nuovo preside del liceo, il prof. Carlo Cormagi, ne sarebbe stato sicuramente orgoglioso. Egli, appena giunto da Genova, aveva subito dimostrato di apprezzare le correnti artistiche contemporanee: probabilmente, addirittura, avrebbe voluto dir la sua nell'estemporanea creazione, partecipandone in qualche modo alla sua definitiva trasformazione da oggetto d'uso quotidiano a capolavoro artistico.
Soddisfatto di quanto aveva ideato, appesantito dall'ingombrante attrezzatura che si trascinava dietro, Luigi si diresse in fretta alla volta della Marina S. Giuseppe. L'aria era frizzante e gli pungeva il volto; soprattutto sulla passerella faceva sentire il rigore dell'inverno ormai incipiente. Preso dalla volontà di vedere il suo progetto concluso, Luigi però non faceva caso a quanto gli accadeva intorno: neppure l'affascinante spettacolo della Corsica che si stagliava sul terso orizzonte del mare riuscì a distrarlo: in breve raggiunse il muro ed iniziò le sue misurazioni come se, all'improvviso, fosse divenuto un provetto geometra. Alla fine col carboncino riuscì a fissare sull'edificio l'esatto punto in cui collocare la sua opera d'arte. Appoggiato con cautela il chiodo all'intonaco, iniziò a percuoterne la testa con decise martellate. Ad ogni colpo la punta penetrava sempre più profondamente nella parete che opponeva una tenue resistenza ai vigorosi colpi del giovane studente. Metà opera era stata realizzata e già era ben visibile quello che sarebbe stato il risultato finale, quando all'improvviso Luigi si sentì apostrofare da una voce imperiosa «Cosa stai facendo?».
Il giovane si voltò e riconobbe Michele, un anziano, dalla notoria fama di valente attaccabrighe, che lo stava osservando con uno sguardo truce da cui traspariva la sua totale disapprovazione. Non correva molto buon sangue tra lo studente e l'attempato pensionato, che, vicino di casa del nonno, non mancava di inveire quotidianamente contro l'avo dello studente a causa del rumore che l'officina produceva distogliendolo dal quotidiano riposino pomeridiano che era uso fare. Michele era diventato un facoltoso possidente "appendendo il cappello al chiodo" ovvero sposando la sarta che possedeva un avviato atelier sopra il laboratorio artigianale. Dal momento del suo matrimonio aveva cessato di lavorare ed amava trascorrere la giornata senza far niente, bighellonando a "ratelare" [litigare] con chiunque gli fosse capitato intorno, che non condividesse le sue idee.
(segue)
Gaspare Caramello, A Foura du Bestentu. Racconti e Novelle della Ventimiglia di oggi e di ieri, Alzani, 2006, pp. 72-73